domenica 29 agosto 2010

Ad Caeli Reginam: la Dignità Regale della Santa Vergine Maria

Torna l'appuntamento con  l'Enciclica "Ad Caeli Reginam" di Papa Pio XII, con la quale viene riconosciuta la dignità regale di Maria.

I
 
Il popolo cristiano ha sempre creduto a ragione, anche nei secoli passati, che colei, dalla quale nacque il Figlio dell'Altissimo, che «regnerà eternamente nella casa di Giacobbe» (Lc 1, 32), (sarà) «Principe della pace» (Is 9, 6), «Re dei re e Signore dei signori» (Ap 19, 16), al di sopra di tutte le altre creature di Dio ricevette singolarissimi privilegi di grazia. Considerando poi gli intimi legami che uniscono la madre al figlio, attribuì facilmente alla Madre di Dio una regale preminenza su tutte le cose.

Si comprende quindi facilmente come già gli antichi scrittori della chiesa, avvalendosi delle parole dell'arcangelo san Gabriele, che predisse il regno eterno del Figlio di Maria (cf. Lc 1, 32-33), e di quelle di Elisabetta, che s'inchinò davanti a lei, chiamandola «madre del mio Signore» (Lc 1, 43), abbiano, denominando Maria «madre del Re» e «madre del Signore», voluto significare che dalla regalità del Figlio dovesse derivare alla Madre una certa elevatezza e preminenza.

Pertanto sant'Efrem, con fervida ispirazione poetica, così fa parlare Maria: «Il cielo mi sorregga con il suo braccio, perché io sono più onorata di esso. Il cielo, infatti, fu soltanto tuo trono, non tua madre. Ora quanto è più da onorarsi e da venerarsi la madre del Re del suo trono!».(6) E altrove così egli prega Maria: «... vergine augusta e padrona, regina, signora, proteggimi sotto le tue ali, custodiscimi, affinché non esulti contro di me satana, che semina rovine, né trionfi contro di me l'iniquo avversario».(7)

San Gregorio di Nazianzo chiama Maria madre del Re di tutto l'universo», «madre vergine, [che] ha partorito il Re di tutto il mondo»,(8) mentre Prudenzio ci parla della Madre, che si meraviglia «di aver generato Dio come uomo sì, ma anche come sommo re».(9)

La dignità regale di Maria è poi chiaramente asserita da coloro che la chiamano «signora», «dominatrice», «regina». Secondo un'omelia attribuita a Origene, Elisabetta apostrofa Maria «madre del mio Signore», e anche: «Tu sei la mia signora».(10)

Lo stesso concetto si può dedurre da un testo di san Girolamo, nel quale espone il suo pensiero circa le varie interpretazioni del nome di Maria: «Si deve sapere che Maria, nella lingua siriaca, significa Signora».(11) Ugualmente si esprime, dopo di lui, san Pietro Crisologo: «Il nome ebraico Maria si traduce "Domina" in latino: l'angelo dunque la saluta "Signora" perché sia esente da timore servile la madre del Dominatore; che per volontà del Figlio nasce e si chiama Signora».(12)

Sant'Epifanio, vescovo di Costantinopoli, scrive al sommo pontefice Ormisda, che si deve implorare l'unità della chiesa «per la grazia della santa e consostanziale Trinità e per l'intercessione della nostra santa signora, gloriosa vergine e Madre di Dio, Maria».(13)

Un autore di questo stesso tempo si rivolge con solennità alla beata Vergine seduta alla destra di Dio, invocandone il patrocinio, con queste parole: «Signora dei mortali, santissima Madre di Dio».(14)

Sant'Andrea di Creta attribuisce spesso la dignità regale alla Vergine; ne sono prova i seguenti passi: «(Gesù Cristo) portà in questo giorno come regina del genere umano dalla dimora terrena (ai cieli) la sua Madre sempre vergine, nel cui seno, pur rimanendo Dio, prese l'umana carne».(15) E altrove: «Regina di tutti gli uomini, perché fedele di fatto al significato del suo nome, eccettuato soltanto Dio, si trova al di sopra di tutte le cose».(16)

San Germano poi così si rivolge all'umile Vergine: «Siedi, o signora: essendo tu regina e più eminente di tutti i re ti spetta sedere nel posto più alto»;(17) e la chiama. «Signora di tutti coloro che abitano la terra».(18)

San Giovanni Damasceno la proclama «regina, padrona, signora»(19) e anche «signora di tutte le creature»;(20) e un antico scrittore della chiesa occidentale la chiama «regina felice», «regina eterna, presso il Figlio Re», della quale «il bianco capo è ornato di aurea corona».(21)

Sant'Ildefonso di Toledo riassume tutti i titoli di onore in questo saluto: «O mia signora, o mia dominatrice: tu sei mia signora, o madre del mio Signore... Signora tra le ancelle, regina tra le sorelle».(22)

I teologi della chiesa, raccogliendo l'insegnamento di queste e di molte altre testimonianze antiche, hanno chiamato la beatissima Vergine regina di tutte le cose create, regina del mondo; signora dell'universo.

I sommi pastori della chiesa non mancarono di approvare e incoraggiare la devozione del popolo cristiano verso la celeste Madre e Regina con esortazioni e lodi. Lasciando da parte i documenti dei papi recenti, ricorderemo che già nel secolo settimo il Nostro predecessore san Martino I, chiamò Maria «Nostra Signora gloriosa, sempre vergine»;(23) sant'Agatone, nella lettera sinodale, inviata ai padri del sesto concilio ecumenico, la chiamò «Nostra Signora, veramente e propriamente Madre di Dio»;(24) e nel secolo VIII, Gregorio II, in una lettera inviata al patriarca san Germano, letta tra le acclamazioni dei padri del settimo concilio ecumenico, proclamava Maria «signora di tutti e vera Madre di Dio» e «signora di tutti i cristiani».(25)

Ricorderemo parimenti che il Nostro predecessore di immortale memoria Sisto IV, nella lettera apostolica Cum praeexcelsa,(26) in cui accenna con favore alla dottrina dell'immacolata concezione della beata Vergine, comincia proprio con le parole che dicono Maria «regina, che sempre vigile intercede presso il Re, che ha generato». Parimenti Benedetto XIV, nella lettera apostolica Gloriosae Dominae, chiama Maria «regina del cielo e della terra», affermando che il sommo Re ha, in qualche modo, affidato a lei il suo proprio impero.(27)

Onde sant'Alfonso, tenendo presente tutta la tradizione dei secoli che lo hanno preceduto, poté scrivere con somma devozione: «Poiché la vergine Maria fu esaltata ad essere la Madre del Re dei re, con giusta ragione la chiesa l'onora col titolo di Regina».(28)

venerdì 27 agosto 2010

Imparando con le Lettere Apostoliche - Ottavo appuntamento

Torna l'appuntamento settimanale con "Imparando con le Lettere Apostoliche". Il cammino di oggi ci porta a comprendere la conseguenza della nostra scelta tra carne e spirito e ci porta a riconsiderare la vita attuale nell'ottica dell'eternità e della gloria futura.

Ottava parte della Lettera di San Paolo apostolo ai Romani
 
Non c'è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Poiché la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. Infatti ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito.

Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, alle cose dello Spirito. Ma i desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace. Infatti i desideri della carne sono in rivolta contro Dio, perché non si sottomettono alla sua legge e neanche lo potrebbero. Quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio.

Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione. E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.

Così dunque fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete.

Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: "Abbà, Padre!". Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.

Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi.

La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo?  Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.

Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio.

Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati.
Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi? Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Proprio come sta scritto:

Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno,
siamo trattati come pecore da macello.


Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.

COMMENTO PERSONALE

Anche oggi, il cammino ci porta a considerare la divisione tra carne e spirito che tanto tormenta l'essere umano. La scorsa volta avevamo visto il conflitto che nasceva contro sé stessi perchè mentre una parte voleva seguire ardentemente Dio, un'altra parte non riusciva a rinunciare al piacere carnale. San Paolo ripropone questa contrapposizione e svela il destino, o meglio la conseguenza, di questa scelta: e sì, perchè una scelta deve essere compiuta tra la carne e lo spirito. Non si può vivere una vita a metà strada perchè non saremmo né buoni e né cattivi e il pensiero di Gesù su queste persone non è dei migliori: nell'Apocalisse lo leggiamo chiaramente: “Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca (Ap 3,15-16)". 

