lunedì 30 gennaio 2012
Scopriamo Santa Maria Faustina Kowalska - Quarantacinquesimo appuntamento
Torniamo ad approfondire la figura di Santa Faustina Kowalska, nota come l'Apostola della Divina Misericordia. Vediamo cosa ci mostra oggi il Suo Diario:
30 luglio [sic!] 1935. Giorno di Sant'Ignazio.
Ho pregato fervorosamente questo santo, facendogli dei rimproveri: Come può osservarmi e non venirmi in aiuto in questioni tanto importanti, cioè nell'adempimento della volontà di Dio? Ho detto a questo santo: « O nostro Patrono, che sei stato infiammato dal fuoco dell'amore e dello zelo per la maggior gloria di Dio, Ti prego umilmente, aiutami a realizzare i disegni di Dio. Questo avveniva durante la santa Messa. All'improvviso sul lato sinistro dell'altare ho visto Sant'Ignazio con un gran libro in mano, il quale mi ha detto queste parole: « Figlia Mia, non sono indifferente alla tua causa. Questa regola si può adattare anche a questa congregazione ». E indicando il libro con la mano, scomparve. Mi rallegrai enormemente vedendo quanto i santi si interessino di noi e quanto sia stretta l'unione con loro. O bontà di Dio! Come è bello il mondo interiore dato che già qui sulla terra trattiamo direttamente coi santi. Per tutta la giornata sentii la vicinanza di questo Patrono, a me così caro.
5 agosto 1935. Festa della Madonna della Misericordia.
Mi sono preparata a questa festa con un fervore maggiore degli anni passati. Al mattino di questo giorno ho avuto una lotta interiore al pensiero che debbo abbandonare la Congregazione che gode della protezione particolare di Maria. In questa lotta è trascorsa la meditazione e la prima Santa Messa. Durante la seconda S. Messa ho pregato così la Madre Santissima: « O Maria, è difficile per me staccarmi dalla Congregazione che è sotto il Tuo speciale patrocinio ». All'improvviso vidi la Santissima Vergine indicibilmente bella, che dall'altare si avvicinò a me, al Mio inginocchiatoio. Mi strinse a Sé e mi disse queste parole: « Vi sono Madre per l'infinita Misericordia di Dio. L'anima che mi è più cara è quella che compie fedelmente la volontà di Dio». Mi fece comprendere che ho eseguito fedelmente tutti i desideri di Dio e per questo ho trovato grazia ai Suoi occhi. « Sii coraggiosa; non temere gli ostacoli ingannevoli, ma considera attentamente la Passione di Mio Figlio ed in questo modo vincerai ».
Adorazione notturna. Mi sentivo molto male e mi sembrava che non avrei potuto andare all'adorazione, ma ci misi tutta la forza della volontà e, benché fossi caduta nella cella, non badai a quello che mi doleva, avendo davanti agli occhi la Passione di Gesù. Quando giunsi in cappella ebbi la comprensione interiore di quanto sia grande la ricompensa che Iddio ci prepara, non solo per le buone azioni, ma anche per il desiderio sincero di compierle. Che grande grazia di Dio è questa! Oh, come è dolce lavorare con sacrificio per Iddio e per le anime! Non voglio riposare durante la battaglia, ma combatterò fino all'ultimo soffio di vita per la gloria del mio Re e Signore. Non deporrò la spada finché non mi prenderà davanti al Suo trono; non temo i colpi poiché il mio scudo è Dio. Il nemico deve aver paura di noi, non noi del nemico. Satana vince solo i superbi e vili, poiché gli umili posseggono la forza. Nulla confonde né spaventa un'anima umile. Ho indirizzato il mio volo verso l'ardore stesso del sole e nulla riuscirà a farmelo abbassare. L'amore non si lascia incatenare, è libero come una regina; l'amore giunge fino a Dio. Una volta, dopo la S. Comunione, udii queste parole: “Tu sei la nosrra dimora”. In quell'istante avvertii nell'anima la presenza della SS.ma Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. Mi sentivo il tempio di Dio. Sento che sono figlia del Padre. Non so dare spiegazione di tutto, ma lo spirito lo comprende bene. O bontà infinita, come Ti abbassi fino ad una misera creatura! Se le anime vivessero nel raccoglimento, Iddio farebbe subito sentir loro la Sua voce, poiché la dissipazione soffoca la parola del Signore. Una volta il Signore mi disse: « Perché hai paura e tremi, quando sei unita a Me? Non Mi piace un'anima soggetta ad inutili paure. Chi oserebbe toccarti quando sei con Me? L'anima che Mi è più cara è quella che crede fermamente nella Mia bontà ed ha piena fiducia in Me: le ricambio la Mia fiducia e le do tutto quello che chiede». Una volta il Signore mi disse: « Figlia Mia, prendi le grazie che gli uomini disprezzano; prendine quante riesci a portarne ». In quell'istante la mia anima venne inondata dall'amore di Dio. Sento che sono unita al Signore così strettamente che non riesco a trovare un termine col quale poter definire bene quest'unione; inoltre sento che tutto ciò che Dio ha, tutti i beni ed i tesori, sono miei, sebbene non mi occupi molto di essi, poiché mi basta Lui solo. In Lui vedo tutto; all'infuori di Lui: nulla. Non cerco la felicità all'infuori dell'intimo, dove dimora Iddio. Gioisco di Dio nel mio intimo; qui dimoro continuamente con Lui; qui avviene il mio rapporto più familiare con Lui; qui con Lui dimoro sicura; qui non giunge occhio umano. La Santissima Vergine mi incoraggia a trattare così con Dio. Quando mi colpisce qualche sofferenza, ora non mi procura più amarezza, né le grandi consolazioni mi esaltano; si sono impadronite di me la serenità e l'equilibrio dello spirito, che deriva dalla conoscenza della verità. Che m'importa vivere circondata da cuori ostili, quando ho la pienezza della felicità nella mia anima? Oppure a cosa può giovarmi il favore del cuore degli altri, se non posseggo nel mio intimo Iddio? Quando ho Dio nel mio intimo, chi potrà in qualche modo danneggiarmi?
30 luglio [sic!] 1935. Giorno di Sant'Ignazio.
Ho pregato fervorosamente questo santo, facendogli dei rimproveri: Come può osservarmi e non venirmi in aiuto in questioni tanto importanti, cioè nell'adempimento della volontà di Dio? Ho detto a questo santo: « O nostro Patrono, che sei stato infiammato dal fuoco dell'amore e dello zelo per la maggior gloria di Dio, Ti prego umilmente, aiutami a realizzare i disegni di Dio. Questo avveniva durante la santa Messa. All'improvviso sul lato sinistro dell'altare ho visto Sant'Ignazio con un gran libro in mano, il quale mi ha detto queste parole: « Figlia Mia, non sono indifferente alla tua causa. Questa regola si può adattare anche a questa congregazione ». E indicando il libro con la mano, scomparve. Mi rallegrai enormemente vedendo quanto i santi si interessino di noi e quanto sia stretta l'unione con loro. O bontà di Dio! Come è bello il mondo interiore dato che già qui sulla terra trattiamo direttamente coi santi. Per tutta la giornata sentii la vicinanza di questo Patrono, a me così caro.
5 agosto 1935. Festa della Madonna della Misericordia.
Mi sono preparata a questa festa con un fervore maggiore degli anni passati. Al mattino di questo giorno ho avuto una lotta interiore al pensiero che debbo abbandonare la Congregazione che gode della protezione particolare di Maria. In questa lotta è trascorsa la meditazione e la prima Santa Messa. Durante la seconda S. Messa ho pregato così la Madre Santissima: « O Maria, è difficile per me staccarmi dalla Congregazione che è sotto il Tuo speciale patrocinio ». All'improvviso vidi la Santissima Vergine indicibilmente bella, che dall'altare si avvicinò a me, al Mio inginocchiatoio. Mi strinse a Sé e mi disse queste parole: « Vi sono Madre per l'infinita Misericordia di Dio. L'anima che mi è più cara è quella che compie fedelmente la volontà di Dio». Mi fece comprendere che ho eseguito fedelmente tutti i desideri di Dio e per questo ho trovato grazia ai Suoi occhi. « Sii coraggiosa; non temere gli ostacoli ingannevoli, ma considera attentamente la Passione di Mio Figlio ed in questo modo vincerai ».
Adorazione notturna. Mi sentivo molto male e mi sembrava che non avrei potuto andare all'adorazione, ma ci misi tutta la forza della volontà e, benché fossi caduta nella cella, non badai a quello che mi doleva, avendo davanti agli occhi la Passione di Gesù. Quando giunsi in cappella ebbi la comprensione interiore di quanto sia grande la ricompensa che Iddio ci prepara, non solo per le buone azioni, ma anche per il desiderio sincero di compierle. Che grande grazia di Dio è questa! Oh, come è dolce lavorare con sacrificio per Iddio e per le anime! Non voglio riposare durante la battaglia, ma combatterò fino all'ultimo soffio di vita per la gloria del mio Re e Signore. Non deporrò la spada finché non mi prenderà davanti al Suo trono; non temo i colpi poiché il mio scudo è Dio. Il nemico deve aver paura di noi, non noi del nemico. Satana vince solo i superbi e vili, poiché gli umili posseggono la forza. Nulla confonde né spaventa un'anima umile. Ho indirizzato il mio volo verso l'ardore stesso del sole e nulla riuscirà a farmelo abbassare. L'amore non si lascia incatenare, è libero come una regina; l'amore giunge fino a Dio. Una volta, dopo la S. Comunione, udii queste parole: “Tu sei la nosrra dimora”. In quell'istante avvertii nell'anima la presenza della SS.ma Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. Mi sentivo il tempio di Dio. Sento che sono figlia del Padre. Non so dare spiegazione di tutto, ma lo spirito lo comprende bene. O bontà infinita, come Ti abbassi fino ad una misera creatura! Se le anime vivessero nel raccoglimento, Iddio farebbe subito sentir loro la Sua voce, poiché la dissipazione soffoca la parola del Signore. Una volta il Signore mi disse: « Perché hai paura e tremi, quando sei unita a Me? Non Mi piace un'anima soggetta ad inutili paure. Chi oserebbe toccarti quando sei con Me? L'anima che Mi è più cara è quella che crede fermamente nella Mia bontà ed ha piena fiducia in Me: le ricambio la Mia fiducia e le do tutto quello che chiede». Una volta il Signore mi disse: « Figlia Mia, prendi le grazie che gli uomini disprezzano; prendine quante riesci a portarne ». In quell'istante la mia anima venne inondata dall'amore di Dio. Sento che sono unita al Signore così strettamente che non riesco a trovare un termine col quale poter definire bene quest'unione; inoltre sento che tutto ciò che Dio ha, tutti i beni ed i tesori, sono miei, sebbene non mi occupi molto di essi, poiché mi basta Lui solo. In Lui vedo tutto; all'infuori di Lui: nulla. Non cerco la felicità all'infuori dell'intimo, dove dimora Iddio. Gioisco di Dio nel mio intimo; qui dimoro continuamente con Lui; qui avviene il mio rapporto più familiare con Lui; qui con Lui dimoro sicura; qui non giunge occhio umano. La Santissima Vergine mi incoraggia a trattare così con Dio. Quando mi colpisce qualche sofferenza, ora non mi procura più amarezza, né le grandi consolazioni mi esaltano; si sono impadronite di me la serenità e l'equilibrio dello spirito, che deriva dalla conoscenza della verità. Che m'importa vivere circondata da cuori ostili, quando ho la pienezza della felicità nella mia anima? Oppure a cosa può giovarmi il favore del cuore degli altri, se non posseggo nel mio intimo Iddio? Quando ho Dio nel mio intimo, chi potrà in qualche modo danneggiarmi?
domenica 29 gennaio 2012
Chi è mai costui? Ha una dottrina nuova
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la pagina evangelica che ci mostra lo stupore suscitato dall'insegnamento di Gesù, attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:
Si rimane certamente impressionati e direi 'catturati' dalla parola di chi sa offrire proprio nella parola squarci di verità che in fondo sono la vera sete dell'uomo. Abbiamo bisogno di parole che contengano verità e amore. Altre parole possono solo ingigantire quel chiasso che già ci circonda, risultato dei mezzi di comunicazione o di presunti dialoghi tra noi che, di fatto, sono davvero un suono confuso che non giunge al cuore. E' una vita, da parroco e da vescovo, che cerco di porgere la vera Parola di vita, quella di Gesù. A volte ho l'impressione che la gente sentendo la Parola di Dio, provi la gioia e lo stupore degli ascoltatori di Gesù, di cui leggiamo nel Vangelo di oggi. Ricordo un fatto che mi ha lasciato una grande impressione e il desiderio di portare ovunque la parola di Dio. Superficialmente può sembrare che l'uomo si affidi solo alla parola di uomini, ma tutti sappiamo come difficilmente il nostro povero argomentare risponda a quella sete di verità e di amore che cerchiamo. Solo di fronte alla Parola di Dio, se bene ascoltata ed accolta, si ha la certezza di stare di fronte alla verità, che fa conoscere l'amore.
Invitato un giorno d'estate a partecipare ad una festa patronale, che sembrava essere stata ingoiata dal consumismo, lasciando pochissimo spazio alla Parola, contrariamente a quanto si attendevano gli organizzatori, (in seguito anche a fallimenti, in questo senso, negli anni passati) la sala si riempì talmente che molti furono costretti a seguire l'incontro affacciati alle finestre. Incredibile!
Il tema era "Gesù, il vero segreto della felicità". Sembrava un tema in aperto contrasto con la festa civile. Quello che mi sorprese è stato il grande silenzio con cui tutti seguirono l'incontro, come fossero in presenza di una verità che covavano nel cuore. Dopo un'ora, cercai di chiudere l'incontro, ma la gente mi pregò di andare avanti. "Continui, Padre, fu l'invito, qui abbiamo trovato il senso della vita, fuori c'è solo la grande farsa dell'uomo smarrito'. E si continuò per un'altra ora.
Un fatto che mi convinse ulteriormente di quanto la gente, anche oggi, nonostante l'apparente indifferenza o disinteresse, senta la necessità di verità, quella che solo Dio sa donare.
I primi passi di Gesù tra la gente evidenziano e descrivono proprio questo stupore davanti alla Parola. Racconta l'evangelista Marco: "A Cafarnao - racconta Marco - entrato proprio di sabato nella sinagoga, Gesù si mise ad insegnare. Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi. Allora un uomo, che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare: 'Che c'entri con noi Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Lo so chi sei, il Santo di Dio. E Gesù lo sgridò: 'Taci! Esci da quell'uomo'. E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: 'Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!'. La sua fama si diffuse subito dovunque nei dintorni della Galilea. (Mc. 1,21-28)
Difficile 'parlare con autorità', ossia dando alla parola quella verità che deve contenere la luce per lo spirito. Sì, è difficile. Si ha come l'impressione che a volte anche noi ci affidiamo al chiasso della parola, mettendo in angolo il bisogno della verità.
Basterebbe a volte seguire un comizio, per capire che le parole sono solo un mezzo per ottenere il consenso, tante volte senza alcun contenuto realistico e veritiero. O basta affidarsi ad un telegiornale per uscirne sbigottiti: si parla di tutto, notizie mescolate ad opinioni, cronaca nera intrecciata a quella rosa, ma sicuramente è il male che prevale, difficilmente si può sapere del bene che pur fa parte della nostra quotidianità. Eppure Dio solo sa come invece sentiamo la necessità di sentire qualcosa di bello e di vero.
Può accadere anche nelle chiese ascoltando le omelie. Possiamo davvero dire che il nostro annuncio della Parola provochi stupore nei fedeli o, a volte, è quasi come se la PAROLA di DIO; proclamata, appartenesse ad un altro mondo?
E' compito di noi sacerdoti e vescovi, trasmettere lo stupore di cui parla il Vangelo, ma per questo per primi dobbiamo sperimentarlo.
Ricordo un discorso del beato Giovanni Paolo II alla giornata mondiale della gioventù. I giovani vedevano nel Santo Padre LA P AROLA. Era Parola la sua stessa presenza.
Già sofferente, fu difficile al Santo Padre parlare. Ma i giovani avevano già visto in lui quella Parola che attendevano, tanto che ad un certo momento un giovane, gridò "Tu, la Parola fatta carne!"
La Parola di Dio non ha bisogno di quell'abito di eleganza che a volte sfoggiamo noi sacerdoti. Avevo ascoltato il discorso di un sacerdote conosciuto e stimato da tante persone: parole che mi lasciarono il ricordo di una esibizione inutile. Tornando a casa, mi imbattei in una piccola chiesa. Entrai. Un sacerdote, dall'apparenza umile e timida, stava predicando. Mi colpì la sua grande fede che si trasmetteva ai fedeli. Davvero in quella semplicità umile, la Parola si faceva 'cibo dell'anima'. E Dio sa quanto abbiamo bisogno di verità. Ma occorre che ci sia chi sappia proporcela. E' un compito di chi è chiamato a proclamarla, sacerdoti e vescovi, ma ricordando che tutti i credenti sono chiamati ad annunciare la Parola.
Dovremmo essere capaci di rendere attuali le parole del Vangelo di oggi:
"Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: "Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità."
E confesso che non è facile avere questa autorità. Per noi sacerdoti, in particolare, si impone una grande preparazione, accompagnata da umiltà, e dalla preghiera.
La Parola di Dio, che siamo chiamati a donare ai fedeli, è importante come l'Eucarestia che celebriamo. Se l'Eucarestia è il pane del Cielo che dà la vita, la Parola è il pane della fede che si fa indirizzo e forza della vita.
Sono tante le raccomandazioni che riceviamo, vescovi e sacerdoti, di sapere donare la Parola, con cuore fedele, annuncio sincero, con gioia e stupore.
Forse a volte siamo preoccupati del tempo a disposizione. Ma quando i fedeli sentono il calore e la luce della verità, proclamata da uno che fa della Parola il senso della vita, non guarda l'orologio.
E che ci sia oggi necessità urgente la conoscenza della Parola, ma, ripeto, come una luce per il cuore e la mente, credo, sia una consapevolezza di tutti i fedeli ed anche di quanti, pur non frequentando le liturgie, nella vita si accorgono di essere storditi da parole vuote e a volte dannose, che generano solo chiasso o turbamento, senza mai essere uno sprazzo di luce per il cuore.
Ed era quello che proclamò in un discorso famoso il nostro caro Paolo VI, un vero profeta nella Parola. E' il celebre suo discorso sulla necessità di Gesù tra noi.
"Oggi l'ansia di Cristo pervade anche il mondo dei lontani, quando in essi vibra qualche autentico movimento spirituale.
La storia contemporanea ci mostra i segni di un messianismo profano. Il mondo, dopo avere dimenticato e negato Cristo, lo cerca.
Ma non Lo vuole cercare per quello che è e dove è.
Lo cerca tra gli uomini mortali: ricusa di adorare Dio che si è fatto uomo e non teme di prostrarsi servilmente davanti all'uomo che si fa Dio. Dalla inquietudine degli uomini laici e ribelli, prorompe fatale una confessione del Cristo assente: di te abbiamo bisogno.
Di te abbiamo bisogno dicono altre voci isolate e disperate, sono molte oggi e fanno coro. E' una strana sinfonia di nostalgici che sospirano a Cristo perduto; di generosi che da Lui imparano il vero eroismo, di sofferenti che sentono simpatia per l'uomo dei dolori, di delusi che cercano una parola ferma, una pace serena; di onesti che riconoscono la saggezza del vero maestro. L'ansia di trovare Cristo si insinua anche in un mondo avvinto dalla tecnica, dal materialismo e dalla politica; e sospira: o Cristo, nostro unico mediatore, tu ci sei necessario per venire in comunione con Dio Padre, per diventare con te, che sei Figlio unico e Signore nostro, suoi figli adottivi. Tu ci sei necessario o solo e vero maestro delle verità recondite e indispensabili della vita, per conoscere il nostro essere e il nostro destino e la via per conseguirlo. Tu ci sei necessario, o fratello primogenito del genere umano, per ritrovare le ragioni vere della fraternità tra gli uomini, i fondamenti della giustizia, i tesori della carità, il sommo bene della pace.
Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio-con-noi, per imparare l'amore vero e per camminare nella gioia e nella forza della carità, lungo il cammino della nostra via faticosa, fino all'incontro finale con te amato, con te atteso, con te benedetto nei secoli". (Quaresima 1955)
Si rimane certamente impressionati e direi 'catturati' dalla parola di chi sa offrire proprio nella parola squarci di verità che in fondo sono la vera sete dell'uomo. Abbiamo bisogno di parole che contengano verità e amore. Altre parole possono solo ingigantire quel chiasso che già ci circonda, risultato dei mezzi di comunicazione o di presunti dialoghi tra noi che, di fatto, sono davvero un suono confuso che non giunge al cuore. E' una vita, da parroco e da vescovo, che cerco di porgere la vera Parola di vita, quella di Gesù. A volte ho l'impressione che la gente sentendo la Parola di Dio, provi la gioia e lo stupore degli ascoltatori di Gesù, di cui leggiamo nel Vangelo di oggi. Ricordo un fatto che mi ha lasciato una grande impressione e il desiderio di portare ovunque la parola di Dio. Superficialmente può sembrare che l'uomo si affidi solo alla parola di uomini, ma tutti sappiamo come difficilmente il nostro povero argomentare risponda a quella sete di verità e di amore che cerchiamo. Solo di fronte alla Parola di Dio, se bene ascoltata ed accolta, si ha la certezza di stare di fronte alla verità, che fa conoscere l'amore.
Invitato un giorno d'estate a partecipare ad una festa patronale, che sembrava essere stata ingoiata dal consumismo, lasciando pochissimo spazio alla Parola, contrariamente a quanto si attendevano gli organizzatori, (in seguito anche a fallimenti, in questo senso, negli anni passati) la sala si riempì talmente che molti furono costretti a seguire l'incontro affacciati alle finestre. Incredibile!
Il tema era "Gesù, il vero segreto della felicità". Sembrava un tema in aperto contrasto con la festa civile. Quello che mi sorprese è stato il grande silenzio con cui tutti seguirono l'incontro, come fossero in presenza di una verità che covavano nel cuore. Dopo un'ora, cercai di chiudere l'incontro, ma la gente mi pregò di andare avanti. "Continui, Padre, fu l'invito, qui abbiamo trovato il senso della vita, fuori c'è solo la grande farsa dell'uomo smarrito'. E si continuò per un'altra ora.
Un fatto che mi convinse ulteriormente di quanto la gente, anche oggi, nonostante l'apparente indifferenza o disinteresse, senta la necessità di verità, quella che solo Dio sa donare.
I primi passi di Gesù tra la gente evidenziano e descrivono proprio questo stupore davanti alla Parola. Racconta l'evangelista Marco: "A Cafarnao - racconta Marco - entrato proprio di sabato nella sinagoga, Gesù si mise ad insegnare. Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi. Allora un uomo, che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare: 'Che c'entri con noi Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Lo so chi sei, il Santo di Dio. E Gesù lo sgridò: 'Taci! Esci da quell'uomo'. E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: 'Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!'. La sua fama si diffuse subito dovunque nei dintorni della Galilea. (Mc. 1,21-28)
Difficile 'parlare con autorità', ossia dando alla parola quella verità che deve contenere la luce per lo spirito. Sì, è difficile. Si ha come l'impressione che a volte anche noi ci affidiamo al chiasso della parola, mettendo in angolo il bisogno della verità.
Basterebbe a volte seguire un comizio, per capire che le parole sono solo un mezzo per ottenere il consenso, tante volte senza alcun contenuto realistico e veritiero. O basta affidarsi ad un telegiornale per uscirne sbigottiti: si parla di tutto, notizie mescolate ad opinioni, cronaca nera intrecciata a quella rosa, ma sicuramente è il male che prevale, difficilmente si può sapere del bene che pur fa parte della nostra quotidianità. Eppure Dio solo sa come invece sentiamo la necessità di sentire qualcosa di bello e di vero.
Può accadere anche nelle chiese ascoltando le omelie. Possiamo davvero dire che il nostro annuncio della Parola provochi stupore nei fedeli o, a volte, è quasi come se la PAROLA di DIO; proclamata, appartenesse ad un altro mondo?
