domenica 15 aprile 2012
Gesù risorto torna tra i Suoi discepoli, come oggi tra noi
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, giornata in cui celebriamo la Divina Misericordia di Gesù Cristo, meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:
Gesù, appena risorse, come era naturale, apparve ai Suoi discepoli: una notizia, la resurrezione, che sarebbe stata poi, fino alla fine dei tempi, l'unica grande Notizia, che dà senso alla nostra vita. Molte volte ci avvolge una profonda delusione o il dubbio. Vivendo una vita che è un saliscendi di incertezze e disorientamenti, siamo come gli apostoli dopo la sepoltura del Maestro.
Davanti a certi fatti, che sono la notte della mente, non riusciamo a intravedere l'alba del nuovo giorno: il giorno del Signore.
D'altra parte credere che la vita non è solo l'esperienza quaggiù, ma ha un suo domani nella eternità è il sogno, almeno per chi conserva un minimo di verità e urgenza di un vero senso della vita, che si vorrebbe fosse realtà e non solo sogno. Abbiamo bisogno di certezze, come gli Apostoli.
Ma non è facile, come non lo fu per l'apostolo Tommaso.
Eppure che senso avrebbe una esperienza di vita destinata a finire, e quindi priva di quella speranza che in fondo tutti sentiamo urgere nel profondo del nostro spirito. Quante volte ci siamo soffermati a pensare ai nostri cari che ci hanno lasciato e li pensiamo talmente vivi di altra vita da sentirli vicini, come se avessero solo cambiato 'residenza'.
Quante volte, visitando i nostri defunti, incontriamo persone che davanti alla tomba, pregano per loro, addirittura dialogano, 'come se non fossero morti, ma solo allontanati per breve tempo... interiormente certi di poterli rincontrare nella gioia. Un'esperienza, se siamo sinceri, che non appartiene solo ai credenti. Ma è dei credenti la certezza che la resurrezione è la pietra miliare su cui poggia la speranza, radicata nella fede.
E è davvero bello sapere con certezza che, non solo Dio e tanti santi, ma anche i nostri cari davvero vivono 'altrove', in quella realtà definita Cielo, ma che non è 'luogo', secondo il nostro pensare umano, ma uno stato di vita, di esistenza, che non è più soggetto alle sofferenze e ai dubbi di quaggiù.
E' la certezza che si sperimenta tante volte visitando i malati, che hanno già il pensiero al Cielo e lo attendono ogni minuto, come il traguardo che corona una vita tutta in cammino verso l'eternità.
Quanti ricordi conservo di uomini, giovani, donne, che ho visitato da malati: avevano il sorriso di chi attende una vita diversa, senza più il peso delle sofferenze e delle angosce di qui.
Così come provo tanta compassione per fratelli e sorelle che vivono consumando la vita nei nulla dei piaceri o di altro, ma senza futuro. Non sono felici. Come nella parabola di Lazzaro, assomigliano ai cagnolini che si accontentano delle briciole che cadono dal tavolo del ricco epulone.
A differenza degli Apostoli, che dopo la morte del Maestro hanno vissuto il dubbio, la paura, il disagio di aver perso ogni punto di riferimento. L'esperienza di essere stati da Lui scelti e di averLo seguito aveva dato un senso a tutto il loro esistere, ora la Sua crocifissione li scaraventava nuovamente in una vita senza futuro. Ma Gesù, mai lascia i Suoi in balia delle loro paure.
Il Vangelo toglie davvero il dubbio sul domani: un domani che ora è l'eternità, se vissuto in attesa del Paradiso, che è Dio.
Racconta l'apostolo Giovanni, il prediletto di Gesù, quanto avvenne il giorno della Resurrezione:
"La sera dello stesso giorno - racconta Giovanni - il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: 'Pace a voi!'. Detto questo mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: 'Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi'. Dopo avere detto questo, alitò su di loro e disse: 'Ricevete lo Spirito Santo e a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi'. (Gv. 20,19-20) Così Gesù non solo apparve - e deve essere stata una grande inattesa sorpresa vederLo risorto - ma subito donò lo Spirito Santo, inviandoli a continuare la Sua missione: quella di invitare il mondo degli uomini ad accogliere il dono della Resurrezione, togliendo ciò che impedisce di essere rinnovati nello Spirito, ossia i nostri peccati.