Posto che una scelta deve essere compiuta, se noi vogliamo essere chiamati figli di Dio dobbiamo riconoscere che dentro di noi abita il Suo Spirito e che per questo motivo dobbiamo rinunciare alle impurità che inficiano la Sua Santità. Ma se invece inganniamo noi stessi, giustificando il peccato e adducendo a scusa che i tempi di oggi sono cambiati, allora non lo Spirito di Cristo abita in noi, ma uno spirito ingannatore. E se abita in noi uno spirito ingannatore, allora non siamo in grado di capire che il bene e il male non presentano sfumature. Ecco perchè San Paolo ci tiene a presentare la conseguenza della nostra scelta, perchè già ai suoi tempi, il peccato era diffuso e con esso anche l'inganno. La conseguenza per tutti coloro che vorranno seguire la legge della carne, sarà la morte: a questo principio non vi è attenuazione perchè si è preferito scegliere la strada facile del piacere piuttosto che la strada dura del sacrificio. Per coloro che invece resisteranno alle opere della carne e che quindi vivranno secondo lo Spirito, ad essi Dio riserverà la vita: quella vita che Gesù stesso ci ha promesso invitandoci a Seguirlo. Ma come ottenere questa vita? La possiamo ottenere caricandoci, ogni giorno, delle nostre croci, così come specificato da Gesù: "Se uno vuol venire dietro me, rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Matteo 16:24). Certo non è un compito facile, ma questo lo sapevamo considerando che la porta che conduce al Regno è stretta mentre quella che conduce alla perdizione è molto larga: d'altronde, quale merito avremmo se non sacrificassimo ora qualcosa? Non riusciamo a vivere con l'ottica del futuro dopo-morte: noi viviamo la nostra vita pensando al presente e al massimo, al futuro di questa vita: lo facciamo con il lavoro, con il risparmio, con le preoccupazioni materiali. Ma quanti vivono la loro vita con lo sguardo teso all'eternità? Pochi, per questo le sofferenze che patiamo ci sembrano insopportabili e ingiuste: ma se imparassimo, come i santi (e in special modo Padre Pio che sopportava in silenzio e con il sorriso sulle labbra), a guardare con gli occhi volti all'eterno, allora tutto ci sembrerebbe più sopportabile e meno doloroso. Anche la prospettiva della morte cambierebbe posto che essa non ha mai la parola fine su di noi. Infatti, se guardassimo alla morte come un allontanamento temporaneo dai nostri cari, allora ci sembrerebbe meno dolorosa perchè vivrebbe in noi la speranza della ricongiunzione. Pensate agli atei che affrontano la morte come la fine di ogni cosa: il loro dolore è moltiplicato a dismisura perchè non hanno speranza né fede. 

E non siamo noi soli a tendere lo sguardo verso l'eterno e la gloria futura: tutto il creato attende quel momento glorioso per liberarsi dalla corruzione e dal peccato: in particolare, il creato attende di liberarsi dal deterioramento causato dall'uomo che l'ha sottomessa per scopi iniqui. Tutto il creato dunque attende con trepidazione il momento della gloria proprio come una donna incinta attende di vedere il proprio bambino: si tratta di una attesa lunga e spasmodica (e dolorosa), ma che alla fine si conclude con la gioia più grande.

Dunque, tutta la creazione e quindi anche noi, attendiamo il momento in cui la Gloria si rivelerà in noi. Ma già da ora, dentro di noi, è presente Dio perchè Egli ci ha chiamati, ci ha plasmati ad immagine Sua e del Suo Figlio Gesù: se dunque Dio è con noi, cosa dobbiamo temere? In realtà, tutto è contro di noi: avere Dio con noi, significa avere il resto del mondo contro di noi. Le persecuzioni che tutt'oggi proseguono, ne sono la prova più attuale e concreta: ma nella quotidianità vediamo l'intolleranza verso il giusto e le sue regole. Vediamo il male digrignare i suoi denti quando si alza qualcuno a chiamare la moralità e l'etica: guardiamo alla politica che non sopporta il moralismo e l'etica. Proprio perchè ciò che è bene, attira l'odio del male che invece vorrebbe liberarsi dalla Legge e dalla coscienza. E siccome il giusto pone regole giuste e pone giusti interrogativi, allora l'empio lo contrasta con ogni mezzo.

Ma anche se il resto del mondo è contro il giusto, egli non ha nulla da temere perchè niente e nessuno può distruggere o separare Dio e il Suo figlio, visto e considerato che l'amore prevale sempre su ogni cosa. Ecco perchè il mio pensiero coincide con quello di San Paolo e così ogni pensiero, di ogni cristiano che si reputa figlio di Dio, deve coincidere con quello paolino: "Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore".


giovedì 26 agosto 2010

Celebrando i cento anni dalla nascita di Madre Teresa di Calcutta

Oggi si celebrano i cento anni dalla nascita di una persona che ha rappresentato uno straordinario esempio di fede, umiltà e soprattutto carità: Madre Teresa di Calcutta, la "matita" di Dio! Un legame speciale intercorreva tra lei e il Venerabile Giovanni Paolo II e per questo motivo, ho pensato di ricordare questo giorno con le parole pronunciate dal caro Woitjila, durante la cerimonia di beatificazione di Madre Teresa.
Ma prima, voglio ricordare il messaggio di Papa Benedetto XVI, il quale è stato letto durante il servizio liturgico, al quale erano presenti circa mille persone, celebrato a Calcutta, nel quartier generale delle Missionarie della Carità, in onore di questa giornata: «Sono sicuro che quest'anno sarà, per la Chiesa e il mondo, un'occasione di gioiosa gratitudine a Dio per il dono inestimabile che Madre Teresa è stato durante la sua vita e che continua ad essere attraverso il lavoro affettuosa e instancabile di voi, le sue figlie spirituali».

BEATIFICAZIONE DI MADRE TERESA DI CALCUTTA

OMELIA DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

Giornata Missionaria Mondiale
Domenica 19 ottobre 2003

1. “Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti” (Mc 10,44). Queste parole di Gesù ai discepoli, risuonate poc’anzi in questa Piazza, indicano quale sia il cammino che conduce alla “grandezza” evangelica. E' la strada che Cristo stesso ha percorso fino alla Croce; un itinerario di amore e di servizio, che capovolge ogni logica umana. Essere il servo di tutti!

Da questa logica si è lasciata guidare Madre Teresa di Calcutta, Fondatrice dei Missionari e delle Missionarie della Carità, che oggi ho la gioia di iscrivere nell’Albo dei Beati. Sono personalmente grato a questa donna coraggiosa, che ho sempre sentito accanto a me. Icona del Buon Samaritano, essa si recava ovunque per servire Cristo nei più poveri fra i poveri. Nemmeno i conflitti e le guerre riuscivano a fermarla.

Ogni tanto veniva a parlarmi delle sue esperienze a servizio dei valori evangelici. Ricordo, ad esempio, i suoi interventi a favore della vita e contro l’aborto, anche in occasione del conferimento del Premio Nobel per la pace (Oslo, 10 dicembre 1979). Soleva dire: “Se sentite che qualche donna non vuole tenere il suo bambino e desidera abortire, cercate di convincerla a portarmi quel bimbo. Io lo amerò, vedendo in lui il segno dell’amore di Dio”.

2. Non è forse significativo che la sua beatificazione avvenga proprio nel giorno in cui la Chiesa celebra la Giornata Missionaria Mondiale? Con la testimonianza della sua vita Madre Teresa ricorda a tutti che la missione evangelizzatrice della Chiesa passa attraverso la carità, alimentata nella preghiera e nell’ascolto della parola di Dio. Emblematica di questo stile missionario è l’immagine che ritrae la nuova Beata mentre stringe, con una mano, quella di un bambino e, con l'altra, fa scorrere la corona del Rosario.

Contemplazione e azione, evangelizzazione e promozione umana: Madre Teresa proclama il Vangelo con la sua vita tutta donata ai poveri, ma, al tempo stesso, avvolta dalla preghiera.

3. “Whoever wants to be great among you must be your servant” (Mk 10: 43). With particular emotion we remember today Mother Teresa, a great servant of the poor, of the Church and of the whole world. Her life is a testimony to the dignity and the privilege of humble service. She had chosen to be not just the least but to be the servant of the least. As a real mother to the poor, she bent down to those suffering various forms of poverty. Her greatness lies in her ability to give without counting the cost, to give “until it hurts”. Her life was a radical living and a bold proclamation of the Gospel.

The cry of Jesus on the cross, “I thirst” (Jn 19:28), expressing the depth of God’s longing for man, penetrated Mother Teresa’s soul and found fertile soil in her heart. Satiating Jesus’ thirst for love and for souls in union with Mary, the mother of Jesus, had become the sole aim of Mother Teresa’s existence and the inner force that drew her out of herself and made her “run in haste” across the globe to labour for the salvation and the sanctification of the poorest of the poor.

4. “As you did to one of the least of these my brethren, you did it to me” (Mt 25:40). This Gospel passage, so crucial in understanding Mother Teresa’s service to the poor, was the basis of her faith-filled conviction that in touching the broken bodies of the poor she was touching the body of Christ. It was to Jesus himself, hidden under the distressing disguise of the poorest of the poor, that her service was directed. Mother Teresa highlights the deepest meaning of service - an act of love done to the hungry, thirsty, strangers, naked, sick, prisoners (cf. Mt 25:34-36) is done to Jesus himself.

Recognizing him, she ministered to him with wholehearted devotion, expressing the delicacy of her spousal love. Thus in total gift of herself to God and neighbour, Mother Teresa found her greatest fulfillment and lived the noblest qualities of her femininity. She wanted to be a sign of “God’s love, God’s presence, God’s compassion” and so remind all of the value and dignity of each of God’s children, “created to love and be loved”. Thus was Mother Teresa “bringing souls to God and God to souls” and satiating Christ’s thirst, especially for those most in need, those whose vision of God had been dimmed by suffering and pain.