E' compito di noi sacerdoti e vescovi, trasmettere lo stupore di cui parla il Vangelo, ma per questo per primi dobbiamo sperimentarlo.
Ricordo un discorso del beato Giovanni Paolo II alla giornata mondiale della gioventù. I giovani vedevano nel Santo Padre LA P AROLA. Era Parola la sua stessa presenza.
Già sofferente, fu difficile al Santo Padre parlare. Ma i giovani avevano già visto in lui quella Parola che attendevano, tanto che ad un certo momento un giovane, gridò "Tu, la Parola fatta carne!"
La Parola di Dio non ha bisogno di quell'abito di eleganza che a volte sfoggiamo noi sacerdoti. Avevo ascoltato il discorso di un sacerdote conosciuto e stimato da tante persone: parole che mi lasciarono il ricordo di una esibizione inutile. Tornando a casa, mi imbattei in una piccola chiesa. Entrai. Un sacerdote, dall'apparenza umile e timida, stava predicando. Mi colpì la sua grande fede che si trasmetteva ai fedeli. Davvero in quella semplicità umile, la Parola si faceva 'cibo dell'anima'. E Dio sa quanto abbiamo bisogno di verità. Ma occorre che ci sia chi sappia proporcela. E' un compito di chi è chiamato a proclamarla, sacerdoti e vescovi, ma ricordando che tutti i credenti sono chiamati ad annunciare la Parola.
Dovremmo essere capaci di rendere attuali le parole del Vangelo di oggi:
"Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: "Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità."
E confesso che non è facile avere questa autorità. Per noi sacerdoti, in particolare, si impone una grande preparazione, accompagnata da umiltà, e dalla preghiera.
La Parola di Dio, che siamo chiamati a donare ai fedeli, è importante come l'Eucarestia che celebriamo. Se l'Eucarestia è il pane del Cielo che dà la vita, la Parola è il pane della fede che si fa indirizzo e forza della vita.
Sono tante le raccomandazioni che riceviamo, vescovi e sacerdoti, di sapere donare la Parola, con cuore fedele, annuncio sincero, con gioia e stupore.
Forse a volte siamo preoccupati del tempo a disposizione. Ma quando i fedeli sentono il calore e la luce della verità, proclamata da uno che fa della Parola il senso della vita, non guarda l'orologio.
E che ci sia oggi necessità urgente la conoscenza della Parola, ma, ripeto, come una luce per il cuore e la mente, credo, sia una consapevolezza di tutti i fedeli ed anche di quanti, pur non frequentando le liturgie, nella vita si accorgono di essere storditi da parole vuote e a volte dannose, che generano solo chiasso o turbamento, senza mai essere uno sprazzo di luce per il cuore.
Ed era quello che proclamò in un discorso famoso il nostro caro Paolo VI, un vero profeta nella Parola. E' il celebre suo discorso sulla necessità di Gesù tra noi.
"Oggi l'ansia di Cristo pervade anche il mondo dei lontani, quando in essi vibra qualche autentico movimento spirituale.
La storia contemporanea ci mostra i segni di un messianismo profano. Il mondo, dopo avere dimenticato e negato Cristo, lo cerca.
Ma non Lo vuole cercare per quello che è e dove è.
Lo cerca tra gli uomini mortali: ricusa di adorare Dio che si è fatto uomo e non teme di prostrarsi servilmente davanti all'uomo che si fa Dio. Dalla inquietudine degli uomini laici e ribelli, prorompe fatale una confessione del Cristo assente: di te abbiamo bisogno.
Di te abbiamo bisogno dicono altre voci isolate e disperate, sono molte oggi e fanno coro. E' una strana sinfonia di nostalgici che sospirano a Cristo perduto; di generosi che da Lui imparano il vero eroismo, di sofferenti che sentono simpatia per l'uomo dei dolori, di delusi che cercano una parola ferma, una pace serena; di onesti che riconoscono la saggezza del vero maestro. L'ansia di trovare Cristo si insinua anche in un mondo avvinto dalla tecnica, dal materialismo e dalla politica; e sospira: o Cristo, nostro unico mediatore, tu ci sei necessario per venire in comunione con Dio Padre, per diventare con te, che sei Figlio unico e Signore nostro, suoi figli adottivi. Tu ci sei necessario o solo e vero maestro delle verità recondite e indispensabili della vita, per conoscere il nostro essere e il nostro destino e la via per conseguirlo. Tu ci sei necessario, o fratello primogenito del genere umano, per ritrovare le ragioni vere della fraternità tra gli uomini, i fondamenti della giustizia, i tesori della carità, il sommo bene della pace.
Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio-con-noi, per imparare l'amore vero e per camminare nella gioia e nella forza della carità, lungo il cammino della nostra via faticosa, fino all'incontro finale con te amato, con te atteso, con te benedetto nei secoli". (Quaresima 1955)
venerdì 27 gennaio 2012
Per non dimenticare
Oggi, 27 Gennaio, ricorre la Giornata della Memoria. In questo giorno l'uomo deve ricordare il massacro compiuto su milioni di persone: un massacro causato da discriminazione, odio e delirio di onnipotenza. E dobbiamo ricordare tutto questo per impedire che un simile orrore si ripeta nel futuro. Purtroppo ancora oggi ci sono spinte razziste preoccupanti: odi che vogliono spingere per un ritorno all'età del nazismo e del fascismo. Queste idee vanno diffondendosi soprattutto tra le giovani generazioni: per questo dobbiamo fare in modo che essi comprendano la conseguenza dell'odio e il dolore che è stato recato a milioni di uomini come noi. Io non posso nemmeno immaginare quel dolore, il terrore che è stato provato in quegli anni infernali: la paura della deportazione, dei campi di concentramento, delle morti assurde. Mi viene davvero il cuore in gola nel pensare a cosa l'uomo è giunto.
C'è un uomo che ha vissuto gli orrori del nazismo, che ha vissuto la paura, che ha vissuto il vero terrore e che ha visto morire chi amava, nella terra che amava: Karol Wojtyla. Nonostante tutto l'orrore di quel periodo, Dio aveva già fatto scattare una scintilla da quella Polonia così distrutta e martoriata: e quella scintilla era proprio Karol che sarebbe divenuto il Pastore della Chiesa Cattolica e che avrebbe rappresentato un simbolo della vera fede. Ora siamo prossimi alla sua beatificazione e questo mi rende particolarmente felice. Considerando queste premesse, ho pensato che nel giorno della Memoria, fosse giusto dar spazio al nostro Giovanni Paolo II che, durante il viaggio apostolico in Polonia (il secondo del suo pontificato), sua terra natia, andò a visitare il lager di Brzezinka. Quelle che seguono sono parole che hanno fatto la storia e che hanno segnato un'apertura nel dialogo tra ebrei e cattolici. Ma più di ogni altra cosa, queste parole sono parole di vita che sottolineano l'orrore di quegli anni e che invitano a far di tutto per evitare che in futuro possano nuovamente accadere cose così aberranti:
1. “...Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede” (1Gv 5,4).
Queste parole della Lettera di San Giovanni mi vengono alla mente e mi penetrano nel cuore, quando mi trovo in questo posto in cui si è compiuta una particolare vittoria per la fede. Per la fede che fa nascere l’amore di Dio e del prossimo, l’unico amore, l’amore supremo che è pronto a “dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13; cf.Gv 10,11). Una vittoria, dunque, per l’amore, che la fede ha vivificato fino agli estremi dell’ultima e definitiva testimonianza. Questa vittoria per la fede e per l’amore l’ha riportata in questo luogo un uomo, il cui nome è Massimiliano Maria, il cognome: Kolbe; di professione (come si scriveva di lui nei registri del campo di concentramento): sacerdote cattolico; di vocazione: figlio di San Francesco; di nascita: figlio di semplici, laboriosi e devoti genitori, tessitori nei pressi di Lodz; per grazia di Dio e per giudizio della Chiesa: beato.
La vittoria mediante la fede e l’amore l’ha riportata quell’uomo in questo luogo, che fu costruito per la negazione della fede – della fede in Dio e della fede nell’uomo – e per calpestare radicalmente non soltanto l’amore, ma tutti i segni della dignità umana, dell’umanità. Un luogo, che fu costruito sull’odio e sul disprezzo dell’uomo nel nome di una ideologia folle. Un luogo, che fu costruito sulla crudeltà. Ad esso conduce una porta, ancor oggi esistente, sulla quale è posta una iscrizione: “Arbeit Macht frei”, che ha un suono sardonico, perché il suo contenuto era radicalmente contraddetto da quanto avveniva qua dentro.
In questo luogo del terribile eccidio, che recò la morte a quattro milioni di uomini di diverse nazioni, Padre Massimiliano, offrendo volontariamente se stesso alla morte nel bunker della fame per un fratello, riportò una vittoria spirituale simile a quella di Cristo stesso. Questo fratello vive ancor oggi sulla terra polacca.
Ma Padre Massimiliano Kolbe fu l’unico? Egli, certo, riportò una vittoria che risentirono subito i compagni di prigionia e che risentono ancor oggi la Chiesa e il mondo. Sicuramente, però, molte altre simili vittorie sono state riportate; penso, ad esempio, alla morte nel forno crematorio di un campo di concentramento della Carmelitana suor Benedetta della Croce, al mondo Edith Stein, illustre allieva di Husserl, che è diventata ornamento della filosofia tedesca contemporanea, e che discendeva da una famiglia ebrea abitante a Wroclaw.Sul posto ove è stata calpestata in modo così orrendo la dignità dell’uomo, la vittoria riportata mediante la fede è l’amore!
Può ancora meravigliarsi qualcuno che il Papa, nato ed educato in questa terra, il Papa che è venuto alla Sede di San Pietro dalla diocesi sul cui territorio si trova il campo di Oswiecim, abbia iniziato la sua prima Enciclica con le parole Redemptor Hominis e che l’abbia dedicata nell’insieme alla causa dell’uomo, alla dignità dell’uomo, alle minacce contro di lui e infine ai suoi diritti inalienabili che così facilmente possono essere calpestati ed annientati dai suoi simili? Basta rivestire l’uomo di una divisa diversa, armarlo dell’apparato della violenza, basta imporgli l’ideologia nella quale i diritti dell’uomo sono sottomessi alle esigenze del sistema, completamente sottomessi, così da non esistere di fatto?...
2.Vengo qui oggi come pellegrino. Si sa che molte volte mi sono trovato qui... Quante volte! E molte volte sono sceso nella cella della morte di Massimiliano Kolbe e mi sono fermato davanti al muro dello sterminio e sono passato tra le macerie dei forni crematori di Brzezinka. Non potevo non venire qui come Papa.
Vengo dunque in questo particolare santuario, nel quale è nato – posso dire – il patrono del nostro difficile secolo, così come nove secoli fa nacque sotto la spada in Rupella San Stanislao, Patrono dei Polacchi.
Vengo per pregare insieme con voi tutti che oggi siete venuti qui – e insieme con tutta la Polonia – e insieme con tutta l’Europa. Cristo vuole che io, divenuto il Successore di Pietro, renda testimonianza davanti al mondo di ciò che costituisce la grandezza dell’uomo dei nostri tempi e la sua miseria. Di quel che è la sua sconfitta e la sua vittoria.
Vengo allora e mi inginocchio su questo Golgota del mondo contemporaneo, su queste tombe, in gran parte senza nome, come la grande tomba del Milite Ignoto. Mi inginocchio davanti a tutte le lapidi che si susseguono e sulle quali è incisa la commemorazione delle vittime di Oswiecim nelle seguenti lingue: Polacco, Inglese, Bulgaro, Zingaro, Ceco, Danese, Francese, Greco, Ebraico, Yiddish, Spagnolo, Fiammingo, Serbo-Croato, Tedesco, Norvegese, Russo, Rumeno, Ungherese, Italiano.
In particolare mi soffermo insieme con voi, cari partecipanti a questo incontro, davanti alla lapide con l’iscrizione in lingua ebraica. Questa iscrizione suscita il ricordo del Popolo, i cui figli e figlie erano destinati allo sterminio totale. Questo Popolo ha la sua origine da Abramo, che è padre della nostra fede (cf. Rm 4,12), come si è espresso Paolo di Tarso. Proprio questo popolo, che ha ricevuto da Dio il comandamento: “non uccidere”, ha provato su se stesso in misura particolare che cosa significa uccidere. Davanti a questa lapide non è lecito a nessuno di passare oltre con indifferenza.
Ancora davanti ad un’altra lapide scelgo di soffermarmi: quella in lingua russa. Non aggiungo alcun commento. Sappiamo di quale nazione parla. Conosciamo quale è stata la parte avuta da questa nazione nell’ultima terribile guerra per la libertà dei popoli. Davanti a questa lapide non si può passare indifferenti.
Infine l’ultima lapide: quella in lingua polacca. Sono sei milioni di Polacchi che hanno perso la vita durante la seconda guerra mondiale: la quinta parte della nazione. Ancora una tappa delle lotte secolari di questa nazione, della mia nazione, per i suoi diritti fondamentali fra i popoli dell’Europa. Ancora un alto grido per il diritto ad un suo proprio posto sulla carta dell’Europa. Ancora un doloroso conto con la coscienza dell’umanità. Ho scelto soltanto tre lapidi. Bisognerebbe fermarsi ad ognuna di quelle esistenti, e così faremo.
3. Oswiecim è un tale conto. Non lo si può soltanto visitare. Bisogna in questa occasione pensare con paura dove si trovano le frontiere dell’odio, le frontiere della distruzione dell’uomo, le frontiere della crudeltà.
Oswiecim è una testimonianza della guerra. La guerra porta con sé una sproporzionata crescita dell’odio, della distruzione, della crudeltà. E se non si può negare che essa manifesta anche nuove possibilità del coraggio umano, dell’eroismo, del patriottismo, rimane tuttavia il fatto che in essa prevale il conto delle perdite. Prevale sempre di più, perché ogni giorno cresce la capacità distruttiva delle armi inventate dalla tecnica moderna. Delle guerre sono responsabili non solo quanti le procurano direttamente, ma anche coloro che non fanno tutto il possibile per impedirle. E perciò mi sia permesso di ripetere in questo luogo le parole che Paolo VI pronunciò davanti all’Organizzazione delle Nazioni Unite: “Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli ed inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità!” (Paolo VI, Allocutio in Consilio Nationum Unitarum: AAS 57 [1965] 881).
Se comunque questa grande chiamata di Oswiecim, il grido dell’uomo qui martoriato deve portare frutti per l’Europa (e anche per il mondo), bisogna trarre tutte le giuste conseguenze dalla “Dichiarazione dei Diritti dell’uomo”, come esortava a fare Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in Terris. In essa infatti viene “riconosciuta, nella forma più solenne, la dignità di persona a tutti gli esseri umani; e viene di conseguenza proclamato come loro fondamentale diritto quello di muoversi liberamente nella ricerca del vero, nell’attuazione del bene morale e della giustizia; e il diritto a una vita dignitosa; e vengono pure proclamati altri diritti connessi con quelli accennati” (Giovanni XXIII, Pacem in Terris, IV: AAS 55 [1963] 295-296).
Bisogna ritornare alla sapienza del vecchio maestro Pawel Wlodkowic, Rettore dell’Università Jagellonica a Cracovia, ed assicurare i diritti delle nazioni: all’esistenza, alla libertà, all’indipendenza, alla propria cultura, all’onesto sviluppo.
Scrive Wlodkowic: “Dove opera più il potere che l’amore, si cercano i propri interessi e non quelli di Gesù Cristo, quindi ci si allontana facilmente dalla norma della legge divina... Ogni diritto si oppone a chi minaccia quanti vogliono vivere in pace: vi si oppone il diritto civile... e canonico..., il diritto naturale, cioè il principio: “Quello che vuoi per te, fallo all’altro”. Si oppone il diritto divino, in quanto... nell’enunciato “Non rubare” viene proibita ogni rapina e nell’enunciato “Non uccidere” ogni violenza” (Pawel Wlodkowic, Saeventibus 1415, Tract. II, Solutio quaest. 4ª; cf. L. Ehrlich, Pisma Wybrane Pawla Wlodkowica, Warszawa 1968, t. 1, s. 61; 58-59).
E non soltanto il diritto vi si oppone, ma anche e, soprattutto, l’amore. Quell’amore del prossimo nel quale si manifesta e si traduce l’amore di Dio che il Cristo ha proclamato come il suo comandamento. Ma è anche il comandamento che ogni uomo porta scritto nel suo cuore, scolpito dal suo stesso Creatore. Tale comandamento si concreta anche nel “rispetto dell’altro”, della sua personalità, della sua coscienza; si concreta nel “dialogo con l’altro”, nel saper ricercare e riconoscere quanto di buono e di positivo può esserci anche in chi ha idee diverse dalle nostre, anche in chi, in buona fede, sinceramente erra.
Mai l’uno a spese dell’altro, a prezzo dell’asservimento dell’altro, a prezzo della conquista, dell’oltraggio, dello sfruttamento e della morte!
Pronuncia queste parole il successore di Giovanni XXIII e di Paolo VI. Ma le pronuncia contemporaneamente il figlio della Nazione che nella sua storia remota e più recente ha subìto dagli altri un molteplice travaglio. E non lo dice per accusare, ma per ricordare. Parla a nome di tutte le Nazioni, i cui diritti vengono violati e dimenticati. Lo dice perché a ciò lo sollecitano la verità e la sollecitudine per l’uomo.
4. Santo Dio, Santo Potente, Santo e immortale!
Dalla pestilenza, dalla fame, dal fuoco e dalla guerra... e dalla guerra, liberaci, o Signore.
Amen.
C'è un uomo che ha vissuto gli orrori del nazismo, che ha vissuto la paura, che ha vissuto il vero terrore e che ha visto morire chi amava, nella terra che amava: Karol Wojtyla. Nonostante tutto l'orrore di quel periodo, Dio aveva già fatto scattare una scintilla da quella Polonia così distrutta e martoriata: e quella scintilla era proprio Karol che sarebbe divenuto il Pastore della Chiesa Cattolica e che avrebbe rappresentato un simbolo della vera fede. Ora siamo prossimi alla sua beatificazione e questo mi rende particolarmente felice. Considerando queste premesse, ho pensato che nel giorno della Memoria, fosse giusto dar spazio al nostro Giovanni Paolo II che, durante il viaggio apostolico in Polonia (il secondo del suo pontificato), sua terra natia, andò a visitare il lager di Brzezinka. Quelle che seguono sono parole che hanno fatto la storia e che hanno segnato un'apertura nel dialogo tra ebrei e cattolici. Ma più di ogni altra cosa, queste parole sono parole di vita che sottolineano l'orrore di quegli anni e che invitano a far di tutto per evitare che in futuro possano nuovamente accadere cose così aberranti:
SANTA MESSA PRESSO IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI BRZEZINKA
OMELIA DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II
Brzezinka, 7 giugno 1979
OMELIA DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II
Brzezinka, 7 giugno 1979
1. “...Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede” (1Gv 5,4).
Queste parole della Lettera di San Giovanni mi vengono alla mente e mi penetrano nel cuore, quando mi trovo in questo posto in cui si è compiuta una particolare vittoria per la fede. Per la fede che fa nascere l’amore di Dio e del prossimo, l’unico amore, l’amore supremo che è pronto a “dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13; cf.Gv 10,11). Una vittoria, dunque, per l’amore, che la fede ha vivificato fino agli estremi dell’ultima e definitiva testimonianza. Questa vittoria per la fede e per l’amore l’ha riportata in questo luogo un uomo, il cui nome è Massimiliano Maria, il cognome: Kolbe; di professione (come si scriveva di lui nei registri del campo di concentramento): sacerdote cattolico; di vocazione: figlio di San Francesco; di nascita: figlio di semplici, laboriosi e devoti genitori, tessitori nei pressi di Lodz; per grazia di Dio e per giudizio della Chiesa: beato.
La vittoria mediante la fede e l’amore l’ha riportata quell’uomo in questo luogo, che fu costruito per la negazione della fede – della fede in Dio e della fede nell’uomo – e per calpestare radicalmente non soltanto l’amore, ma tutti i segni della dignità umana, dell’umanità. Un luogo, che fu costruito sull’odio e sul disprezzo dell’uomo nel nome di una ideologia folle. Un luogo, che fu costruito sulla crudeltà. Ad esso conduce una porta, ancor oggi esistente, sulla quale è posta una iscrizione: “Arbeit Macht frei”, che ha un suono sardonico, perché il suo contenuto era radicalmente contraddetto da quanto avveniva qua dentro.
In questo luogo del terribile eccidio, che recò la morte a quattro milioni di uomini di diverse nazioni, Padre Massimiliano, offrendo volontariamente se stesso alla morte nel bunker della fame per un fratello, riportò una vittoria spirituale simile a quella di Cristo stesso. Questo fratello vive ancor oggi sulla terra polacca.
Ma Padre Massimiliano Kolbe fu l’unico? Egli, certo, riportò una vittoria che risentirono subito i compagni di prigionia e che risentono ancor oggi la Chiesa e il mondo. Sicuramente, però, molte altre simili vittorie sono state riportate; penso, ad esempio, alla morte nel forno crematorio di un campo di concentramento della Carmelitana suor Benedetta della Croce, al mondo Edith Stein, illustre allieva di Husserl, che è diventata ornamento della filosofia tedesca contemporanea, e che discendeva da una famiglia ebrea abitante a Wroclaw.Sul posto ove è stata calpestata in modo così orrendo la dignità dell’uomo, la vittoria riportata mediante la fede è l’amore!
Può ancora meravigliarsi qualcuno che il Papa, nato ed educato in questa terra, il Papa che è venuto alla Sede di San Pietro dalla diocesi sul cui territorio si trova il campo di Oswiecim, abbia iniziato la sua prima Enciclica con le parole Redemptor Hominis e che l’abbia dedicata nell’insieme alla causa dell’uomo, alla dignità dell’uomo, alle minacce contro di lui e infine ai suoi diritti inalienabili che così facilmente possono essere calpestati ed annientati dai suoi simili? Basta rivestire l’uomo di una divisa diversa, armarlo dell’apparato della violenza, basta imporgli l’ideologia nella quale i diritti dell’uomo sono sottomessi alle esigenze del sistema, completamente sottomessi, così da non esistere di fatto?...
2.Vengo qui oggi come pellegrino. Si sa che molte volte mi sono trovato qui... Quante volte! E molte volte sono sceso nella cella della morte di Massimiliano Kolbe e mi sono fermato davanti al muro dello sterminio e sono passato tra le macerie dei forni crematori di Brzezinka. Non potevo non venire qui come Papa.
Vengo dunque in questo particolare santuario, nel quale è nato – posso dire – il patrono del nostro difficile secolo, così come nove secoli fa nacque sotto la spada in Rupella San Stanislao, Patrono dei Polacchi.
Vengo per pregare insieme con voi tutti che oggi siete venuti qui – e insieme con tutta la Polonia – e insieme con tutta l’Europa. Cristo vuole che io, divenuto il Successore di Pietro, renda testimonianza davanti al mondo di ciò che costituisce la grandezza dell’uomo dei nostri tempi e la sua miseria. Di quel che è la sua sconfitta e la sua vittoria.
Vengo allora e mi inginocchio su questo Golgota del mondo contemporaneo, su queste tombe, in gran parte senza nome, come la grande tomba del Milite Ignoto. Mi inginocchio davanti a tutte le lapidi che si susseguono e sulle quali è incisa la commemorazione delle vittime di Oswiecim nelle seguenti lingue: Polacco, Inglese, Bulgaro, Zingaro, Ceco, Danese, Francese, Greco, Ebraico, Yiddish, Spagnolo, Fiammingo, Serbo-Croato, Tedesco, Norvegese, Russo, Rumeno, Ungherese, Italiano.
