mercoledì 30 giugno 2010
"La ultima cima"
Dal sito di Rino Camilleri:
Leggo su Zenit.org del 9 giugno 2010 che a Madrid un film sulla vita di un prete morto lo scorso anno («La última cima») in un incidente di montagna (don Pablo Domínguez amava scalare) è stato, ovviamente, proiettato in sole quattro sale. Perché, una volta tanto, parlava bene di un prete. Ma l'affluenza è stata tale che adesso sono oltre cinquanta le sale che, in tutta la Spagna, faranno posto al film in questione togliendo pure i kolossal in 3D. Nella Spagna di Zapatero e di Almódovar (ma anche di Amenábar, quello di «Agorà») il regista Juan Manuel Cotelo «riferisce di essere uscito per strada con la sua telecamera e di aver scoperto che otto persone intervistate su dieci avevano una buona opinione dei sacerdoti». Non solo. Prima delle sale, boom su Internet: nelle tre settimane precedenti l'uscita, «il trailer è stato scaricato più di 200mila volte». Nulla di nuovo sotto il sole. Sono tre secoli che le élites vanno da una parte e il popolo (che dicono di rappresentare) da tutt'altra.
Ringrazio Daniele per avermi segnalato questo pezzo che segnala il distacco delle casi di produzione dal popolo. In realtà i messaggi che il cinema cerca di dare ultimamente sono tutt'altro che religiosi o pacifici: l'altro giorno facevo una rassegna degli ultimi titoli e mi sono reso conto che non c'era un film che non trattava di violenza o di sesso o di droga ecc... Insomma, non c'è un film fatto a modo giusto che tocca le problematiche attuali senza scadere nella volgarità e nella blasfemia.
Per una volta che viene realizzato un film nel quale veniva posto sotto la luce la buona condotta di un sacerdote, questo film viene ignorato e in qualche modo censurato. Ovviamente sappiamo che ciò che fa girare il tutto è sempre il danaro e non appena si è avuto un boom di incassi, le sale si sono misteriosamente triplicate.
Altro dato interessante è l'opinione della gente sui sacerdoti: otto su dice hanno una buona opinione. Sarebbe già un miracolo visto gli ultimi avvenimenti che hanno portato una ventata di odio e di atteggiamento irrispettoso: ma perchè allora ciò che viene evidenziato sono i due che rispondono male? Se otto su dieci dicono di avere una buona opinione sui preti, perchè i mass media invece si soffermano sui due su dieci che non hanno una buona opinione dei preti? Anche qui mistero della vita: fa più notizia l'odio verso i sacerdoti piuttosto che il bene verso di essi. Ma questa non è una novità: fra tutto il bene che la Chiesa compie nel mondo, cosa viene posto in risalto? Lo scandalo e l'errore. Ormai dobbiamo abituarci a vedere ingigantite le questioni contro la Chiesa e minimizzate le questioni a favore della Chiesa: cosa dobbiamo fare allora? La risposta è forse insita nel post del giorno di oggi: come affermato dal Papa Benedetto XVI, la risposta è una nuova evangelizzazione del mondo occidentale ormai secolarizzato e direi io, quasi scristianizzato. Per far sì che a far notizia non siano più gli scandali, ma le opere misericordiose.
Leggo su Zenit.org del 9 giugno 2010 che a Madrid un film sulla vita di un prete morto lo scorso anno («La última cima») in un incidente di montagna (don Pablo Domínguez amava scalare) è stato, ovviamente, proiettato in sole quattro sale. Perché, una volta tanto, parlava bene di un prete. Ma l'affluenza è stata tale che adesso sono oltre cinquanta le sale che, in tutta la Spagna, faranno posto al film in questione togliendo pure i kolossal in 3D. Nella Spagna di Zapatero e di Almódovar (ma anche di Amenábar, quello di «Agorà») il regista Juan Manuel Cotelo «riferisce di essere uscito per strada con la sua telecamera e di aver scoperto che otto persone intervistate su dieci avevano una buona opinione dei sacerdoti». Non solo. Prima delle sale, boom su Internet: nelle tre settimane precedenti l'uscita, «il trailer è stato scaricato più di 200mila volte». Nulla di nuovo sotto il sole. Sono tre secoli che le élites vanno da una parte e il popolo (che dicono di rappresentare) da tutt'altra.
Ringrazio Daniele per avermi segnalato questo pezzo che segnala il distacco delle casi di produzione dal popolo. In realtà i messaggi che il cinema cerca di dare ultimamente sono tutt'altro che religiosi o pacifici: l'altro giorno facevo una rassegna degli ultimi titoli e mi sono reso conto che non c'era un film che non trattava di violenza o di sesso o di droga ecc... Insomma, non c'è un film fatto a modo giusto che tocca le problematiche attuali senza scadere nella volgarità e nella blasfemia.
Per una volta che viene realizzato un film nel quale veniva posto sotto la luce la buona condotta di un sacerdote, questo film viene ignorato e in qualche modo censurato. Ovviamente sappiamo che ciò che fa girare il tutto è sempre il danaro e non appena si è avuto un boom di incassi, le sale si sono misteriosamente triplicate.
Altro dato interessante è l'opinione della gente sui sacerdoti: otto su dice hanno una buona opinione. Sarebbe già un miracolo visto gli ultimi avvenimenti che hanno portato una ventata di odio e di atteggiamento irrispettoso: ma perchè allora ciò che viene evidenziato sono i due che rispondono male? Se otto su dieci dicono di avere una buona opinione sui preti, perchè i mass media invece si soffermano sui due su dieci che non hanno una buona opinione dei preti? Anche qui mistero della vita: fa più notizia l'odio verso i sacerdoti piuttosto che il bene verso di essi. Ma questa non è una novità: fra tutto il bene che la Chiesa compie nel mondo, cosa viene posto in risalto? Lo scandalo e l'errore. Ormai dobbiamo abituarci a vedere ingigantite le questioni contro la Chiesa e minimizzate le questioni a favore della Chiesa: cosa dobbiamo fare allora? La risposta è forse insita nel post del giorno di oggi: come affermato dal Papa Benedetto XVI, la risposta è una nuova evangelizzazione del mondo occidentale ormai secolarizzato e direi io, quasi scristianizzato. Per far sì che a far notizia non siano più gli scandali, ma le opere misericordiose.
martedì 29 giugno 2010
Rispecchiandoci in San Pietro e San Paolo
Oggi celebriamo la festa delle colonne portanti della Chiesa Cattolica Universale: San Pietro e San Paolo. Il primo, discepolo di Gesù e il secondo apostolo della Verità dopo la conversione sulla via di Damasco.
Pietro è certamente impulsivo, ma pieno di fede e di amore per Gesù nonostante il rinnegamento. Ecco Pietro rappresenta benissimo l'uomo che segue Gesù: anche Pietro, infatti, ha avuto all'inizio i nostri stessi dubbi, le nostre stesse paure e debolezze umane. Un passo del Vangelo ci può chiarire proprio questo punto:
Pietro è certamente impulsivo, ma pieno di fede e di amore per Gesù nonostante il rinnegamento. Ecco Pietro rappresenta benissimo l'uomo che segue Gesù: anche Pietro, infatti, ha avuto all'inizio i nostri stessi dubbi, le nostre stesse paure e debolezze umane. Un passo del Vangelo ci può chiarire proprio questo punto:
Matteo 14
22 Subito dopo, Gesù obbligò i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva, mentre egli avrebbe congedato la gente. 23 Dopo aver congedato la folla, si ritirò in disparte sul monte a pregare. E, venuta la sera, se ne stava lassù tutto solo.24 Frattanto la barca, già di molti stadi lontana da terra, era sbattuta dalle onde, perché il vento era contrario. 25 Ma alla quarta vigilia della notte, Gesù andò verso di loro, camminando sul mare. 26 E i discepoli, vedendolo camminare sul mare, si turbarono e dissero: «È un fantasma!» E dalla paura gridarono. 27 Ma subito Gesù parlò loro e disse: «Coraggio, sono io; non abbiate paura!» 28 Pietro gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire da te sull'acqua». 29 Egli disse: «Vieni!» E Pietro, sceso dalla barca, camminò sull'acqua e andò verso Gesù. 30 Ma, vedendo il vento, ebbe paura e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!» 31 Subito Gesù, stesa la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?» 32 E, quando furono saliti sulla barca, il vento si calmò. 33 Allora quelli che erano nella barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Veramente tu sei Figlio di Dio!»
22 Subito dopo, Gesù obbligò i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva, mentre egli avrebbe congedato la gente. 23 Dopo aver congedato la folla, si ritirò in disparte sul monte a pregare. E, venuta la sera, se ne stava lassù tutto solo.24 Frattanto la barca, già di molti stadi lontana da terra, era sbattuta dalle onde, perché il vento era contrario. 25 Ma alla quarta vigilia della notte, Gesù andò verso di loro, camminando sul mare. 26 E i discepoli, vedendolo camminare sul mare, si turbarono e dissero: «È un fantasma!» E dalla paura gridarono. 27 Ma subito Gesù parlò loro e disse: «Coraggio, sono io; non abbiate paura!» 28 Pietro gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire da te sull'acqua». 29 Egli disse: «Vieni!» E Pietro, sceso dalla barca, camminò sull'acqua e andò verso Gesù. 30 Ma, vedendo il vento, ebbe paura e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!» 31 Subito Gesù, stesa la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?» 32 E, quando furono saliti sulla barca, il vento si calmò. 33 Allora quelli che erano nella barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Veramente tu sei Figlio di Dio!»
Questo passo presenta sia Pietro fervente di fede e amore e sia Pietro debole uomo ancora dubbioso: e così egli rappresenta tutti noi che camminiamo lungo la strada che conduce a Gesù. Anche noi, quando la Parola viene seminata nel nostro cuore, ci incamminiamo fiduciosi, entusiasti e pieni di gioia e speranza perchè riconosciamo che Gesù è davvero il Cristo di Dio, esattamente come Pietro. Poi però, le angustie e gli ostacoli della vita, ci fanno traballare e come l'impeto del vento fece quasi annegare Pietro, così gli eventi della vita ci fanno annegare nell'oblio della tenebra. Ma vedete cosa fa Gesù? Gesù lo afferrò e non lasciò che gli capitasse alcun male. Così Egli fa anche con noi: nonostante cadiamo, Gesù prontamente ci rialza così come ha rialzato Pietro.