Traduzione italiana della parte di omelia pronunciata in lingua inglese:

[3. "Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore" (Mc 10, 43). È con particolare emozione che oggi ricordiamo Madre Teresa, grande serva dei poveri, della Chiesa e del Mondo intero. La sua vita è una testimonianza della dignità e del privilegio del servizio umile. Ella aveva scelto di non essere solo la più piccola, ma la serva dei più piccoli. Come madre autentica per i poveri, si è chinata verso coloro che soffrivano diverse forme di povertà. La sua grandezza risiede nella sua abilità di dare senza calcolare i costi, di dare "fino a quando fa male". La sua vita è stata un vivere radicale e una proclamazione audace del Vangelo.

Il grido di Gesù sulla croce, "Ho sete" (Gv 19, 28), che esprime la profondità del desiderio di Dio dell'uomo, è penetrato nell'anima di Madre Teresa e ha trovato terreno fertile nel suo cuore. Placare la sete di amore e di anime di Gesù in unione con Maria, Madre di Gesù, era divenuto il solo scopo dell'esistenza di Madre Teresa, e la forza interiore che le faceva superare sé stessa e "andare di fretta" da una parte all'altra del mondo al fine di adoperarsi per la salvezza e la santificazione dei più poveri tra i poveri.

4. "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25, 40). Questo passo del Vangelo, così fondamentale per comprendere il servizio di Madre Teresa ai poveri, era alla base della sua convinzione, piena di fede, che nel toccare i corpi deperiti dei poveri toccava il corpo di Cristo. Era a Gesù stesso, nascosto sotto le vesti angoscianti dei più poveri tra i poveri, che era diretto il suo servizio. Madre Teresa pone in rilievo il significato più profondo del servizio: un atto d'amore fatto agli affamati, agli assetati, agli stranieri, a chi è nudo, malato, prigioniero (cfr Mt 25, 34-36), viene fatto a Gesù stesso.

Riconoscendolo, lo serviva con totale devozione, esprimendo la delicatezza del suo amore sponsale. Così, nel dono totale di sé a Dio e al prossimo, Madre Teresa ha trovato il suo più alto appagamento e ha vissuto le qualità più nobili della sua femminilità. Desiderava essere un "segno dell'amore di Dio, della presenza di Dio, della compassione di Dio" e, in tal modo, ricordare a tutti il valore e la dignità di ogni figlio di Dio, "creato per amare ed essere amato". Era così che Madre Teresa "portava le anime a Dio e Dio alle anime", placando la sete di Cristo, soprattutto delle persone più bisognose, la cui visione di Dio era stata offuscata dalla sofferenza e dal dolore".]

5. “Il Figlio dell’uomo è venuto per dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45). Madre Teresa ha condiviso la passione del Crocifisso, in modo speciale durante lunghi anni di “buio interiore”. E’ stata, quella, una prova a tratti lancinante, accolta come un singolare “dono e privilegio”.

Nelle ore più buie ella s’aggrappava con più tenacia alla preghiera davanti al Santissimo Sacramento. Questo duro travaglio spirituale l’ha portata ad identificarsi sempre più con coloro che ogni giorno serviva, sperimentandone la pena e talora persino il rigetto. Amava ripetere che la più grande povertà è quella di essere indesiderati, di non avere nessuno che si prenda cura di te.

6. “Donaci, Signore, la tua grazia, in Te speriamo!”. Quante volte, come il Salmista, anche Madre Teresa nei momenti di desolazione interiore ha ripetuto al suo Signore: “In Te, in Te spero, mio Dio!”.

Rendiamo lode a questa piccola donna innamorata di Dio, umile messaggera del Vangelo e infaticabile benefattrice dell’umanità. Onoriamo in lei una delle personalità più rilevanti della nostra epoca. Accogliamone il messaggio e seguiamone l’esempio.

Vergine Maria, Regina di tutti i Santi, aiutaci ad essere miti e umili di cuore come questa intrepida messaggera dell’Amore. Aiutaci a servire con la gioia e il sorriso ogni persona che incontriamo. Aiutaci ad essere missionari di Cristo, nostra pace e nostra speranza. Amen!





domenica 22 agosto 2010

Ad Caeli Reginam: la Dignità Regale della Santa Vergine Maria

Oggi la Chiesa celebra la Beata Vergine Maria Regina: questa celebrazione fu istituita da Papa Pio XII nel 1955. Ma molti ancora non conoscono il profondo significato che si cela dietro questa celebrazione e altri ancora, di altre religioni,  nutrono dubbi su Maria e il Suo ruolo. Per questo motivo, inauguro un breve appuntamento di cinque settimane (l'appuntamento è per ogni domenica) per pubblicare l'Enciclica "Ad Caeli Reginam" di Papa Pio XII, con la quale viene riconosciuta la dignità regale di Maria. Ecco l'introduzione della Lettera Enciclica:

"" Fin dai primi secoli della chiesa cattolica il popolo cristiano ha elevato supplici preghiere e inni di lode e di devozione alla Regina del cielo, sia nelle circostanze liete, sia, e molto più, nei periodi di gravi angustie e pericoli; né vennero meno le speranze riposte nella Madre del Re divino, Gesù Cristo, mai s'illanguidì la fede, dalla quale abbiamo imparato che la vergine Maria, Madre di Dio, presiede all'universo con cuore materno, come è coronata di gloria nella beatitudine celeste.

Ora, dopo le grandi rovine che, anche sotto i Nostri occhi, hanno distrutto fiorenti città, paesi e villaggi; davanti al doloroso spettacolo di tali e tanti mali morali, che si avanzano paurosamente in limacciose ondate, mentre vediamo scalzare le basi stesse della giustizia e trionfare la corruzione, in questo incerto e spaventoso stato di cose, Noi siamo presi da sommo dispiacere e perciò ricorriamo fiduciosi alla Nostra regina Maria, mettendo ai piedi di lei, insieme col Nostro, i sentimenti di devozione di tutti i fedeli, che si gloriano del nome di cristiani.

È gradito e utile ricordare che Noi stessi, il 1° novembre dell'anno santo 1950, abbiamo decretato, dinanzi a una grande moltitudine di em.mi cardinali, di venerandi vescovi, di sacerdoti e di cristiani, venuti da ogni parte del mondo, il dogma dell'assunzione della beatissima vergine Maria in cielo,(2) dove, presente in anima e corpo, regna tra i cori degli angeli e dei santi, insieme al suo unigenito Figlio. Inoltre, ricorrendo il centenario della definizione dogmatica fatta dal Nostro predecessore, Pio IX, di imm. mem., sulla Madre di Dio concepita senza alcuna macchia di peccato originale, abbiamo indetto l'anno mariano,(3) nel quale con gran gioia vediamo che non solo in questa alma città - specialmente nella Basilica Liberiana, dove innumerevoli folle continuano a professare apertamente la loro fede e il loro ardente amore alla Madre celeste - ma anche in tutte le parti del mondo la devozione verso la Vergine, Madre di Dio, rifiorisce sempre più; mentre i principali santuari di Maria hanno accolto e accolgono ancora pellegrinaggi imponenti di fedeli devoti.

Tutti poi sanno che Noi, ogni qualvolta Ce n'è stata offerta la possibilità, cioè quando abbiamo potuto rivolgere la parola ai Nostri figli, venuti a trovarci, e quando abbiamo indirizzato messaggi anche ai popoli lontani per mezzo delle onde radiofoniche, non abbiamo cessato di esortare tutti coloro, ai quali abbiamo potuto rivolgerCi, ad amare la nostra benignissima e potentissima Madre di un amore tenero e vivo, come conviene a figli. In proposito, ricordiamo particolarmente il radiomessaggio, che abbiamo indirizzato al popolo portoghese, nell'incoronazione della taumaturga Madonna di Fatima,(4) da Noi stessi chiamato radiomessaggio della «regalità» di Maria.(5)

Pertanto, quasi a coronamento di tutte queste testimonianze della Nostra pietà mariana, cui il popolo cristiano ha risposto con tanta passione, per concludere utilmente e felicemente l'anno mariano che volge al termine e per venire incontro alle insistenti richieste, che Ci sono pervenute da ogni parte, abbiamo stabilito di istituire la festa liturgica della «beata Maria vergine regina».

Non si tratta certo di una nuova verità proposta al popolo cristiano, perché il fondamento e le ragioni della dignità regale di Maria, abbondantemente espresse in ogni età, si trovano nei documenti antichi della chiesa e nei libri della sacra liturgia.

Ora vogliamo richiamarle nella presente enciclica per rinnovare le lodi della nostra Madre celeste e per renderne più viva la devozione nelle anime, con vantaggio spirituale.""


venerdì 20 agosto 2010

Imparando con le Lettere Apostoliche - Settimo appuntamento

Torna l'appuntamento settimanale con "Imparando con le Lettere Apostoliche". Il cammino di oggi ci porta a comprendere il motivo del conflitto che viviamo dentro di noi, tra bene e male.