In particolare mi soffermo insieme con voi, cari partecipanti a questo incontro, davanti alla lapide con l’iscrizione in lingua ebraica. Questa iscrizione suscita il ricordo del Popolo, i cui figli e figlie erano destinati allo sterminio totale. Questo Popolo ha la sua origine da Abramo, che è padre della nostra fede (cf. Rm 4,12), come si è espresso Paolo di Tarso. Proprio questo popolo, che ha ricevuto da Dio il comandamento: “non uccidere”, ha provato su se stesso in misura particolare che cosa significa uccidere. Davanti a questa lapide non è lecito a nessuno di passare oltre con indifferenza.
Ancora davanti ad un’altra lapide scelgo di soffermarmi: quella in lingua russa. Non aggiungo alcun commento. Sappiamo di quale nazione parla. Conosciamo quale è stata la parte avuta da questa nazione nell’ultima terribile guerra per la libertà dei popoli. Davanti a questa lapide non si può passare indifferenti.
Infine l’ultima lapide: quella in lingua polacca. Sono sei milioni di Polacchi che hanno perso la vita durante la seconda guerra mondiale: la quinta parte della nazione. Ancora una tappa delle lotte secolari di questa nazione, della mia nazione, per i suoi diritti fondamentali fra i popoli dell’Europa. Ancora un alto grido per il diritto ad un suo proprio posto sulla carta dell’Europa. Ancora un doloroso conto con la coscienza dell’umanità. Ho scelto soltanto tre lapidi. Bisognerebbe fermarsi ad ognuna di quelle esistenti, e così faremo.
3. Oswiecim è un tale conto. Non lo si può soltanto visitare. Bisogna in questa occasione pensare con paura dove si trovano le frontiere dell’odio, le frontiere della distruzione dell’uomo, le frontiere della crudeltà.
Oswiecim è una testimonianza della guerra. La guerra porta con sé una sproporzionata crescita dell’odio, della distruzione, della crudeltà. E se non si può negare che essa manifesta anche nuove possibilità del coraggio umano, dell’eroismo, del patriottismo, rimane tuttavia il fatto che in essa prevale il conto delle perdite. Prevale sempre di più, perché ogni giorno cresce la capacità distruttiva delle armi inventate dalla tecnica moderna. Delle guerre sono responsabili non solo quanti le procurano direttamente, ma anche coloro che non fanno tutto il possibile per impedirle. E perciò mi sia permesso di ripetere in questo luogo le parole che Paolo VI pronunciò davanti all’Organizzazione delle Nazioni Unite: “Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli ed inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità!” (Paolo VI, Allocutio in Consilio Nationum Unitarum: AAS 57 [1965] 881).
Se comunque questa grande chiamata di Oswiecim, il grido dell’uomo qui martoriato deve portare frutti per l’Europa (e anche per il mondo), bisogna trarre tutte le giuste conseguenze dalla “Dichiarazione dei Diritti dell’uomo”, come esortava a fare Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in Terris. In essa infatti viene “riconosciuta, nella forma più solenne, la dignità di persona a tutti gli esseri umani; e viene di conseguenza proclamato come loro fondamentale diritto quello di muoversi liberamente nella ricerca del vero, nell’attuazione del bene morale e della giustizia; e il diritto a una vita dignitosa; e vengono pure proclamati altri diritti connessi con quelli accennati” (Giovanni XXIII, Pacem in Terris, IV: AAS 55 [1963] 295-296).
Bisogna ritornare alla sapienza del vecchio maestro Pawel Wlodkowic, Rettore dell’Università Jagellonica a Cracovia, ed assicurare i diritti delle nazioni: all’esistenza, alla libertà, all’indipendenza, alla propria cultura, all’onesto sviluppo.
Scrive Wlodkowic: “Dove opera più il potere che l’amore, si cercano i propri interessi e non quelli di Gesù Cristo, quindi ci si allontana facilmente dalla norma della legge divina... Ogni diritto si oppone a chi minaccia quanti vogliono vivere in pace: vi si oppone il diritto civile... e canonico..., il diritto naturale, cioè il principio: “Quello che vuoi per te, fallo all’altro”. Si oppone il diritto divino, in quanto... nell’enunciato “Non rubare” viene proibita ogni rapina e nell’enunciato “Non uccidere” ogni violenza” (Pawel Wlodkowic, Saeventibus 1415, Tract. II, Solutio quaest. 4ª; cf. L. Ehrlich, Pisma Wybrane Pawla Wlodkowica, Warszawa 1968, t. 1, s. 61; 58-59).
E non soltanto il diritto vi si oppone, ma anche e, soprattutto, l’amore. Quell’amore del prossimo nel quale si manifesta e si traduce l’amore di Dio che il Cristo ha proclamato come il suo comandamento. Ma è anche il comandamento che ogni uomo porta scritto nel suo cuore, scolpito dal suo stesso Creatore. Tale comandamento si concreta anche nel “rispetto dell’altro”, della sua personalità, della sua coscienza; si concreta nel “dialogo con l’altro”, nel saper ricercare e riconoscere quanto di buono e di positivo può esserci anche in chi ha idee diverse dalle nostre, anche in chi, in buona fede, sinceramente erra.
Mai l’uno a spese dell’altro, a prezzo dell’asservimento dell’altro, a prezzo della conquista, dell’oltraggio, dello sfruttamento e della morte!
Pronuncia queste parole il successore di Giovanni XXIII e di Paolo VI. Ma le pronuncia contemporaneamente il figlio della Nazione che nella sua storia remota e più recente ha subìto dagli altri un molteplice travaglio. E non lo dice per accusare, ma per ricordare. Parla a nome di tutte le Nazioni, i cui diritti vengono violati e dimenticati. Lo dice perché a ciò lo sollecitano la verità e la sollecitudine per l’uomo.
4. Santo Dio, Santo Potente, Santo e immortale!
Dalla pestilenza, dalla fame, dal fuoco e dalla guerra... e dalla guerra, liberaci, o Signore.
Amen.
domenica 22 gennaio 2012
La chiamata al sacerdozio, "altro Cristo"
Carissimi, il nostro cuore oggi è triste perché ci ha lasciati la nostra cara Patrizia; ma noi siamo certi che lei non ci avrebbe voluti tristi e avrebbe voluto vederci continuare a rendere testimonianza alla nostra fede. La ricordiamo riflettendo sul Vangelo di oggi attraverso le parole di Monsignor Riboldi:
Quando Dio ci chiamò alla vita diede a ciascuno di noi un compito con cui, non solo si realizza il disegno della santità, ma anche la bellezza del servizio per i fratelli.
E' la vocazione. Tutti, senza eccezione, abbiamo la nostra vocazione, ossia questo cammino della vita in cui passo, passo, facendosi guidare da Dio, si compie il disegno della santità: una santità che ha per ciascuno un volto diverso dall'altro, ma a tutti garantisce la personale realizzazione nella vita e nell'eternità.
Penso alla vocazione di tanti sposi, che sanno ricamare la bellezza incredibile del loro amore e la guida dei figli, come un racconto di fedeltà ed una meravigliosa storia di figli che continuano la storia dell'amore di Dio, con il compiere il disegno che Dio ha posto su di loro.
Non si finisce mai di rendere grazie a Dio per tutto quello che sa compiere tramite gli uomini, se Gli sono fedeli, sulla terra. Certo l'uomo è anche capace di usare i doni di intelligenza, di scienza, non al servizio dell'uomo, ma causando del male all'uomo.
Basta dare uno sguardo fugace e preoccupato, su tutti gli ordigni che ogni giorno si moltiplicano sulla terra, ordigni di guerra. Si spendono incredibili somme, sottratte al benessere delle popolazioni, per dare corso a ciò che è solo mezzo di distruzione.
Ma è questo che dal Padre siamo chiamati a fare? E' questa la vocazione che ha posto in ciascuno di noi? Dovremmo ogni giorno chiederci se si vive per la gloria di Dio e il bene dei fratelli, o se la vita è un intreccio di egoismi che nulla hanno a che fare con ciò che Dio ha pensato e progettato per noi e per il bene della umanità.
Sarebbe bene che nelle linee del Vangelo di oggi tutti dessimo uno sguardo alla storia della nostra vita: vocazione disegnata dal Padre per il bene nostro e di quanti incontriamo o sono vicini nella vita. Ma è così?
Confrontandoci alla luce della Parola, forse potremmo scoprire di essere molto lontani dal pensiero di Dio, quando invece la nostra vita dovrebbe essere il racconto del nostro viaggio sulla terra con e per gli altri, che il Padre ha disegnato per tutti. Ed allora occorre un cambiamento, se veramente vogliamo trovare pace e serenità in Lui.
Ma ci sono anche vocazioni che sono davvero speciali, come quelle a cui Gesù ha chiamato, iniziando il suo piano di salvezza, invitando persone semplici a seguirLo, per poi un giorno diventare le colonne fondamentali della Sua Chiesa: gli apostoli, chiamati a seguire ieri Gesù, oggi a fare strada a noi.
Racconta Marco, l'evangelista:
"Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea, predicando il Vangelo di Dio e dicendo: 'Il tempo è vicino: convertitevi e credete nel Vangelo"'.
E passando lungo il mare di Galilea vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare, erano infatti pescatori. Gesù disse loro: 'Seguitemi, vi farò pescatori di uomini'.
E subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando un poco oltre, vide sulla barca Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, mentre riassettavano le reti. Li chiamò ed essi, lasciato il loro padre Zebedeo sulla barca con i garzoni, lo seguirono". (Mc. 1, 16-20)
Stupisce questa prontezza nel seguire Gesù. Non sapevano nulla di ciò che li attendeva. Erano poveri uomini come tutti noi. Ma un giorno, dopo la Pentecoste, saranno le pietre d'angolo su cui si fonda la Chiesa e quindi noi.
E davvero ci assale lo stupore in questa scelta. Da poveri uomini, più volte nel Vangelo si evidenzia come il loro sogno fosse di divenire 'qualcuno che contà seguendo Gesù. E lo ammettono. Mostrano tutta la loro debolezza nel Getsemani addormentandosi, e, quando Gesù viene arrestato, scappano e si nascondono, tranne Pietro che però poi si lascia prendere dalla paura e lo rinnega tre volte fino al canto del gallo, come gli aveva predetto Gesù. Semplicemente ebbero paura di finire come Gesù. C'è tutta la debolezza dell'uomo che sognava forse altro, seguendo Gesù, e si vede crollare il mondo. Lo dichiarano frastornati anche i due discepoli sulla strada di Emmaus.
Eppure rimane in loro quello che non si cancella dal cuore, che sa che l'amore va oltre tutte le prove. E lo dimostra Pietro quando incontrando Gesù, dopo la resurrezione, alla domanda esplicita del Maestro: "Pietro mi ami tu più di costoro?" La risposta non lascia spazio ai dubbi. "Signore, tu sai che io Ti amo". Dopo la Pentecoste, in cui lo Spirito prende dimora in loro, esplode la loro potenza di apostoli, che affronteranno tutto e tutti per annunciare Gesù e il suo V angelo.
Non si lasceranno fermare da prigioni, battiture e tormenti, fino al martirio.
Gesù aveva avuto e continua ad avere tanta fiducia in loro. Li considerava 'amici', come è nel Vangelo, prima ancora dei loro abbandoni e tradimenti: "Il mio comandamento è questo: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha amore più grande di questo; morire per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate quello che comando. Non vi chiamo più schiavi, perché lo schiavo non sa cosa fa il suo padrone. Vi ho chiamato amici perché vi ho fatto sapere quello che ho udito dal Padre mio. Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi, e vi ho destinato a portare molto frutto, un frutto duraturo" ( Gv. 15, 12-16)
E' davvero commovente questa scelta di GESÙ, che non si ferma alle debolezze umane, ma sa che con la forza dello Spirito, un giorno, i Suoi amici saranno pronti a dare la vita per farLo conoscere e annunciare il Suo Vangelo.
Basterebbe leggere la vita di tanti, in ogni tempo, di come hanno interpretato la volontà di Dio, seguendo la propria vocazione, senza paura nel darsi totalmente, per restare fedeli all'amicizia con Gesù. Non parlo solo di martiri, o di santi speciali, ma voglio riferirmi a tanta gente semplice che ho incontrato nella mia vita pastorale e che sempre hanno lasciato una traccia in me della loro passione per Gesù ed hanno dato nella vita una testimonianza di amore a Dio e quanti erano loro vicini. Penso ai tanti missionari - sconosciuti alle cronache del mondo - ma sparsi nel mondo, che non hanno paura delle difficoltà, fino al martirio a volte, per fare conoscere Gesù a chi non Lo conosce. E' davvero immenso il mondo di chi ha interpretato la vita come una vocazione, chiamata di Dio. Del resto, se dalla nostra vita togliamo questo spirito, che resta della nostra esistenza?
Un viaggio nel nulla e verso il nulla, che fa tristi ed è senza senso.
Ecco perché tutti dobbiamo nella vita seguire i passi che Dio traccia con gli eventi che incrociamo. Non avrei mai pensato di diventare addirittura vescovo della Chiesa: una grande vocazione che ci rende simili agli apostoli. Credevo di avere raggiunto il fine nella vita consacrata. Poi l'obbedienza mi volle parroco nel Belice: difficile compito allora. E all'improvviso si è affacciata la volontà di Dio, tramite il caro Paolo VI, che improvvisamente mi chiamò e mi chiese di essere vescovo di questa Diocesi. Incredibile. Se è vero che seguire la propria vocazione, chiede tanta fede, tanto amore, e tanta dedizione al prossimo, debbo dire che nel mio apostolato ho sperimentato tutto questo, ma molto di più il sentire su di me - davvero stupendo - la mano di Dio che apre la strada. Ma bisogna che ciascuno diventi attento e appassionato nel cercare e scoprire la Sua volontà, la chiamata di Dio in quello che capita o decidiamo nella vita.
La vita non è, non può essere, una camminata a vuoto, non sapendo dove andare: la vita, se la si accoglie come vocazione, è un cammino con Dio e i fratelli fino al Cielo.
Scriveva Paolo VI: "La vita è una chiamata. E' una libertà liberissima, messa alla prova, forse la più difficile, ma la più bella. E' la voce che ha un duplice linguaggio, quello del Signore e quello dell'educatore. E' una voce che dice: 'Venite' e che passa come un vento profetico sopra la testa degli uomini, anche di questa generazione, la quale piena com'è del frastuono della vita moderna, si direbbe sorda a coglierne il senso segreto e drammatico: ma non è così. Qualcuno ascolta."
Non resta a noi, sempre se diamo alla vita il senso che dà Dio, che farci prendere per mano, sicuri che, anche se siamo fragili, Lui non tradisce, attende solo che, come Pietro nei momenti difficili, siamo pronti a dirGli, passata la prova: "Signore, tu sai che io ti amo".
E questo vale per tutti, indipendentemente dalla nostra specifica vocazione. Ma saremo capaci?
Che Dio ci tenga per mano, sempre, per non perderci.
Quando Dio ci chiamò alla vita diede a ciascuno di noi un compito con cui, non solo si realizza il disegno della santità, ma anche la bellezza del servizio per i fratelli.
E' la vocazione. Tutti, senza eccezione, abbiamo la nostra vocazione, ossia questo cammino della vita in cui passo, passo, facendosi guidare da Dio, si compie il disegno della santità: una santità che ha per ciascuno un volto diverso dall'altro, ma a tutti garantisce la personale realizzazione nella vita e nell'eternità.
Penso alla vocazione di tanti sposi, che sanno ricamare la bellezza incredibile del loro amore e la guida dei figli, come un racconto di fedeltà ed una meravigliosa storia di figli che continuano la storia dell'amore di Dio, con il compiere il disegno che Dio ha posto su di loro.
Non si finisce mai di rendere grazie a Dio per tutto quello che sa compiere tramite gli uomini, se Gli sono fedeli, sulla terra. Certo l'uomo è anche capace di usare i doni di intelligenza, di scienza, non al servizio dell'uomo, ma causando del male all'uomo.
Basta dare uno sguardo fugace e preoccupato, su tutti gli ordigni che ogni giorno si moltiplicano sulla terra, ordigni di guerra. Si spendono incredibili somme, sottratte al benessere delle popolazioni, per dare corso a ciò che è solo mezzo di distruzione.
Ma è questo che dal Padre siamo chiamati a fare? E' questa la vocazione che ha posto in ciascuno di noi? Dovremmo ogni giorno chiederci se si vive per la gloria di Dio e il bene dei fratelli, o se la vita è un intreccio di egoismi che nulla hanno a che fare con ciò che Dio ha pensato e progettato per noi e per il bene della umanità.
Sarebbe bene che nelle linee del Vangelo di oggi tutti dessimo uno sguardo alla storia della nostra vita: vocazione disegnata dal Padre per il bene nostro e di quanti incontriamo o sono vicini nella vita. Ma è così?
Confrontandoci alla luce della Parola, forse potremmo scoprire di essere molto lontani dal pensiero di Dio, quando invece la nostra vita dovrebbe essere il racconto del nostro viaggio sulla terra con e per gli altri, che il Padre ha disegnato per tutti. Ed allora occorre un cambiamento, se veramente vogliamo trovare pace e serenità in Lui.
Ma ci sono anche vocazioni che sono davvero speciali, come quelle a cui Gesù ha chiamato, iniziando il suo piano di salvezza, invitando persone semplici a seguirLo, per poi un giorno diventare le colonne fondamentali della Sua Chiesa: gli apostoli, chiamati a seguire ieri Gesù, oggi a fare strada a noi.
Racconta Marco, l'evangelista:
"Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea, predicando il Vangelo di Dio e dicendo: 'Il tempo è vicino: convertitevi e credete nel Vangelo"'.
E passando lungo il mare di Galilea vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare, erano infatti pescatori. Gesù disse loro: 'Seguitemi, vi farò pescatori di uomini'.
E subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando un poco oltre, vide sulla barca Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, mentre riassettavano le reti. Li chiamò ed essi, lasciato il loro padre Zebedeo sulla barca con i garzoni, lo seguirono". (Mc. 1, 16-20)
Stupisce questa prontezza nel seguire Gesù. Non sapevano nulla di ciò che li attendeva. Erano poveri uomini come tutti noi. Ma un giorno, dopo la Pentecoste, saranno le pietre d'angolo su cui si fonda la Chiesa e quindi noi.
E davvero ci assale lo stupore in questa scelta. Da poveri uomini, più volte nel Vangelo si evidenzia come il loro sogno fosse di divenire 'qualcuno che contà seguendo Gesù. E lo ammettono. Mostrano tutta la loro debolezza nel Getsemani addormentandosi, e, quando Gesù viene arrestato, scappano e si nascondono, tranne Pietro che però poi si lascia prendere dalla paura e lo rinnega tre volte fino al canto del gallo, come gli aveva predetto Gesù. Semplicemente ebbero paura di finire come Gesù. C'è tutta la debolezza dell'uomo che sognava forse altro, seguendo Gesù, e si vede crollare il mondo. Lo dichiarano frastornati anche i due discepoli sulla strada di Emmaus.
Eppure rimane in loro quello che non si cancella dal cuore, che sa che l'amore va oltre tutte le prove. E lo dimostra Pietro quando incontrando Gesù, dopo la resurrezione, alla domanda esplicita del Maestro: "Pietro mi ami tu più di costoro?" La risposta non lascia spazio ai dubbi. "Signore, tu sai che io Ti amo". Dopo la Pentecoste, in cui lo Spirito prende dimora in loro, esplode la loro potenza di apostoli, che affronteranno tutto e tutti per annunciare Gesù e il suo V angelo.
Non si lasceranno fermare da prigioni, battiture e tormenti, fino al martirio.
Gesù aveva avuto e continua ad avere tanta fiducia in loro. Li considerava 'amici', come è nel Vangelo, prima ancora dei loro abbandoni e tradimenti: "Il mio comandamento è questo: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha amore più grande di questo; morire per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate quello che comando. Non vi chiamo più schiavi, perché lo schiavo non sa cosa fa il suo padrone. Vi ho chiamato amici perché vi ho fatto sapere quello che ho udito dal Padre mio. Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi, e vi ho destinato a portare molto frutto, un frutto duraturo" ( Gv. 15, 12-16)
E' davvero commovente questa scelta di GESÙ, che non si ferma alle debolezze umane, ma sa che con la forza dello Spirito, un giorno, i Suoi amici saranno pronti a dare la vita per farLo conoscere e annunciare il Suo Vangelo.
Basterebbe leggere la vita di tanti, in ogni tempo, di come hanno interpretato la volontà di Dio, seguendo la propria vocazione, senza paura nel darsi totalmente, per restare fedeli all'amicizia con Gesù. Non parlo solo di martiri, o di santi speciali, ma voglio riferirmi a tanta gente semplice che ho incontrato nella mia vita pastorale e che sempre hanno lasciato una traccia in me della loro passione per Gesù ed hanno dato nella vita una testimonianza di amore a Dio e quanti erano loro vicini. Penso ai tanti missionari - sconosciuti alle cronache del mondo - ma sparsi nel mondo, che non hanno paura delle difficoltà, fino al martirio a volte, per fare conoscere Gesù a chi non Lo conosce. E' davvero immenso il mondo di chi ha interpretato la vita come una vocazione, chiamata di Dio. Del resto, se dalla nostra vita togliamo questo spirito, che resta della nostra esistenza?
Un viaggio nel nulla e verso il nulla, che fa tristi ed è senza senso.
Ecco perché tutti dobbiamo nella vita seguire i passi che Dio traccia con gli eventi che incrociamo. Non avrei mai pensato di diventare addirittura vescovo della Chiesa: una grande vocazione che ci rende simili agli apostoli. Credevo di avere raggiunto il fine nella vita consacrata. Poi l'obbedienza mi volle parroco nel Belice: difficile compito allora. E all'improvviso si è affacciata la volontà di Dio, tramite il caro Paolo VI, che improvvisamente mi chiamò e mi chiese di essere vescovo di questa Diocesi. Incredibile. Se è vero che seguire la propria vocazione, chiede tanta fede, tanto amore, e tanta dedizione al prossimo, debbo dire che nel mio apostolato ho sperimentato tutto questo, ma molto di più il sentire su di me - davvero stupendo - la mano di Dio che apre la strada. Ma bisogna che ciascuno diventi attento e appassionato nel cercare e scoprire la Sua volontà, la chiamata di Dio in quello che capita o decidiamo nella vita.
La vita non è, non può essere, una camminata a vuoto, non sapendo dove andare: la vita, se la si accoglie come vocazione, è un cammino con Dio e i fratelli fino al Cielo.
Scriveva Paolo VI: "La vita è una chiamata. E' una libertà liberissima, messa alla prova, forse la più difficile, ma la più bella. E' la voce che ha un duplice linguaggio, quello del Signore e quello dell'educatore. E' una voce che dice: 'Venite' e che passa come un vento profetico sopra la testa degli uomini, anche di questa generazione, la quale piena com'è del frastuono della vita moderna, si direbbe sorda a coglierne il senso segreto e drammatico: ma non è così. Qualcuno ascolta."
Non resta a noi, sempre se diamo alla vita il senso che dà Dio, che farci prendere per mano, sicuri che, anche se siamo fragili, Lui non tradisce, attende solo che, come Pietro nei momenti difficili, siamo pronti a dirGli, passata la prova: "Signore, tu sai che io ti amo".
E questo vale per tutti, indipendentemente dalla nostra specifica vocazione. Ma saremo capaci?
Che Dio ci tenga per mano, sempre, per non perderci.
mercoledì 18 gennaio 2012
Alle sorgenti della Pietà - XXV parte
Torniamo a meditare con l'opera di don Luigi Fusina che ha raccolto alcune meditazioni rivolte a semplici fedeli e capaci di sollecitare in loro un senso di meditazione e riflessione sulle grandi verità che generano nell'anima la vera pietà cristiana:
Nel capitolo precedente abbiamo visto come lo Spirito Santo sia datore di vita eterna. Egli infatti porta in noi e fa crescere in noi una vita nuova, la vita del Figlio di Dio. Per questo Gesù paragona lo Spirito Santo ad una sorgente di acqua viva.
Ora ci vogliamo chiedere: in che modo e con quali mezzi lo Spirito di Dio produce e fa crescere in noi la nuova vita? Qui è necessario che facciamo alcune considerazioni molto importanti.