Davvero, da quel momento gli apostoli iniziano la storia della Chiesa, giunta fino a noi. Una storia che ha il suo fondamento nell'azione di Dio, ma è anche fatta da poveri uomini, ecco perché subito il Vangelo racconta le difficoltà di un apostolo, che non crede possibile che un morto, fosse pure Gesù, il Maestro che tanti miracoli aveva compiuto, possa tornare alla pienezza della vita tra loro e, quindi, tanto meno che li possa rivestire della potenza di guarire il mondo dal peccato, opera che solo Dio può compiere e dunque impensabile che possa essere affidata alle mani di poveri uomini.
È vero. È davvero incredibile, che Dio abbia voluto mettere nelle nostre mani di sacerdoti e vescovi, un potere che è solo Suo. È davvero immensa la fiducia di Dio nell'uomo.
Umanamente sono pienamente comprensibili i dubbi e la esigenza di 'garanzie' di Tommaso.
Ogni volta sono chiamato a 'fare risorgere' un fratello che ha sbagliato, per me è come rivivere quella resurrezione dai 'morti' che Gesù ci ha consegnato. Forse abbiamo perso la coscienza di questa grazia per cui il sacramento della penitenza, che mostra il grande Cuore di Dio pronto a cancellare le tante offese che Gli facciamo, a volte senza neppure rendercene conto .. Ma quello che forse lascia disorientati tanti, è la stessa ragione della confusione di Tommaso: perché chiedere perdono delle nostre colpe ad un sacerdote? Davvero, per volontà di Dio, è 'Cristo che ci assolve', attraverso di lui?
Gesù, con la Sua Presenza e Parola, non lascia adito a dubbi o incertezze, per chi vive la fede. Non basta che ci pentiamo personalmente, Dio vuole perdonarci, Lui stesso, tramite il Sacramento della Penitenza, amministrato da un Suo ministro, che, lo confessa, non si sente giudice, ma dispensatore della misericordia del Padre, che vuole accogliere ogni figlio prodigo.
Noi stessi, dispensatori del Suo Perdono, siamo figli che hanno bisogno dell'abbraccio della Sua misericordia, del Suo perdono. Occorre fede e fiducia. Credo proprio che dovremmo recuperare il dono del Sacramento della Riconciliazione, come incontro rigenerante con il Padre, in un atteggiamento di umile ringraziamento. Stampiamo nella nostra mente le parole dette da Gesù agli apostoli e quindi ai vescovi e ai sacerdoti: "Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". Più chiaro di così si muore... di fatto!
Ecco perché il Vangelo di oggi riporta il dubbio, se non la certezza troppo umana, che dopo la morte si possa risorgere e la risposta di Gesù alla nostra paura.
E' la storia di Tommaso. E chissà quanti 'Tommaso' ci sono tra i cristiani!
"Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: 'Abbiamo visto il Signore!'. Ma egli disse loro: 'Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò'. Ma otto giorni dopo i discepoli erano ancora in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: 'Pace a voi!'. Poi disse a Tommaso: 'Metti il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la mano e mettila nel mio costato e non essere più incredulo, ma credente'. Rispose Tommaso: 'Mio Signore e mio Dio!'. Gesù gli disse: 'Perché mi hai veduto hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno"'. (Gv. 20,21-30)
Davvero nel racconto di Giovanni, rimaniamo senza parole davanti alla comprensione e bontà di Gesù: una bontà che è anche per noi e forse non sappiamo cogliere.
Noi possiamo essere, fin da oggi, quei 'beati " che senza aver visto... credono!
Così scriveva Paolo VI, nostro grande aiuto: "Uno scrittore moderno osserva: Ho conosciuto famiglie cristiane molto ferventi, che dicevano ai loro famigliari: 'E' duro essere cristiani' e la risposta era: 'Oh, sì, è duro!'. Invece noi cristiani dobbiamo sentirci felici perché abbiamo accettato di portare il giogo di Cristo: quel giogo che Gesù chiama soave e leggero, ma dobbiamo sentirci più felici perché abbiamo motivi splendidi e sicuri per esserlo. La salvezza che Cristo ci ha meritato e con essa la luce sui più ardui problemi della nostra esistenza, ci autorizza a guardare ogni cosa con ottimismo".