Settima parte della Lettera di San Paolo apostolo ai Romani


""O forse ignorate, fratelli - parlo a gente esperta di legge - che la legge ha potere sull'uomo solo per il tempo in cui egli vive? La donna sposata, infatti, è legata dalla legge al marito finché egli vive; ma se il marito muore, è libera dalla legge che la lega al marito. Essa sarà dunque chiamata adultera se, mentre vive il marito, passa a un altro uomo, ma se il marito muore, essa è libera dalla legge e non è più adultera se passa a un altro uomo. Alla stessa maniera, fratelli miei, anche voi, mediante il corpo di Cristo, siete stati messi a morte quanto alla legge, per appartenere ad un altro, cioè a colui che fu risuscitato dai morti, affinché noi portiamo frutti per Dio. Quando infatti eravamo nella carne, le passioni peccaminose, stimolate dalla legge, si scatenavano nelle nostre membra al fine di portare frutti per la morte. Ora però siamo stati liberati dalla legge, essendo morti a ciò che ci teneva prigionieri, per servire nel regime nuovo dello Spirito e non nel regime vecchio della lettera.

Che diremo dunque? Che la legge è peccato? No certamente! Però io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non desiderare. Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me ogni sorta di desideri. Senza la legge infatti il peccato è morto e io un tempo vivevo senza la legge. Ma, sopraggiunto quel comandamento, il peccato ha preso vita e io sono morto; la legge, che doveva servire per la vita, è divenuta per me motivo di morte. Il peccato infatti, prendendo occasione dal comandamento, mi ha sedotto e per mezzo di esso mi ha dato la morte. Così la legge è santa e santo e giusto e buono è il comandamento. Ciò che è bene è allora diventato morte per me? No davvero! È invece il peccato: esso per rivelarsi peccato mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, perché il peccato apparisse oltre misura peccaminoso per mezzo del comandamento.

Sappiamo infatti che la legge è spirituale, mentre io sono di carne, venduto come schiavo del peccato. Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, io riconosco che la legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene; c'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mente, servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato.""

COMMENTO

Chiunque rinasce nello Spirito si accorge di un conflitto interiore enorme che lo porta quasi a combattere contro sé stesso. Questo conflitto è dato dal fatto che quando si viveva lontani dallo Spirito, non si conosceva il peccato e tutto veniva considerato giusto. Quando poi interviene la conversione, si comincia a vedere con occhi diversi e si comincia a vedere alle proprie azioni da una prospettiva completamente diversa, data dalla conoscenza della Legge. San Paolo oggi, ci mostra la conseguenza della conversione di cuore che tutti noi, prima o poi, sperimentiamo. Raramente si incontra una persona che non sia vissuta, almeno per un breve periodo, lontano da Dio e dai Suoi comandamenti. E' innegabile che molti di noi erano all'oscuro di molte cose, compresi il peccato. Prendiamo ad esempio, un peccato molto forte che ritroviamo molto spesso nelle persone che si convertono a Cristo. Sto parlando dell'autoerotismo, un azione che viene compiuta senza nemmeno pensarci perchè non si pensa che sia sbagliato. Quando, ad un certo punto della vita, arriva Gesù a bussare alla porta del nostro cuore, cominciamo a vedere con occhi diversi e ci accorgiamo che quello che facevamo prima di conoscere Gesù era sbagliato profondamente. Ecco, ciò che ritenevamo naturale, comincia a sembrarci un obbrobrio, un impurità che ci allontana da Dio.

San Paolo spiega il motivo di questo cambiamento di prospettiva: il tutto deriva dalla conoscenza della Legge. Quando si vive lontani da Cristo, si vive lontani anche dalla Legge di Dio: ma quando si cerca di tornare a Cristo, allora si riconsidera anche la Legge di Dio perchè temiamo di commettere qualcosa di sbagliato agli occhi di Dio. Questo è il passaggio che ci porta a riconoscere la nostra schiavitù: infatti, tornando all'esempio precedente, molti soffrono il passaggio tra queste due vite e si rendono conto di non poter resistere al richiamo carnale. Più vogliono smettere e più cadono: perchè? San Paolo lo dice: "Però io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: Non desiderare. Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me ogni sorta di desideri". Può sembrare paradossale, ma è la verità. Troviamo difficoltà ad uscirne perchè abbiamo la paura di non uscirne e dentro di noi si scatenano quei desideri che noi non vorremmo avere. E' come quando non si vuole pensare al dolore, ma lo si prova ugualmente e più forte di prima. La carne è debole e quando non è sottoposta allo Spirito, si scatena più forte che mai: "... infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio". Questa frase è la sintesi perfetta: noi compiamo il male che non vogliamo compiere! Questo perchè la Legge ci ha mostrato il male e noi ora lo desideriamo perchè non possiamo più compierlo. E' un intricato percorso psicologico, tipico della natura umana, ma che può essere compreso se vissuto personalmente.

Quando però rinati in Cristo, ci sforziamo di uscire dal peccato, le cose cambiano: infatti, non siamo più noi a peccare, ma il peccato che abita in noi. Ecco perchè confessando il nostro peccato, la nostra anima si rialza come una libellula: perchè non è lei che pecca, ma il peso del peccato la porta nel tormento. E il tormento più grande è la paura: la paura di non poter resistere alle tentazioni e di non meritare il perdono di Dio. Padre Pio diceva sempre che noi non dovevamo concentrarci sul peccato perchè altrimenti satana avrebbe avuto un potere maggiore su di noi: la paura, infatti, moltiplica il potere persuasivo della tentazione e fa traballare le nostre difese.
Ma allora questo vuol dire che possiamo peccare quanto vogliamo? No, perchè noi non siamo più sotto il dominio della carne, ma dello Spirito: non si può pretendere di seguire entrambe le vie così come non si possono servire due padroni (Gesù disse: "Non si può servire Dio e Mammona"). Essendo sotto lo Spirito, la carne non può dominarci per sempre. E quindi nasce il conflitto che si traduce nelle tentazioni: ma le tentazioni vanno respinte e non accolte a braccia aperte. Gesù diceva per questo: "pregate per non cadere in tentazione". Il conflitto è evidente e San Paolo lo mostra così: "Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra. "

Ma si avrà una fine a questo tormento? Certo che si avrà una fine perchè siamo destinati ad essere liberati da questo corpo mortale e dalla sua corruzione grazie all'opera redentrice di Gesù Cristo e quindi uniamoci a San Paolo nel dire: "Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!"


mercoledì 18 agosto 2010

Pastore, Giustizia e Misericordia, Carità

Oggi, ci sono tre cose che mi hanno colpito e che ritengo molto interessanti e degni di riflessione. Le prime due riflessioni riguardano la Prima Lettura e il Vangelo di oggi. Nella Prima Lettura leggiamo infatti, dal Libro di Ezechiele, la Parola di Dio nei confronti dei pastori del Suo gregge. Sono parole duri, che mostrano il destino di chi ha usato il bastone dalla parte sbagliata: invece di usarlo per attirare nell'ovile le pecore, il bastone viene usato per spaventare le pecore e quindi allontanarle dall'ovile. Ma a chi si riferisce Dio con queste parole? Il nostro pensiero cade sicuramente sui farisei che erano addetti al pascolo del gregge, ma che come mostrerà Gesù, avevano il cuore troppo duro per svolgere il loro compito. Anzi, Gesù dirà di loro:  “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filatteri e allungano le frange; amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare ‘‘rabbì’’ dalla gente."

E questo è solo uno dei tanti richiami che Gesù fa nei riguardi dei farisei del tempo: li chiamerà anche sepolcri imbiancati, belli fuori, ma putridi dentro e li apostroferà in molti modi, anche pesanti. Quindi sembra lapalissiano che il riferimento di queste parole di Dio siano rivolte proprio ai pastori del popolo di Israele, rei di aver condotto il popolo alla perdizione, lontano dal loro Dio. Ma bisogna tener ferme queste parole anche oggi: noi sappiamo di come la Parola di Dio sia immutabile e valida in ogni momento della storia del mondo: tutt'oggi, questa Parola risuona, o meglio, deve risuonare nelle teste di coloro che hanno il compito di pascolare il gregge di Dio. Il riferimento va dunque ai sacerdoti e a tutti i membri dell'ordine sacerdotale che si devono comportare diversamente da coloro a cui Dio stesso si riferisce con queste parole: "Non avete reso forti le pecore deboli, non avete curato le inferme, non avete fasciato quelle ferite, non avete riportato le disperse. Non siete andati in cerca delle smarrite, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. " Essi dunque devono rendere forti le anime deboli, devono aver cura delle inferme, devono fasciare quelle ferite e riportare quelle disperse. Devono anche andare in cerca delle anime smarrite di questo mondo come farebbe il Buon Pastore della Parabola di Gesù.

 Ma dobbiamo tener presente che chiunque ha nelle mani, il destino di altre pecore, è sottoposto a queste Parole: se dunque noi evangelizziamo e testimoniamo la Verità, dobbiamo farlo tenendo conto di queste parole. Dobbiamo cercare allora di comportarci come Dio vuole, cercando di portare nell'ovile quelle pecore che vediamo disperse lungo il cammino. Un brav'uomo cosa farebbe se vedesse le pecore del suo padrone disperse lungo la collina? Li lascerebbe lì perchè non è suo compito riportarle indietro oppure cercherebbe di riprenderle tutte e di riportarle indietro nell'ovile a cui appartengono?