Un altro episodio:
Allora Pietro lo prese in disparte e cominciò a riprenderlo, dicendo: «Signore, Dio te ne liberi; questo non ti avverrà mai». Ma egli, voltatosi, disse a Pietro: «Vattene via da me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini»" (22, 23).
In questo passo Pietro torna ad essere umano come noi: comincia a pensare, esattamente come siamo soliti pensare noi e cioè secondo il pensiero degli uomini piuttosto che secondo il pensiero di Dio. Molte cose ci sono oscure perchè non guardiamo con occhi di Dio, ma con occhi di uomo: e questo accade soprattutto in rapporto alla vita, quando pensiamo alla vita non come un cammino verso il Regno di Dio, ma come un momento da vivere appieno.
Quest'uomo di nome Pietro però troverà lo Spirito che lo sospingerà a divenire colui che Gesù aveva predetto:
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Qui Pietro si riscatta perchè mostra più degli altri la sua fede in Gesù, dichiarando senza dubbio e con fermezza, che Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio vivente. E Gesù subito lo chiama beato perchè lo Spirito di Dio è entrato in Pietro per rivelargli la Verità! E lì avviene il passaggio di consegne, il momento in cui Gesù stabilisce la Sua eredità in Terra: Gesù consegna a Pietro le chiavi del Regno dei Cieli e costruisce su di lui, quella che diverrà la Chiesa Universale, di cui noi oggi siamo membra.
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San Paolo è invece la conversione fatta persona: colui che da persecutore di Gesù e della verità, diviene testimone di quello stesso Gesù e di quella stessa Verità. Mi colpisce soprattutto una cosa: il fatto che un uomo duro, che uccideva i cristiani e che era odiato e timorato dagli uomini di allora per la sua ferocia anticristiana, potesse essere scelto per portare la Parola di Dio fino agli estremi della Terra. E’ una cosa rivoluzionaria per noi: un uomo crudele viene scelto per diventare il buono. Apparentemente questa è una cosa assurda e vediamo oggi come sia impensabile pensare che ci sia un cuore in uomini che si comportano con crudeltà e cattiveria. Anzi pensiamo che sia giusta la pena di morte per rispondere alle loro azioni, come se spetta a noi decidere della vita di una persona. Eppure, Gesù aveva scelto lui sin dagli inizi dei tempi. E questo dimostra anche un'altra cosa: l’amore di Dio è capace di sbriciolare ogni muro, ogni resistenza e di sciogliere anche i cuori più duri. Mentre la nostra razionalità e il nostro sentimentalismo ci bloccano, Dio non si blocca e arriva a toccare i cuori di tutti, anche i più duri.
Paolo di Tarso è dunque un esempio di come noi possiamo diventare con la vera conversione di cuore, ma non solo questo: egli è l'esempio che nessun uomo va condannato perchè può sempre intervenire la mano di Dio per convertirlo. Guardiamo alla pena di morte: essa è irrazionale e sbagliata perchè fa che sia l'uomo a giudicare e non permette nemmeno il pentimento o la conversione. Questo perchè noi uomini non agiamo secondo Dio, ma secondo noi stessi: noi pensiamo a punire e non a correggere!
Paolo è simbolo del coraggio della vera testimonianza di fede, quella che non teme il martirio o la persecuzione: in questo egli è nostro precursore e coloro che muoiono per la fede sono i suoi simili (soprattutto quegli uomini che non rinnegano Gesù nemmeno dinanzi a morti terribili come le crocifissioni sudanesi).
Pietro e Paolo, colonne portanti della Chiesa Universale Cattolica sono in definitiva i nostri precursori, i nostri esempi principali e le figure nelle quali possiamo specchiarci nel nostro percorso di fede. Noi della Vigna del Signore, speriamo che essi siano un giorno anche le colonne portanti della Vigna del Signore!
venerdì 25 giugno 2010
Messaggio Vergine Regina degli Ultimi Tempi
Messaggio del 23/06/10
Figli miei, sono a voi per condurvi tutti verso la salvezza eterna rendendo il passaggio terreno il più proficuo possibile affinché vi ricordiate il fine per il quale siete stati creati. Abbiate cura della vostra anima alimentandola giorno e notte con la presenza di Dio in voi attraverso la preghiera continua.
Date importanza ai sacramenti soprattutto alla Confessione perché essa porta in voi il perdono di Dio e la riconciliazione con Lui per intraprendere il cammino con lo Spirito Santo sulla cui opera si fonda ogni vostra azione.
Abbiate cura di voi stessi e amatevi gli uni gli altri comprendendovi e consolandovi a vicenda.
Vi benedico figli miei nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Amos, 6,8-14
8 Ha giurato il Signore Dio, per se stesso!
Oracolo del Signore, Dio degli eserciti.
Detesto l'orgoglio di Giacobbe,
odio i suoi palazzi,
consegnerò la città e quanto contiene.
Oracolo del Signore, Dio degli eserciti.
Detesto l'orgoglio di Giacobbe,
odio i suoi palazzi,
consegnerò la città e quanto contiene.
9 Se sopravviveranno in una sola casa dieci uomini,
anch'essi moriranno.
10 Lo prenderà il suo parente e chi prepara il rogo,
portando via le ossa dalla casa,
egli dirà a chi è in fondo alla casa:
«Ce n'è ancora con te?».
L'altro risponderà: «No».
Quegli dirà: «Zitto!»: non si deve menzionare
il nome del Signore.
11 Poiché ecco: il Signore comanda
di fare a pezzi la casa grande
e quella piccola di ridurla in frantumi.
12 Corrono forse i cavalli sulle rocce
e si ara il mare con i buoi?
Poiché voi cambiate il diritto in veleno
e il frutto della giustizia in assenzio.
13 Voi vi compiacete di Lo-debàr dicendo:
«Non è per il nostro valore che abbiam preso Karnàim?».
14 Ora ecco, io susciterò contro di voi, gente d'Israele,
- oracolo del Signore, Dio degli eserciti -
un popolo che vi opprimerà dall'ingresso di Amat
fino al torrente dell'Araba.
anch'essi moriranno.
10 Lo prenderà il suo parente e chi prepara il rogo,
portando via le ossa dalla casa,
egli dirà a chi è in fondo alla casa:
«Ce n'è ancora con te?».
L'altro risponderà: «No».
Quegli dirà: «Zitto!»: non si deve menzionare
il nome del Signore.
11 Poiché ecco: il Signore comanda
di fare a pezzi la casa grande
e quella piccola di ridurla in frantumi.
12 Corrono forse i cavalli sulle rocce
e si ara il mare con i buoi?
Poiché voi cambiate il diritto in veleno
e il frutto della giustizia in assenzio.
13 Voi vi compiacete di Lo-debàr dicendo:
«Non è per il nostro valore che abbiam preso Karnàim?».
14 Ora ecco, io susciterò contro di voi, gente d'Israele,
- oracolo del Signore, Dio degli eserciti -
un popolo che vi opprimerà dall'ingresso di Amat
fino al torrente dell'Araba.
lunedì 21 giugno 2010
La farfalla
Oggi presento nel mio canale una piccola storiella che ho trovato girovagando in giro. E' un breve racconto che spiega, attraverso una metafora, perchè a volte Dio pone degli ostacoli lungo il nostro cammino. Ecco il racconto:
Un uomo trovò un bozzolo di farfalla, un giorno apparve una piccola apertura. L’uomo si sedette e per diverse ore osservò la farfalla mentre cercava con tutte le sue forze di farsi strada attraverso quel piccolo foro. Poi questa sembrò bloccarsi, incapace di fare alcun progresso. Sembrava come se fosse giunta alla fine delle sue forze, e non potesse andare oltre. Così l’uomo decise di aiutare la farfalla. Prese un paio di forbici, e con quella si mise a tagliare quel che rimaneva del bozzolo.
A quel punto la farfalla potè venir fuori comodamente. Ma aveva il corpo gonfio,e le piccole ali rattrappite. L’uomo continuò ad osservare la farfalla,aspettando che,da un momento all’altro,le ali si sarebbero aperte e distese,in modo da sostenere il corpo,che allo stesso tempo s sarebbe contratto. Non accadde nulla!
Infatti la farfalla passò il resto della sua vita trascinandosi il corpo gonfio e le ali rattrappite. Quello che l’uomo non comprese nella sua benevolenza e fretta,fu che lo sforzo richiesto alla farfalla per farsi strada attraverso la piccola apertura era il modo che Dio usava per forzare il fluido dal corpo della farfalla alle sue ali,così che sarebbe stata pronta a volare una volta liberatasi dal bozzolo.
A volte le lotte sono quello di cui abbiamo bisogno nelle nostre vite. Se Dio ci permettesse di attraversare le nostre vite senza incontrare nessun ostacolo, questo ci renderebbe storpi. Non saremmo forti come avremmo dovuto essere. Non potremmo mai volare!
Ho chiesto Forza … e Dio mi ha dato difficoltà per fortificarmi.
Ho chiesto Sapienza … e Dio mi ha dato problemi da risolvere.
Ho chiesto Prosperità … e Dio mi ha dato un cervello per lavorare.
Ho chiesto Coraggio … e Dio mi ha dato pericoli da superare.
Ho chiesto Amore … e Dio mi ha dato persone bisognose da aiutare.
Ho chiesto Favori … e Dio mi ha dato opportunità.
Non ho ricevuto nulla che volevo … …,ho ricevuto tutto quello di cui avevo bisogno!
Possa Dio benedirvi con una gioia ineffabile,non solo nel mondo a venire ,ma anche in questa vita.
Possa il vostro sentiero essere risplendente e pieno di luce ovunque andiate.
Possa Dio dire alle tenebre che devono fuggire al vostro comando.
E prego che i vostri piedi non inciampino mai fuori dal piano di Dio.