Ed è vero. Vivere con lo sguardo e la certezza che un giorno, dopo l'esperienza di questo passaggio sulla terra, vedremo la luce di Dio senza più notte, è la forza che sostiene chi crede ed affronta la vita con l'attesa dell'Incontro, come gli Apostoli.
Che Gesù ci aiuti a guardare alla vita con lo sguardo su quel domani senza più tempo e dolore, affrontando le difficoltà di qui con la serenità di coloro che credono che i giorni che viviamo altro non sono che l'attesa dell'arrivo dello Sposo, così che Gesù ci trovi pronti!
Gesù, appena risorse, come era naturale, apparve ai Suoi discepoli: una notizia, la resurrezione, che sarebbe stata poi, fino alla fine dei tempi, l'unica grande Notizia, che dà senso alla nostra vita. Molte volte ci avvolge una profonda delusione o il dubbio. Vivendo una vita che è un saliscendi di incertezze e disorientamenti, siamo come gli apostoli dopo la sepoltura del Maestro.
Davanti a certi fatti, che sono la notte della mente, non riusciamo a intravedere l'alba del nuovo giorno: il giorno del Signore.
D'altra parte credere che la vita non è solo l'esperienza quaggiù, ma ha un suo domani nella eternità è il sogno, almeno per chi conserva un minimo di verità e urgenza di un vero senso della vita, che si vorrebbe fosse realtà e non solo sogno. Abbiamo bisogno di certezze, come gli Apostoli.
Ma non è facile, come non lo fu per l'apostolo Tommaso.
Eppure che senso avrebbe una esperienza di vita destinata a finire, e quindi priva di quella speranza che in fondo tutti sentiamo urgere nel profondo del nostro spirito. Quante volte ci siamo soffermati a pensare ai nostri cari che ci hanno lasciato e li pensiamo talmente vivi di altra vita da sentirli vicini, come se avessero solo cambiato 'residenza'.
Quante volte, visitando i nostri defunti, incontriamo persone che davanti alla tomba, pregano per loro, addirittura dialogano, 'come se non fossero morti, ma solo allontanati per breve tempo... interiormente certi di poterli rincontrare nella gioia. Un'esperienza, se siamo sinceri, che non appartiene solo ai credenti. Ma è dei credenti la certezza che la resurrezione è la pietra miliare su cui poggia la speranza, radicata nella fede.
E è davvero bello sapere con certezza che, non solo Dio e tanti santi, ma anche i nostri cari davvero vivono 'altrove', in quella realtà definita Cielo, ma che non è 'luogo', secondo il nostro pensare umano, ma uno stato di vita, di esistenza, che non è più soggetto alle sofferenze e ai dubbi di quaggiù.
E' la certezza che si sperimenta tante volte visitando i malati, che hanno già il pensiero al Cielo e lo attendono ogni minuto, come il traguardo che corona una vita tutta in cammino verso l'eternità.
Quanti ricordi conservo di uomini, giovani, donne, che ho visitato da malati: avevano il sorriso di chi attende una vita diversa, senza più il peso delle sofferenze e delle angosce di qui.
Così come provo tanta compassione per fratelli e sorelle che vivono consumando la vita nei nulla dei piaceri o di altro, ma senza futuro. Non sono felici. Come nella parabola di Lazzaro, assomigliano ai cagnolini che si accontentano delle briciole che cadono dal tavolo del ricco epulone.
A differenza degli Apostoli, che dopo la morte del Maestro hanno vissuto il dubbio, la paura, il disagio di aver perso ogni punto di riferimento. L'esperienza di essere stati da Lui scelti e di averLo seguito aveva dato un senso a tutto il loro esistere, ora la Sua crocifissione li scaraventava nuovamente in una vita senza futuro. Ma Gesù, mai lascia i Suoi in balia delle loro paure.