La seconda riflessione riguarda la Parola di Cristo ed in particolar modo un messaggio che si evince dal Vangelo di oggi, davvero lontano dalla nostra mentalità. La Parabola dei Vignaioli mostra infatti una giustizia sconosciuta alle nostre menti: ci sono lavoratori che hanno lavorato chi una giornata intera, chi mezza giornata e chi poche ore appena. La nostra giustizia umana richiederebbe un trattamento economico diverso, a seconda delle ore di lavoro effettivo. Invece Gesù ci sorprende tutti e guardiamo cosa il padrone della Vigna risponde al lavoratore che ha lavorato di più (e che voleva più di chi ha lavorato meno): “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.  E Gesù conclude la Parabola dicendo: "Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi".
Sfido chiunque a dirmi chi avrebbe mai potuto concepire una giustizia del genere: tutti noi avremmo sbraitato dinanzi ad una cosa simile perchè noi la riteniamo ingiusta. Questo deve farci riflettere sul concetto di giustizia: Dio non ragiona come noi ragioniamo poichè noi abbiamo una sapienza limitata e per di più influenzata dal male e dal mondo. Dio è esente da influenze e condizionamenti e ragiona seconda una giustizia perfetta che tiene conto degli interessi di tutti. Gesù vuole mostrare come la Giustizia di Dio sia mossa dalla Sua Misericordia. Più volte nel Vangelo abbiamo visto Gesù condonare il peccato altrui, apparentemente senza alcun motivo: noi siamo tentati dal pensare che una prostituita non può meritare il paradiso così come un ladrone o un esattore avido: eppure Gesù perdona loro con semplicità perchè Lui vede quello che noi non riusciamo a vedere: il cuore delle persone. I farisei e gli anziani non vedevano il cuore e per questo condannavano con facilità: Gesù vede i cuori, vede il pentimento e la Sua Misericordia inonda il cuore altrui fino a distruggere ogni infedeltà compiuta. Ecco perchè Gesù ci dice sempre di imparare a usare misericordia verso gli altri e a non giudicare perchè noi guardiamo con occhi umani e giudichiamo con cuore indurito: e non ci rendiamo conto che i primi da condannare siamo proprio noi che ci ergiamo a giudici! Per questo Gesù ci dice: "Con lo stesso metro con cui giudicherete sarete giudicati"

Infine, poche battute sul Santo che oggi la Chiesa Cattolica ricorda: Sant'Elena, Madre di Costantino. Anche lei oggi va in controtendenza: ella è ricca, potente, può avere tutto ciò che desidera. Eppure ... si segnalò per la sua pietà, facendo del bene ai bisognosi, ai condannati alle carceri e alle miniere, riuscendo a farne liberare molti. Probabilmente influì anche sul figlio che, con l'Editto di Milano, diede la libertà di culto ai cristiani. Durante un viaggio in Palestina, da cui riportò importanti reliquie, fece costruire varie basiliche, tra le quali quelle della Natività e della Ascensione (chiesacattolica.it). Ecco un esempio di come le ricchezze e il potere possono anche non prendere il sopravvento se si vive nella Guida del Signore: se ci si lascia guidare dallo Spirito di amore e carità, allora le ricchezze non offuscano né ottenebrano la mente. Sant'Elena ha saputo trovare il modo migliore per impiegare le risorse di cui disponeva e ha saputo così divenire un esempio per i ricchi di ogni tempo: usate ciò che possedete ai fini di amore e carità e non per fini egoistici e protezionistici. Speriamo che questa lezione di oggi venga colta dai molti ricchi e potenti di questo mondo che sembrano duri di orecchi (e di cuore...).

domenica 15 agosto 2010

L'Assunzione di Maria dalle parole di Giovanni Paolo II

Una persona che ha amato davvero Maria, durante il suo pellgrinaggio sulla Terra, è stato sicuramente il Venerabile Giovanni Paolo II. Egli ha sempre manifestato amore e gratitudine per la Madre Celeste che, secondo molti, avrebbe anche deviato il colpo mortale, sparato dalla pistola di Alì Agca, nel giorno di Fatima, il 13 Maggio 1981. Per questo motivo, scelgo le sue parole per celebrare questa giornata dedicata all'Assunzione di Maria in Cielo.


SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ
DELL’ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

OMELIA DEL SANTO PADRE

Mercoledì, 15 agosto 2001 


1. " L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte" (1 Cor 15,27)

Le parole di Paolo, risuonate poc'anzi nella seconda lettura, ci aiutano a comprendere il significato della solennità che quest'oggi celebriamo. In Maria, assunta in cielo al termine della sua vita terrena, risplende la vittoria definitiva di Cristo sulla morte, entrata nel mondo a causa del peccato di Adamo. È stato Cristo, il "nuovo" Adamo, a sconfiggere la morte, offrendosi in sacrificio sul Calvario, in atteggiamento di amore obbediente al Padre. Egli ci ha così riscattati dalla schiavitù del peccato e del male. Nel trionfo della Vergine, la Chiesa contempla Colei che il Padre ha scelto come vera Madre del suo Figlio unigenito, associandola intimamente al disegno salvifico della Redenzione.

È per questo che Maria, come ben evidenzia la liturgia, è segno consolante della nostra speranza. Guardando a Lei, rapita nell'esultanza delle schiere degli angeli, l'intera vicenda umana, frammista di luci e di ombre, si apre alla prospettiva dell'eterna beatitudine. Se l'esperienza quotidiana ci fa toccare con mano quanto il pellegrinaggio terreno sia sotto il segno della incertezza e della lotta, la Vergine assunta nella gloria del Paradiso ci assicura che mai ci verrà meno il soccorso divino.

2. "Nel cielo apparve per noi un segno grandioso: una donna vestita di sole" (Ap 12,1). Guardiamo a Maria, carissimi Fratelli e Sorelle, qui convenuti in un giorno tanto caro alla devozione del popolo cristiano. Vi saluto con grande affetto. Saluto in modo particolare il Signor Cardinale Angelo Sodano, mio primo collaboratore, e il Vescovo di Albano con il suo Ausiliare, ringraziandoli per la loro cortese presenza. Saluto inoltre il parroco con i sacerdoti che lo coadiuvano, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli presenti, in speciale modo i consacrati salesiani, la Comunità di Castel Gandolfo e quella delle Ville Pontificie. Estendo il mio pensiero ai pellegrini di lingue diverse che hanno voluto unirsi alla nostra celebrazione. A ciascuno auguro di vivere con gioia l'odierna solennità, ricca di spunti di meditazione.

Un grande segno appare per noi nel cielo quest'oggi: la Vergine Madre! Ce ne parla con linguaggio profetico l'autore sacro del libro dell'Apocalisse nella prima lettura. Quale straordinario prodigio è dinanzi ai nostri occhi attoniti! Abituati a fissare le realtà della terra, siamo invitati a volgere lo sguardo verso l'Alto: verso il cielo, che è la nostra Patria definitiva, dove la Vergine Santissima ci attende.

L'uomo moderno, forse più che nel passato, è preso da interessi e preoccupazioni materiali. Cerca sicurezza e non di rado sperimenta solitudine e angoscia. E che dire poi dell'enigma della morte? L'Assunzione di Maria è un evento che ci interessa da vicino proprio perché ogni uomo è destinato a morire. Ma la morte non è l'ultima parola. Essa - ci assicura il mistero dell'Assunzione della Vergine - è transito verso la vita incontro all'Amore. È passaggio verso la beatitudine celeste riservata a quanti operano per la verità e la giustizia e si sforzano di seguire Cristo.

3. "D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata" (Lc 1,48). Così esclama la Madre di Cristo nell'incontro con l'anziana parente Elisabetta. Il Vangelo poco fa ci ha riproposto il Magnificat, che la Chiesa canta ogni giorno. È la risposta della Madonna alle parole profetiche di sant'Elisabetta: "Beata Colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore" (Lc 1,45).

In Maria la promessa si fa realtà: Beata è la Madre e beati saremo noi suoi figli se, come Lei, ascolteremo e metteremo in pratica la parola del Signore.

Possa l'odierna solennità aprire il nostro cuore a questa superiore prospettiva dell'esistenza. Possa la Vergine, che oggi contempliamo risplendente alla destra del Figlio, aiutare l'uomo di oggi a vivere, credendo "nel compimento della Parola del Signore".

4. "Oggi i figli della Chiesa sulla terra celebrano con giubilo il transito della Vergine alla città superna, la Gerusalemme celeste" (Laudes et hymni, VI). Così canta la liturgia armena quest'oggi. Faccio mie queste parole, pensando al pellegrinaggio apostolico in Kazakhstan ed Armenia, che tra poco più di un mese, a Dio piacendo, compirò. Affido a Te, Maria, l'esito di questa nuova tappa del mio servizio alla Chiesa e al mondo. A Te chiedo di aiutare i credenti ad essere sentinelle della speranza che non delude, e a proclamare senza sosta che Cristo è il vincitore del male e della morte. Illumina Tu, Donna fedele, l'umanità del nostro tempo, perché comprenda che la vita di ogni uomo non si estingue in un pugno di polvere, ma è chiamata a un destino di eterna felicità.

Maria, "che sei la gioia del cielo e della terra", vigila e prega per noi e per il mondo intero, ora e sempre. Amen!


venerdì 13 agosto 2010

Imparando con le Lettere Apostoliche - Sesto appuntamento


Torna l'appuntamento settimanale con "Imparando con le Lettere Apostoliche". Il cammino ci porta a capire che noi siamo morti al peccato con Gesù Cristo e che quindi dobbiamo essere liberi da esso e non sottomessi.