Possano i desideri del vostro cuore diventare realtà. E possiate provare pace in ogni cosa che fate. E possiate ricevere sapienza e crescere nel Signore ogni giorno.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Ecco, come accade con la farfalla, noi incontriamo degli ostacoli non perchè Dio è cattivo e vuole vederci in difficoltà, ma perchè è proprio attraverso le difficoltà che cresciamo, ci rinforziamo e ci raddrizziamo. Se vivessimo liberi e senza ostacoli, sentiremmo ancora il richiamo di Dio o penseremmo solo a noi stessi? Le difficoltà invece mostrano anche la nostra debolezza e ci portano a ricordare che siamo uomini fragili che hanno bisogno dell'aiuto di quel Dio che li ha creati con amore. Ecco perchè la sofferenza, a volte, è persino una benedizione per l'anima: attraverso di essa, l'anima ritrova la via e il sentiero perduto. Non cerchiamo quindi scorciatoie ai nostri problemi, perchè altrimenti faremo la fine della farfalla!
Un uomo trovò un bozzolo di farfalla, un giorno apparve una piccola apertura. L’uomo si sedette e per diverse ore osservò la farfalla mentre cercava con tutte le sue forze di farsi strada attraverso quel piccolo foro. Poi questa sembrò bloccarsi, incapace di fare alcun progresso. Sembrava come se fosse giunta alla fine delle sue forze, e non potesse andare oltre. Così l’uomo decise di aiutare la farfalla. Prese un paio di forbici, e con quella si mise a tagliare quel che rimaneva del bozzolo.
A quel punto la farfalla potè venir fuori comodamente. Ma aveva il corpo gonfio,e le piccole ali rattrappite. L’uomo continuò ad osservare la farfalla,aspettando che,da un momento all’altro,le ali si sarebbero aperte e distese,in modo da sostenere il corpo,che allo stesso tempo s sarebbe contratto. Non accadde nulla!
Infatti la farfalla passò il resto della sua vita trascinandosi il corpo gonfio e le ali rattrappite. Quello che l’uomo non comprese nella sua benevolenza e fretta,fu che lo sforzo richiesto alla farfalla per farsi strada attraverso la piccola apertura era il modo che Dio usava per forzare il fluido dal corpo della farfalla alle sue ali,così che sarebbe stata pronta a volare una volta liberatasi dal bozzolo.
A volte le lotte sono quello di cui abbiamo bisogno nelle nostre vite. Se Dio ci permettesse di attraversare le nostre vite senza incontrare nessun ostacolo, questo ci renderebbe storpi. Non saremmo forti come avremmo dovuto essere. Non potremmo mai volare!
Ho chiesto Forza … e Dio mi ha dato difficoltà per fortificarmi.
Ho chiesto Sapienza … e Dio mi ha dato problemi da risolvere.
Ho chiesto Prosperità … e Dio mi ha dato un cervello per lavorare.
Ho chiesto Coraggio … e Dio mi ha dato pericoli da superare.
Ho chiesto Amore … e Dio mi ha dato persone bisognose da aiutare.
Ho chiesto Favori … e Dio mi ha dato opportunità.
Non ho ricevuto nulla che volevo … …,ho ricevuto tutto quello di cui avevo bisogno!
Possa Dio benedirvi con una gioia ineffabile,non solo nel mondo a venire ,ma anche in questa vita.
Possa il vostro sentiero essere risplendente e pieno di luce ovunque andiate.
Possa Dio dire alle tenebre che devono fuggire al vostro comando.
E prego che i vostri piedi non inciampino mai fuori dal piano di Dio.
Possano i desideri del vostro cuore diventare realtà. E possiate provare pace in ogni cosa che fate. E possiate ricevere sapienza e crescere nel Signore ogni giorno.
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Ecco, come accade con la farfalla, noi incontriamo degli ostacoli non perchè Dio è cattivo e vuole vederci in difficoltà, ma perchè è proprio attraverso le difficoltà che cresciamo, ci rinforziamo e ci raddrizziamo. Se vivessimo liberi e senza ostacoli, sentiremmo ancora il richiamo di Dio o penseremmo solo a noi stessi? Le difficoltà invece mostrano anche la nostra debolezza e ci portano a ricordare che siamo uomini fragili che hanno bisogno dell'aiuto di quel Dio che li ha creati con amore. Ecco perchè la sofferenza, a volte, è persino una benedizione per l'anima: attraverso di essa, l'anima ritrova la via e il sentiero perduto. Non cerchiamo quindi scorciatoie ai nostri problemi, perchè altrimenti faremo la fine della farfalla!
mercoledì 16 giugno 2010
In ricordo delle vittime dell'apartheid
Era il 16 giugno 1976. Il Sudafrica era un paese ancora diviso. I pochi bianchi avevano eretto un muro che li separava dai neri, fatto di una parola violenta: apartheid. E proprio quel giorno a Soweto, un sobborgo nero di Johannesburg, nacque una protesta che oggi il Sudafrica ricorda come "Giornata della gioventù", dedicata a tutti bambini africani che si vedono negare quotidianamente i propri diritti. La rivolta nacque nelle scuole per neri, dove agli studenti veniva impartita un'istruzione scadente, così come tutti gli altri pochi servizi a cui avevano accesso. Gli venne imposto anche l'afrikaner, la lingua dei bianchi. Un altro violento atto di segregazione. Gli studenti protestarono. Intervenne la polizia: a centinaia furono uccisi dalla polizia. Migliaia i feriti. Il 16 giugno è diventato festa nazionale nel 1991, per volere dell'allora Organizzazione dell'Unità Africana, oggi Unione Africana. Da allora, ogni anno, le strade del Sudafrica si rempiono di persone, che con parate, concerti, messe gospel, spettacoli celebrano l'inizio del movimento che negli anni '90 avrebbe portato alla sconfitta dell'apartheid. FONTE
Oggi ricordiamo questo triste evento che colpì la popolazione sudafricana e che scioccò il mondo intero. Questo è il risultato del razzismo, dell'odio, della divisione. Ed è proprio per evitare che simili episodi si ripetano nel futuro, che noi dobbiamo ricordare questi tragici eventi affinché l'uomo non dimentichi la vergogna delle proprie azioni e delle proprie idee distorte. Diffondiamo questi ricordi soprattutto, pensiamoci quando ci vengono in mente pensieri legati all'odio razziale. Recentemente, anche nel nostro Paese, abbiamo assistito ad una riemersione di questi sentimenti legati al colore della pelle e alla diversità razziale, perciò combattiamo affinché non si diffondano nuovamente queste idee di morte e di odio.
Questa preghiera è per le vittime di quel tragico giorno:
Oggi ricordiamo questo triste evento che colpì la popolazione sudafricana e che scioccò il mondo intero. Questo è il risultato del razzismo, dell'odio, della divisione. Ed è proprio per evitare che simili episodi si ripetano nel futuro, che noi dobbiamo ricordare questi tragici eventi affinché l'uomo non dimentichi la vergogna delle proprie azioni e delle proprie idee distorte. Diffondiamo questi ricordi soprattutto, pensiamoci quando ci vengono in mente pensieri legati all'odio razziale. Recentemente, anche nel nostro Paese, abbiamo assistito ad una riemersione di questi sentimenti legati al colore della pelle e alla diversità razziale, perciò combattiamo affinché non si diffondano nuovamente queste idee di morte e di odio.
Questa preghiera è per le vittime di quel tragico giorno:
L'ETERNO RIPOSO DONA LORO, O SIGNORE, E SPLENDA AD ESSI LA LUCE PERPETUA. RIPOSINO IN PACE, AMEN
domenica 13 giugno 2010
Sant'Antonio di Padova
Oggi ricordiamo la figura di Sant'Antonio e io lo voglio ricordare non solo tramite una sua breve biografia, ma anche e soprattutto attraverso uno dei più belli miracoli che io abbia mai visto (Sant'Antonio è conosciuto anche come il Santo dei miracoli!). Ecco chi era Sant'Antonio:
Fernando di Buglione nasce a Lisbona. A 15 anni è novizio nel monastero di San Vincenzo, tra gli agostiniani. Nel 1219, a 24 anni, viene ordinato prete. Nel 1220 giungono a Coimbra i corpi di cinque frati francescani decapitati in Marocco, dove si erano recati a predicare per ordine di Francesco d'Assisi. Ottenuto il permesso dal provinciale francescano di Spagna e dal priore agostiniano, Fernando entra nel romitorio dei Minori mutando il nome in Antonio. Invitato al Capitolo generale di Assisi, arriva con altri francescani a Santa Maria degli Angeli dove ha modo di ascoltare Francesco, ma non di conoscerlo personalmente. Per circa un anno e mezzo vive nell'eremo di Montepaolo. Su mandato dello stesso Francesco, inizierà poi a predicare in Romagna e poi nell'Italia settentrionale e in Francia. Nel 1227 diventa provinciale dell'Italia settentrionale proseguendo nell'opera di predicazione. Il 13 giugno 1231 si trova a Camposampiero e, sentondosi male, chiede di rientrare a Padova, dove vuole morire: spirerà nel convento dell'Arcella. (Avvenire)
Fernando di Buglione nasce a Lisbona. A 15 anni è novizio nel monastero di San Vincenzo, tra gli agostiniani. Nel 1219, a 24 anni, viene ordinato prete. Nel 1220 giungono a Coimbra i corpi di cinque frati francescani decapitati in Marocco, dove si erano recati a predicare per ordine di Francesco d'Assisi. Ottenuto il permesso dal provinciale francescano di Spagna e dal priore agostiniano, Fernando entra nel romitorio dei Minori mutando il nome in Antonio. Invitato al Capitolo generale di Assisi, arriva con altri francescani a Santa Maria degli Angeli dove ha modo di ascoltare Francesco, ma non di conoscerlo personalmente. Per circa un anno e mezzo vive nell'eremo di Montepaolo. Su mandato dello stesso Francesco, inizierà poi a predicare in Romagna e poi nell'Italia settentrionale e in Francia. Nel 1227 diventa provinciale dell'Italia settentrionale proseguendo nell'opera di predicazione. Il 13 giugno 1231 si trova a Camposampiero e, sentondosi male, chiede di rientrare a Padova, dove vuole morire: spirerà nel convento dell'Arcella. (Avvenire)
IL MIRACOLO EUCARISTICO
Nella regione di Tolosa il beato Antonio, avendo disputato con veemenza intorno al salvifico sacramento dell'Eucaristia contro un eretico incallito, e lo aveva quasi convinto e attirato alla fede cattolica, sennonché colui, dopo molti e vari argomenti cui si sforzava di sottrarsi, aggiunse queste parole: "Lasciamo le chiacchiere e veniamo ai fatti. Se tu, Antonio, riuscirai a provare con un miracolo che nella Comunione dei credenti c'è, per quanto velato, il vero corpo di Cristo, io, abiurata assolutamente ogni eresia, sottometterò senza indugio la mia testa alla fede cattolica". Il servo del Signore con grande fede gli rispose: "Confido nel mio salvatore Gesù Cristo che, per la conversione tua e degli altri, otterrò dalla misericordia di lui quanto richiedi". Si alzò allora quell'eretico e, invitando con la mano a far silenzio, parlò: "lo terrò chiuso il mio giumento per tre giornate e gli farò provare i tormenti della fame. Passati i tre giorni, lo tirerò fuori alla presenza della gente, gli mostrerò la biada pronta. Tu intanto gli starai di contro con quello che affermi essere il corpo di Cristo. Se l'animale così affamato, trascurando la biada, si affretterà a adorare il suo Dio, crederò sinceramente alla fede della Chiesa". Subito il padre santo diede il suo assenso. Allora l'eretico esclamò: "Udite bene, popoli tutti!". A che indugiare con molte parole? Arriva il giorno stabilito per la sfida. La gente accorre da ogni parte e affolla la vasta piazza. E' presente il servo di Cristo, Antonio, attorniato da una fitta folla di fedeli. Vi è l'eretico, con la caterva dei suoi complici. Paratosi per celebrare in una cappella che sorgeva vicino, il servo di Dio vi entrò con gran devozione per il rito della Messa. Terminato questo, uscì verso il popolo
che stava in attesa, portando con somma riverenza il corpo del Signore. Il mulo affamato è menato fuori della stalla, e gli si mostrano cibi appetitosi. Finalmente, imponendo il silenzio, l'uomo di Dio con molta fede comandò all'animale dicendo: "In virtù e in nome del Creatore, che io, per quanto ne sia indegno, tengo veramente tra le mani, ti dico, o animale, e ti ordino di avvicinarti prontamente con umiltà e di prestargli la dovuta venerazione, affinché i malvagi eretici apprendano chiaramente da tale gesto che ogni creatura è soggetta al suo Creatore, tenuto tra le mani della dignità sacerdotale sull'altare". Il servo di Dio nemmeno aveva finito queste parole, quand'ecco la bestia, trascurando il foraggio, chinando e abbassando la testa fino ai garretti, si accostò genuflettendo davanti al vivifico sacramento del corpo di Cristo. Infrenabile gioia ne viene ai fedeli e cattolici, mestizia e avvilimento agli eretici e miscredenti. Dio viene lodato e benedetto, la fede cattolica esaltata e onorata; l'eretica pravità è svergognata e condannata con vituperio sempiterno. L'eretico suddetto, abiurata la Usa dottrina in presenza di tutti, prestò da allora leale obbedienza ai precetti della santa Chiesa (Benignitas 16,6-17).