Prima considerazione: Dio è invisibile perché è spirito. Egli non ha un corpo come noi. Di conseguenza per rendersi accessibile a noi Egli deve scendere al nostro livello e usare il nostro stesso linguaggio. Ora noi abbiamo due modi di esprimerci: le parole ed i gesti. Facciamo un esempio: io voglio bene ad un amico. Il mio amore è nel cuore, è un affetto spirituale, invisibile. Come posso far capire il mio amore a questo amico? Come far sì che il mio amore passi nel suo cuore?
1° - Posso servirmi della parola. Gli dico: "Ti voglio bene, sono tuo amico". In queste parole io racchiudo il mio affetto spirituale. Lo rendo, per così dire, sensibile. Egli lo può capire ascoltando le mie parole e può farlo suo accogliendo le mie parole. Allora egli sa che io lo amo e si sente pieno del mio amore. In un certo senso io mi sono donato a lui con le mie parole. Anche Dio fa così! Egli si serve delle parole per rivelarci e donarci il suo amore. Non solo ce lo rivela e ce lo fa sapere: ma se Gli apriamo il cuore con fede, ce lo dona. Con il suo amore entra dentro di noi, ci trasforma e ci dona una vita nuova. La Bibbia dice che noi siamo stati generati ad una vita nuova dalla Parola di Dio accolta con fede.
2° - Oltre che di parole, io posso servirmi di gesti per manifestare e comunicare il mio amore. Così tornando all'esempio dell'amico che amo, io posso comunicargli il mio affetto con le parole, ma posso anche abbracciarlo, baciarlo, fargli un dono. Da questi gesti il mio amico capisce che io lo amo davvero.
Anche Dio fa così! Anch'Egli si serve di questi gesti per rivelarci e donarci il suo amore e la sua salvezza.
Possiamo dire che il gesto di Dio è uno solo: quello di donarci Gesù. In Gesù Dio ci rivela e ci dona sè stesso, il suo amore, la sua salvezza. "Dio ha tanto amato il mondo - scrive Giovanni nel suo Vangelo - da darci il suo stesso Figlio Unigenito affinché il mondo si salvi per mezzo di Lui" (Gv 3,16). E San Paolo ci insegna che "l'amore di Dio per noi si misura dal fatto che ha mandato Gesù a morire per i peccatori" (cfr Rm 5,8).
Gesù, dunque, è il gesto con cui Dio si rivela a noi e si dona a noi con la pienezza della sua vita e della sua salvezza.
In greco (lingua originale dei Vangeli) questo "gesto" di Dio viene chiamato mistero: Gesù è il mistero di Dio, scrive San Paolo.
In latino la parola mistero viene tradotta con sacramento: Gesù è il sacramento di Dio.
Ecco come Dio si fa sentire, vedere, toccare: con il gesto di donarci Gesù, cioè con quel mistero, con quel sacramento vivo che è Cristo.
Ascoltate ora come San Giovanni ci parla di questo modo di agire da parte di Dio: "IL Figlio di Dio, il Verbo della vita, esisteva fin dal principio. Ebbene noi apostoli lo abbiamo udito e visto con i nostri occhi, lo abbiamo contemplato, e le nostre mani lo hanno toccato. Egli, che è la vita, si è mostrato a noi e noi vi garantiamo di averlo visto e ve lo annunciamo" (cfr Gv 1,1-4).
3° - Eccoci al terzo punto. Dio, fonte della vita, si fa presente in Gesù e così, mediante questo mistero o sacramento, Egli può essere visto, toccato, accolto. Egli che è Spirito, si fa toccare nel corpo di Gesù: Egli che è invisibile, si fa vedere nell'umanità di Gesù. Con la bocca di Gesù ci parla, con il cuore di Gesù ci rivela il suo amore, con gli occhi di Gesù ci guarda, con la carne e il sangue di Gesù ci nutre.
C'è un solo modo dato all'uomo per entrare in contatto con Dio: la fede in Gesù, ossia accogliere Gesù "sacramento" di Dio. Ebbene questo sacramento è stato formato nel seno della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo. E' stato lo Spirito a prepararci in Gesù la sorgente della salvezza e della vita eterna! Ora lo stesso Spirito porta Gesù in altri gesti sacramentali nei quali e mediante i quali noi possiamo toccare ed accogliere Dio stesso.
Il primo di essi è la Chiesa, la comunità cristiana. La Chiesa, infatti, è il Tempio vivente in cui dimora Gesù: è il suo Corpo. Perciò là dov'è la Chiesa, ivi è Gesù, ivi è Dio!
Ecco, dunque, un secondo sacramento: la Chiesa.
Il primo, quello che è la fonte di tutti gli altri, è Gesù stesso. 4° - E ora veniamo al quarto punto. Dio che si fa presente e si dona in Gesù, Gesù che si fa presente e si dona nella Chiesa, si fa pure presente e si dona a noi mediante il ministero della Chiesa in alcuni segni o gesti che chiamiamo Sacramenti. Essi, come sapete, sono sette: il battesimo, la cresima, l'eucarestia, la confessione, l'unzione degli infermi, l'ordine sacro ed il matrimonio. Questi sette sacramenti sono stati istituiti da Gesù e ci sono stati rivelati da Lui stesso o dai suoi santi apostoli.
In modo chiaro ed esplicito Gesù ci ha rivelato quattro sacramenti: il battesimo quando ha detto: "Andate e battezzate nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19). Ci ha poi rivelato il sacramento dell'eucarestia quando, dopo la consacrazione del pane e del vino ha comandato: "Fate questo in mia memoria" (Lc 22,19). Ci ha rivelato il sacramento dell'ordine sacro e della confessione quando, la sera di Pasqua, ha soffiato sopra gli apostoli dicendo: "Ricevete lo Spirito Santo. Coloro ai quali rimetterete i peccati, li avranno rimessi..." (Gv 20,22).
In questo passo, anzi, la struttura del sacramento appare in tutta chiarezza:
a) c'è Gesù che compie un gesto: alita sopra gli apostoli. Con questo gesto Egli vuole significare il dono che viene dal suo Cuore: lo Spirito;
b) c'è la Parola che dà senso al gesto, ne rivela il contenuto soprannaturale. Dice: "Ricevete lo Spirito Santo";
c) c'è il dono significato dal gesto e dalla Parola: è il dono dello Spirito Santo;
d) infine c'è l'effetto soprannaturale procurato negli apostoli dal Dono ricevuto: il potere di rimettere i peccati.
Vedete come il Signore ha racchiuso in questo gesto pasquale una meravigliosa realtà divina che trasforma gli apostoli in ministri di Cristo: "Come il Padre ha mandato Me, così Io mando voi! Ricevete lo Spirito Santo... Coloro ai quali rimetterete i peccati, li avranno rimessi".
Così ha fatto per gli altri sacramenti. Ne abbiamo notizia esplicita o implicita negli stessi Vangeli nonché dalla tradizione apostolica, che è stata accolta e proposta solennemente dalla Chiesa nel Concilio di Trento. Tutti e 7 provengono da Gesù: sono gesti di Gesù mediante i quali ci viene donato lo Spirito Santo vivificante.
Il Dono del sacramento è sempre lo Spirito, il quale poi agisce e compie in noi l'opera della santificazione secondo il fine che è proprio di ciascun sacramento.
Così nel Battesimo lo Spirito ci fa rinascere a vita nuova, unendoci alla morte ed alla Risurrezione del Signore Gesù. Nella Cresima ci conferma quali testimoni e discepoli di Cristo.
Nell'Eucarestia ci dona, mediante il Corpo ed il Sangue di Cristo, il nutrimento soprannaturale che ci fa diventare una cosa sola, una sola comunità, un solo corpo con Lui e ci fa partecipare al sacrificio di Cristo per la gloria del Padre e la salvezza del mondo.
Nella Riconciliazione cancella i nostri peccati per i meriti infiniti di Gesù e ci guarisce dalle nostre piaghe spirituali, soprattutto dall'egoismo, radice di ogni peccato.
Nell'Olio degli infermi ci rende partecipi della sofferenza di Cristo, ci consola e ci dà forza per affrontare la lotta della malattia e della morte trasformandole nella croce di Gesù che è la porta della vita eterna.
Nel matrimonio trasforma l'amore degli sposi nell'amore di Gesù e della Chiesa, come a Cana trasformò l'acqua nel vino miracoloso.
Infine, come abbiamo visto, nell'Ordine Sacro lo Spirito scendendo sugli eletti al ministero li rende capaci di operare nel nome e nella persona del divino Pastore Gesù a favore della sua Chiesa.
Sono gesti sacramentali diversi, che producono effetti diversi, ma nei quali agisce sempre lo stesso unico Spirito vivificante.
Parola di Dio e Sacramenti: ecco i due mezzi principali di cui si serve lo Spirito Santo per unirci e trasformarci sempre più in Cristo. Alla Parola ed ai Sacramenti noi dobbiamo corrispondere con la nostra fede accogliendo con amore il dono di Dio.
Così come ha fatto Maria, quando ha accolto nel suo Cuore prima e nel suo seno poi il Verbo di Dio portato in Lei dallo Spirito Santo.
Seconda considerazione. Ma vi è una seconda considerazione da fare ed è questa: lo Spirito non agisce soltanto per mezzo della Parola e dei Sacramenti, ma elargisce pure alla sua Chiesa innumerevoli doni di grazia che usiamo chiamare carismi. Le lettere di San Paolo contengono diverse elencazioni e descrizioni di questi carismi. Essi sono doni gratuiti (in quanto non sono dati in base ai meriti della persona, ma in base alle necessità della Chiesa). I carismi sono la risposta dello Spirito Santo alle varie necessità della comunità cristiana. Alcuni di essi sono permanenti, altri transitori. Questi carismi non sono mai cessati nella Chiesa, anche se può essere cessata, in genere, la loro straordinarietà. Voglio dire che il carisma c'è anche quando non appare in maniera miracolosa. Ci sono però anche i carismi straordinari, come vediamo nei santi. Tuttavia ordinariamente noi li troviamo senza questo alone di miracolo e li troviamo spesso nelle persone più umili e più semplici. Possiamo dire che in ogni comunità cristiana, in ogni parrocchia, lo Spirito diffonde con abbondanza i suoi carismi secondo le necessità di quella comunità e secondo il disegno che Dio vuole attuare in essa e per mezzo di essa. E' compito del Pastore, coadiuvato dal consiglio pastorale, individuare i carismi dello Spirito per arricchirne la comunità tutta e per conoscere il disegno di Dio su di essa. E' qui, soprattutto, che deve intervenire il consiglio pastorale, più che nel fare sterili discussioni sull'orario delle messe e sul numero delle candele da accendere. Un vero consiglio pastorale coadiuva il Pastore nel discernere l'opera dello Spirito nella comunità e l'orientamento che Egli, mediante i carismi, indica alla medesima.
In tal modo noi scopriamo nella nostra comunità il carisma della profezia: ci sono cioè persone sagge che parlano in nome di Dio, ci fanno conoscere la volontà di Dio, i suoi desideri. Basta metterci in ascolto. Lo Spirito parla alle chiese magari servendosi della vecchietta o del bambino. Egli fa le sue scelte, che sono ben diverse dalle nostre. Così, se stiamo attenti, scopriremo il carisma dell'insegnamento che è tipico dei catechisti. Non tutti sono chiamati a questo ministero perché non tutti hanno il carisma per esercitarlo con efficacia. Scopriremo in altre persone il carisma della consolazione: sono spesso le persone più umili e più semplici del popolo, quelle persone che hanno una particolare capacità per assistere con amore e con dolcezza i malati ed i sofferenti.
Ecco come lo Spirito di Dio vivifica e il singolo discepolo e le comunità della Chiesa. Ci sarebbero tante altre cose da dire in proposito, ma non mi è possibile parlare di tutti i carismi e le operazioni dello Spirito. Mettiamoci invece al cospetto del Signore, come ha fatto la Madonna, nella quale Dio ci offre il modello e l'immagine vivente non solo del cristiano, ma anche della Chiesa e chiediamo il Dono dello Spirito su di noi e sulle nostre comunità perché ci porti la vera vita, perché ci riempia dei suoi doni, perché ci faccia sempre più simili al Signore Gesù!
Vieni, Santo Spirito... Vieni, datore dei doni... Vieni, fonte di vita!
CONTEMPLAZIONE
Ora mettiti in preghiera devota davanti al Tabernacolo o ad una immagine sacra. Ascolta con le orecchie del cuore l'insegnamento dello Spirito dalla bocca dell'apostolo Paolo.
Prima Lettera ai Corinti cap. 12
Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio che restiate nell'ignoranza.
Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare verso gli idoli muti secondo l'impulso del momento.
Ebbene, io vi dichiaro: come nessuno che parli sotto l'azione dello Spirito di Dio può dire «Gesù è anàtema», così nessuno può dire «Gesù è Signore» se non sotto l'azione dello Spirito Santo.
Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.
E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far-guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue.
Ma tutte queste cose è l'uníco e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole.
Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo.
E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito.
Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte.
Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono i miracoli, poi i doni di far guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue.
Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?
Desiderate invece intensamente i carismi più grandi. Ebbene vi mostrerò la via più sublime.
Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.
La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine.
- Capitolo 23 -
"LO SPIRITO VIVIFICANTE" (3)
SACRAMENTI E CARISMI
"LO SPIRITO VIVIFICANTE" (3)
SACRAMENTI E CARISMI
Nel capitolo precedente abbiamo visto come lo Spirito Santo sia datore di vita eterna. Egli infatti porta in noi e fa crescere in noi una vita nuova, la vita del Figlio di Dio. Per questo Gesù paragona lo Spirito Santo ad una sorgente di acqua viva.
Ora ci vogliamo chiedere: in che modo e con quali mezzi lo Spirito di Dio produce e fa crescere in noi la nuova vita? Qui è necessario che facciamo alcune considerazioni molto importanti.
Prima considerazione: Dio è invisibile perché è spirito. Egli non ha un corpo come noi. Di conseguenza per rendersi accessibile a noi Egli deve scendere al nostro livello e usare il nostro stesso linguaggio. Ora noi abbiamo due modi di esprimerci: le parole ed i gesti. Facciamo un esempio: io voglio bene ad un amico. Il mio amore è nel cuore, è un affetto spirituale, invisibile. Come posso far capire il mio amore a questo amico? Come far sì che il mio amore passi nel suo cuore?
1° - Posso servirmi della parola. Gli dico: "Ti voglio bene, sono tuo amico". In queste parole io racchiudo il mio affetto spirituale. Lo rendo, per così dire, sensibile. Egli lo può capire ascoltando le mie parole e può farlo suo accogliendo le mie parole. Allora egli sa che io lo amo e si sente pieno del mio amore. In un certo senso io mi sono donato a lui con le mie parole. Anche Dio fa così! Egli si serve delle parole per rivelarci e donarci il suo amore. Non solo ce lo rivela e ce lo fa sapere: ma se Gli apriamo il cuore con fede, ce lo dona. Con il suo amore entra dentro di noi, ci trasforma e ci dona una vita nuova. La Bibbia dice che noi siamo stati generati ad una vita nuova dalla Parola di Dio accolta con fede.
2° - Oltre che di parole, io posso servirmi di gesti per manifestare e comunicare il mio amore. Così tornando all'esempio dell'amico che amo, io posso comunicargli il mio affetto con le parole, ma posso anche abbracciarlo, baciarlo, fargli un dono. Da questi gesti il mio amico capisce che io lo amo davvero.
Anche Dio fa così! Anch'Egli si serve di questi gesti per rivelarci e donarci il suo amore e la sua salvezza.
Possiamo dire che il gesto di Dio è uno solo: quello di donarci Gesù. In Gesù Dio ci rivela e ci dona sè stesso, il suo amore, la sua salvezza. "Dio ha tanto amato il mondo - scrive Giovanni nel suo Vangelo - da darci il suo stesso Figlio Unigenito affinché il mondo si salvi per mezzo di Lui" (Gv 3,16). E San Paolo ci insegna che "l'amore di Dio per noi si misura dal fatto che ha mandato Gesù a morire per i peccatori" (cfr Rm 5,8).
Gesù, dunque, è il gesto con cui Dio si rivela a noi e si dona a noi con la pienezza della sua vita e della sua salvezza.
In greco (lingua originale dei Vangeli) questo "gesto" di Dio viene chiamato mistero: Gesù è il mistero di Dio, scrive San Paolo.
In latino la parola mistero viene tradotta con sacramento: Gesù è il sacramento di Dio.
Ecco come Dio si fa sentire, vedere, toccare: con il gesto di donarci Gesù, cioè con quel mistero, con quel sacramento vivo che è Cristo.
Ascoltate ora come San Giovanni ci parla di questo modo di agire da parte di Dio: "IL Figlio di Dio, il Verbo della vita, esisteva fin dal principio. Ebbene noi apostoli lo abbiamo udito e visto con i nostri occhi, lo abbiamo contemplato, e le nostre mani lo hanno toccato. Egli, che è la vita, si è mostrato a noi e noi vi garantiamo di averlo visto e ve lo annunciamo" (cfr Gv 1,1-4).
3° - Eccoci al terzo punto. Dio, fonte della vita, si fa presente in Gesù e così, mediante questo mistero o sacramento, Egli può essere visto, toccato, accolto. Egli che è Spirito, si fa toccare nel corpo di Gesù: Egli che è invisibile, si fa vedere nell'umanità di Gesù. Con la bocca di Gesù ci parla, con il cuore di Gesù ci rivela il suo amore, con gli occhi di Gesù ci guarda, con la carne e il sangue di Gesù ci nutre.
C'è un solo modo dato all'uomo per entrare in contatto con Dio: la fede in Gesù, ossia accogliere Gesù "sacramento" di Dio. Ebbene questo sacramento è stato formato nel seno della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo. E' stato lo Spirito a prepararci in Gesù la sorgente della salvezza e della vita eterna! Ora lo stesso Spirito porta Gesù in altri gesti sacramentali nei quali e mediante i quali noi possiamo toccare ed accogliere Dio stesso.
Il primo di essi è la Chiesa, la comunità cristiana. La Chiesa, infatti, è il Tempio vivente in cui dimora Gesù: è il suo Corpo. Perciò là dov'è la Chiesa, ivi è Gesù, ivi è Dio!
Ecco, dunque, un secondo sacramento: la Chiesa.
Il primo, quello che è la fonte di tutti gli altri, è Gesù stesso. 4° - E ora veniamo al quarto punto. Dio che si fa presente e si dona in Gesù, Gesù che si fa presente e si dona nella Chiesa, si fa pure presente e si dona a noi mediante il ministero della Chiesa in alcuni segni o gesti che chiamiamo Sacramenti. Essi, come sapete, sono sette: il battesimo, la cresima, l'eucarestia, la confessione, l'unzione degli infermi, l'ordine sacro ed il matrimonio. Questi sette sacramenti sono stati istituiti da Gesù e ci sono stati rivelati da Lui stesso o dai suoi santi apostoli.
In modo chiaro ed esplicito Gesù ci ha rivelato quattro sacramenti: il battesimo quando ha detto: "Andate e battezzate nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19). Ci ha poi rivelato il sacramento dell'eucarestia quando, dopo la consacrazione del pane e del vino ha comandato: "Fate questo in mia memoria" (Lc 22,19). Ci ha rivelato il sacramento dell'ordine sacro e della confessione quando, la sera di Pasqua, ha soffiato sopra gli apostoli dicendo: "Ricevete lo Spirito Santo. Coloro ai quali rimetterete i peccati, li avranno rimessi..." (Gv 20,22).
In questo passo, anzi, la struttura del sacramento appare in tutta chiarezza:
a) c'è Gesù che compie un gesto: alita sopra gli apostoli. Con questo gesto Egli vuole significare il dono che viene dal suo Cuore: lo Spirito;
b) c'è la Parola che dà senso al gesto, ne rivela il contenuto soprannaturale. Dice: "Ricevete lo Spirito Santo";
c) c'è il dono significato dal gesto e dalla Parola: è il dono dello Spirito Santo;
d) infine c'è l'effetto soprannaturale procurato negli apostoli dal Dono ricevuto: il potere di rimettere i peccati.
Vedete come il Signore ha racchiuso in questo gesto pasquale una meravigliosa realtà divina che trasforma gli apostoli in ministri di Cristo: "Come il Padre ha mandato Me, così Io mando voi! Ricevete lo Spirito Santo... Coloro ai quali rimetterete i peccati, li avranno rimessi".
Così ha fatto per gli altri sacramenti. Ne abbiamo notizia esplicita o implicita negli stessi Vangeli nonché dalla tradizione apostolica, che è stata accolta e proposta solennemente dalla Chiesa nel Concilio di Trento. Tutti e 7 provengono da Gesù: sono gesti di Gesù mediante i quali ci viene donato lo Spirito Santo vivificante.
Il Dono del sacramento è sempre lo Spirito, il quale poi agisce e compie in noi l'opera della santificazione secondo il fine che è proprio di ciascun sacramento.
Così nel Battesimo lo Spirito ci fa rinascere a vita nuova, unendoci alla morte ed alla Risurrezione del Signore Gesù. Nella Cresima ci conferma quali testimoni e discepoli di Cristo.
Nell'Eucarestia ci dona, mediante il Corpo ed il Sangue di Cristo, il nutrimento soprannaturale che ci fa diventare una cosa sola, una sola comunità, un solo corpo con Lui e ci fa partecipare al sacrificio di Cristo per la gloria del Padre e la salvezza del mondo.
Nella Riconciliazione cancella i nostri peccati per i meriti infiniti di Gesù e ci guarisce dalle nostre piaghe spirituali, soprattutto dall'egoismo, radice di ogni peccato.
Nell'Olio degli infermi ci rende partecipi della sofferenza di Cristo, ci consola e ci dà forza per affrontare la lotta della malattia e della morte trasformandole nella croce di Gesù che è la porta della vita eterna.
Nel matrimonio trasforma l'amore degli sposi nell'amore di Gesù e della Chiesa, come a Cana trasformò l'acqua nel vino miracoloso.
Infine, come abbiamo visto, nell'Ordine Sacro lo Spirito scendendo sugli eletti al ministero li rende capaci di operare nel nome e nella persona del divino Pastore Gesù a favore della sua Chiesa.
Sono gesti sacramentali diversi, che producono effetti diversi, ma nei quali agisce sempre lo stesso unico Spirito vivificante.
Parola di Dio e Sacramenti: ecco i due mezzi principali di cui si serve lo Spirito Santo per unirci e trasformarci sempre più in Cristo. Alla Parola ed ai Sacramenti noi dobbiamo corrispondere con la nostra fede accogliendo con amore il dono di Dio.
Così come ha fatto Maria, quando ha accolto nel suo Cuore prima e nel suo seno poi il Verbo di Dio portato in Lei dallo Spirito Santo.
Seconda considerazione. Ma vi è una seconda considerazione da fare ed è questa: lo Spirito non agisce soltanto per mezzo della Parola e dei Sacramenti, ma elargisce pure alla sua Chiesa innumerevoli doni di grazia che usiamo chiamare carismi. Le lettere di San Paolo contengono diverse elencazioni e descrizioni di questi carismi. Essi sono doni gratuiti (in quanto non sono dati in base ai meriti della persona, ma in base alle necessità della Chiesa). I carismi sono la risposta dello Spirito Santo alle varie necessità della comunità cristiana. Alcuni di essi sono permanenti, altri transitori. Questi carismi non sono mai cessati nella Chiesa, anche se può essere cessata, in genere, la loro straordinarietà. Voglio dire che il carisma c'è anche quando non appare in maniera miracolosa. Ci sono però anche i carismi straordinari, come vediamo nei santi. Tuttavia ordinariamente noi li troviamo senza questo alone di miracolo e li troviamo spesso nelle persone più umili e più semplici. Possiamo dire che in ogni comunità cristiana, in ogni parrocchia, lo Spirito diffonde con abbondanza i suoi carismi secondo le necessità di quella comunità e secondo il disegno che Dio vuole attuare in essa e per mezzo di essa. E' compito del Pastore, coadiuvato dal consiglio pastorale, individuare i carismi dello Spirito per arricchirne la comunità tutta e per conoscere il disegno di Dio su di essa. E' qui, soprattutto, che deve intervenire il consiglio pastorale, più che nel fare sterili discussioni sull'orario delle messe e sul numero delle candele da accendere. Un vero consiglio pastorale coadiuva il Pastore nel discernere l'opera dello Spirito nella comunità e l'orientamento che Egli, mediante i carismi, indica alla medesima.