Sesta parte della Lettera di San Paolo apostolo ai Romani  

 Che diremo dunque? Continuiamo a restare nel peccato perché abbondi la grazia?  È assurdo! Noi che già siamo morti al peccato, come potremo ancora vivere nel peccato?  O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?  Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova.  Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione.  Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato. 7 Infatti chi è morto, è ormai libero dal peccato.
 Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui,  sapendo che Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui.  Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece per il fatto che egli vive, vive per Dio.  Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù.
 Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale, sì da sottomettervi ai suoi desideri;  non offrite le vostre membra come strumenti di ingiustizia al peccato, ma offrite voi stessi a Dio come vivi tornati dai morti e le vostre membra come strumenti di giustizia per Dio.  Il peccato infatti non dominerà più su di voi poiché non siete più sotto la legge, ma sotto la grazia.
 Che dunque? Dobbiamo commettere peccati perché non siamo più sotto la legge, ma sotto la grazia? È assurdo!  Non sapete voi che, se vi mettete a servizio di qualcuno come schiavi per obbedirgli, siete schiavi di colui al quale servite: sia del peccato che porta alla morte, sia dell'obbedienza che conduce alla giustizia?  Rendiamo grazie a Dio, perché voi eravate schiavi del peccato, ma avete obbedito di cuore a quell'insegnamento che vi è stato trasmesso e così, liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia.
 Parlo con esempi umani, a causa della debolezza della vostra carne. Come avete messo le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità a pro dell'iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia per la vostra santificazione.
 Quando infatti eravate sotto la schiavitù del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia.  Ma quale frutto raccoglievate allora da cose di cui ora vi vergognate? Infatti il loro destino è la morte. Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino avete la vita eterna.  Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore.

COMMENTO

Finalmente giunge la conferma della dissipazione di un dubbio che è penetrato nelle menti di molti, negli scorsi appuntamenti. Quando infatti si diceva che si era salvi per mezzo della fede e per grazia, molti hanno pensato che le opere non erano prese in considerazione da Dio: San Paolo interviene subito per stoppare eventuali incomprensioni perchè è vero che si è salvi per grazia ottenuta dal Sacrificio di Gesù, ma questo non vuol dire che noi dobbiamo restare nel peccato. La scorsa volta cercai di porre un freno a questo pensiero, e oggi San Paolo, con le sue parole, conferma che noi non siamo più sottomessi al peccato perchè il peccato è morto. E come è morto il peccato? Il peccato è morto attraverso il Battesimo e per molti, attraverso la conversione del cuore. Infatti, viene alla luce il significato della rinascita così come annunciato dallo stesso Gesù con la Sua predicazione. Per poter rinascere in Cristo non dobbiamo nascere di nuovo materialmente, come aveva pensato Nicodemo, ma dobbiamo rinascere attraverso frutti degni di conversione. La rinascita del cuore comporta una conferma del Battesimo che ci ha liberati dal Male originale. Purtroppo però accade che nonostante il Battesimo, si vivi una vita sottomessa al peccato e al suo dominio: ma Gesù non lascia che una pecora del gregge si disperda e quindi richiama quella pecora al suo ovile: questo, molte volte, è all'origine della conversione di cuore che comporta una vera e propria rinascita. Se noi diciamo di voler rinascere in Gesù Cristo, con questo rinunciamo al male, al peccato e al dominio della carne. Se invece, dicessimo di avere fede in Gesù e contemporaneamente restassimo sottomessi al peccato, allora saremmo ipocriti e non saremmo affatto rinati! 

San Paolo si sofferma spesso, nelle Sue Lettere, sul dominio della carne. Questo significa che anche ai quei tempi, il peccato più difficile da sottomettere fosse quello carnale. Oggi possiamo dire che esso è ancora più difficile da sottomettere perchè viviamo in una società schiava della perversione e della sessualità malata: pornografia e televisioni presentano il sesso in maniera morbosa e perversa e contribuiscono nell'amplificare il richiamo del peccato negli uomini. Da recenti studi è emerso di come l'autoerotismo sia un fenomeno notevolmente in crescita sia negli uomini che nelle donne, soprattutto di giovane età. A questo si aggiunge il dato, altrettanto preoccupante, della diffusione della pornografia che domina i mercati persino in tempi di crisi economica. Questi sono dati allarmanti frutto anche dell'inganno a cui oggi molti sono esposti: l'inganno che il sesso e tutto ciò che ne fa parte, sia una cosa naturale nell'uomo. In realtà, se ci confrontiamo con le città di Sodoma e Gomorra, vediamo come noi viviamo in una perversità addirittura maggiore: anzi, noi non abbiamo scuse perchè Sodoma e Gomorra non avevano visto Gesù e non conoscevano quindi la Sua Gloria e Santità. Noi invece conosciamo la Verità per tramite di Gesù e della Sapienza del Vangelo.
 Se il destino di queste due città è stato la distruzione, quale potrà essere il destino della nostra attuale società che vive sottomessa alla schiavitù del peccato? Dobbiamo capire che il sesso è un dono che proviene da Dio con la finalità di unire un uomo e una donna per sempre: da quest'unione profonda, scatta la scintilla della vita e cioè la procreazione. Il sesso concepito come richiamo a cui non si può resistere è un grosso errore: questo vuol dire che si è schiavi della carne, sottomessi al peccato e quindi lontani da Dio.
San Paolo dice "Come avete messo le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità a pro dell'iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia per la vostra santificazione." 
Cosa vuol dire? Vuol dire che un uomo di Cristo non deve più commettere peccato mortale, ma usare ciò che possiede per raggiungere la strada della santificazione. Questo significa eliminare dalla nostra vita pratiche perverse legate al sesso per vivere il sesso all'interno dell'unione santa matrimoniale. Anche San Pietro confermerà questo pensiero invitando, chi non sarebbe riuscito a vivere nella castità, a contrarre matrimonio, all'interno del quale tutto era lecito.
Quindi, nel proseguo del nostro cammino insieme a San Paolo, abbiamo imparato che noi siamo sì salvi per Grazia e quindi per fede in Gesù Cristo, ma che non siamo più sottomessi al dominio del peccato e specialmente della carne, poiché il peccato è morto già con il Battesimo e oggi noi viviamo, o meglio dobbiamo vivere, per Dio e per la santificazione che, badate bene, non è solo una meta per pochi, ma è un traguardo per tutti noi che viviamo in Cristo Gesù!

 " Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore."


martedì 10 agosto 2010

In ricordo del Centenario dell'ordinazione sacerdotale di Padre Pio


Domani, festa di san Lorenzo, è pure il giorno della mia festa. Ho già incominciato a provare di nuovo il gaudio di quel giorno sacro per me. Fin da stamattina ho incominciato a gustare il paradiso…E che sarà quando lo gusteremo eternamente!? Il giorno di san Lorenzo fu il giorno in cui trovai il mio cuore più acceso di amore per Gesù.”

Così scriveva Padre Pio due anni dopo la sua ordinazione sacerdotale nel Duomo di Benevento . Riflessioni contenute in una lettera al padre Agostino da San Marco in Lamis, suo direttore spirituale.Oggi ricorre il centesimo della sua ordinazione sacerdotale ed era d'obbligo celebrare adeguatamente l'evento, soprattutto dopo la sollecitazione del mio fratello Mikhael. Per farlo, ho scelto il modo che reputo migliore perchè affido alle parole del Venerabile Giovanni Paolo II, il ricordo della santità di quest'uomo scelto da Dio: ecco a voi l'omelia della Canonizzazione di Padre Pio. 
  

CANONIZZAZIONE DI PADRE PIO DA PIETRELCINA

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Domenica, 16 giugno 2002



1. "Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero" (Mt 11, 30).

Le parole di Gesù ai discepoli, che abbiamo appena ascoltato, ci aiutano a comprendere il messaggio più importante di questa solenne celebrazione. Possiamo infatti considerarle, in un certo senso, come una magnifica sintesi dell'intera esistenza di Padre Pio da Pietrelcina, oggi proclamato santo.

L'immagine evangelica del «giogo» evoca le tante prove che l'umile cappuccino di San Giovanni Rotondo si trovò ad affrontare. Oggi contempliamo in lui quanto sia dolce il «giogo» di Cristo e davvero leggero il suo carico quando lo si porta con amore fedele. La vita e la missione di Padre Pio testimoniano che difficoltà e dolori, se accettati per amore, si trasformano in un cammino privilegiato di santità, che apre verso prospettive di un bene più grande, noto soltanto al Signore.

2. "Quanto a me... non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo" (Gal 6, 14).

Non è forse proprio il "vanto della Croce" ciò che maggiormente risplende in Padre Pio? Quanto attuale è la spiritualità della Croce vissuta dall'umile Cappuccino di Pietrelcina! Il nostro tempo ha bisogno di riscoprirne il valore per aprire il cuore alla speranza.

In tutta la sua esistenza, egli ha cercato una sempre maggiore conformità al Crocifisso, avendo ben chiara coscienza di essere stato chiamato a collaborare in modo peculiare all'opera della redenzione. Senza questo costante riferimento alla Croce non si comprende la sua santità.