sabato 12 giugno 2010
Cuore immacolato di Maria
Oggi celebriamo il Cuore immacolato di Maria e per questo, ospito nel mio angolo, uno scritto pubblicato dalla Direzione della Regina degli Ultimi Tempi, molto bello e molto interessante:
Affinché la devozione all’augustissimo Cuore di Gesù produca i più copiosi frutti nella famiglia cristiana e perfino nell’intera umanità - ha insegnato il Papa Pio XII (Eugenio Pacelli) nell’enciclica « Haurietis Aquas » -, i fedeli abbiano cura di unirvi strettamente la devozione al Cuore Immacolato della Madre di Dio” (§ 84).
Nella Sacra Scrittura, il vocabolo “cuore” è alla base del rapporto religioso-morale dell’uomo con Dio. Il cuore è al centro di tutta la vita spirituale dell’uomo; è principio di vita, memoria, pensiero, volontà, interiorità: il cuore è inteso come sede dell’incontro con Dio.
L’espressione “Cuore Immacolato”, applicato a Maria, è divenuta di uso corrente in seguito alla definizione del dogma dell’Immacolata Concezione (Beato Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti), 8 dicembre 1854, bolla “Ineffabilis Deus”), e raggiunse la massima diffusione negli anni 1942-1952, a motivo degli avvenimenti di Fatima che determinarono la consacrazione del mondo al Cuore Immacolato.
L’origine storica della festa è abbastanza recente, come è ricordato nell’Esortazione apostolica “Marialis Cultus” (2 febbraio 1974) del Servo di Dio Paolo VI (Giovanni Battista Montini ) che annovera la memoria del Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria tra le “memorie o feste che esprimono orientamenti emersi nella pietà contemporanea” (MC 8).
S. Giovanni Eudes (1601-1680) che fu padre, dottore e primo apostolo di questa devozione, come risulta dalle dichiarazioni di Pp Leone XIII (1903) e di S. Pio X (1909), non separava mai i due Cuori nei suoi progetti liturgici.
Con alcuni suoi discepoli, nel 1648, il santo cominciò a celebrare la festa del Cuore di Maria, componendo i testi liturgici per la Messa; ma solo nel 1805 Pp Pio VII (Barnaba Chiaramonti) decise di permetterne la celebrazione a tutti quelli che ne avrebbero fatto esplicita richiesta.
Nel 1864 alcuni vescovi chiesero al Papa la consacrazione del mondo al Cuore di Maria. La prima nazione che si consacrò fu l’Italia, in occasione del Congresso Mariano di Torino del 1897.
Nel secolo XX nuovi avvenimenti prepararono il grande trionfo liturgico della devozione al Cuore di Maria e in particolare le apparizioni di Fatima e le rivelazioni fatte alla mistica portoghese Alessandrina de Balazar.
Il 31 ottobre 1942, nel venticinquesimo anniversario delle apparizioni di Fatima, Pp Pio XII (Eugenio Pacelli) consacrava la Chiesa e il genere umano al Cuore immacolato di Maria e, con il decreto del 1944, istituiva la festa universale del Cuore di Maria, fissando la celebrazione al giorno 22 agosto, ottava dell’Assunta, per invocare la pace.
Successivamente, la celebrazione venne fissata, come memoria, il giorno dopo la solennità del Sacro Cuore di Gesù.
www.verginedegliultimitempi.com
Affinché la devozione all’augustissimo Cuore di Gesù produca i più copiosi frutti nella famiglia cristiana e perfino nell’intera umanità - ha insegnato il Papa Pio XII (Eugenio Pacelli) nell’enciclica « Haurietis Aquas » -, i fedeli abbiano cura di unirvi strettamente la devozione al Cuore Immacolato della Madre di Dio” (§ 84).
Nella Sacra Scrittura, il vocabolo “cuore” è alla base del rapporto religioso-morale dell’uomo con Dio. Il cuore è al centro di tutta la vita spirituale dell’uomo; è principio di vita, memoria, pensiero, volontà, interiorità: il cuore è inteso come sede dell’incontro con Dio.
L’espressione “Cuore Immacolato”, applicato a Maria, è divenuta di uso corrente in seguito alla definizione del dogma dell’Immacolata Concezione (Beato Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti), 8 dicembre 1854, bolla “Ineffabilis Deus”), e raggiunse la massima diffusione negli anni 1942-1952, a motivo degli avvenimenti di Fatima che determinarono la consacrazione del mondo al Cuore Immacolato.
L’origine storica della festa è abbastanza recente, come è ricordato nell’Esortazione apostolica “Marialis Cultus” (2 febbraio 1974) del Servo di Dio Paolo VI (Giovanni Battista Montini ) che annovera la memoria del Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria tra le “memorie o feste che esprimono orientamenti emersi nella pietà contemporanea” (MC 8).
S. Giovanni Eudes (1601-1680) che fu padre, dottore e primo apostolo di questa devozione, come risulta dalle dichiarazioni di Pp Leone XIII (1903) e di S. Pio X (1909), non separava mai i due Cuori nei suoi progetti liturgici.
Con alcuni suoi discepoli, nel 1648, il santo cominciò a celebrare la festa del Cuore di Maria, componendo i testi liturgici per la Messa; ma solo nel 1805 Pp Pio VII (Barnaba Chiaramonti) decise di permetterne la celebrazione a tutti quelli che ne avrebbero fatto esplicita richiesta.
Nel 1864 alcuni vescovi chiesero al Papa la consacrazione del mondo al Cuore di Maria. La prima nazione che si consacrò fu l’Italia, in occasione del Congresso Mariano di Torino del 1897.
Nel secolo XX nuovi avvenimenti prepararono il grande trionfo liturgico della devozione al Cuore di Maria e in particolare le apparizioni di Fatima e le rivelazioni fatte alla mistica portoghese Alessandrina de Balazar.
Il 31 ottobre 1942, nel venticinquesimo anniversario delle apparizioni di Fatima, Pp Pio XII (Eugenio Pacelli) consacrava la Chiesa e il genere umano al Cuore immacolato di Maria e, con il decreto del 1944, istituiva la festa universale del Cuore di Maria, fissando la celebrazione al giorno 22 agosto, ottava dell’Assunta, per invocare la pace.
Successivamente, la celebrazione venne fissata, come memoria, il giorno dopo la solennità del Sacro Cuore di Gesù.