In tal modo noi scopriamo nella nostra comunità il carisma della profezia: ci sono cioè persone sagge che parlano in nome di Dio, ci fanno conoscere la volontà di Dio, i suoi desideri. Basta metterci in ascolto. Lo Spirito parla alle chiese magari servendosi della vecchietta o del bambino. Egli fa le sue scelte, che sono ben diverse dalle nostre. Così, se stiamo attenti, scopriremo il carisma dell'insegnamento che è tipico dei catechisti. Non tutti sono chiamati a questo ministero perché non tutti hanno il carisma per esercitarlo con efficacia. Scopriremo in altre persone il carisma della consolazione: sono spesso le persone più umili e più semplici del popolo, quelle persone che hanno una particolare capacità per assistere con amore e con dolcezza i malati ed i sofferenti.
Ecco come lo Spirito di Dio vivifica e il singolo discepolo e le comunità della Chiesa. Ci sarebbero tante altre cose da dire in proposito, ma non mi è possibile parlare di tutti i carismi e le operazioni dello Spirito. Mettiamoci invece al cospetto del Signore, come ha fatto la Madonna, nella quale Dio ci offre il modello e l'immagine vivente non solo del cristiano, ma anche della Chiesa e chiediamo il Dono dello Spirito su di noi e sulle nostre comunità perché ci porti la vera vita, perché ci riempia dei suoi doni, perché ci faccia sempre più simili al Signore Gesù!
Vieni, Santo Spirito... Vieni, datore dei doni... Vieni, fonte di vita!
CONTEMPLAZIONE
Ora mettiti in preghiera devota davanti al Tabernacolo o ad una immagine sacra. Ascolta con le orecchie del cuore l'insegnamento dello Spirito dalla bocca dell'apostolo Paolo.
Prima Lettera ai Corinti cap. 12
Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio che restiate nell'ignoranza.
Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare verso gli idoli muti secondo l'impulso del momento.
Ebbene, io vi dichiaro: come nessuno che parli sotto l'azione dello Spirito di Dio può dire «Gesù è anàtema», così nessuno può dire «Gesù è Signore» se non sotto l'azione dello Spirito Santo.
Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.
E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far-guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue.
Ma tutte queste cose è l'uníco e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole.
Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo.
E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito.
Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte.
Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono i miracoli, poi i doni di far guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue.
Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti fanno miracoli? Tutti possiedono il dono delle guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?
Desiderate invece intensamente i carismi più grandi. Ebbene vi mostrerò la via più sublime.
Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.
La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine.
lunedì 16 gennaio 2012
Scopriamo Santa Maria Faustina Kowalska - Quarantaquattresimo appuntamento
Torniamo ad approfondire la figura di Santa Faustina Kowalska, nota come l'Apostola della Divina Misericordia. Vediamo cosa ci mostra oggi il Suo Diario:
29.VI.1935.
Quando parlai col mio direttore spirituale delle varie cose che il Signore esigeva da me, pensavo che m'avrebbe risposto che non sono adatta a compiere simili cose e che Gesù non si serve di anime misere come sono io, per qualunque opera voglia compiere. Invece mi sentii dire che il più delle volte Dio sceglie proprio tali anime per realizzare i suoi disegni. Quel sacerdote però è guidato dallo Spirito di Dio; egli riuscì a scrutare nell'intimo della mia anima i più nascosti segreti che c'erano fra me e Dio, e di cui non gli avevo ancora mai parlato, e non gliene avevo parlato poiché io stessa non li avevo compresi bene ed il Signore non mi aveva detto chiaramente che gliene parlassi. Il segreto è questo, che Iddio esige che ci sia una congregazione che annunci la Misericordia di Dio al mondo e la impetri per il mondo. Quando quel sacerdote mi chiese se avessi avuto tali ispirazioni, risposi che ordini precisi non ne avevo avuti. Ma in quello stesso momento era penetrata una strana luce nella mia anima ed avevo capito che il Signore mi parlava per mezzo di lui. Mi ero difesa inutilmente dicendo che non avevo un ordine preciso, poiché verso la fine del colloquio vidi Gesù sulla soglia, nello stesso aspetto come è dipinto nell'immagine, che mi disse: « Desidero che ci sia una tale Congregazione ». La cosa durò un momento. Di questo però non parlai subito; anzi, avevo fretta di tornare a casa e ripetevo continuamente al Signore: « Io non sono idonea a realizzare i Tuoi piani, o Dio ». Ma, e questa è la cosa curiosa, Gesù non badò a questa mia invocazione, bensì mi illuminò e mi fece conoscere quanto Gli fosse gradita quell'opera; non prese in considerazione la mia debolezza, ma mi fece conoscere quante difficoltà dovevo superare. Ed io, Sua povera creatura, non seppi rispondere nient'altro che questo: « Non sono idonea, o Dio ».
30.VI.1935.
Il giorno dopo durante la S. Messa, subito all'inizio, vidi Gesù che era di una bellezza indescrivibile. Mi disse che esige che tale congregazione venga fondata al più presto e « Tu vivrai in essa con le tue compagne. Il Mio spirito sarà la regola della vostra vita. La vostra vita deve essere modellata su di Me, dalla mangiatoia alla morte in croce. Penetra nei Miei segreti e conoscerai l'abisso della Mia Misericordia verso le creature e la Mia bontà insondabile e questa farai conoscere al mondo. Per mezzo della preghiera farai da intermediaria fra la terra e il cielo». Era il momento di accostarsi alla S. Comunione. Gesù scomparve e vidi un grande bagliore. All'improvviso udii queste parole: «Ti impartiamo la Nostra benedizione » e in quell'attimo da quel bagliore usci un raggio chiaro, che mi trapassò il cuore ed un fuoco misterioso si accese nella mia anima. Pensavo di morire per la gioia e la felicità; sentivo il distacco dello spirito dal corpo; sentivo la totale immersione in Dio; sentivo che venivo rapita dall'Onnipotente, come un granellino di polvere verso spazi immensi e sconosciuti. Tremando di felicità nelle braccia del Creatore, sentivo che era Lui stesso che mi sosteneva, perché potessi sopportare quella grande felicità e guardare alla Sua Maestà. Ora so che, se prima non mi avesse fortificato Egli stesso con la grazia, la mia anima non avrebbe potuto sopportare quella felicità e in un attimo sarebbe sopraggiunta la morte. La santa Messa era finita non so quando, poiché non ero in condizioni di poter notare ciò che avveniva nella cappella. Però quando rientrai in me, sentii la forza ed il coraggio di compiere la volontà di Dio. Nulla mi sembrava difficile e, come prima mi rifiutavo davanti al Signore, così ora sento il coraggio e la forza del Signore che è in me e dissi al Signore: « Sono pronta ad ogni cenno della Tua volontà ». Sperimentai interiormente tutto ciò che dovrò passare in futuro. O mio Creatore e Signore, ecco hai tutto il mio essere. Disponi di me secondo il Tuo divino beneplacito, secondo i Tuoi disegni eterni e la Tua infinita Misericordia. Ogni anima riconosca quanto è buono il Signore; nessun'anima abbia timore di trattare familiarmente col Signore e non si sottragga per la Sua indegnità e non rinvii mai a dopo gli inviti di Dio, poiché questo al Signore non piace. Non c'è un'anima più misera di me, come veramente mi riconosco e sono stupita che la Maestà Divina si abbassi tanto. O Eternità, a mio parete sei troppo cotta per lodare a sufficienza l'infinita Misericordia del Signore. Una volta che l'immagine era stata esposta su un altare, in occasione della processione del Corpus Domini, quando il sacerdote posò il Santissimo Sacramento ed il coro cominciò a cantare, ad un tratto i raggi dall'immagine passarono attraverso l'Ostia Santa e si diffusero su tutto il mondo. Allora udii queste parole: « Attraverso te, come attraverso questa Ostia, passeranno i raggi della Misericordia sul mondo ». Dopo queste parole una grande gioia penetrò nella mia anima. Una volta che il mio confessore celebrava la S. Messa, come al solito vidi il Bambino Gesù sull'altare dal momento dell'offertorio. Ma un momento prima dell'elevazione il sacerdote scomparve alla mia vista e rimase Gesù e, quando fu il momento dell'elevazione, Gesù prese nelle Sue manine l'Ostia ed il calice e li alzò assieme e guardò verso il cielo e dopo un momento vidi di nuovo il mio confessore e domandai al Bambino Gesù dov'era stato il sacerdote durante il tempo che non l'avevo visto. E Gesù mi rispose: «Nel Mio Cuore». E non riuscii a capire altro di quelle parole di Gesù. Una volta sentii queste parole: «Desidero che tu viva secondo la Mia volontà fin nei più segreti recessi della tua anima ». Cominciai a riflettere su quelle parole che mi avevano colpito fino al profondo del cuore. Quel giorno c'era la confessione della comunità. Quando andai a confessarmi, dopo che mi ero accusata dei peccati, quel sacerdote mi ripeté le stesse parole che poco prima mi aveva detto il Signore. Quel sacerdote mi disse queste parole profonde, che ci sono tre gradi nell'adempimento della volontà di Dio: il primo si ha quando l'anima fa tutto ciò che è notoriamente compreso nei comandamenti e nei precetti; il secondo si ha quando l'anima ascolta le ispirazioni interiori e le mette in pratica; il terzo grado è quello in cui l'anima, abbandonatasi alla volontà di Dio, lascia a Dio la libertà di disporre di lei e Dio fa con lei quello che Gli piace; in breve è uno strumento docile nelle mani di Lui. E quel sacerdote mi disse che io ero al secondo grado nell'adempimento della volontà di Dio e che non avevo ancora il terzo grado, però avrei dovuto impegnarmi per raggiungere il terzo grado della divina volontà. Queste parole mi attraversarono l'anima da parte a parte. Vedo chiaramente che il Signore spesso fa conoscere al sacerdote quello che avviene nel profondo della mia anima. La cosa non mi stupisce affatto, anzi ringrazio il Signore che ha tali eletti. Giovedì. Adorazione notturna. Quando andai all'adorazione, fui subito investita dal bisogno di raccoglimento interiore e vidi Gesù legato alla colonna, spogliato delle Sue vesti e sottoposto subito alla flagellazione. Vidi quattro uomini che a turno sferzavano coi flagelli il Signore. Il cuore mi si fermava alla vista di quello strazio. Ad un tratto il Signore mi disse queste parole: « Ho una sofferenza ancora maggiore di quella che vedi ». E Gesù mi fece conoscere per quali peccati si sottopose alla flagellazione: sono i peccati impuri. Oh, che tremende sofferenze morali patì Gesù, quando si sottomise alla flagellazione! Improvvisamente Gesù mi disse: « Guarda e osserva il genere umano nella situazione attuale ». E in un attimo vidi cose tremende: i carnefici si allontanarono da Gesù, e si avvicinarono per flagellarLo altri uomini, che presero la sferza e sferzarono il Signore senza misericordia. Erano sacerdoti, religiosi e religiose ed i massimi dignitari della Chiesa, cosa che mi stupì molto; laici di diversa età e condizione; tutti scaricarono il loro veleno sull'innocente Gesù. Vedendo ciò il mio cuore precipitò in una specie di agonia. Quando Lo flagellarono i carnefici, Gesù taceva e guardava lontano; ma quando lo flagellarono le anime che ho menzionato sopra, Gesù chiuse gli occhi e dal Suo Cuore uscì un gemito represso, ma tremendamente doloroso. Ed il Signore mi fece conoscere nei particolari l'enorme malvagità di quelle anime ingrate: « Vedi, questo è un supplizio peggiore della Mia morte ». Tacquero allora le mie labbra e cominciai a provare su di me l'agonia e capivo che nessuno poteva consolarmi, né togliermi da quello stato, se non Colui che ad esso m'aveva condotto. Ed allora il Signore mi disse: « Vedo il dolore sincero del tuo cuore che ha procurato un immenso sollievo al Mio Cuore. Guarda ora e consolati ». E vidi Gesù inchiodato sulla croce. Dopo che Gesù era rimasto appeso per un momento, vidi tutta una schiera di anime crocifisse come Gesù. E vidi una terza schiera di anime ed una seconda schiera di anime. La seconda schiera non era inchiodata sulla croce, ma quelle anime tenevano saldamente la croce in mano. La terza schiera di anime invece non era né crocifissa né teneva la croce in mano, ma quelle anime trascinavano la croce dietro di sé ed erano insoddisfatte. Allora Gesù mi disse: « Vedi quelle anime, che sono simili a Me nella sofferenza e nel disprezzo: le stesse saranno simili a Me anche nella gloria. E quelle che assomigliano meno a Me nella sofferenza e nel disprezzo: le stesse assomiglieranno meno a Me anche nella gloria». La maggior parte delle anime crocifisse appartenevano allo stato religioso; fra le anime crocifisse ho visto anche delle anime che conosco, la qual cosa mi ha fatto molto piacere. Ad un tratto Gesù mi disse: « Nella meditazione di domani riflettersi su quello che hai visto oggi ». E Gesù scomparve immediatamente. Venerdì. Sono stata malata e non ho potuto andare alla S. Messa. Alle sette di mattina ho visto il mio confessore, che celebrava la S. Messa, durante la quale ho visto il Bambino Gesù. Verso la fine della S. Messa la visione è scomparsa e mi sono vista come prima nella mia cella. Ho provato una gioia indicibile per il fatto che, pur non avendo potuto assistere alla S. Messa nella nostra cappella, l'ho ascoltata da una chiesa molto lontana. Gesù può provvedere a tutto.
29.VI.1935.
Quando parlai col mio direttore spirituale delle varie cose che il Signore esigeva da me, pensavo che m'avrebbe risposto che non sono adatta a compiere simili cose e che Gesù non si serve di anime misere come sono io, per qualunque opera voglia compiere. Invece mi sentii dire che il più delle volte Dio sceglie proprio tali anime per realizzare i suoi disegni. Quel sacerdote però è guidato dallo Spirito di Dio; egli riuscì a scrutare nell'intimo della mia anima i più nascosti segreti che c'erano fra me e Dio, e di cui non gli avevo ancora mai parlato, e non gliene avevo parlato poiché io stessa non li avevo compresi bene ed il Signore non mi aveva detto chiaramente che gliene parlassi. Il segreto è questo, che Iddio esige che ci sia una congregazione che annunci la Misericordia di Dio al mondo e la impetri per il mondo. Quando quel sacerdote mi chiese se avessi avuto tali ispirazioni, risposi che ordini precisi non ne avevo avuti. Ma in quello stesso momento era penetrata una strana luce nella mia anima ed avevo capito che il Signore mi parlava per mezzo di lui. Mi ero difesa inutilmente dicendo che non avevo un ordine preciso, poiché verso la fine del colloquio vidi Gesù sulla soglia, nello stesso aspetto come è dipinto nell'immagine, che mi disse: « Desidero che ci sia una tale Congregazione ». La cosa durò un momento. Di questo però non parlai subito; anzi, avevo fretta di tornare a casa e ripetevo continuamente al Signore: « Io non sono idonea a realizzare i Tuoi piani, o Dio ». Ma, e questa è la cosa curiosa, Gesù non badò a questa mia invocazione, bensì mi illuminò e mi fece conoscere quanto Gli fosse gradita quell'opera; non prese in considerazione la mia debolezza, ma mi fece conoscere quante difficoltà dovevo superare. Ed io, Sua povera creatura, non seppi rispondere nient'altro che questo: « Non sono idonea, o Dio ».
30.VI.1935.
Il giorno dopo durante la S. Messa, subito all'inizio, vidi Gesù che era di una bellezza indescrivibile. Mi disse che esige che tale congregazione venga fondata al più presto e « Tu vivrai in essa con le tue compagne. Il Mio spirito sarà la regola della vostra vita. La vostra vita deve essere modellata su di Me, dalla mangiatoia alla morte in croce. Penetra nei Miei segreti e conoscerai l'abisso della Mia Misericordia verso le creature e la Mia bontà insondabile e questa farai conoscere al mondo. Per mezzo della preghiera farai da intermediaria fra la terra e il cielo». Era il momento di accostarsi alla S. Comunione. Gesù scomparve e vidi un grande bagliore. All'improvviso udii queste parole: «Ti impartiamo la Nostra benedizione » e in quell'attimo da quel bagliore usci un raggio chiaro, che mi trapassò il cuore ed un fuoco misterioso si accese nella mia anima. Pensavo di morire per la gioia e la felicità; sentivo il distacco dello spirito dal corpo; sentivo la totale immersione in Dio; sentivo che venivo rapita dall'Onnipotente, come un granellino di polvere verso spazi immensi e sconosciuti. Tremando di felicità nelle braccia del Creatore, sentivo che era Lui stesso che mi sosteneva, perché potessi sopportare quella grande felicità e guardare alla Sua Maestà. Ora so che, se prima non mi avesse fortificato Egli stesso con la grazia, la mia anima non avrebbe potuto sopportare quella felicità e in un attimo sarebbe sopraggiunta la morte. La santa Messa era finita non so quando, poiché non ero in condizioni di poter notare ciò che avveniva nella cappella. Però quando rientrai in me, sentii la forza ed il coraggio di compiere la volontà di Dio. Nulla mi sembrava difficile e, come prima mi rifiutavo davanti al Signore, così ora sento il coraggio e la forza del Signore che è in me e dissi al Signore: « Sono pronta ad ogni cenno della Tua volontà ». Sperimentai interiormente tutto ciò che dovrò passare in futuro. O mio Creatore e Signore, ecco hai tutto il mio essere. Disponi di me secondo il Tuo divino beneplacito, secondo i Tuoi disegni eterni e la Tua infinita Misericordia. Ogni anima riconosca quanto è buono il Signore; nessun'anima abbia timore di trattare familiarmente col Signore e non si sottragga per la Sua indegnità e non rinvii mai a dopo gli inviti di Dio, poiché questo al Signore non piace. Non c'è un'anima più misera di me, come veramente mi riconosco e sono stupita che la Maestà Divina si abbassi tanto. O Eternità, a mio parete sei troppo cotta per lodare a sufficienza l'infinita Misericordia del Signore. Una volta che l'immagine era stata esposta su un altare, in occasione della processione del Corpus Domini, quando il sacerdote posò il Santissimo Sacramento ed il coro cominciò a cantare, ad un tratto i raggi dall'immagine passarono attraverso l'Ostia Santa e si diffusero su tutto il mondo. Allora udii queste parole: « Attraverso te, come attraverso questa Ostia, passeranno i raggi della Misericordia sul mondo ». Dopo queste parole una grande gioia penetrò nella mia anima. Una volta che il mio confessore celebrava la S. Messa, come al solito vidi il Bambino Gesù sull'altare dal momento dell'offertorio. Ma un momento prima dell'elevazione il sacerdote scomparve alla mia vista e rimase Gesù e, quando fu il momento dell'elevazione, Gesù prese nelle Sue manine l'Ostia ed il calice e li alzò assieme e guardò verso il cielo e dopo un momento vidi di nuovo il mio confessore e domandai al Bambino Gesù dov'era stato il sacerdote durante il tempo che non l'avevo visto. E Gesù mi rispose: «Nel Mio Cuore». E non riuscii a capire altro di quelle parole di Gesù. Una volta sentii queste parole: «Desidero che tu viva secondo la Mia volontà fin nei più segreti recessi della tua anima ». Cominciai a riflettere su quelle parole che mi avevano colpito fino al profondo del cuore. Quel giorno c'era la confessione della comunità. Quando andai a confessarmi, dopo che mi ero accusata dei peccati, quel sacerdote mi ripeté le stesse parole che poco prima mi aveva detto il Signore. Quel sacerdote mi disse queste parole profonde, che ci sono tre gradi nell'adempimento della volontà di Dio: il primo si ha quando l'anima fa tutto ciò che è notoriamente compreso nei comandamenti e nei precetti; il secondo si ha quando l'anima ascolta le ispirazioni interiori e le mette in pratica; il terzo grado è quello in cui l'anima, abbandonatasi alla volontà di Dio, lascia a Dio la libertà di disporre di lei e Dio fa con lei quello che Gli piace; in breve è uno strumento docile nelle mani di Lui. E quel sacerdote mi disse che io ero al secondo grado nell'adempimento della volontà di Dio e che non avevo ancora il terzo grado, però avrei dovuto impegnarmi per raggiungere il terzo grado della divina volontà. Queste parole mi attraversarono l'anima da parte a parte. Vedo chiaramente che il Signore spesso fa conoscere al sacerdote quello che avviene nel profondo della mia anima. La cosa non mi stupisce affatto, anzi ringrazio il Signore che ha tali eletti. Giovedì. Adorazione notturna. Quando andai all'adorazione, fui subito investita dal bisogno di raccoglimento interiore e vidi Gesù legato alla colonna, spogliato delle Sue vesti e sottoposto subito alla flagellazione. Vidi quattro uomini che a turno sferzavano coi flagelli il Signore. Il cuore mi si fermava alla vista di quello strazio. Ad un tratto il Signore mi disse queste parole: « Ho una sofferenza ancora maggiore di quella che vedi ». E Gesù mi fece conoscere per quali peccati si sottopose alla flagellazione: sono i peccati impuri. Oh, che tremende sofferenze morali patì Gesù, quando si sottomise alla flagellazione! Improvvisamente Gesù mi disse: « Guarda e osserva il genere umano nella situazione attuale ». E in un attimo vidi cose tremende: i carnefici si allontanarono da Gesù, e si avvicinarono per flagellarLo altri uomini, che presero la sferza e sferzarono il Signore senza misericordia. Erano sacerdoti, religiosi e religiose ed i massimi dignitari della Chiesa, cosa che mi stupì molto; laici di diversa età e condizione; tutti scaricarono il loro veleno sull'innocente Gesù. Vedendo ciò il mio cuore precipitò in una specie di agonia. Quando Lo flagellarono i carnefici, Gesù taceva e guardava lontano; ma quando lo flagellarono le anime che ho menzionato sopra, Gesù chiuse gli occhi e dal Suo Cuore uscì un gemito represso, ma tremendamente doloroso. Ed il Signore mi fece conoscere nei particolari l'enorme malvagità di quelle anime ingrate: « Vedi, questo è un supplizio peggiore della Mia morte ». Tacquero allora le mie labbra e cominciai a provare su di me l'agonia e capivo che nessuno poteva consolarmi, né togliermi da quello stato, se non Colui che ad esso m'aveva condotto. Ed allora il Signore mi disse: « Vedo il dolore sincero del tuo cuore che ha procurato un immenso sollievo al Mio Cuore. Guarda ora e consolati ». E vidi Gesù inchiodato sulla croce. Dopo che Gesù era rimasto appeso per un momento, vidi tutta una schiera di anime crocifisse come Gesù. E vidi una terza schiera di anime ed una seconda schiera di anime. La seconda schiera non era inchiodata sulla croce, ma quelle anime tenevano saldamente la croce in mano. La terza schiera di anime invece non era né crocifissa né teneva la croce in mano, ma quelle anime trascinavano la croce dietro di sé ed erano insoddisfatte. Allora Gesù mi disse: « Vedi quelle anime, che sono simili a Me nella sofferenza e nel disprezzo: le stesse saranno simili a Me anche nella gloria. E quelle che assomigliano meno a Me nella sofferenza e nel disprezzo: le stesse assomiglieranno meno a Me anche nella gloria». La maggior parte delle anime crocifisse appartenevano allo stato religioso; fra le anime crocifisse ho visto anche delle anime che conosco, la qual cosa mi ha fatto molto piacere. Ad un tratto Gesù mi disse: « Nella meditazione di domani riflettersi su quello che hai visto oggi ». E Gesù scomparve immediatamente. Venerdì. Sono stata malata e non ho potuto andare alla S. Messa. Alle sette di mattina ho visto il mio confessore, che celebrava la S. Messa, durante la quale ho visto il Bambino Gesù. Verso la fine della S. Messa la visione è scomparsa e mi sono vista come prima nella mia cella. Ho provato una gioia indicibile per il fatto che, pur non avendo potuto assistere alla S. Messa nella nostra cappella, l'ho ascoltata da una chiesa molto lontana. Gesù può provvedere a tutto.
domenica 15 gennaio 2012
Fede e Testimonianza
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la pagina evangelica al cui centro vi sono i discepoli che decidono di rimanere con Gesù, attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:
Sappiamo tutti come il mondo vada in cerca di persone che sappiano trasmettere, non solo la bellezza della vita, ma anche quelle virtù nascoste che Dio ha certamente deposto in noi e che hanno bisogno di manifestarsi concretamente.