Nel piano di Dio, la Croce costituisce il vero strumento di salvezza per l'intera umanità e la via esplicitamente proposta dal Signore a quanti vogliono mettersi alla sua sequela (cfr Mc 16, 24). Lo ha ben compreso il Santo Frate del Gargano, il quale, nella festa dell'Assunta del 1914, scriveva: "Per arrivare a raggiungere l'ultimo nostro fine bisogna seguire il divin Capo, il quale non per altra via vuol condurre l'anima eletta se non per quella da lui battuta; per quella, dico, dell'abnegazione e della Croce" (Epistolario II, p. 155).

3. "Io sono il Signore che agisce con misericordia" (Ger 9, 23).

Padre Pio è stato generoso dispensatore della misericordia divina, rendendosi a tutti disponibile attraverso l'accoglienza, la direzione spirituale, e specialmente l'amministrazione del sacramento della Penitenza. Il ministero del confessionale, che costituisce uno dei tratti distintivi del suo apostolato, attirava folle innumerevoli di fedeli al Convento di San Giovanni Rotondo. Anche quando quel singolare confessore trattava i pellegrini con apparente durezza, questi, presa coscienza della gravità del peccato e sinceramente pentiti, quasi sempre tornavano indietro per l'abbraccio pacificante del perdono sacramentale.

Possa il suo esempio animare i sacerdoti a compiere con gioia e assiduità questo ministero, tanto importante anche oggi, come ho voluto ribadire nella Lettera ai Sacerdoti in occasione del passato Giovedì Santo.

4. "Sei tu Signore, l'unico mio bene".

Così abbiamo cantato nel Salmo Responsoriale. Attraverso queste parole il nuovo Santo ci invita a porre Dio al di sopra di tutto, a considerarlo come il solo e sommo nostro bene.

In effetti, la ragione ultima dell'efficacia apostolica di Padre Pio, la radice profonda di tanta fecondità spirituale si trova in quella intima e costante unione con Dio di cui erano eloquenti testimonianze le lunghe ore trascorse in preghiera. Amava ripetere: "Sono un povero frate che prega", convinto che "la preghiera è la migliore arma che abbiamo, una chiave che apre il Cuore di Dio". Questa fondamentale caratteristica della sua spiritualità continua nei «Gruppi di Preghiera» da lui fondati, che offrono alla Chiesa e alla società il formidabile contributo di una orazione incessante e fiduciosa. Alla preghiera Padre Pio univa poi un'intensa attività caritativa di cui è straordinaria espressione la "Casa Sollievo della Sofferenza". Preghiera e carità, ecco una sintesi quanto mai concreta dell'insegnamento di Padre Pio, che quest'oggi viene a tutti riproposto.

5. "Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra perché... queste cose... le hai rivelate ai piccoli" (Mt 11, 25).

Quanto appropriate appaiono queste parole di Gesù, quando le si pensa riferite a te, umile ed amato Padre Pio.

Insegna anche a noi, ti preghiamo, l'umiltà del cuore, per essere annoverati tra i piccoli del Vangelo, ai quali il Padre ha promesso di rivelare i misteri del suo Regno.

Aiutaci a pregare senza mai stancarci, certi che Iddio conosce ciò di cui abbiamo bisogno, prima ancora che lo domandiamo.

Ottienici uno sguardo di fede capace di riconoscere prontamente nei poveri e nei sofferenti il volto stesso di Gesù.

Sostienici nell'ora del combattimento e della prova e, se cadiamo, fa che sperimentiamo la gioia del sacramento del Perdono.

Trasmettici la tua tenera devozione verso Maria, Madre di Gesù e nostra.

Accompagnaci nel pellegrinaggio terreno verso la Patria beata, dove speriamo di giungere anche noi per contemplare in eterno la Gloria del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen!


venerdì 6 agosto 2010

Imparando con le Lettere Apostoliche - Quinto appuntamento

Torna l'appuntamento settimanale con "Imparando con le Lettere Apostoliche". Il cammino ci porta oggi verso il significato pregnante dell'obbedienza e del sacrificio del nostro Signore Gesù Cristo, nei confronti di tutti gli uomini.


Quinta parte della Lettera di San Paolo apostolo ai Romani   


Giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo;per suo mezzo abbiamo anche ottenuto, mediante la fede, di accedere a questa grazia nella quale ci
troviamo e ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio. E non soltanto questo: noi ci vantiamo anche
nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata 4e la
virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri
cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
Infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito. Ora, a stento
si trova chi sia disposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una
persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori,
Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati per il suo sangue, saremo salvati dall'ira per
mezzo di lui. Se infatti, quand'eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte
del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci
gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ora abbiamo ottenuto la
riconciliazione.
Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così
anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato. Fino alla legge infatti c'era
peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la legge, la morte
regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato con una trasgressione simile a
quella di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire.
Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo morirono tutti, molto di
più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in
abbondanza su tutti gli uomini. E non è accaduto per il dono di grazia come per il peccato di uno solo: il
giudizio partì da un solo atto per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute per la
giustificazione. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto
di più quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per
mezzo del solo Gesù Cristo.
Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per
l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita. similmente,
come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di
uno solo tutti saranno costituiti giusti.
La legge poi sopraggiunse a dare piena coscienza della caduta, ma laddove è abbondato il peccato, ha
sovrabbondato la grazia, perché come il peccato aveva regnato con la morte, così regni anche la grazia
con la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.

COMMENTO

Nel percorso insieme a San Paolo, oggi impariamo dell'importanza del sacrificio di Gesù. San Paolo, infatti, si sofferma molto sul come, attraverso Gesù Cristo, siamo entrati nella grazia divina, lasciando la morte del peccato che regnava su di noi, prima del sacrificio.

Infatti, per mezzo della caduta in tentazione di Adamo, nel mondo è entrato il peccato, il male, la disobbedienza. Tutti noi sappiamo di come la colpa di Adamo abbia prodotto la cacciata dell'uomo dal Paradiso Terrestre, il famoso Giardino dell'Eden. E da quel momento l'uomo è stato sotto il peccato e la colpa pendeva sopra il suo capo, benché la Legge doveva ancora venire. Ma la morte non poteva avere l'ultima parola e Dio, nella Sua infinita Grazia, ha predisposto tutto affinché l'uomo si rialzasse dalla morte per tornare a vivere. Ma cosa Dio ha fatto per noi, per farci vivere? Ha fatto qualcosa che nessun genitore sulla Terra avrebbe mai potuto realizzare: ha permesso il sacrificio del Suo Unigenito Figlio Gesù: Colui che avrebbe lavato il mondo dal peccato e dalla morte, riconciliando l'uomo con Dio Suo Padre. Gesù si è caricato le colpe e i peccati di tutti gli uomini, di ogni generazione e l'ha portati con sé sino al momento in cui ha esalato il Suo ultimo respiro terrestre. Ha affrontato l'umiliazione e la tortura, lasciandosi uccidere dagli uomini nonostante la Divinità. Come un agnello condotto al macello, senza proferire parola. 

Per mezzo dell'obbedienza di un uomo solo, tutti saranno costituiti giusti: è questo il grande segno della Redenzione di Gesù. Adempiendo fino all'ultimo la Parola di Dio, Gesù ha dato noi l'opportunità di redimerci e di rialzarci dalla morte e dalle tenebre eterne. Ciò significa che esattamente come il male è entrato nel mondo a causa della disobbedienza di un uomo, allo stesso modo la grazia è entrata nel mondo a causa dell'obbedienza di un Uomo. Adamo e Gesù diventano la faccia di una stessa medaglia, con la differenza che per mezzo di Gesù Cristo, l'uomo ha trovato la Via, la Salvezza, la Vita Eterna. 

San Paolo ci tiene a soffermarsi su questo, per farci capire il significato profondo della Venuta di Gesù e della Grazia di Dio, visto che molti ancora oggi, si chiedono cosa Dio ha fatto per l'uomo. Dio ha fatto in modo che l'uomo, nonostante il peccato e il male che lo sovrastava, avesse l'opportunità di conoscere una Via sicura che conducesse alla Salvezza, alla vita eterna dove il male non regnerà più: l'uomo, per mezzo di Gesù Cristo, potrà finalmente trovare la vera vita che aveva perduto a causa della caduta di Adamo.  Ma resta chiaro che potrà trovare questa vita, solo se lo vorrà: solo se avrà fede in Colui che li ha liberati dalla schiavitù eterna del male e del peccato, attraverso la Resurrezione dai morti. Dunque, la morale di oggi, che riassume questo percorso è: 

Abbiate fede in Cristo Gesù!


lunedì 2 agosto 2010

L'uomo è ben oltre i suoi geni

Ringraziando il nostro caro amico Daniele per la segnalazione, ecco un post che conferma (per chi avesse bisogno di saperlo) che l'uomo non è solo il prodotto dei suoi geni e che dunque va ben oltre un semplice DNA.