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venerdì 11 giugno 2010
Il Papa chiede perdono: "Bastone contro i sacerdoti indegni"
Oggi, ho l'onore di ospitare nel mio angolo le parole del Santo Padre Benedetto XVI: sono particolarmente importanti perchè il Papa ha chiesto scusa pubblicamente dei peccati commessi in questi anni e perchè ha indicato nel bastone, la misura contro i sacerdoti indegni. Ecco il testo integrale dell'omelia pronunciata in occasione della celebrazione conclusiva dell'anno sacerdotale:
Cari confratelli nel ministero sacerdotale,
Cari fratelli e sorelle,
l’Anno Sacerdotale che abbiamo celebrato, 150 anni dopo la morte del santo Curato d’Ars, modello del ministero sacerdotale nel nostro mondo, volge al termine. Dal Curato d’Ars ci siamo lasciati guidare, per comprendere nuovamente la grandezza e la bellezza del ministero sacerdotale. Il sacerdote non è semplicemente il detentore di un ufficio, come quelli di cui ogni società ha bisogno affinché in essa possano essere adempiute certe funzioni. Egli invece fa qualcosa che nessun essere umano può fare da sé: pronuncia in nome di Cristo la parola dell’assoluzione dai nostri peccati e cambia così, a partire da Dio, la situazione della nostra vita. Pronuncia sulle offerte del pane e del vino le parole di ringraziamento di Cristo che sono parole di transustanziazione – parole che rendono presente Lui stesso, il Risorto, il suo Corpo e suo Sangue, e trasformano così gli elementi del mondo: parole che spalancano il mondo a Dio e lo congiungono a Lui. Il sacerdozio è quindi non semplicemente «ufficio», ma sacramento: Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uomini e di agire in loro favore. Questa audacia di Dio, che ad esseri umani affida se stesso; che, pur conoscendo le nostre debolezze, ritiene degli uomini capaci di agire e di essere presenti in vece sua – questa audacia di Dio è la cosa veramente grande che si nasconde nella parola «sacerdozio». Che Dio ci ritenga capaci di questo; che Egli in tal modo chiami uomini al suo servizio e così dal di dentro si leghi ad essi: è ciò che in quest’anno volevamo nuovamente considerare e comprendere. Volevamo risvegliare la gioia che Dio ci sia così vicino, e la gratitudine per il fatto che Egli si affidi alla nostra debolezza; che Egli ci conduca e ci sostenga giorno per giorno. Volevamo così anche mostrare nuovamente ai giovani che questa vocazione, questa comunione di servizio per Dio e con Dio, esiste – anzi, che Dio è in attesa del nostro «sì». Insieme alla Chiesa volevamo nuovamente far notare che questa vocazione la dobbiamo chiedere a Dio. Chiediamo operai per la messe di Dio, e questa richiesta a Dio è, al tempo stesso, un bussare di Dio al cuore di giovani che si ritengono capaci di ciò di cui Dio li ritiene capaci. Era da aspettarsi che al «nemico» questo nuovo brillare del sacerdozio non sarebbe piaciuto; egli avrebbe preferito vederlo scomparire, perché in fin dei conti Dio fosse spinto fuori dal mondo. E così è successo che, proprio in questo anno di gioia per il sacramento del sacerdozio, siano venuti alla luce i peccati di sacerdoti – soprattutto l’abuso nei confronti dei piccoli, nel quale il sacerdozio come compito della premura di Dio a vantaggio dell’uomo viene volto nel suo contrario. Anche noi chiediamo insistentemente perdono a Dio ed alle persone coinvolte, mentre intendiamo promettere di voler fare tutto il possibile affinché un tale abuso non possa succedere mai più; promettere che nell’ammissione al ministero sacerdotale e nella formazione durante il cammino di preparazione ad esso faremo tutto ciò che possiamo per vagliare l’autenticità della vocazione e che vogliamo ancora di più accompagnare i sacerdoti nel loro cammino, affinché il Signore li protegga e li custodisca in situazioni penose e nei pericoli della vita. Se l’Anno Sacerdotale avesse dovuto essere una glorificazione della nostra personale prestazione umana, sarebbe stato distrutto da queste vicende. Ma si trattava per noi proprio del contrario: il diventare grati per il dono di Dio, dono che si nasconde “in vasi di creta” e che sempre di nuovo, attraverso tutta la debolezza umana, rende concreto in questo mondo il suo amore. Così consideriamo quanto è avvenuto quale compito di purificazione, un compito che ci accompagna verso il futuro e che, tanto più, ci fa riconoscere ed amare il grande dono di Dio. In questo modo, il dono diventa l’impegno di rispondere al coraggio e all’umiltà di Dio con il nostro coraggio e la nostra umiltà. La parola di Cristo, che abbiamo cantato come canto d’ingresso nella liturgia, può dirci in questa ora che cosa significhi diventare ed essere sacerdoti: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29).
Celebriamo la festa del Sacro Cuore di Gesù e gettiamo con la liturgia, per così dire, uno sguardo dentro il cuore di Gesù, che nella morte fu aperto dalla lancia del soldato romano. Sì, il suo cuore è aperto per noi e davanti a noi – e con ciò ci è aperto il cuore di Dio stesso. La liturgia interpreta per noi il linguaggio del cuore di Gesù, che parla soprattutto di Dio quale pastore degli uomini, e in questo modo ci manifesta il sacerdozio di Gesù, che è radicato nell’intimo del suo cuore; così ci indica il perenne fondamento, come pure il valido criterio, di ogni ministero sacerdotale, che deve sempre essere ancorato al cuore di Gesù ed essere vissuto a partire da esso. Vorrei oggi meditare soprattutto sui testi con i quali la Chiesa orante risponde alla Parola di Dio presentata nelle letture. In quei canti parola e risposta si compenetrano. Da una parte, essi stessi sono tratti dalla Parola di Dio, ma, dall’altra, sono al contempo già la risposta dell’uomo a tale Parola, risposta in cui la Parola stessa si comunica ed entra nella nostra vita. Il più importante di quei testi nell’odierna liturgia è il Salmo 23 (22) – “Il Signore è il mio pastore” –, nel quale l’Israele orante ha accolto l’autorivelazione di Dio come pastore, e ne ha fatto l’orientamento per la propria vita. “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla”: in questo primo versetto si esprimono gioia e gratitudine per il fatto che Dio è presente e si occupa di noi. La lettura tratta dal Libro di Ezechiele comincia con lo stesso tema: “Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura” (Ez 34,11). Dio si prende personalmente cura di me, di noi, dell’umanità. Non sono lasciato solo, smarrito nell’universo ed in una società davanti a cui si rimane sempre più disorientati. Egli si prende cura di me. Non è un Dio lontano, per il quale la mia vita conterebbe troppo poco. Le religioni del mondo, per quanto possiamo vedere, hanno sempre saputo che, in ultima analisi, c’è un Dio solo. Ma tale Dio era lontano. Apparentemente Egli abbandonava il mondo ad altre potenze e forze, ad altre divinità. Con queste bisognava trovare un accordo. Il Dio unico era buono, ma tuttavia lontano. Non costituiva un pericolo, ma neppure offriva un aiuto. Così non era necessario occuparsi di Lui. Egli non dominava. Stranamente, questo pensiero è riemerso nell’Illuminismo. Si comprendeva ancora che il mondo presuppone un Creatore. Questo Dio, però, aveva costruito il mondo e poi si era evidentemente ritirato da esso. Ora il mondo aveva un suo insieme di leggi secondo cui si sviluppava e in cui Dio non interveniva, non poteva intervenire. Dio era solo un’origine remota. Molti forse non desideravano neppure che Dio si prendesse cura di loro. Non volevano essere disturbati da Dio. Ma laddove la premura e l’amore di Dio vengono percepiti come disturbo, lì l’essere umano è stravolto. È bello e consolante sapere che c’è una persona che mi vuol bene e si prende cura di me. Ma è molto più decisivo che esista quel Dio che mi conosce, mi ama e si preoccupa di me. “Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me” (Gv 10,14), dice la Chiesa prima del Vangelo con una parola del Signore. Dio mi conosce, si preoccupa di me. Questo pensiero dovrebbe renderci veramente gioiosi. Lasciamo che esso penetri profondamente nel nostro intimo. Allora comprendiamo anche che cosa significhi: Dio vuole che noi come sacerdoti, in un piccolo punto della storia, condividiamo le sue preoccupazioni per gli uomini. Come sacerdoti, vogliamo essere persone che, in comunione con la sua premura per gli uomini, ci prendiamo cura di loro, rendiamo a loro sperimentabile nel concreto questa premura di Dio. E, riguardo all’ambito a lui affidato, il sacerdote, insieme col Signore, dovrebbe poter dire: “Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”. “Conoscere”, nel significato della Sacra Scrittura, non è mai soltanto un sapere esteriore così come si conosce il numero telefonico di una persona. “Conoscere” significa essere interiormente vicino all’altro. Volergli bene. Noi dovremmo cercare di “conoscere” gli uomini da parte di Dio e in vista di Dio; dovremmo cercare di camminare con loro sulla via dell’amicizia di Dio.
Ritorniamo al nostro Salmo. Lì si dice: “Mi guida per il giusto cammino a motivo del suo nome. Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza” (23 [22], 3s). Il pastore indica la strada giusta a coloro che gli sono affidati. Egli precede e li guida. Diciamolo in maniera diversa: il Signore ci mostra come si realizza in modo giusto l’essere uomini. Egli ci insegna l’arte di essere persona. Che cosa devo fare per non precipitare, per non sperperare la mia vita nella mancanza di senso? È, appunto, questa la domanda che ogni uomo deve porsi e che vale in ogni periodo della vita. E quanto buio esiste intorno a tale domanda nel nostro tempo! Sempre di nuovo ci viene in mente la parola di Gesù, il quale aveva compassione per gli uomini, perché erano come pecore senza pastore. Signore, abbi pietà anche di noi! Indicaci la strada! Dal Vangelo sappiamo questo: Egli stesso è la via. Vivere con Cristo, seguire Lui – questo significa trovare la via giusta, affinché la nostra vita acquisti senso ed affinché un giorno possiamo dire: “Sì, vivere è stata una cosa buona”. Il popolo d’Israele era ed è grato a Dio, perché Egli nei Comandamenti ha indicato la via della vita. Il grande Salmo 119 (118) è un’unica espressione di gioia per questo fatto: noi non brancoliamo nel buio. Dio ci ha mostrato qual è la via, come possiamo camminare nel modo giusto. Ciò che i Comandamenti dicono è stato sintetizzato nella vita di Gesù ed è divenuto un modello vivo. Così capiamo che queste direttive di Dio non sono catene, ma sono la via che Egli ci indica. Possiamo essere lieti per esse e gioire perché in Cristo stanno davanti a noi come realtà vissuta. Egli stesso ci ha resi lieti. Nel camminare insieme con Cristo facciamo l’esperienza della gioia della Rivelazione, e come sacerdoti dobbiamo comunicare alla gente la gioia per il fatto che ci è stata indicata la via giusta della vita.