Non suscita, se non freddezza, chi nella vita in qualche modo non dà spettacolo di grandi valori. Ognuno di noi sente la necessità di essere quelli che davvero siamo, forse senza che ce ne accorgiamo: testimoni di quella bontà e bellezza che è l'immagine che Dio ha messo in noi con il Battesimo e dovrebbe essere composta nelle ferialità della fede e della vita.
L'uomo guarda all'apparenza e vuole apparire, tranne le persone umili che cercano di nascondere la bontà che abita nel loro cuore, ma ottenendo di fatto un effetto meraviglioso: è proprio quella umiltà che diventa luce per chi osserva. Ed è di questi fratelli e sorelle che sentiamo il bisogno che ci siano tra noi per trovare anche noi il coraggio di dare alla vita il suo vero senso, che nasce da quei valori e quella bellezza che deve risplendere in ciascun essere umano.
Fanno molto rumore i tanti che si affidano alla fama ed al successo nel mondo, ma è un successo che ha vita breve.
Suscita spesso tanta compassione quel modo di esprimersi per affermare una fama che è davvero basata sul niente: "Lo sai chi sono io?". Suscita compatimento, conoscendo quanto pietosi siamo agli occhi di Dio - ma proprio per questo da Lui tanto amati! - Lui, che è la vera bellezza che trasmette ai santi.
Ed è quello che racconta oggi il Vangelo, descrivendo l'inizio della missione di Gesù tra di noi, per indicare con la Parola e la vita la via per arrivare a essere figli di Dio.
"Il giorno dopo, Giovanni (il Battista) stava ancora là con due suoi discepoli e, fissando gli occhi su Gesù che passava, disse: 'Ecco l'agnello di Dio!'. I due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che Lo seguivano, disse: 'Chi cercate?'. Gli risposero: 'Rabbì (che significa Maestro), dove abiti?'. Disse loro: 'Venite e vedete'.
Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui: erano circa le quattro del pomeriggio.
Uno dei due, che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: 'Abbiamo trovato il Messia, che significa il Cristo, e lo condusse da Gesù'.
Gesù, fissando lo sguardo su di lui disse: 'Tu sei Simone, il figlio di Giovanni: ti chiamerai Cefa (che significa Pietro)' ". (Gv. 1,35-42)
Fa davvero impressione come Gesù attira i discepoli di Giovanni e subito li chiama.
Ma cosa aveva Pietro di tanto interessante, - come a volte pensiamo noi - da richiamare l'attenzione di Gesù che poi lo inviterà a seguirLo?
Una storia, quella di Pietro, fatta di grandezza d'animo, di generosità, ma anche di quella debolezza, tutta umana, che lo porterà, di fronte alla prova, nella passione di Gesù, per paura, a rinnegarne la conoscenza. Un errore che rivela tutta la fragilità, che è nella nostra natura, nonostante la nostra presunzione, e che Pietro riscatterà solo dopo la resurrezione, quando, a Gesù che gli chiedeva" Mi ami?", per tre volte, senza esitare risponderà: "Signore tu lo sai che ti voglio bene", cancellando il suo errore e ricevendo così da Gesù, quasi a ricambiare questo amore ormai saldo e fedele, la missione di guidare la Sua Chiesa.
Episodi che richiamano alla nostra mente la nostra generosità, quando affermiamo la nostra fede e amore a Dio, ma nello stesso tempo, anche quando, di fronte alla necessità, ci comportiamo come Pietro. Ma guardando proprio a lui, sappiamo che possiamo sempre ravvederci, rinnovando il nostro amore a Cristo, con sincerità e umiltà di cuore: "Signore, tu sai che ti voglio bene, anche se sono povero e miserò.
Viene alla memoria l'incontro che ebbi con Madre Teresa di Calcutta, in una assemblea di giovani. Alla domanda che le venne fatta se, tornando per ipotesi indietro e sapendo delle difficoltà che avrebbe incontrato, avrebbe ancora seguito la chiamata di Gesù, dopo una lunga pausa di silenzio rispose: "Gli direi di no". Un 'no' che fu come un gelo calato su quel migliaio di giovani. Attendevano una risposta che andasse contro le paure della vita per seguire Gesù o un ideale, e la risposta non era quella che si erano aspettati.
Ricordo che, stando a fianco della Madre, anch'io fui allibito, senza riuscire a comprendere la sua risposta, perché davo per scontato un eroico "sì" da lei.
Di fronte alla sgomento di tutti, le chiesi se aveva capito bene la domanda. Serena mi rispose di "sì". Ci fu un silenzio strano nell'assemblea, il silenzio che non si arrende ad un sogno che abbiamo tutti, di riuscire nel bene a superare le inevitabili difficoltà. Dopo qualche attimo di riflessione, che parve un'eternità, Madre Teresa, con uno straordinario sorriso, diede una risposta, che fa risuonare quella di Pietro a Gesù: 'Ma Gli voglio tanto bene che Gli direi di sì'.
E' l'atteggiamento di tantissimi martiri, anche oggi, che di fronte alle minacce per la professione di fede, non hanno paura delle sofferenze che li attendono, accolte come lo scambio di un amore che non conosce difficoltà e confini.
Proviamo davvero un senso di vergogna pensando alla nostra povera fede o amore a Dio, noi, che Gli voltiamo le spalle per un nulla o per una difficoltà.
Siamo spesso così lontani dall'essere testimoni che possono attirare i fratelli!
"L'uomo contemporaneo - affermava Paolo VI - ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o se ascolta i maestri è perché questi sono testimoni. L'uomo contemporaneo, impegnato nella conquista della materia, ha fame d'altro, e prova una strana solitudine. Il cristiano, consacrato a Cristo, conosce un mistero: il mistero di Dio che invita l'uomo a una partecipazione di vita in comunione senza fine con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Oggigiorno più che mai occorrono testimoni dell'invisibile. Gli uomini del nostro tempo sono degli esseri fragili che conoscono facilmente l'insicurezza, la paura, l'angoscia. I nostri fratelli hanno bisogno di incontrare altri fratelli che irradiano la serenità, la gioia, la speranza, malgrado le prove e le contraddizioni dalle quali essi stessi sono colpiti. Le nuove generazioni sono particolarmente assetate di sincerità, di verità, di autenticità. Hanno orrore del fariseismo sotto tutte le forme. Il mondo insomma ha bisogno di santi'
(Paolo VI, Ottobre 1974)
Ed è bello sia così. Ed è da questa realtà, che non possiamo - nessuno - ignorare, che occorre dare alla vita feriale quel sapore di bontà, di fede vera e concreta, facendoci prendere mano da Gesù, perché sia Lui, e Lui solo, a guidarci.
Vivere alla giornata, affidandoci al nulla che la vita offre, non è sopportabile.
E' necessario che tutti ci lasciamo riempire dalla necessità di dare al nostro vivere feriale il sapore della fede vissuta e di una santità ricercata, che è poi vivere con Gesù, immersi nella Sua Presenza e Grazia. Ma occorre avere la prontezza a rispondere a Dio che ci invita con segni inequivocabili a seguirLo, come è nel racconto di Samuele:
"In quel giorno, Samuele era coricato nel tempio del Signore dove si trovava l'arca di Dio. Allora il Signore lo chiamò: 'Samuele!'. E Samuele rispose: 'Eccomi!', poi corse da Eli e gli disse: 'Mi hai chiamato, eccomi!'. Egli rispose: 'No, non ti ho chiamato, torna a dormire!'. Tornò a dormire. Ma Dio lo chiamò una seconda volta e si ripeté la prontezza di Samuele.
"Per la terza volta il Signore tornò a chiamare: 'Samuele!'. Questi si alzò ancora e andò da Eli dicendo: 'Mi hai chiamato, eccomi!'. Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovanetto e disse a Samuele: 'Vattene a dormire e se ti chiamerà ancora dirai: 'Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascoltà? Samuele acquistò autorità, perché il Signore era con lui è lasciò andare a vuoto una sola delle Sue parole" (Sam. 3, 3-19)
Con santa Faustina preghiamo:
Da oggi la tua volontà, Signore, è il mio nutrimento.
Hai tutto il mio essere, disponi di me secondo i tuoi divini intendimenti.
Qualunque cosa mi porgerà la Tua mano patema, l'accetterò con gioia.
Non temo nulla, in qualunque modo vorrai guidarmi, e, con l'aiuto della Tua grazia, eseguirò tutto quello che vorrai da me.
Sappiamo tutti come il mondo vada in cerca di persone che sappiano trasmettere, non solo la bellezza della vita, ma anche quelle virtù nascoste che Dio ha certamente deposto in noi e che hanno bisogno di manifestarsi concretamente.
Non suscita, se non freddezza, chi nella vita in qualche modo non dà spettacolo di grandi valori. Ognuno di noi sente la necessità di essere quelli che davvero siamo, forse senza che ce ne accorgiamo: testimoni di quella bontà e bellezza che è l'immagine che Dio ha messo in noi con il Battesimo e dovrebbe essere composta nelle ferialità della fede e della vita.
L'uomo guarda all'apparenza e vuole apparire, tranne le persone umili che cercano di nascondere la bontà che abita nel loro cuore, ma ottenendo di fatto un effetto meraviglioso: è proprio quella umiltà che diventa luce per chi osserva. Ed è di questi fratelli e sorelle che sentiamo il bisogno che ci siano tra noi per trovare anche noi il coraggio di dare alla vita il suo vero senso, che nasce da quei valori e quella bellezza che deve risplendere in ciascun essere umano.
Fanno molto rumore i tanti che si affidano alla fama ed al successo nel mondo, ma è un successo che ha vita breve.
Suscita spesso tanta compassione quel modo di esprimersi per affermare una fama che è davvero basata sul niente: "Lo sai chi sono io?". Suscita compatimento, conoscendo quanto pietosi siamo agli occhi di Dio - ma proprio per questo da Lui tanto amati! - Lui, che è la vera bellezza che trasmette ai santi.
Ed è quello che racconta oggi il Vangelo, descrivendo l'inizio della missione di Gesù tra di noi, per indicare con la Parola e la vita la via per arrivare a essere figli di Dio.
"Il giorno dopo, Giovanni (il Battista) stava ancora là con due suoi discepoli e, fissando gli occhi su Gesù che passava, disse: 'Ecco l'agnello di Dio!'. I due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che Lo seguivano, disse: 'Chi cercate?'. Gli risposero: 'Rabbì (che significa Maestro), dove abiti?'. Disse loro: 'Venite e vedete'.
Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui: erano circa le quattro del pomeriggio.
Uno dei due, che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: 'Abbiamo trovato il Messia, che significa il Cristo, e lo condusse da Gesù'.
Gesù, fissando lo sguardo su di lui disse: 'Tu sei Simone, il figlio di Giovanni: ti chiamerai Cefa (che significa Pietro)' ". (Gv. 1,35-42)
Fa davvero impressione come Gesù attira i discepoli di Giovanni e subito li chiama.
Ma cosa aveva Pietro di tanto interessante, - come a volte pensiamo noi - da richiamare l'attenzione di Gesù che poi lo inviterà a seguirLo?
Una storia, quella di Pietro, fatta di grandezza d'animo, di generosità, ma anche di quella debolezza, tutta umana, che lo porterà, di fronte alla prova, nella passione di Gesù, per paura, a rinnegarne la conoscenza. Un errore che rivela tutta la fragilità, che è nella nostra natura, nonostante la nostra presunzione, e che Pietro riscatterà solo dopo la resurrezione, quando, a Gesù che gli chiedeva" Mi ami?", per tre volte, senza esitare risponderà: "Signore tu lo sai che ti voglio bene", cancellando il suo errore e ricevendo così da Gesù, quasi a ricambiare questo amore ormai saldo e fedele, la missione di guidare la Sua Chiesa.
Episodi che richiamano alla nostra mente la nostra generosità, quando affermiamo la nostra fede e amore a Dio, ma nello stesso tempo, anche quando, di fronte alla necessità, ci comportiamo come Pietro. Ma guardando proprio a lui, sappiamo che possiamo sempre ravvederci, rinnovando il nostro amore a Cristo, con sincerità e umiltà di cuore: "Signore, tu sai che ti voglio bene, anche se sono povero e miserò.
Viene alla memoria l'incontro che ebbi con Madre Teresa di Calcutta, in una assemblea di giovani. Alla domanda che le venne fatta se, tornando per ipotesi indietro e sapendo delle difficoltà che avrebbe incontrato, avrebbe ancora seguito la chiamata di Gesù, dopo una lunga pausa di silenzio rispose: "Gli direi di no". Un 'no' che fu come un gelo calato su quel migliaio di giovani. Attendevano una risposta che andasse contro le paure della vita per seguire Gesù o un ideale, e la risposta non era quella che si erano aspettati.
Ricordo che, stando a fianco della Madre, anch'io fui allibito, senza riuscire a comprendere la sua risposta, perché davo per scontato un eroico "sì" da lei.
Di fronte alla sgomento di tutti, le chiesi se aveva capito bene la domanda. Serena mi rispose di "sì". Ci fu un silenzio strano nell'assemblea, il silenzio che non si arrende ad un sogno che abbiamo tutti, di riuscire nel bene a superare le inevitabili difficoltà. Dopo qualche attimo di riflessione, che parve un'eternità, Madre Teresa, con uno straordinario sorriso, diede una risposta, che fa risuonare quella di Pietro a Gesù: 'Ma Gli voglio tanto bene che Gli direi di sì'.
E' l'atteggiamento di tantissimi martiri, anche oggi, che di fronte alle minacce per la professione di fede, non hanno paura delle sofferenze che li attendono, accolte come lo scambio di un amore che non conosce difficoltà e confini.
Proviamo davvero un senso di vergogna pensando alla nostra povera fede o amore a Dio, noi, che Gli voltiamo le spalle per un nulla o per una difficoltà.
Siamo spesso così lontani dall'essere testimoni che possono attirare i fratelli!
"L'uomo contemporaneo - affermava Paolo VI - ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o se ascolta i maestri è perché questi sono testimoni. L'uomo contemporaneo, impegnato nella conquista della materia, ha fame d'altro, e prova una strana solitudine. Il cristiano, consacrato a Cristo, conosce un mistero: il mistero di Dio che invita l'uomo a una partecipazione di vita in comunione senza fine con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Oggigiorno più che mai occorrono testimoni dell'invisibile. Gli uomini del nostro tempo sono degli esseri fragili che conoscono facilmente l'insicurezza, la paura, l'angoscia. I nostri fratelli hanno bisogno di incontrare altri fratelli che irradiano la serenità, la gioia, la speranza, malgrado le prove e le contraddizioni dalle quali essi stessi sono colpiti. Le nuove generazioni sono particolarmente assetate di sincerità, di verità, di autenticità. Hanno orrore del fariseismo sotto tutte le forme. Il mondo insomma ha bisogno di santi'
(Paolo VI, Ottobre 1974)
Ed è bello sia così. Ed è da questa realtà, che non possiamo - nessuno - ignorare, che occorre dare alla vita feriale quel sapore di bontà, di fede vera e concreta, facendoci prendere mano da Gesù, perché sia Lui, e Lui solo, a guidarci.
Vivere alla giornata, affidandoci al nulla che la vita offre, non è sopportabile.
E' necessario che tutti ci lasciamo riempire dalla necessità di dare al nostro vivere feriale il sapore della fede vissuta e di una santità ricercata, che è poi vivere con Gesù, immersi nella Sua Presenza e Grazia. Ma occorre avere la prontezza a rispondere a Dio che ci invita con segni inequivocabili a seguirLo, come è nel racconto di Samuele:
"In quel giorno, Samuele era coricato nel tempio del Signore dove si trovava l'arca di Dio. Allora il Signore lo chiamò: 'Samuele!'. E Samuele rispose: 'Eccomi!', poi corse da Eli e gli disse: 'Mi hai chiamato, eccomi!'. Egli rispose: 'No, non ti ho chiamato, torna a dormire!'. Tornò a dormire. Ma Dio lo chiamò una seconda volta e si ripeté la prontezza di Samuele.
"Per la terza volta il Signore tornò a chiamare: 'Samuele!'. Questi si alzò ancora e andò da Eli dicendo: 'Mi hai chiamato, eccomi!'. Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovanetto e disse a Samuele: 'Vattene a dormire e se ti chiamerà ancora dirai: 'Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascoltà? Samuele acquistò autorità, perché il Signore era con lui è lasciò andare a vuoto una sola delle Sue parole" (Sam. 3, 3-19)
Con santa Faustina preghiamo:
Da oggi la tua volontà, Signore, è il mio nutrimento.
Hai tutto il mio essere, disponi di me secondo i tuoi divini intendimenti.
Qualunque cosa mi porgerà la Tua mano patema, l'accetterò con gioia.
Non temo nulla, in qualunque modo vorrai guidarmi, e, con l'aiuto della Tua grazia, eseguirò tutto quello che vorrai da me.
venerdì 13 gennaio 2012
Questa è la nostra fede - XI parte
Continuiamo l'approfondita analisi del documento pastorale della CEI "Questa è la nostra fede": oggi il punto riguarda la pedagogia della fede e soprattutto il ruolo delle Parrocchie nel curare la vita di fede non solo di chi frequenta regolarmente, ma anche e sopratutto di chi è lontano o frequenta solo per convenzione:
IV. “NOI LO ANNUNCIAMO A VOI”
20. Struttura dell’annuncio e pedagogia della fedePer quanto riguarda la struttura essenziale del primo annuncio, è opportuno tenere presenti alcuni elementi irrinunciabili: la testimonianza della carità, come via privilegiata per l’evangelizzazione, sostenuta da una fede matura e consapevole; il dialogo schietto e cordiale con le persone, per far emergere interessi, interrogativi, ansie e speranze, riflessioni e giudizi, che confluiscono nel desiderio di dare o ridare un senso alla vita; la narrazione dell’evento pasquale come la vera, efficace “buona notizia” per colui che la comunica e colui che la riceve, per l’uomo di oggi e di sempre; la promessa del dono dello Spirito e della sicura efficacia del messaggio della Pasqua anche nella vita dell’ascoltatore, se esso verrà accettato nella fede; l’esortazione ad aderire al messaggio cristiano consegnandosi a Cristo liberamente, totalmente, senza riserve e senza rimpianti; l’indicazione della via da seguire fino ad arrivare al battesimo o alla sua riscoperta, per entrare o rientrare nella Chiesa e seguire un percorso di catechesi e di conversione permanente.
La pedagogia della fede terrà nel debito conto tutte quelle attenzioni e gli atteggiamenti conseguenti, ispirati al comportamento di Cristo: l’accoglienza dell’altro come persona amata e cercata da Dio; l’annuncio schietto e lieto del Vangelo; uno stile di benevolenza sincera, rispettosa e cordiale; l’impiego intelligente di tutte le risorse della comunicazione interpersonale. La prima trasmissione del messaggio cristiano richiede inoltre che ci si attenga a quei criteri fondamentali che fanno parte del tesoro di pedagogia della fede, acquisito dalla Chiesa lungo i secoli: l’attenzione alla segreta azione dello Spirito Santo, primo e insostituibile Maestro che guida alla verità tutta intera, il protagonista di tutta la missione ecclesiale; la cura della relazione interpersonale e del processo del dialogo; la fedeltà a Dio e la fedeltà all’uomo in uno stesso atteggiamento di amore; l’attenzione a non entrare mai nel giudizio delle coscienze, ricordando le parole di san Paolo: «Accogliete chi è debole nella fede, senza discuterne le esitazioni» (Rm 14,1) e ancora: «Esaminate voi stessi, se siete nella fede» (2Cor 13,5).
21. Il ministero del vescovo e la coscienza missionaria della parrocchia
In quanto successori degli apostoli, testimoni oculari e araldi diretti del Risorto, i vescovi sono i primi annunciatori del Vangelo pasquale, come indica il rito dell’imposizione dell’evangeliario nella liturgia di ordinazione episcopale. A loro è rivolto l’invito: «Annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno» (2Tm 4,2); essi hanno il compito e di far risuonare nella propria Chiesa particolare il messaggio della Pasqua, in modo che raggiunga non solo i credenti, ma anche i non cristiani o coloro che, pur battezzati, dopo un periodo di lontananza, desiderano “ricominciare” un cammino di riscoperta della fede, come indicato nella terza nota sull’iniziazione cristiana[38]. In questo senso la visita pastorale, che ogni vescovo è tenuto a fare almeno ogni cinque anni per tutta la diocesi,[39] costituisce una valida occasione per tenere alta la coscienza missionaria e l’effettiva capacità evangelizzatrice di ogni comunità parrocchiale.
La parrocchia, a sua volta, dovrà porre un’attenzione particolare per curare la vita di fede di quanti già sperimentano la bellezza della vita cristiana, senza però dimenticare quanti non incrociano più i suoi percorsi, come pure senza trascurare mai coloro che frequentano più per convenzione sociale che per convinzione profonda e consapevole. «L’esperienza pastorale attesta, infatti, che non si può sempre supporre la fede in chi ascolta. Occorre ridestarla in coloro nei quali è spenta, rinvigorirla in coloro che vivono nell’indifferenza, farla scoprire con impegno personale alle nuove generazioni e continuamente rinnovarla in quelli che la professano senza sufficiente convinzione o la espongono a grave pericolo. Anche i cristiani ferventi, del resto, hanno sempre bisogno di ascoltare l’annuncio delle verità e dei fatti fondamentali della salvezza e di conoscerne il senso radicale, che è la “lieta novella” dell’amore di Dio»[40]. La parrocchia assolverà questo compito, innervando di primo annuncio tutte le azioni pastorali: la catechesi, che non potrà non cominciare o ripartire dalla prima evangelizzazione e dovrà sempre ricondurre al cuore vitale del messaggio cristiano; la celebrazione eucaristica, in cui si annuncia la morte del Signore, si proclama la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta; l’omelia, parte della stessa liturgia, che ha tra le sue finalità principali quella di condurre i fedeli a rinnovare l’atto di fede; la testimonianza della carità, perché a tutti, soprattutto ai più bisognosi, sia annunciato il Vangelo della carità e insieme venga comunicata a tutti la carità del Vangelo.
Se quindi sarà soprattutto la vita ordinaria della parrocchia a mostrare come in essa rimanga sempre accesa la lampada dell’annuncio pasquale, andranno anche ripensate con fantasia pastorale le tradizionali occasioni straordinarie – come feste, pellegrinaggi, centri di ascolto del Vangelo, visita pasquale alle famiglie – perché la luce di Cristo risorto raggiunga, possibilmente, il cuore di tutti coloro che vivono e operano nel territorio.
giovedì 12 gennaio 2012
Alle sorgenti della Pietà - XXIV parte
Torniamo a meditare con l'opera di don Luigi Fusina che ha raccolto alcune meditazioni rivolte a semplici fedeli e capaci di sollecitare in loro un senso di meditazione e riflessione sulle grandi verità che generano nell'anima la vera pietà cristiana:
I1 tema dello Spirito Santo che porta in noi la vita è così vasto e così importante che occorrerebbero molti incontri per esaurirne la portata.