Dal sito UCCR (Unione cristiani cattolici razionali)

Duro colpo per i riduzionisti: l'uomo è ben oltre i suoi geni.
In Contro positivismo, neodarwinisti e dawkins, Scienza e Fede, irriducibilità uomo on 30 luglio 2010 at 14:14


Duro colpo per il riduzionismo e il materialismo internazionale. In questi giorni Repubblica ha pubblicato la notizia dei risultati di un rapporto del Government Accountability Office (Gao), un organismo governativo americano, i quali hanno smentito impietosamente l'attendibilità dei test genetici per conoscere il rischio di contrarre una malattia. Si sente e si legge sui giornali, purtroppo non di rado, del «gene della violenza», del «gene del tradimento», del «gene gay» ecc.. , spesso sentiamo qualche militante materialista (da Atkins a Dennet) parlare dell'uomo definendolo "nient'altro che..." (il tutto per ovviamente per tentare di sminuire la sua biblica evidenza di creatura), ma l'uomo -è stato dimostrato- non è riconducibile ai suoi antecedenti genetici o biologici. Essi sono inadeguati a spiegare la complessità e misteriosità dell'uomo. Ne parla il filosofo Giacomo Samek Lodovici su Avvenire: «questi discorsi affermano che tutto il nostro agire è scritto nei geni, negano la libertà umana e quindi cancellano la nostra responsabilità morale (e, in fondo, anche giuridica). Tuttavia, con buona pace dei tentativi di dimostrare che l'uomo è una macchina, non è possibile ridurre l'essere umano alla sola componente biologica, perché noi siamo costituiti anche da una dimensione spirituale, quell'anima di cui parlano, già prima del cristianesimo, alcuni filosofi greci. Per dimostrarne l'esistenza esistono diversi argomenti filosofici, che il lettore può ricostruire anche su alcuni manuali di storia del pensiero». Il DNA sicuramente dona informazioni interessantissime ma «grazie allo spirito siamo in grado, almeno in una certa misura, di trascendere i condizionamenti, possiamo sperimentare la vertigine della libertà, siamo capaci di interrompere la prevedibilità e l'inderogabilità dei nessi fisici di causa-effetto e di dare inizio a qualcosa di nuovo». Questa è la grande differenza dagli animali, condizionati obbligatoriamente ai loro geni.

Sorprendentemente anche il neodarwinista Francesco Cavalli Sforza ha dichiarato -sempre su Repubblica- che «nessun uomo è figlio solo dei suoi geni», il nostro destino non è scritto una volta per sempre nel Dna. Il biologo Steven Rose, noto oppositore delle bizzarre teorie riduzioniste di Richard Dawkins (masssimo promotore dell'ateismo internazionale e del materialismo scettico), ha dichiarato: «L'uomo ha capacità precluse a qualsiasi altra specie animale sulla Terra. E' unico. Anche con le scimmie c'è una differenza talmente grande, sopratutto qualitativa. Gli organismi sono multidimensionali (tre dimensioni spaziali più una temporale) mentre il DNA è una fila monodimensionale: non si può passare da 1 a 4. Non si può conoscere l'uomo (se sarà violento, religioso, radicale, conservatore, omosessuale o eterosessuale) decifrando il DNA» (La scienza e i miracoli, TEA 2006, pag. 96-97).


domenica 1 agosto 2010

Rosario con Sant'Alfonso Maria de' Liguori

Recitiamo il Rosario insieme Sant'Alfonso Maria de' Liguori di cui oggi celebriamo il ricordo: 


Primo mistero gaudioso. L'Annunciazione.


O umilissima Maria, con la tua umiltà tu innamorasti talmente il tuo Dio che lo attirasti a farsi tuo Figlio e nostro Redentore. Io so che tuo Figlio non ti nega nulla di quanto gli chiedi. Digli che mi perdoni tutte le offese che gli ho fatte; digli che mi dia il suo santo amore e la perseveranza fino alla morte.

Secondo mistero gaudioso. La Visitazione.

Dice S. Gregorio: «Crede veramente colui che mette in pratica ciò che crede». E S. Agostino: «Tu dici: io credo; fa' ciò che dici, allora è fede». Questo è avere una fede viva: vivere secondo ciò che si crede. E così visse la beata Vergine, a differenza di coloro che non vivono secondo quel che credono, la cui fede è morta, come dice S. Giacomo: «La fede senza le opere è morta» (Gc 2,26).

Terzo mistero gaudioso. La Nascita di Gesù.

Il nostro amoroso Redentore, per insegnarci a disprezzare i beni del mondo, volle essere povero su questa terra. Dice S. Paolo: «Da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9).

Quarto mistero gaudioso. La Presentazione di Gesù al Tempio.

Tutta la santità consiste nell'amare Dio, e l'amore a Dio consiste nel fare la sua volontà. Bisogna dunque rassegnarsi senza riserva a tutto quello che Dio dispone per noi e abbracciare in pace gli eventi prosperi e avversi che Dio vuole, lo stato di vita che Dio vuole, la salute che Dio vuole. Tutte le nostre preghiere siano dirette a ciò: che Dio ci faccia adempiere la sua santa volontà.

Quinto mistero gaudioso. Il Ritrovamento di Gesù nel Tempio.

Se un'anima vuol trovare Gesù, basta che vada in una chiesa e là troverà il suo diletto che l'aspetta. Non c'è paese per piccolo che sia, non c'è monastero o convento che non tenga il SS. Sacramento. E in tutti questi luoghi il Re del cielo se ne sta chiuso in un tabernacolo, dove spesso resta solo, senza alcuna compagnia, salvo una lampada ad olio. «Ma Signore, dice S. Bernardo, ciò non conviene alla tua maestà». «Non importa, risponde Gesù, va bene per il mio amore».

Primo mistero doloroso. L'Agonia di Gesù nel Getsemani.

Il maggior dolore che tanto afflisse il Cuore di Gesù non fu la visione dei tormenti e dei vituperi che gli uomini gli preparavano, ma il vedere la loro ingratitudine al suo immenso amore.

Secondo mistero doloroso. La Flagellazione.

Secondo i dottori Gesù volle patire questo grande tormento specialmente per riparare i peccati contro la castità. Preghiamo la Vergine di liberarci dal vizio dell'impurità che riempie l'inferno. E nelle tentazioni invochiamo Maria.

Terzo mistero doloroso. La Coronazione di Spine.

Gesù mio, tu sei il Re del cielo e della terra, ma ora appari come re di scherni e di dolori, divenuto il ludibrio di tutta Gerusalemme. Almeno tu, anima mia, riconosci Gesù per quel che veramente è: Re dei re e Signore dei signori; e ringrazialo ed amalo.

Quarto mistero doloroso. La Salita di Gesù al Calvario con la Croce.

Per ottenere la perseveranza nel bene noi non dobbiamo fidarci dei nostri propositi e promesse fatti a Dio. Se ci fidiamo delle nostre forze, siamo perduti. Tutta la nostra speranza di conservarci in grazia di Dio dobbiamo metterla nei meriti di Gesù Cristo. Confidando nel suo aiuto persevereremo fino alla morte, anche se fossimo combattuti da tutti i nemici della terra e dell'inferno.

Quinto mistero doloroso. La Crocifissione e Morte di Gesù.



Anima mia, alza gli occhi e guarda quell'uomo crocifisso. Guarda l'Agnello divino già sacrificato su quell'altare di dolore. Considera che Egli è il Figlio diletto dell'eterno Padre, e che è morto per l'amore che ti ha portato. Vedi: tiene le braccia stese per abbracciarti, il capo chino per darti il bacio di pace, il costato aperto per riceverti nel suo Cuore. Che dici? Merita di essere amato un Dio così amoroso? Ascolta quello che ti dice dalla croce: Vedi, figlio, se c'è nel mondo chi t'abbia amato più di me.

Primo mistero glorioso. La Risurrezione di Gesù.

La promessa è certa: se moriamo con Cristo, vivremo eternamente con lui; se soffriamo paziententemente con Cristo, regneremo con lui (cf 2 Tm 2,11-12). I re della terra, dopo la vittoria sui nemici, dividono i beni conquistati con quelli che hanno combattuto insieme a loro. Così farà Gesù nel giorno del giudizio: farà parte dei beni celesti a tutti coloro che hanno faticato e sofferto per la sua gloria.

Secondo mistero glorioso. L'Ascensione di Gesù al Cielo.

Lo scopo al quale devono tendere i nostri desideri e sospiri, tutti i pensieri e tutte le nostre speranze, è di andare a godere Dio in paradiso per amarlo con tutte le forze e godere del godimento di Dio.

Terzo mistero glorioso. La Discesa dello Spirito Santo.

Gli apostoli prima di ricevere lo Spirito Santo erano così deboli e freddi nel divino amore che nella passione di Gesù uno lo tradì, un altro lo rinnegò, e tutti lo abbandonarono. Ma poi, con il dono dello Spirito Santo, furono talmente infiammati d'amore che con fortezza diedero tutti la vita per Gesù.

Quarto mistero glorioso. L'Assunzione.

Considera, uomo, quanto sia importante conseguire il tuo fine. Importa tutto perché, se lo raggiungi e ti salvi, sarai per sempre beato, godrai in anima e corpo ogni bene. Ma se lo sgarri, perderai anima e corpo, paradiso e Dio: sarai eternamente misero e dannato per sempre. Dunque questo è l'affare di tutti gli affari, il solo importante, il solo necessario: il servire Dio e la salvezza eterna.

Quinto mistero glorioso. L'Incoronazione di Maria Vergine.

«Uomini che desiderate il paradiso, servite e onorate Maria, e troverete sicuramente la vita eterna» (San Bonaventura).

FONTE