C’è poi la parola concernente la “valle oscura” attraverso la quale il Signore guida l’uomo. La via di ciascuno di noi ci condurrà un giorno nella valle oscura della morte in cui nessuno può accompagnarci. Ed Egli sarà lì. Cristo stesso è disceso nella notte oscura della morte. Anche lì Egli non ci abbandona. Anche lì ci guida. “Se scendo negli inferi, eccoti”, dice il Salmo 139 (138). Sì, tu sei presente anche nell’ultimo travaglio, e così il nostro Salmo responsoriale può dire: pure lì, nella valle oscura, non temo alcun male. Parlando della valle oscura possiamo, però, pensare anche alle valli oscure della tentazione, dello scoraggiamento, della prova, che ogni persona umana deve attraversare. Anche in queste valli tenebrose della vita Egli è là. Sì, Signore, nelle oscurità della tentazione, nelle ore dell’oscuramento in cui tutte le luci sembrano spegnersi, mostrami che tu sei là. Aiuta noi sacerdoti, affinché possiamo essere accanto alle persone a noi affidate in tali notti oscure. Affinché possiamo mostrare loro la tua luce.
“Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”: il pastore ha bisogno del bastone contro le bestie selvatiche che vogliono irrompere tra il gregge; contro i briganti che cercano il loro bottino. Accanto al bastone c’è il vincastro che dona sostegno ed aiuta ad attraversare passaggi difficili. Ambedue le cose rientrano anche nel ministero della Chiesa, nel ministero del sacerdote. Anche la Chiesa deve usare il bastone del pastore, il bastone col quale protegge la fede contro i falsificatori, contro gli orientamenti che sono, in realtà, disorientamenti. Proprio l’uso del bastone può essere un servizio di amore. Oggi vediamo che non si tratta di amore, quando si tollerano comportamenti indegni della vita sacerdotale. Come pure non si tratta di amore se si lascia proliferare l’eresia, il travisamento e il disfacimento della fede, come se noi autonomamente inventassimo la fede. Come se non fosse più dono di Dio, la perla preziosa che non ci lasciamo strappare via. Al tempo stesso, però, il bastone deve sempre di nuovo diventare il vincastro del pastore – vincastro che aiuti gli uomini a poter camminare su sentieri difficili e a seguire il Signore.
Alla fine del Salmo si parla della mensa preparata, dell’olio con cui viene unto il capo, del calice traboccante, del poter abitare presso il Signore. Nel Salmo questo esprime innanzitutto la prospettiva della gioia per la festa di essere con Dio nel tempio, di essere ospitati e serviti da Lui stesso, di poter abitare presso di Lui. Per noi che preghiamo questo Salmo con Cristo e col suo Corpo che è la Chiesa, questa prospettiva di speranza ha acquistato un’ampiezza ed una profondità ancora più grandi. Vediamo in queste parole, per così dire, un’anticipazione profetica del mistero dell’Eucaristia in cui Dio stesso ci ospita offrendo se stesso a noi come cibo – come quel pane e quel vino squisito che, soli, possono costituire l’ultima risposta all’intima fame e sete dell’uomo. Come non essere lieti di poter ogni giorno essere ospiti alla mensa stessa di Dio, di abitare presso di Lui? Come non essere lieti del fatto che Egli ci ha comandato: “Fate questo in memoria di me”? Lieti perché Egli ci ha dato di preparare la mensa di Dio per gli uomini, di dare loro il suo Corpo e il suo Sangue, di offrire loro il dono prezioso della sua stessa presenza. Sì, possiamo con tutto il cuore pregare insieme le parole del Salmo: “Bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita” (23 [22], 6).
Alla fine gettiamo ancora brevemente uno sguardo sui due canti alla comunione propostici oggi dalla Chiesa nella sua liturgia. C’è anzitutto la parola con cui san Giovanni conclude il racconto della crocifissione di Gesù: “Un soldato gli trafisse il costato con la lancia e subito ne uscì sangue ed acqua” (Gv 19,34). Il cuore di Gesù viene trafitto dalla lancia. Esso viene aperto, e diventa una sorgente: l’acqua e il sangue che ne escono rimandano ai due Sacramenti fondamentali dei quali la Chiesa vive: il Battesimo e l’Eucaristia. Dal costato squarciato del Signore, dal suo cuore aperto scaturisce la sorgente viva che scorre attraverso i secoli e fa la Chiesa. Il cuore aperto è fonte di un nuovo fiume di vita; in questo contesto, Giovanni certamente ha pensato anche alla profezia di Ezechiele che vede sgorgare dal nuovo tempio un fiume che dona fecondità e vita (Ez 47): Gesù stesso è il tempio nuovo, e il suo cuore aperto è la sorgente dalla quale esce un fiume di vita nuova, che si comunica a noi nel Battesimo e nell’Eucaristia.
La liturgia della Solennità del Sacro Cuore di Gesù prevede, però, come canto di comunione anche un’altra parola, affine a questa, tratta dal Vangelo di Giovanni: Chi ha sete, venga a me. Beva chi crede in me. La Scrittura dice: “Sgorgheranno da lui fiumi d’acqua viva” (cfr Gv 7,37s). Nella fede beviamo, per così dire, dall’acqua viva della Parola di Dio. Così il credente diventa egli stesso una sorgente, dona alla terra assetata della storia acqua viva. Lo vediamo nei santi. Lo vediamo in Maria che, quale grande donna di fede e di amore, è diventata lungo i secoli sorgente di fede, amore e vita. Ogni cristiano e ogni sacerdote dovrebbero, a partire da Cristo, diventare sorgente che comunica vita agli altri. Noi dovremmo donare acqua della vita ad un mondo assetato. Signore, noi ti ringraziamo perché hai aperto il tuo cuore per noi; perché nella tua morte e nella tua risurrezione sei diventato fonte di vita. Fa’ che siamo persone viventi, viventi dalla tua fonte, e donaci di poter essere anche noi fonti, in grado di donare a questo nostro tempo acqua della vita. Ti ringraziamo per la grazia del ministero sacerdotale. Signore, benedici noi e benedici tutti gli uomini di questo tempo che sono assetati e in ricerca. Amen.
[Saluti in varie lingue ... ]
Rivolgo infine il mio cordiale saluto ai sacerdoti di Roma e d’Italia; come pure ai Presuli, ai sacerdoti e ai seminaristi di tutti i Riti delle Chiese Orientali cattoliche. So, infine, che in tutte le parti del mondo si sono tenuti moltissimi incontri celebrativi e spirituali con grande e fruttuosa partecipazione. Pertanto, desidero ringraziare Vescovi, sacerdoti e organizzatori ed auguro a tutti di proseguire con rinnovato slancio il cammino di santificazione in questo sacro ministero che il Signore vi ha affidato. Vi benedico di cuore!
Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù
Piazza San Pietro
Venerdì, 11 giugno 2010
Piazza San Pietro
Venerdì, 11 giugno 2010
Cari confratelli nel ministero sacerdotale,
Cari fratelli e sorelle,
l’Anno Sacerdotale che abbiamo celebrato, 150 anni dopo la morte del santo Curato d’Ars, modello del ministero sacerdotale nel nostro mondo, volge al termine. Dal Curato d’Ars ci siamo lasciati guidare, per comprendere nuovamente la grandezza e la bellezza del ministero sacerdotale. Il sacerdote non è semplicemente il detentore di un ufficio, come quelli di cui ogni società ha bisogno affinché in essa possano essere adempiute certe funzioni. Egli invece fa qualcosa che nessun essere umano può fare da sé: pronuncia in nome di Cristo la parola dell’assoluzione dai nostri peccati e cambia così, a partire da Dio, la situazione della nostra vita. Pronuncia sulle offerte del pane e del vino le parole di ringraziamento di Cristo che sono parole di transustanziazione – parole che rendono presente Lui stesso, il Risorto, il suo Corpo e suo Sangue, e trasformano così gli elementi del mondo: parole che spalancano il mondo a Dio e lo congiungono a Lui. Il sacerdozio è quindi non semplicemente «ufficio», ma sacramento: Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uomini e di agire in loro favore. Questa audacia di Dio, che ad esseri umani affida se stesso; che, pur conoscendo le nostre debolezze, ritiene degli uomini capaci di agire e di essere presenti in vece sua – questa audacia di Dio è la cosa veramente grande che si nasconde nella parola «sacerdozio». Che Dio ci ritenga capaci di questo; che Egli in tal modo chiami uomini al suo servizio e così dal di dentro si leghi ad essi: è ciò che in quest’anno volevamo nuovamente considerare e comprendere. Volevamo risvegliare la gioia che Dio ci sia così vicino, e la gratitudine per il fatto che Egli si affidi alla nostra debolezza; che Egli ci conduca e ci sostenga giorno per giorno. Volevamo così anche mostrare nuovamente ai giovani che questa vocazione, questa comunione di servizio per Dio e con Dio, esiste – anzi, che Dio è in attesa del nostro «sì». Insieme alla Chiesa volevamo nuovamente far notare che questa vocazione la dobbiamo chiedere a Dio. Chiediamo operai per la messe di Dio, e questa richiesta a Dio è, al tempo stesso, un bussare di Dio al cuore di giovani che si ritengono capaci di ciò di cui Dio li ritiene capaci. Era da aspettarsi che al «nemico» questo nuovo brillare del sacerdozio non sarebbe piaciuto; egli avrebbe preferito vederlo scomparire, perché in fin dei conti Dio fosse spinto fuori dal mondo. E così è successo che, proprio in questo anno di gioia per il sacramento del sacerdozio, siano venuti alla luce i peccati di sacerdoti – soprattutto l’abuso nei confronti dei piccoli, nel quale il sacerdozio come compito della premura di Dio a vantaggio dell’uomo viene volto nel suo contrario. Anche noi chiediamo insistentemente perdono a Dio ed alle persone coinvolte, mentre intendiamo promettere di voler fare tutto il possibile affinché un tale abuso non possa succedere mai più; promettere che nell’ammissione al ministero sacerdotale e nella formazione durante il cammino di preparazione ad esso faremo tutto ciò che possiamo per vagliare l’autenticità della vocazione e che vogliamo ancora di più accompagnare i sacerdoti nel loro cammino, affinché il Signore li protegga e li custodisca in situazioni penose e nei pericoli della vita. Se l’Anno Sacerdotale avesse dovuto essere una glorificazione della nostra personale prestazione umana, sarebbe stato distrutto da queste vicende. Ma si trattava per noi proprio del contrario: il diventare grati per il dono di Dio, dono che si nasconde “in vasi di creta” e che sempre di nuovo, attraverso tutta la debolezza umana, rende concreto in questo mondo il suo amore. Così consideriamo quanto è avvenuto quale compito di purificazione, un compito che ci accompagna verso il futuro e che, tanto più, ci fa riconoscere ed amare il grande dono di Dio. In questo modo, il dono diventa l’impegno di rispondere al coraggio e all’umiltà di Dio con il nostro coraggio e la nostra umiltà. La parola di Cristo, che abbiamo cantato come canto d’ingresso nella liturgia, può dirci in questa ora che cosa significhi diventare ed essere sacerdoti: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29).