Abbiamo visto come il cristiano abbia ricevuto da Dio, mediante la fede in Cristo, una vita nuova che lo fa figlio di Dio. E' Gesù stesso che viene a vivere in lui mediante l'azione salvatrice e santificatrice dello Spirito Santo. Per farci capire meglio questa realtà, Gesù usa paragonare se stesso alla vite e noi ai tralci (cfr Gv 15). Appare così evidente l'intima unione dei credenti con Lui e come un'unica linfa vitale scorra da Lui in noi, una linfa che ci rende capaci di produrre frutti di santità. Questa linfa è immagine dello Spirito Santo che ci è stato donato. Egli ha il compito di far maturare la nostra esistenza cristiana rendendola capace di produrre in noi come frutto il carattere di Gesù, ossia la sua immagine spirituale. Così il cristiano maturo è simile a Gesù: un altro Cristo.
IL FRUTTO DELLO SPIRITO
S. Paolo, nella lettera ai Galati, ci svela quale sia il frutto dello Spirito Santo: "Il frutto dello Spirito Santo in noi è: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, dolcezza, dominio di sè" (Gal 5,22). E' come se dicesse: `Eo Spirito Santo produce in noi le caratteristiche spirituali di Gesù, che sono: amore, gioia, pace ecc. ".
Accade spesso che parlando di qualcuno diciamo: E' tutto suo padre! Ha lo stesso carattere, la stessa intelligenza, la stessa passione di suo padre! Ebbene lo Spirito Santo tende a produrre in noi le stesse caratteristiche spirituali che sono in Gesù, cosicché guardandoci, ognuno, possa dire: è tutto Gesù! E' simile a Gesù! Soprattutto è il Padre Celeste che dovrebbe dire così guardando ciascuno di noi!
Ma è possibile tutto questo? Certo che è possibile! Ed, è logico, anche! Infatti non è logico che da un melo si producano mele e da un pesco si producano pesche? E' nella natura del melo produrre mele ed è nella natura del pesco . produrre pesche. Ogni albero produce frutti secondo la propria specie. E' naturale che nascano animali da coppie di animali. Nessuno si pone la domanda: è possibile? Perché è logico, è naturale che sia così!
Perché allora ci poniamo la domanda quando si tratta del frutto dello Spirito Santo? Non è stato lo Spirito Santo a produrre Gesù, il Figlio di Dio incarnato nel seno di Maria Vergine? Dove c'è lo Spirito, lì è naturale che ci sia il frutto, cioè il Cristo! Per questo infatti esso ci è stato dato dal Padre! Ma l'esperienza - direte voi - ci mostra il contrario: noi vediamo ogni momento dei cristiani che non assomigliano affatto a Gesù, anzi agiscono spesso in pieno contrasto con il suo Vangelo. Noi stessi poi constatiamo di giorno in giorno come ben altri siano i frutti della nostra vita: invidie, gelosie, cattiverie, peccati di ogni genere. Ciò vorrebbe significare che in noi non c'è lo Spirito? No! Lo Spirito c'è e la Parola di Dio ce ne rende sicuri: "Chi ha sete venga a me e chi crede in me beva. Una sorgente d'acqua pura zampillerà in vita eterna dal suo seno!" (cfr Gv 7,37-38). Sono parole di Gesù! "Voi siete il tempio di Dio - scrive S. Paolo - e lo Spirito Santo abita in voi!" (1Cor 3,16).
Perché allora non troviamo in noi il frutto dello Spirito, mentre troviamo i frutti del peccato? La risposta ci viene dalla Bibbia, come sempre, e precisamente dalla Lettera ai Galati. In essa S. Paolo ci insegna come in noi ci siano due forze potenti: la forza dell'Egoismo e la forza dello Spirito Santo. La forza dell'Egoismo ha la sua radice nella carne, ossia nella nostra natura corrotta. Fino a quando non moriremo la forza dell'Egoismo vivrà con noi ed in noi. Quando moriremo, essa pure morirà e noi risorgeremo trasformati, diversi, in tutto simili a Gesù. Allora resterà in noi solo la forza dello Spirito.
Fino a quel momento però noi dobbiamo lottare contro l'egoismo per mortificarlo per dominarlo, per assoggettarlo alla forza dello Spirito. In ogni istante ed in ogni circostanza noi siamo arbitri di una grande lotta tra queste due forze e spetta a noi scegliere l'una o l'altra. Se lo, Spirito non produce il suo frutto di santità è solo perché noi diamo corda all'egoismo e mortifichiamo lo Spirito. Lo Spirito è l'ospite divino dell'anima. Spesso però è più prigioniero che ospite in quanto Gli impediamo di agire, non Lo ascoltiamo, non seguiamo i suoi consigli, non chiediamo il suo aiuto (cfr Gal 5).
A questo punto penso che ognuno di noi abbia fatto un rapido esame di coscienza e riconosca umilmente di tenere imprigionato lo Spirito, mentre lascia scorrazzare liberamente il proprio egoismo. Che fare? E' semplice: liberate lo Spirito Santo dalla prigione in cui l'avete confinato. Allora Egli agirà in voi e voi produrrete il frutto della santificazione. Ebbene la liberazione dello Spirito può essere fatta in vari modi. Io voglio insegnarvene uno. Nella mia esperienza l'ho trovato molto efficace. Qualcuno chiama questa liberazione dello Spirito battesimo nello Spirito Santo; qualche altro preferisce il termine effusione dello Spirito Santo. Così preferisce dire la Chiesa.
Si tratta di parole diverse per indicare un'unica realtà: non si tratta di ricevere in noi lo Spirito, perché esso ci è stato donato dal Signore quando siamo diventati cristiani. Si tratta di liberare lo Spirito che è in noi, affidandogli la guida della nostra vita ed il potere assoluto sulla nostra persona e ciò avviene mediante un libero atto della nostra volontà illuminata dalla fede. Lo Spirito è pronto a prendere in mano la situazione della nostra esistenza, ma vuole il nostro consenso incondizionato.
Vi racconto una storia che vi illustrerà meglio questo concetto. C'era un piccolo industriale a cui le faccende andavano piuttosto male. Allora pensò di associarsi un amico verso il quale aveva una grande stima. L'amico accettò di entrare in società con lui, ma gli fece un discorso molto serio: "lo ti sono amico e ti voglio bene - gli disse - Ho di te molta stima per quel che riguarda la tua. onestà, ma devo sinceramente dírti che non vali molto come industriale: non hai fiuto, non hai coraggio, non hai capacità amministrative. Io accetto di aiutarti, ma ad una condizione ben chiara: firmami una carta con la quale affidi a me la direzione dell'impresa senza alcuna riserva. Se fai questo, ti prometto che in poco tempo farò rifiorire la tua industria". Quell'uomo rimase perplesso: si trattava di un grande atto di fiducia che gli veniva richiesto: un atto in cui si giocava tutta la sua vita! Non mancarono perciò dubbi, incertezze, paure: ma la fiducia nel suo amico fu così grande che gli fece superare ogni remora e firmò la carta. Da quel momento l'industria, guidata da mani esperte, rifiorì ed egli cominciò ben presto a goderne i frutti.
CAMMINARE NELLO SPIRITO
Cari amici, lo Spirito Santo ci fa, più o meno, lo stesso discorsetto: “Vuoi vedere nella tua vita il frutto della santificazione? Allora non c'è che un mezzo. Tirati da parte e lasciami agire. Non mettermi bastoni tra le ruote, non riservarti nulla, ma affidati totalmente a me. Lasciati condurre da me e toccherai ben presto con le tue mani il mio frutto”.
Troppo semplice, direte voi! Sì semplice, perché è semplice il Vangelo, ma non facile! Semplice è una cosa, facile un'altra. Infatti se è semplice capire come la soluzione consista nell'affidare al Signore tutta la nostra vita, non è facile per noi tirarci da parte! Quante persone, anche religiose ed impegnate nella pastorale, si consacrano al Signore e poi si riprendono, tutto od in parte, quanto hanno donato: la volontà, il cuore, la vita! Bisogna invece che facciamo come ha fatto Maria: Essa si è affidata senza riserva a Dio, ma ha vissuto tutta la sua esistenza in questa fede assoluta. Ha detto: "Si faccia di me secondo la Tua Parola" ed è stata coerente fino alla croce, lasciando che Dio operasse in Lei, senza mai tentare di far qualcosa di suo, di autonomo, ma agendo sempre come ancella del Signore! Lo Spirito Santo ha trovato in lei la disponibilità più radicale e ha prodotto in lei la pienezza del suo frutto, Cristo Signore. Inoltre Egli ha fatto di lei l'immagine vivente della sua "sposa", cioè della persona che si dona e si lascia possedere totalmente nell'amore. Se vogliamo essere anche noi ripieni di Spirito Santo e portare frutti di salvezza e di santità, dobbiamo fare come Maria: dobbiamo affidare al Signore tutta la nostra vita, senza riserva alcuna. Non si tratta però di un gesto unico, delimitato nel tempo e nello spazio, ma di un gesto continuo. Infatti noi viviamo in una successione di momenti, non in un momento fisso.
Perciò dobbiamo ripetere spesso, ad ogni nuova situazione, la nostra fede ed il nostro abbandono allo Spirito. E' un cammino di crescita fino al giorno in cui questo possesso di noi da parte del Signore sarà completo e definitivo.
In pratica vi consiglio di fare queste cose.
1 - Confessare i vostri peccati e tutto ciò che blocca in voi l'azione dello Spirito Santo. Finché c'è in voi qualcosa, per piccola che sia, che lo Spirito detesta e che voi invece amate, non potrete esser riempiti di Spirito Santo. Bisogna buttare fuori tutto, mettendolo davanti al Signore, riconoscendolo lealmente come male nello stesso modo in cui lo riconosce Dio: pensieri, affetti, azioni, omissioni, sentimenti cattivi... Non dovete nascondere nulla, non dovete tenere il cuore attaccato a nulla che sia male agli occhi di Dio! Non è necessario che facciate sacramentalmente questa confessione generale se avete la certezza morale di essere già stati assolti dai vostri peccati. Basterà che li confessiate di nuovo davanti a Dio in quanto volete sciogliere ogni legame che ancora vi ricollega ad essi.
Questa confessione a Dio ripetetela spesso, ogni giorno. Oltretutto sarà un'ottima preparazione alla riconciliazione sacramentale che è doveroso fare dopo ogni colpa grave ed è bene fare con una certa regolarità anche se non vi sono peccati mortali.
2 - Accettate Gesù come vostro Salvatore e Signore. In altre parole affidate la vostra salvezza e la vostra vita a Gesù consacrandola al suo servizio. Molti sono cristiani soltanto perché sono stati battezzati, ma non hanno mai affidato la loro vita al Signore affinché ne usi secondo la sua amorevole volontà. Si tratta di un grosso atto di fede perché con questo atto voi mettete nelle sue mani tutta la vostra esistenza, senza alcuna riserva. Anche questo atto va ripetuto spesso, non tanto perché Dio abbia bisogno di sentirselo ripetere, ma perché, come ho detto prima, cambia continuamente la situazione in cui viviamo ed è giusto che ogni nuova situazione sia affidata anche esplicitamente al Signore Gesù, alla sua Croce, alla sua Risurrezione, al suo Spirito.
3 - Infine spalancate le porte e le finestre al Soffio Santo di Dio, alla Terza Persona della Ss.ma Trinità affinché prenda possesso della vostra mente, del vostro cuore, dei vostri sensi, della vostra vita intera. Allora la potenza dello, Spirito vi invaderà e comincerà ad operare in voi! Attenti però a non misurare l'azione dello Spirito con il metro delle emozioni o dei sentimenti. C'è un abisso tra le due realtà. Le emozioni ed i sentimenti appartengono al mondo materiale, mentre l'azione dello Spirito appartiene al mondo spirituale e si può cogliere solo per fede! Una volta che abbiate compiuto i tre gesti di cui vi ho parlato, voi dovete camminare nella fede, cioè lasciarvi guidare unicamente dalla Parola di Dio. Uno dei primi frutti dello Spirito sarà proprio quello che Gesù fece ai suoi apostoli la sera di Pasqua: "Aprì le loro menti perché intendessero il senso delle scritture!" (Lc 24,45). Sarà la Parola di Dio, soprattutto le Promesse del Signore, che dovranno guidarvi d'ora in poi. Dovrete fondare la vostra certezza non su quello che voi provate o sentite, ma su quello che Dio afferma e promette.
Vi dice Egli "lo son con voi ogni giorno"? Ebbene voi dovete essere certi che Egli è realmente con voi oggi, ora, in questa circostanza. Come è possibile mettere in dubbio la Parola del Signore?
Lo Spirito vi aiuterà in questo cammino di fede e vi offre anche un punto certo di riferimento e di verifica: il Magistero ed il Ministero della Chiesa! "Conferma nella fede i tuoi fratelli" ha detto Gesù a Pietro (Lc 22,31)! Il nostro cammino nello Spirito Santo sarà sicuro solo se in armonia continua con "coloro che lo Spirito ha posto quali ministri della sua Chiesa" (cfr Atti 20,28).
Ecco, cari amici, quanto volevo dirvi a proposito dello Spirito Santo che è vivificante, cioè datore di vita. Resta ora da vedere un altro aspetto di questa verità e cioè attraverso quali strumenti Egli comunichi a voi la vita di figli. Ne parleremo nel prossimo capitolo.
La Madonna vi ottenga luce e grazia, Lei che in ogni circostanza ha saputo vedere e accogliere la voce dello Spirito con - piena disponibilità e - generosa ubbidienza.
CONTEMPLAZIONE
Ora mettiti davanti a Dio e compi con fede questi tre gesti per essere riempito di Spirito Santo.
1 - Confessa a Dio tutte le tue colpe con umiltà e sincerità. Così come le vede Lui, senza cercare scuse di sorta. Non è necessario che tu le richiami una ad una, ma quelle che Dio stesso ti mostra nell'intimo della tua coscienza... Poi prendi tutta la tua vita di peccato e mettila nelle mani di Gesù pregandolo che ti ottenga il perdono del Padre per i meriti del suo sangue versato per te sulla croce. Se lo ritenessi necessario o utile potresti anche fare la tua Confessione sacramentale generale, abbracciando cioè tutta la tua vita.
2 - Riconosci che Gesù è il tuo personale Salvatore e Signore. Chiedigli perciò di venire nel tuo cuore riconoscendolo e accogliendolo esplicitamente quale tuo Salvatore e Signore. E' molto importante affidare questo gesto all'intercessione materna di Maria perché sia Lei a produrre in te questa disponibilità: è la sua missione materna nella Chiesa fino alla fine dei tempi... Perciò mettiti nelle mani di Maria riconoscendola come tua Mamma e accogliendola nella tua vita come ha fatto Giovanni sul Calvario: "E il discepolo la prese con se" (Gv 19,27).
3 - Ora chiedi allo Spirito, in nome di Cristo, di prendere possesso di te senza riserva alcuna. Abbandona tutta la tua vita a Lui perché ti riempia di se e produca in te il suo frutto, che è Gesù, mediante i suoi doni e i suoi carismi. Accogli questo Dono dello Spirito con umiltà e con fede, certo che Egli ora è presente in te con tutta la sua pienezza di grazia secondo la promessa di Cristo: "In verità, in verità vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio Nome, Egli ve la darà" (Gv 16,23). E ancora: "Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del Cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!" (Le 11,13).
- Capitolo 22 -
"... CHE DA' LA VITA"
IL CRISTIANO E' UN ALTRO CRISTO
"... CHE DA' LA VITA"
IL CRISTIANO E' UN ALTRO CRISTO
I1 tema dello Spirito Santo che porta in noi la vita è così vasto e così importante che occorrerebbero molti incontri per esaurirne la portata.
Abbiamo visto come il cristiano abbia ricevuto da Dio, mediante la fede in Cristo, una vita nuova che lo fa figlio di Dio. E' Gesù stesso che viene a vivere in lui mediante l'azione salvatrice e santificatrice dello Spirito Santo. Per farci capire meglio questa realtà, Gesù usa paragonare se stesso alla vite e noi ai tralci (cfr Gv 15). Appare così evidente l'intima unione dei credenti con Lui e come un'unica linfa vitale scorra da Lui in noi, una linfa che ci rende capaci di produrre frutti di santità. Questa linfa è immagine dello Spirito Santo che ci è stato donato. Egli ha il compito di far maturare la nostra esistenza cristiana rendendola capace di produrre in noi come frutto il carattere di Gesù, ossia la sua immagine spirituale. Così il cristiano maturo è simile a Gesù: un altro Cristo.
IL FRUTTO DELLO SPIRITO
S. Paolo, nella lettera ai Galati, ci svela quale sia il frutto dello Spirito Santo: "Il frutto dello Spirito Santo in noi è: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, dolcezza, dominio di sè" (Gal 5,22). E' come se dicesse: `Eo Spirito Santo produce in noi le caratteristiche spirituali di Gesù, che sono: amore, gioia, pace ecc. ".
Accade spesso che parlando di qualcuno diciamo: E' tutto suo padre! Ha lo stesso carattere, la stessa intelligenza, la stessa passione di suo padre! Ebbene lo Spirito Santo tende a produrre in noi le stesse caratteristiche spirituali che sono in Gesù, cosicché guardandoci, ognuno, possa dire: è tutto Gesù! E' simile a Gesù! Soprattutto è il Padre Celeste che dovrebbe dire così guardando ciascuno di noi!
Ma è possibile tutto questo? Certo che è possibile! Ed, è logico, anche! Infatti non è logico che da un melo si producano mele e da un pesco si producano pesche? E' nella natura del melo produrre mele ed è nella natura del pesco . produrre pesche. Ogni albero produce frutti secondo la propria specie. E' naturale che nascano animali da coppie di animali. Nessuno si pone la domanda: è possibile? Perché è logico, è naturale che sia così!
Perché allora ci poniamo la domanda quando si tratta del frutto dello Spirito Santo? Non è stato lo Spirito Santo a produrre Gesù, il Figlio di Dio incarnato nel seno di Maria Vergine? Dove c'è lo Spirito, lì è naturale che ci sia il frutto, cioè il Cristo! Per questo infatti esso ci è stato dato dal Padre! Ma l'esperienza - direte voi - ci mostra il contrario: noi vediamo ogni momento dei cristiani che non assomigliano affatto a Gesù, anzi agiscono spesso in pieno contrasto con il suo Vangelo. Noi stessi poi constatiamo di giorno in giorno come ben altri siano i frutti della nostra vita: invidie, gelosie, cattiverie, peccati di ogni genere. Ciò vorrebbe significare che in noi non c'è lo Spirito? No! Lo Spirito c'è e la Parola di Dio ce ne rende sicuri: "Chi ha sete venga a me e chi crede in me beva. Una sorgente d'acqua pura zampillerà in vita eterna dal suo seno!" (cfr Gv 7,37-38). Sono parole di Gesù! "Voi siete il tempio di Dio - scrive S. Paolo - e lo Spirito Santo abita in voi!" (1Cor 3,16).
Perché allora non troviamo in noi il frutto dello Spirito, mentre troviamo i frutti del peccato? La risposta ci viene dalla Bibbia, come sempre, e precisamente dalla Lettera ai Galati. In essa S. Paolo ci insegna come in noi ci siano due forze potenti: la forza dell'Egoismo e la forza dello Spirito Santo. La forza dell'Egoismo ha la sua radice nella carne, ossia nella nostra natura corrotta. Fino a quando non moriremo la forza dell'Egoismo vivrà con noi ed in noi. Quando moriremo, essa pure morirà e noi risorgeremo trasformati, diversi, in tutto simili a Gesù. Allora resterà in noi solo la forza dello Spirito.
Fino a quel momento però noi dobbiamo lottare contro l'egoismo per mortificarlo per dominarlo, per assoggettarlo alla forza dello Spirito. In ogni istante ed in ogni circostanza noi siamo arbitri di una grande lotta tra queste due forze e spetta a noi scegliere l'una o l'altra. Se lo, Spirito non produce il suo frutto di santità è solo perché noi diamo corda all'egoismo e mortifichiamo lo Spirito. Lo Spirito è l'ospite divino dell'anima. Spesso però è più prigioniero che ospite in quanto Gli impediamo di agire, non Lo ascoltiamo, non seguiamo i suoi consigli, non chiediamo il suo aiuto (cfr Gal 5).
A questo punto penso che ognuno di noi abbia fatto un rapido esame di coscienza e riconosca umilmente di tenere imprigionato lo Spirito, mentre lascia scorrazzare liberamente il proprio egoismo. Che fare? E' semplice: liberate lo Spirito Santo dalla prigione in cui l'avete confinato. Allora Egli agirà in voi e voi produrrete il frutto della santificazione. Ebbene la liberazione dello Spirito può essere fatta in vari modi. Io voglio insegnarvene uno. Nella mia esperienza l'ho trovato molto efficace. Qualcuno chiama questa liberazione dello Spirito battesimo nello Spirito Santo; qualche altro preferisce il termine effusione dello Spirito Santo. Così preferisce dire la Chiesa.
Si tratta di parole diverse per indicare un'unica realtà: non si tratta di ricevere in noi lo Spirito, perché esso ci è stato donato dal Signore quando siamo diventati cristiani. Si tratta di liberare lo Spirito che è in noi, affidandogli la guida della nostra vita ed il potere assoluto sulla nostra persona e ciò avviene mediante un libero atto della nostra volontà illuminata dalla fede. Lo Spirito è pronto a prendere in mano la situazione della nostra esistenza, ma vuole il nostro consenso incondizionato.
Vi racconto una storia che vi illustrerà meglio questo concetto. C'era un piccolo industriale a cui le faccende andavano piuttosto male. Allora pensò di associarsi un amico verso il quale aveva una grande stima. L'amico accettò di entrare in società con lui, ma gli fece un discorso molto serio: "lo ti sono amico e ti voglio bene - gli disse - Ho di te molta stima per quel che riguarda la tua. onestà, ma devo sinceramente dírti che non vali molto come industriale: non hai fiuto, non hai coraggio, non hai capacità amministrative. Io accetto di aiutarti, ma ad una condizione ben chiara: firmami una carta con la quale affidi a me la direzione dell'impresa senza alcuna riserva. Se fai questo, ti prometto che in poco tempo farò rifiorire la tua industria". Quell'uomo rimase perplesso: si trattava di un grande atto di fiducia che gli veniva richiesto: un atto in cui si giocava tutta la sua vita! Non mancarono perciò dubbi, incertezze, paure: ma la fiducia nel suo amico fu così grande che gli fece superare ogni remora e firmò la carta. Da quel momento l'industria, guidata da mani esperte, rifiorì ed egli cominciò ben presto a goderne i frutti.
CAMMINARE NELLO SPIRITO
Cari amici, lo Spirito Santo ci fa, più o meno, lo stesso discorsetto: “Vuoi vedere nella tua vita il frutto della santificazione? Allora non c'è che un mezzo. Tirati da parte e lasciami agire. Non mettermi bastoni tra le ruote, non riservarti nulla, ma affidati totalmente a me. Lasciati condurre da me e toccherai ben presto con le tue mani il mio frutto”.
Troppo semplice, direte voi! Sì semplice, perché è semplice il Vangelo, ma non facile! Semplice è una cosa, facile un'altra. Infatti se è semplice capire come la soluzione consista nell'affidare al Signore tutta la nostra vita, non è facile per noi tirarci da parte! Quante persone, anche religiose ed impegnate nella pastorale, si consacrano al Signore e poi si riprendono, tutto od in parte, quanto hanno donato: la volontà, il cuore, la vita! Bisogna invece che facciamo come ha fatto Maria: Essa si è affidata senza riserva a Dio, ma ha vissuto tutta la sua esistenza in questa fede assoluta. Ha detto: "Si faccia di me secondo la Tua Parola" ed è stata coerente fino alla croce, lasciando che Dio operasse in Lei, senza mai tentare di far qualcosa di suo, di autonomo, ma agendo sempre come ancella del Signore! Lo Spirito Santo ha trovato in lei la disponibilità più radicale e ha prodotto in lei la pienezza del suo frutto, Cristo Signore. Inoltre Egli ha fatto di lei l'immagine vivente della sua "sposa", cioè della persona che si dona e si lascia possedere totalmente nell'amore. Se vogliamo essere anche noi ripieni di Spirito Santo e portare frutti di salvezza e di santità, dobbiamo fare come Maria: dobbiamo affidare al Signore tutta la nostra vita, senza riserva alcuna. Non si tratta però di un gesto unico, delimitato nel tempo e nello spazio, ma di un gesto continuo. Infatti noi viviamo in una successione di momenti, non in un momento fisso.