Celebriamo la festa del Sacro Cuore di Gesù e gettiamo con la liturgia, per così dire, uno sguardo dentro il cuore di Gesù, che nella morte fu aperto dalla lancia del soldato romano. Sì, il suo cuore è aperto per noi e davanti a noi – e con ciò ci è aperto il cuore di Dio stesso. La liturgia interpreta per noi il linguaggio del cuore di Gesù, che parla soprattutto di Dio quale pastore degli uomini, e in questo modo ci manifesta il sacerdozio di Gesù, che è radicato nell’intimo del suo cuore; così ci indica il perenne fondamento, come pure il valido criterio, di ogni ministero sacerdotale, che deve sempre essere ancorato al cuore di Gesù ed essere vissuto a partire da esso. Vorrei oggi meditare soprattutto sui testi con i quali la Chiesa orante risponde alla Parola di Dio presentata nelle letture. In quei canti parola e risposta si compenetrano. Da una parte, essi stessi sono tratti dalla Parola di Dio, ma, dall’altra, sono al contempo già la risposta dell’uomo a tale Parola, risposta in cui la Parola stessa si comunica ed entra nella nostra vita. Il più importante di quei testi nell’odierna liturgia è il Salmo 23 (22) – “Il Signore è il mio pastore” –, nel quale l’Israele orante ha accolto l’autorivelazione di Dio come pastore, e ne ha fatto l’orientamento per la propria vita. “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla”: in questo primo versetto si esprimono gioia e gratitudine per il fatto che Dio è presente e si occupa di noi. La lettura tratta dal Libro di Ezechiele comincia con lo stesso tema: “Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura” (Ez 34,11). Dio si prende personalmente cura di me, di noi, dell’umanità. Non sono lasciato solo, smarrito nell’universo ed in una società davanti a cui si rimane sempre più disorientati. Egli si prende cura di me. Non è un Dio lontano, per il quale la mia vita conterebbe troppo poco. Le religioni del mondo, per quanto possiamo vedere, hanno sempre saputo che, in ultima analisi, c’è un Dio solo. Ma tale Dio era lontano. Apparentemente Egli abbandonava il mondo ad altre potenze e forze, ad altre divinità. Con queste bisognava trovare un accordo. Il Dio unico era buono, ma tuttavia lontano. Non costituiva un pericolo, ma neppure offriva un aiuto. Così non era necessario occuparsi di Lui. Egli non dominava. Stranamente, questo pensiero è riemerso nell’Illuminismo. Si comprendeva ancora che il mondo presuppone un Creatore. Questo Dio, però, aveva costruito il mondo e poi si era evidentemente ritirato da esso. Ora il mondo aveva un suo insieme di leggi secondo cui si sviluppava e in cui Dio non interveniva, non poteva intervenire. Dio era solo un’origine remota. Molti forse non desideravano neppure che Dio si prendesse cura di loro. Non volevano essere disturbati da Dio. Ma laddove la premura e l’amore di Dio vengono percepiti come disturbo, lì l’essere umano è stravolto. È bello e consolante sapere che c’è una persona che mi vuol bene e si prende cura di me. Ma è molto più decisivo che esista quel Dio che mi conosce, mi ama e si preoccupa di me. “Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me” (Gv 10,14), dice la Chiesa prima del Vangelo con una parola del Signore. Dio mi conosce, si preoccupa di me. Questo pensiero dovrebbe renderci veramente gioiosi. Lasciamo che esso penetri profondamente nel nostro intimo. Allora comprendiamo anche che cosa significhi: Dio vuole che noi come sacerdoti, in un piccolo punto della storia, condividiamo le sue preoccupazioni per gli uomini. Come sacerdoti, vogliamo essere persone che, in comunione con la sua premura per gli uomini, ci prendiamo cura di loro, rendiamo a loro sperimentabile nel concreto questa premura di Dio. E, riguardo all’ambito a lui affidato, il sacerdote, insieme col Signore, dovrebbe poter dire: “Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”. “Conoscere”, nel significato della Sacra Scrittura, non è mai soltanto un sapere esteriore così come si conosce il numero telefonico di una persona. “Conoscere” significa essere interiormente vicino all’altro. Volergli bene. Noi dovremmo cercare di “conoscere” gli uomini da parte di Dio e in vista di Dio; dovremmo cercare di camminare con loro sulla via dell’amicizia di Dio.
Ritorniamo al nostro Salmo. Lì si dice: “Mi guida per il giusto cammino a motivo del suo nome. Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza” (23 [22], 3s). Il pastore indica la strada giusta a coloro che gli sono affidati. Egli precede e li guida. Diciamolo in maniera diversa: il Signore ci mostra come si realizza in modo giusto l’essere uomini. Egli ci insegna l’arte di essere persona. Che cosa devo fare per non precipitare, per non sperperare la mia vita nella mancanza di senso? È, appunto, questa la domanda che ogni uomo deve porsi e che vale in ogni periodo della vita. E quanto buio esiste intorno a tale domanda nel nostro tempo! Sempre di nuovo ci viene in mente la parola di Gesù, il quale aveva compassione per gli uomini, perché erano come pecore senza pastore. Signore, abbi pietà anche di noi! Indicaci la strada! Dal Vangelo sappiamo questo: Egli stesso è la via. Vivere con Cristo, seguire Lui – questo significa trovare la via giusta, affinché la nostra vita acquisti senso ed affinché un giorno possiamo dire: “Sì, vivere è stata una cosa buona”. Il popolo d’Israele era ed è grato a Dio, perché Egli nei Comandamenti ha indicato la via della vita. Il grande Salmo 119 (118) è un’unica espressione di gioia per questo fatto: noi non brancoliamo nel buio. Dio ci ha mostrato qual è la via, come possiamo camminare nel modo giusto. Ciò che i Comandamenti dicono è stato sintetizzato nella vita di Gesù ed è divenuto un modello vivo. Così capiamo che queste direttive di Dio non sono catene, ma sono la via che Egli ci indica. Possiamo essere lieti per esse e gioire perché in Cristo stanno davanti a noi come realtà vissuta. Egli stesso ci ha resi lieti. Nel camminare insieme con Cristo facciamo l’esperienza della gioia della Rivelazione, e come sacerdoti dobbiamo comunicare alla gente la gioia per il fatto che ci è stata indicata la via giusta della vita.
C’è poi la parola concernente la “valle oscura” attraverso la quale il Signore guida l’uomo. La via di ciascuno di noi ci condurrà un giorno nella valle oscura della morte in cui nessuno può accompagnarci. Ed Egli sarà lì. Cristo stesso è disceso nella notte oscura della morte. Anche lì Egli non ci abbandona. Anche lì ci guida. “Se scendo negli inferi, eccoti”, dice il Salmo 139 (138). Sì, tu sei presente anche nell’ultimo travaglio, e così il nostro Salmo responsoriale può dire: pure lì, nella valle oscura, non temo alcun male. Parlando della valle oscura possiamo, però, pensare anche alle valli oscure della tentazione, dello scoraggiamento, della prova, che ogni persona umana deve attraversare. Anche in queste valli tenebrose della vita Egli è là. Sì, Signore, nelle oscurità della tentazione, nelle ore dell’oscuramento in cui tutte le luci sembrano spegnersi, mostrami che tu sei là. Aiuta noi sacerdoti, affinché possiamo essere accanto alle persone a noi affidate in tali notti oscure. Affinché possiamo mostrare loro la tua luce.
“Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”: il pastore ha bisogno del bastone contro le bestie selvatiche che vogliono irrompere tra il gregge; contro i briganti che cercano il loro bottino. Accanto al bastone c’è il vincastro che dona sostegno ed aiuta ad attraversare passaggi difficili. Ambedue le cose rientrano anche nel ministero della Chiesa, nel ministero del sacerdote. Anche la Chiesa deve usare il bastone del pastore, il bastone col quale protegge la fede contro i falsificatori, contro gli orientamenti che sono, in realtà, disorientamenti. Proprio l’uso del bastone può essere un servizio di amore. Oggi vediamo che non si tratta di amore, quando si tollerano comportamenti indegni della vita sacerdotale. Come pure non si tratta di amore se si lascia proliferare l’eresia, il travisamento e il disfacimento della fede, come se noi autonomamente inventassimo la fede. Come se non fosse più dono di Dio, la perla preziosa che non ci lasciamo strappare via. Al tempo stesso, però, il bastone deve sempre di nuovo diventare il vincastro del pastore – vincastro che aiuti gli uomini a poter camminare su sentieri difficili e a seguire il Signore.
Alla fine del Salmo si parla della mensa preparata, dell’olio con cui viene unto il capo, del calice traboccante, del poter abitare presso il Signore. Nel Salmo questo esprime innanzitutto la prospettiva della gioia per la festa di essere con Dio nel tempio, di essere ospitati e serviti da Lui stesso, di poter abitare presso di Lui. Per noi che preghiamo questo Salmo con Cristo e col suo Corpo che è la Chiesa, questa prospettiva di speranza ha acquistato un’ampiezza ed una profondità ancora più grandi. Vediamo in queste parole, per così dire, un’anticipazione profetica del mistero dell’Eucaristia in cui Dio stesso ci ospita offrendo se stesso a noi come cibo – come quel pane e quel vino squisito che, soli, possono costituire l’ultima risposta all’intima fame e sete dell’uomo. Come non essere lieti di poter ogni giorno essere ospiti alla mensa stessa di Dio, di abitare presso di Lui? Come non essere lieti del fatto che Egli ci ha comandato: “Fate questo in memoria di me”? Lieti perché Egli ci ha dato di preparare la mensa di Dio per gli uomini, di dare loro il suo Corpo e il suo Sangue, di offrire loro il dono prezioso della sua stessa presenza. Sì, possiamo con tutto il cuore pregare insieme le parole del Salmo: “Bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita” (23 [22], 6).
Alla fine gettiamo ancora brevemente uno sguardo sui due canti alla comunione propostici oggi dalla Chiesa nella sua liturgia. C’è anzitutto la parola con cui san Giovanni conclude il racconto della crocifissione di Gesù: “Un soldato gli trafisse il costato con la lancia e subito ne uscì sangue ed acqua” (Gv 19,34). Il cuore di Gesù viene trafitto dalla lancia. Esso viene aperto, e diventa una sorgente: l’acqua e il sangue che ne escono rimandano ai due Sacramenti fondamentali dei quali la Chiesa vive: il Battesimo e l’Eucaristia. Dal costato squarciato del Signore, dal suo cuore aperto scaturisce la sorgente viva che scorre attraverso i secoli e fa la Chiesa. Il cuore aperto è fonte di un nuovo fiume di vita; in questo contesto, Giovanni certamente ha pensato anche alla profezia di Ezechiele che vede sgorgare dal nuovo tempio un fiume che dona fecondità e vita (Ez 47): Gesù stesso è il tempio nuovo, e il suo cuore aperto è la sorgente dalla quale esce un fiume di vita nuova, che si comunica a noi nel Battesimo e nell’Eucaristia.
La liturgia della Solennità del Sacro Cuore di Gesù prevede, però, come canto di comunione anche un’altra parola, affine a questa, tratta dal Vangelo di Giovanni: Chi ha sete, venga a me. Beva chi crede in me. La Scrittura dice: “Sgorgheranno da lui fiumi d’acqua viva” (cfr Gv 7,37s). Nella fede beviamo, per così dire, dall’acqua viva della Parola di Dio. Così il credente diventa egli stesso una sorgente, dona alla terra assetata della storia acqua viva. Lo vediamo nei santi. Lo vediamo in Maria che, quale grande donna di fede e di amore, è diventata lungo i secoli sorgente di fede, amore e vita. Ogni cristiano e ogni sacerdote dovrebbero, a partire da Cristo, diventare sorgente che comunica vita agli altri. Noi dovremmo donare acqua della vita ad un mondo assetato. Signore, noi ti ringraziamo perché hai aperto il tuo cuore per noi; perché nella tua morte e nella tua risurrezione sei diventato fonte di vita. Fa’ che siamo persone viventi, viventi dalla tua fonte, e donaci di poter essere anche noi fonti, in grado di donare a questo nostro tempo acqua della vita. Ti ringraziamo per la grazia del ministero sacerdotale. Signore, benedici noi e benedici tutti gli uomini di questo tempo che sono assetati e in ricerca. Amen.
Rivolgo infine il mio cordiale saluto ai sacerdoti di Roma e d’Italia; come pure ai Presuli, ai sacerdoti e ai seminaristi di tutti i Riti delle Chiese Orientali cattoliche. So, infine, che in tutte le parti del mondo si sono tenuti moltissimi incontri celebrativi e spirituali con grande e fruttuosa partecipazione. Pertanto, desidero ringraziare Vescovi, sacerdoti e organizzatori ed auguro a tutti di proseguire con rinnovato slancio il cammino di santificazione in questo sacro ministero che il Signore vi ha affidato. Vi benedico di cuore!
© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana
mercoledì 9 giugno 2010
Messaggio Vergine Regina degli Ultimi Tempi
Messaggio del 09-06-2010
Figli miei, sono a voi perché desidero che i vostri cuori siano sempre più uniti a quello di Gesù il quale vi ha tanto amato da versare per ognuno di voi fino all’ultima goccia di sangue.
Figli miei, innamoratevi di quel cuore e amatelo con tutto voi stessi perché possiate cogliere in esso l’amore di Dio che si è fatto carne. Attingete da quel cuore tutte le vostre speranze per il presente e per il futuro, in quel cuore va riposta ogni fiducia. Nei momenti dell’angoscia, quando ritenete di essere completamente soli, pensate che quel cuore batte anche per voi ed è vivo ed è presente in tutti i Tabernacoli del mondo.
Amate quel cuore come l’ho amato io e fate che ogni vostra azione, anche la più piccola fatta per amore, possa essere compiuta per il cuore di Gesù.
Vi amo figli miei e vi benedico nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Baruc 6, 1-6
http://www.verginedegliultimitempi.com/
martedì 8 giugno 2010
La fede senza opere
Imparare a discernere il bene dal male: questa è una delle cose più importanti quasi vitali, a cui è chiamato il cristiano. Sappiamo bene che questo punto è stato motivo di divisione all'interno dello stesso popolo cristiano, al punto che sono nate chiese autonome e separate dalla Chiesa Cattolica. Oggi il motivo del contendere sono basate sull'interpretazione della Bibbia e sull'insegnamento della dottrina, e soprattutto sulla bontà delle apparizioni mariane. La risposta a molti quesiti ci viene dal Vangelo:
Non c'è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo.
L'uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore.
Perché mi chiamate: Signore, Signore, e poi non fate ciò che dico? Chi viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sopra la roccia. Venuta la piena, il fiume irruppe contro quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene.
Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la rovina di quella casa fu grande» .
L'uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore.
Perché mi chiamate: Signore, Signore, e poi non fate ciò che dico? Chi viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sopra la roccia. Venuta la piena, il fiume irruppe contro quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene.
Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la rovina di quella casa fu grande» .
Dunque dal frutto si riconosce l'uomo buono. Se un uomo parla bene, ma le sue opere non sono buone, esso sarà uomo buono o cattivo? Esso sarà uomo cattivo ed ipocrita: perchè le parole sono semplici da dire, ma la volontà di Dio è più difficile da fare. Se io vi parlassi di queste cose e poi non le mettessi in pratica io per primo, io sarei un uomo cattivo ed ipocrita. Così anche tutti voi che predicate amore al Signore con le vostre labbra, ma che non volete attuare la volontà di Dio.
« Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va' oggi a lavorare nella vigna; ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. »
Quali dei due figli avrà compiuto la Volontà del Padre? Colui che ha parlato o colui che pur non parlando, ha agito? Ecco la risposta di Gesù:
Quale dei due fece la volontà del padre?» Essi gli dissero: «L'ultimo». E Gesù a loro: «Io vi dico in verità: I pubblicani e le prostitute entrano prima di voi nel regno di Dio. 32 Poiché Giovanni è venuto a voi per la via della giustizia, e voi non gli avete creduto; ma i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto; e voi, che avete visto questo, non vi siete pentiti neppure dopo per credere a lui.
Molti con cui ho discusso in questi giorni, dicevano che sbagliavo a predicare così. Secondo loro noi scegliamo il peccato, ma in realtà ogni azione che non sia malvagia è ben accetta. Nel loro ragionamento umano, cercavano di giustificare anche le opere malvagie. Perchè per loro Dio, se esiste, è misericordioso e non iracondo. Altri ancora affermavano che non dobbiamo avere timore di Dio perchè ci ama. D'accordo, è vero che Dio è infinitamente buono e che ci ama tantissimo: ma ciò non significa che noi possiamo compiere tutto ciò che piace a noi. Se noi lodassimo Dio con le labbra e poi compissimo opere malvagie, sarebbe come servire Dio e Mammona. Invece Gesù ci dice che non possiamo seguire sia Dio che Mammona, ma dobbiamo compiere la scelta definitiva. E se noi vogliamo seguire Dio, dobbiamo imparare a eseguire la Sua volontà e a compiere solo le opere buone, che compiamo alla luce del sole e che la nostra coscienza non sanziona nemmeno minimamente. Infatti, basta anche un dubbio nella coscienza per farci capire che quell'opera è malvagia e non retta dinanzi agli occhi di Dio.
Quindi, dalle opere si evince anche la nostra fede in Dio. Se compissimo tutto ciò che ci aggrada, Dio sarebbe felice di noi? Come potrebbe perdonarci se noi compissimo sempre azioni malvagie nonostante i suoi avvertimenti? Dio infatti è buono con tutti noi, ma la giustizia richiede che i giusti siano separati dai malvagi. E da cosa si evince il malvagio? Dal suo frutto, cioè dalle sue opere. Ecco perchè Gesù ci dice queste cose: perchè Egli tornerà come Giudice buono e ci giudicherà secondo il nostro frutto e secondo le nostre opere; non in base a quante volte abbiamo detto o invocato il Suo nome. Se noi amiamo Gesù, tutto è comprensibile: ma se noi amiamo noi stessi e le nostre azioni, vuol dire che amiamo Dio con le labbra, ma non con il cuore. Gesù diceva: ""Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me""
Esser cristiani vuol dire ascoltare e mettere in pratica la volontà di Dio. Suor Faustina Kowalska, nel suo diario, annotò questa frase di Nostro Signore Gesù: “Scrivi che giorno e notte il Mio sguardo riposa su di lui e che permetto queste contrarietà per aumentare i suoi meriti. Io do la ricompensa non per il risultato positivo, ma per la pazienza e la fatica sopportata per Me ».
Frase di speranza per tutti noi che lottiamo ogni giorno per resistere al male e per seguire la volontà di Dio. Possa questa frase illuminarvi e darvi speranza nel vostro futuro. E sappiate che la ricompensa nei Cieli è grande per voi. Dio vi benedica tutti, con la speranza che Egli possa aprire le menti di chi ancora segue il suo credo e non quello di Dio Padre.
Esser cristiani vuol dire ascoltare e mettere in pratica la volontà di Dio. Suor Faustina Kowalska, nel suo diario, annotò questa frase di Nostro Signore Gesù: “Scrivi che giorno e notte il Mio sguardo riposa su di lui e che permetto queste contrarietà per aumentare i suoi meriti. Io do la ricompensa non per il risultato positivo, ma per la pazienza e la fatica sopportata per Me ».
Frase di speranza per tutti noi che lottiamo ogni giorno per resistere al male e per seguire la volontà di Dio. Possa questa frase illuminarvi e darvi speranza nel vostro futuro. E sappiate che la ricompensa nei Cieli è grande per voi. Dio vi benedica tutti, con la speranza che Egli possa aprire le menti di chi ancora segue il suo credo e non quello di Dio Padre.
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