Perciò dobbiamo ripetere spesso, ad ogni nuova situazione, la nostra fede ed il nostro abbandono allo Spirito. E' un cammino di crescita fino al giorno in cui questo possesso di noi da parte del Signore sarà completo e definitivo.
In pratica vi consiglio di fare queste cose.
1 - Confessare i vostri peccati e tutto ciò che blocca in voi l'azione dello Spirito Santo. Finché c'è in voi qualcosa, per piccola che sia, che lo Spirito detesta e che voi invece amate, non potrete esser riempiti di Spirito Santo. Bisogna buttare fuori tutto, mettendolo davanti al Signore, riconoscendolo lealmente come male nello stesso modo in cui lo riconosce Dio: pensieri, affetti, azioni, omissioni, sentimenti cattivi... Non dovete nascondere nulla, non dovete tenere il cuore attaccato a nulla che sia male agli occhi di Dio! Non è necessario che facciate sacramentalmente questa confessione generale se avete la certezza morale di essere già stati assolti dai vostri peccati. Basterà che li confessiate di nuovo davanti a Dio in quanto volete sciogliere ogni legame che ancora vi ricollega ad essi.
Questa confessione a Dio ripetetela spesso, ogni giorno. Oltretutto sarà un'ottima preparazione alla riconciliazione sacramentale che è doveroso fare dopo ogni colpa grave ed è bene fare con una certa regolarità anche se non vi sono peccati mortali.
2 - Accettate Gesù come vostro Salvatore e Signore. In altre parole affidate la vostra salvezza e la vostra vita a Gesù consacrandola al suo servizio. Molti sono cristiani soltanto perché sono stati battezzati, ma non hanno mai affidato la loro vita al Signore affinché ne usi secondo la sua amorevole volontà. Si tratta di un grosso atto di fede perché con questo atto voi mettete nelle sue mani tutta la vostra esistenza, senza alcuna riserva. Anche questo atto va ripetuto spesso, non tanto perché Dio abbia bisogno di sentirselo ripetere, ma perché, come ho detto prima, cambia continuamente la situazione in cui viviamo ed è giusto che ogni nuova situazione sia affidata anche esplicitamente al Signore Gesù, alla sua Croce, alla sua Risurrezione, al suo Spirito.
3 - Infine spalancate le porte e le finestre al Soffio Santo di Dio, alla Terza Persona della Ss.ma Trinità affinché prenda possesso della vostra mente, del vostro cuore, dei vostri sensi, della vostra vita intera. Allora la potenza dello, Spirito vi invaderà e comincerà ad operare in voi! Attenti però a non misurare l'azione dello Spirito con il metro delle emozioni o dei sentimenti. C'è un abisso tra le due realtà. Le emozioni ed i sentimenti appartengono al mondo materiale, mentre l'azione dello Spirito appartiene al mondo spirituale e si può cogliere solo per fede! Una volta che abbiate compiuto i tre gesti di cui vi ho parlato, voi dovete camminare nella fede, cioè lasciarvi guidare unicamente dalla Parola di Dio. Uno dei primi frutti dello Spirito sarà proprio quello che Gesù fece ai suoi apostoli la sera di Pasqua: "Aprì le loro menti perché intendessero il senso delle scritture!" (Lc 24,45). Sarà la Parola di Dio, soprattutto le Promesse del Signore, che dovranno guidarvi d'ora in poi. Dovrete fondare la vostra certezza non su quello che voi provate o sentite, ma su quello che Dio afferma e promette.
Vi dice Egli "lo son con voi ogni giorno"? Ebbene voi dovete essere certi che Egli è realmente con voi oggi, ora, in questa circostanza. Come è possibile mettere in dubbio la Parola del Signore?
Lo Spirito vi aiuterà in questo cammino di fede e vi offre anche un punto certo di riferimento e di verifica: il Magistero ed il Ministero della Chiesa! "Conferma nella fede i tuoi fratelli" ha detto Gesù a Pietro (Lc 22,31)! Il nostro cammino nello Spirito Santo sarà sicuro solo se in armonia continua con "coloro che lo Spirito ha posto quali ministri della sua Chiesa" (cfr Atti 20,28).
Ecco, cari amici, quanto volevo dirvi a proposito dello Spirito Santo che è vivificante, cioè datore di vita. Resta ora da vedere un altro aspetto di questa verità e cioè attraverso quali strumenti Egli comunichi a voi la vita di figli. Ne parleremo nel prossimo capitolo.
La Madonna vi ottenga luce e grazia, Lei che in ogni circostanza ha saputo vedere e accogliere la voce dello Spirito con - piena disponibilità e - generosa ubbidienza.
CONTEMPLAZIONE
Ora mettiti davanti a Dio e compi con fede questi tre gesti per essere riempito di Spirito Santo.
1 - Confessa a Dio tutte le tue colpe con umiltà e sincerità. Così come le vede Lui, senza cercare scuse di sorta. Non è necessario che tu le richiami una ad una, ma quelle che Dio stesso ti mostra nell'intimo della tua coscienza... Poi prendi tutta la tua vita di peccato e mettila nelle mani di Gesù pregandolo che ti ottenga il perdono del Padre per i meriti del suo sangue versato per te sulla croce. Se lo ritenessi necessario o utile potresti anche fare la tua Confessione sacramentale generale, abbracciando cioè tutta la tua vita.
2 - Riconosci che Gesù è il tuo personale Salvatore e Signore. Chiedigli perciò di venire nel tuo cuore riconoscendolo e accogliendolo esplicitamente quale tuo Salvatore e Signore. E' molto importante affidare questo gesto all'intercessione materna di Maria perché sia Lei a produrre in te questa disponibilità: è la sua missione materna nella Chiesa fino alla fine dei tempi... Perciò mettiti nelle mani di Maria riconoscendola come tua Mamma e accogliendola nella tua vita come ha fatto Giovanni sul Calvario: "E il discepolo la prese con se" (Gv 19,27).
3 - Ora chiedi allo Spirito, in nome di Cristo, di prendere possesso di te senza riserva alcuna. Abbandona tutta la tua vita a Lui perché ti riempia di se e produca in te il suo frutto, che è Gesù, mediante i suoi doni e i suoi carismi. Accogli questo Dono dello Spirito con umiltà e con fede, certo che Egli ora è presente in te con tutta la sua pienezza di grazia secondo la promessa di Cristo: "In verità, in verità vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio Nome, Egli ve la darà" (Gv 16,23). E ancora: "Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del Cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!" (Le 11,13).
lunedì 9 gennaio 2012
Scopriamo Santa Maria Faustina Kowalska - Quarantatreesimo appuntamento
Torniamo ad approfondire la figura di Santa Faustina Kowalska, nota come l'Apostola della Divina Misericordia. Vediamo cosa ci mostra oggi il Suo Diario:
IN UN MOMENTO DEL 12.V.1935.
La sera, appena mi misi a letto mi addormentai, ma se mi addormentai alla svelta, ancor più alla svelta venni svegliata. Venne da me un bambino e mi svegliò. Questo bambino poteva avere circa un anno e mi stupì perché parlava benissimo, mentre i bambini di quell'età non parlano affatto, Oppure parlano in modo poco comprensibile. Era indicibilmente bello; somigliava al Bambino Gesù, e mi disse queste parole: «Guarda il cielo». E quando guardai il cielo, vidi le stelle splendenti e la luna. Allora il bambino mi chiese: «Vedi la luna e le stelle?». Risposi che le vedevo ed egli ribatté: «Quelle stelle sono le anime dei cristiani fedeli e la luna sono le anime degli appartenenti ad ordini religiosi. Vedi che grande differenza di luce c'è fra la luna e le stelle; così in cielo c'è una grande differenza fra l'anima di un religioso e quella di un cristiano fedele». E mi disse ancora che: «La vera grandezza sta nell'amare Dio e nell'umiltà». Inaspettatamente vidi una certa anima, che stava per separarsi dal corpo fra tremendi supplizi. O Gesù, dovendo scrivere questo, tremo tutta, avendo visto le atrocità che hanno testimoniato contro di lui... Ho visto come uscivano da una specie di voragine fangosa anime di bambini piccoli e più grandicelli, di circa nove anni. Queste anime erano ripugnanti e orribili, simili ai mostri più spaventosi, a cadaveri in decomposizione. Ma quei cadaveri erano vivi e testimoniavano ad alta voce contro quell'anima che stava agonizzando. E l'anima, che ho visto mentre stava in agonia, era un'anima che dal mondo aveva ricevuto tanti onori e tanti applausi, la conclusione dei quali è il vuoto ed il peccato. In ultimo uscì una donna, che in una specie di grembiule portava lacrime ed essa testimoniò molto contro di lui. Oh! ora tremenda, in cui bisognerà vedere tutte le proprie azioni nella loro completa nudità e miseria. Nessuna di esse andrà perduta; ci seguiranno fedelmente al giudizio di Dio. Non ho parole né termini di paragone per esprimere cose così terribili e, sebbene mi sembri che quell'anima non sia dannata, tuttavia le sue pene non si differenziano in nulla dalle pene dell'inferno. L'unica differenza è che un giorno finiranno. Un momento dopo vidi di nuovo lo stesso bambino che mi aveva svegliato, ed era di una bellezza stupenda e mi ripeté le stesse parole: «La vera grandezza di un'anima sta nell'amare Dio e nell'umiltà». Domandai a quel bambino: « Tu come lo sai questo, che la vera grandezza di un'anima sta nell'amare Dio e nell'umiltà? Queste cose possono saperle soltanto i teologi, mentre tu non hai studiato nemmeno il catechismo, e come puoi saperle? ». Ma egli mi rispose: «Le so, e so tutto», ed all'istante scomparve. Io però non mi addormentai affatto; la mia mente era stanca per quello su cui avevo cominciato a riflettere e per quello che avevo visto. O anime umane, come riconoscete tardi la verità! O abisso della Misericordia di Dio, riversati al più presto sul mondo intero, secondo quello che Tu Stesso hai detto!
V.1935. IN UN CERTO MOMENTO.
Quando mi resi conto dei grandi disegni di Dio a mio riguardo, mi spaventai per la loro grandiosità e mi sentii totalmente inidonea ad eseguirli, tanto che cominciai ad evitare i colloqui interiori con Lui e quel tempo li sostituii con la preghiera orale. Lo feci per umiltà, ma in breve mi accorsi che non era vera umiltà, ma una grande tentazione di satana. Una volta che, invece della preghiera interiore, avevo cominciato a leggere un libro spirituale, udii nell'intimo queste parole in modo chiaro e forte: «Preparerai il mondo alla Mia ultima venuta». Queste parole mi colpirono profondamente e benché facessi finta di non averle udite, le avevo capite bene e non avevo alcun dubbio in merito. Una volta che, stanca per questa lotta d'amore con Dio e del continuo rifiutarmi col dire che non ero adatta a compiere quell'opera, volevo uscire dalla cappella, una forza misteriosa mi trattenne; mi sentii come paralizzata ed all'improvviso udii queste parole: « Hai intenzione di uscire dalla cappella, ma non uscirai da Me, poiché sono ovunque. Tu da sola con le tue forze non riesci a far nulla, ma con Me puoi tutto ». Durante la settimana, quando sono andata dal mio confessore e gli ho svelato lo stato della mia anima e specialmente che evito il colloquio interiore con Dio, mi è stato risposto che non devo evitare il colloquio interiore con Dio, ma devo ascoltare attentamente le parole che mi dice. Mi sono regolata secondo le indicazioni del confessore ed al primo incontro col Signore, mi sono gettata ai piedi di Gesù e col cuore straziato Gli ho chiesto perdono di tutto. Allora Gesù mi ha sollevato da terra e mi ha fatto sedere accanto a Sé e mi ha permesso di appoggiare il capo sul Suo petto, in modo che potessi comprendere e percepire meglio i desideri del Suo dolcissimo Cuore. Ed all'improvviso Gesù mi ha detto queste parole: « Figlia Mia, non aver paura di nulla. Io sono sempre con te. Qualunque avversario ti potrà nuocere soltanto per quello che Io gli permetterò. Tu sei la Mia dimora ed il Mio stabile riposo. Per te trattengo la mano punitrice; per te benedico la terra ». In quello stesso momento avvertii uno strano fuoco nel mio cuore; sento che vengono a cessare i miei sensi; non capisco quello che avviene attorno a me. Sento che lo sguardo del Signore penetra in me; conosco bene la Sua grandezza e la mia miseria. Una sofferenza misteriosa penetra nella mia anima ed una tale gioia, che non riesco a paragonarla a nulla. Mi sento inerte fra le braccia di Dio; sento che sono in Lui e mi sciolgo come una goccia d'acqua in un oceano. Non riesco ad esprimere quello che provo. Dopo una tale preghiera interiore sento una forza ed un impulso a compiere i più difficili atti di virtù; sento avversione verso tutte le cose che il mondo apprezza; desidero con tutta l'anima la solitudine e la quiete.
V.1935.
Durante la funzione dei quaranta giorni, ho visto il Volto di Gesù nell'Ostia santa, che era esposta nell'ostensorio; Gesù guardava amabilmente a tutti. Vedo spesso il Bambino Gesù durante la santa Messa. E straordinariamente bello e in quanto all'età mostra circa un anno. Una volta che nella nostra cappella vidi lo stesso Bambino durante la santa Messa, fui assalita da un desiderio fortissimo e da una smania irresistibile di avvicinarmi all'altare e di prendere il Bambino Gesù. In quello stesso istante il Bambino Gesù fu accanto a me in fondo all'inginocchiatoio e si aggrappò al mio braccio con entrambe le manine, incantevole e gioioso, con lo sguardo profondo e penetrante. Però quando il sacerdote spezzò l'Ostia, Gesù era sull'altare e venne spezzato e consumato dal sacerdote. Dopo la santa Comunione vidi Gesù tale e quale nel mio cuore e Lo sentii per tutto il giorno fisicamente, realmente nel mio cuore. Un raccoglimento più profondo s'impadronì di me inavvertitamente e non dissi una parola con nessuno. Evitai per quanto mi fu possibile la presenza della gente. Risposi sempre alle richieste che si riferivano ai miei impegni; al di fuori di ciò nemmeno una parola.
9.VI.1935. LA DISCESA DELLO SPIRITO SANTO
Verso sera, mentre passavo per l'orto, udii queste parole: «Unitamente alle tue compagne, dovrai impetrare la Misericordia per voi stesse e per il mondo». Compresi che non sarò nella Congregazione nella quale sono attualmente. Vedo chiaramente che nei miei riguardi la volontà di Dio è un'altra. Tuttavia mi rifiuto continuamente davanti a Dio, dicendo che non sono idonea a compiere quest'opera. «Gesù, Tu naturalmente sai molto bene chi sono » e cominciai ad elencare davanti al Signore le mie manchevolezze e mi trincerai dietro a quelle, affinché riconoscesse il mio rifiuto, poiché non sono idonea a compiere i Suoi progetti. Ad un tratto, udii queste parole: « Non temere; lo stesso provvederò a tutto quello che ti manca ». Queste parole mi penetrarono nel profondo e conobbi ancora di più la mia miseria; conobbi che la parola del Signore è viva e penetra in profondità. Compresi che Iddio esigeva da me un sistema di vita più perfetto; tuttavia mi rifiutavo continuamente per la mia inidoneità.
IN UN MOMENTO DEL 12.V.1935.
La sera, appena mi misi a letto mi addormentai, ma se mi addormentai alla svelta, ancor più alla svelta venni svegliata. Venne da me un bambino e mi svegliò. Questo bambino poteva avere circa un anno e mi stupì perché parlava benissimo, mentre i bambini di quell'età non parlano affatto, Oppure parlano in modo poco comprensibile. Era indicibilmente bello; somigliava al Bambino Gesù, e mi disse queste parole: «Guarda il cielo». E quando guardai il cielo, vidi le stelle splendenti e la luna. Allora il bambino mi chiese: «Vedi la luna e le stelle?». Risposi che le vedevo ed egli ribatté: «Quelle stelle sono le anime dei cristiani fedeli e la luna sono le anime degli appartenenti ad ordini religiosi. Vedi che grande differenza di luce c'è fra la luna e le stelle; così in cielo c'è una grande differenza fra l'anima di un religioso e quella di un cristiano fedele». E mi disse ancora che: «La vera grandezza sta nell'amare Dio e nell'umiltà». Inaspettatamente vidi una certa anima, che stava per separarsi dal corpo fra tremendi supplizi. O Gesù, dovendo scrivere questo, tremo tutta, avendo visto le atrocità che hanno testimoniato contro di lui... Ho visto come uscivano da una specie di voragine fangosa anime di bambini piccoli e più grandicelli, di circa nove anni. Queste anime erano ripugnanti e orribili, simili ai mostri più spaventosi, a cadaveri in decomposizione. Ma quei cadaveri erano vivi e testimoniavano ad alta voce contro quell'anima che stava agonizzando. E l'anima, che ho visto mentre stava in agonia, era un'anima che dal mondo aveva ricevuto tanti onori e tanti applausi, la conclusione dei quali è il vuoto ed il peccato. In ultimo uscì una donna, che in una specie di grembiule portava lacrime ed essa testimoniò molto contro di lui. Oh! ora tremenda, in cui bisognerà vedere tutte le proprie azioni nella loro completa nudità e miseria. Nessuna di esse andrà perduta; ci seguiranno fedelmente al giudizio di Dio. Non ho parole né termini di paragone per esprimere cose così terribili e, sebbene mi sembri che quell'anima non sia dannata, tuttavia le sue pene non si differenziano in nulla dalle pene dell'inferno. L'unica differenza è che un giorno finiranno. Un momento dopo vidi di nuovo lo stesso bambino che mi aveva svegliato, ed era di una bellezza stupenda e mi ripeté le stesse parole: «La vera grandezza di un'anima sta nell'amare Dio e nell'umiltà». Domandai a quel bambino: « Tu come lo sai questo, che la vera grandezza di un'anima sta nell'amare Dio e nell'umiltà? Queste cose possono saperle soltanto i teologi, mentre tu non hai studiato nemmeno il catechismo, e come puoi saperle? ». Ma egli mi rispose: «Le so, e so tutto», ed all'istante scomparve. Io però non mi addormentai affatto; la mia mente era stanca per quello su cui avevo cominciato a riflettere e per quello che avevo visto. O anime umane, come riconoscete tardi la verità! O abisso della Misericordia di Dio, riversati al più presto sul mondo intero, secondo quello che Tu Stesso hai detto!
V.1935. IN UN CERTO MOMENTO.
Quando mi resi conto dei grandi disegni di Dio a mio riguardo, mi spaventai per la loro grandiosità e mi sentii totalmente inidonea ad eseguirli, tanto che cominciai ad evitare i colloqui interiori con Lui e quel tempo li sostituii con la preghiera orale. Lo feci per umiltà, ma in breve mi accorsi che non era vera umiltà, ma una grande tentazione di satana. Una volta che, invece della preghiera interiore, avevo cominciato a leggere un libro spirituale, udii nell'intimo queste parole in modo chiaro e forte: «Preparerai il mondo alla Mia ultima venuta». Queste parole mi colpirono profondamente e benché facessi finta di non averle udite, le avevo capite bene e non avevo alcun dubbio in merito. Una volta che, stanca per questa lotta d'amore con Dio e del continuo rifiutarmi col dire che non ero adatta a compiere quell'opera, volevo uscire dalla cappella, una forza misteriosa mi trattenne; mi sentii come paralizzata ed all'improvviso udii queste parole: « Hai intenzione di uscire dalla cappella, ma non uscirai da Me, poiché sono ovunque. Tu da sola con le tue forze non riesci a far nulla, ma con Me puoi tutto ». Durante la settimana, quando sono andata dal mio confessore e gli ho svelato lo stato della mia anima e specialmente che evito il colloquio interiore con Dio, mi è stato risposto che non devo evitare il colloquio interiore con Dio, ma devo ascoltare attentamente le parole che mi dice. Mi sono regolata secondo le indicazioni del confessore ed al primo incontro col Signore, mi sono gettata ai piedi di Gesù e col cuore straziato Gli ho chiesto perdono di tutto. Allora Gesù mi ha sollevato da terra e mi ha fatto sedere accanto a Sé e mi ha permesso di appoggiare il capo sul Suo petto, in modo che potessi comprendere e percepire meglio i desideri del Suo dolcissimo Cuore. Ed all'improvviso Gesù mi ha detto queste parole: « Figlia Mia, non aver paura di nulla. Io sono sempre con te. Qualunque avversario ti potrà nuocere soltanto per quello che Io gli permetterò. Tu sei la Mia dimora ed il Mio stabile riposo. Per te trattengo la mano punitrice; per te benedico la terra ». In quello stesso momento avvertii uno strano fuoco nel mio cuore; sento che vengono a cessare i miei sensi; non capisco quello che avviene attorno a me. Sento che lo sguardo del Signore penetra in me; conosco bene la Sua grandezza e la mia miseria. Una sofferenza misteriosa penetra nella mia anima ed una tale gioia, che non riesco a paragonarla a nulla. Mi sento inerte fra le braccia di Dio; sento che sono in Lui e mi sciolgo come una goccia d'acqua in un oceano. Non riesco ad esprimere quello che provo. Dopo una tale preghiera interiore sento una forza ed un impulso a compiere i più difficili atti di virtù; sento avversione verso tutte le cose che il mondo apprezza; desidero con tutta l'anima la solitudine e la quiete.
V.1935.
Durante la funzione dei quaranta giorni, ho visto il Volto di Gesù nell'Ostia santa, che era esposta nell'ostensorio; Gesù guardava amabilmente a tutti. Vedo spesso il Bambino Gesù durante la santa Messa. E straordinariamente bello e in quanto all'età mostra circa un anno. Una volta che nella nostra cappella vidi lo stesso Bambino durante la santa Messa, fui assalita da un desiderio fortissimo e da una smania irresistibile di avvicinarmi all'altare e di prendere il Bambino Gesù. In quello stesso istante il Bambino Gesù fu accanto a me in fondo all'inginocchiatoio e si aggrappò al mio braccio con entrambe le manine, incantevole e gioioso, con lo sguardo profondo e penetrante. Però quando il sacerdote spezzò l'Ostia, Gesù era sull'altare e venne spezzato e consumato dal sacerdote. Dopo la santa Comunione vidi Gesù tale e quale nel mio cuore e Lo sentii per tutto il giorno fisicamente, realmente nel mio cuore. Un raccoglimento più profondo s'impadronì di me inavvertitamente e non dissi una parola con nessuno. Evitai per quanto mi fu possibile la presenza della gente. Risposi sempre alle richieste che si riferivano ai miei impegni; al di fuori di ciò nemmeno una parola.
9.VI.1935. LA DISCESA DELLO SPIRITO SANTO
Verso sera, mentre passavo per l'orto, udii queste parole: «Unitamente alle tue compagne, dovrai impetrare la Misericordia per voi stesse e per il mondo». Compresi che non sarò nella Congregazione nella quale sono attualmente. Vedo chiaramente che nei miei riguardi la volontà di Dio è un'altra. Tuttavia mi rifiuto continuamente davanti a Dio, dicendo che non sono idonea a compiere quest'opera. «Gesù, Tu naturalmente sai molto bene chi sono » e cominciai ad elencare davanti al Signore le mie manchevolezze e mi trincerai dietro a quelle, affinché riconoscesse il mio rifiuto, poiché non sono idonea a compiere i Suoi progetti. Ad un tratto, udii queste parole: « Non temere; lo stesso provvederò a tutto quello che ti manca ». Queste parole mi penetrarono nel profondo e conobbi ancora di più la mia miseria; conobbi che la parola del Signore è viva e penetra in profondità. Compresi che Iddio esigeva da me un sistema di vita più perfetto; tuttavia mi rifiutavo continuamente per la mia inidoneità.
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