Il Vangelo toglie davvero il dubbio sul domani: un domani che ora è l'eternità, se vissuto in attesa del Paradiso, che è Dio.
Racconta l'apostolo Giovanni, il prediletto di Gesù, quanto avvenne il giorno della Resurrezione:
"La sera dello stesso giorno - racconta Giovanni - il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: 'Pace a voi!'. Detto questo mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: 'Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi'. Dopo avere detto questo, alitò su di loro e disse: 'Ricevete lo Spirito Santo e a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi'. (Gv. 20,19-20) Così Gesù non solo apparve - e deve essere stata una grande inattesa sorpresa vederLo risorto - ma subito donò lo Spirito Santo, inviandoli a continuare la Sua missione: quella di invitare il mondo degli uomini ad accogliere il dono della Resurrezione, togliendo ciò che impedisce di essere rinnovati nello Spirito, ossia i nostri peccati.
Davvero, da quel momento gli apostoli iniziano la storia della Chiesa, giunta fino a noi. Una storia che ha il suo fondamento nell'azione di Dio, ma è anche fatta da poveri uomini, ecco perché subito il Vangelo racconta le difficoltà di un apostolo, che non crede possibile che un morto, fosse pure Gesù, il Maestro che tanti miracoli aveva compiuto, possa tornare alla pienezza della vita tra loro e, quindi, tanto meno che li possa rivestire della potenza di guarire il mondo dal peccato, opera che solo Dio può compiere e dunque impensabile che possa essere affidata alle mani di poveri uomini.
È vero. È davvero incredibile, che Dio abbia voluto mettere nelle nostre mani di sacerdoti e vescovi, un potere che è solo Suo. È davvero immensa la fiducia di Dio nell'uomo.
Umanamente sono pienamente comprensibili i dubbi e la esigenza di 'garanzie' di Tommaso.
Ogni volta sono chiamato a 'fare risorgere' un fratello che ha sbagliato, per me è come rivivere quella resurrezione dai 'morti' che Gesù ci ha consegnato. Forse abbiamo perso la coscienza di questa grazia per cui il sacramento della penitenza, che mostra il grande Cuore di Dio pronto a cancellare le tante offese che Gli facciamo, a volte senza neppure rendercene conto .. Ma quello che forse lascia disorientati tanti, è la stessa ragione della confusione di Tommaso: perché chiedere perdono delle nostre colpe ad un sacerdote? Davvero, per volontà di Dio, è 'Cristo che ci assolve', attraverso di lui?
Gesù, con la Sua Presenza e Parola, non lascia adito a dubbi o incertezze, per chi vive la fede. Non basta che ci pentiamo personalmente, Dio vuole perdonarci, Lui stesso, tramite il Sacramento della Penitenza, amministrato da un Suo ministro, che, lo confessa, non si sente giudice, ma dispensatore della misericordia del Padre, che vuole accogliere ogni figlio prodigo.
Noi stessi, dispensatori del Suo Perdono, siamo figli che hanno bisogno dell'abbraccio della Sua misericordia, del Suo perdono. Occorre fede e fiducia. Credo proprio che dovremmo recuperare il dono del Sacramento della Riconciliazione, come incontro rigenerante con il Padre, in un atteggiamento di umile ringraziamento. Stampiamo nella nostra mente le parole dette da Gesù agli apostoli e quindi ai vescovi e ai sacerdoti: "Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". Più chiaro di così si muore... di fatto!
Ecco perché il Vangelo di oggi riporta il dubbio, se non la certezza troppo umana, che dopo la morte si possa risorgere e la risposta di Gesù alla nostra paura.
E' la storia di Tommaso. E chissà quanti 'Tommaso' ci sono tra i cristiani!
"Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: 'Abbiamo visto il Signore!'. Ma egli disse loro: 'Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò'. Ma otto giorni dopo i discepoli erano ancora in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: 'Pace a voi!'. Poi disse a Tommaso: 'Metti il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la mano e mettila nel mio costato e non essere più incredulo, ma credente'. Rispose Tommaso: 'Mio Signore e mio Dio!'. Gesù gli disse: 'Perché mi hai veduto hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno"'. (Gv. 20,21-30)
Davvero nel racconto di Giovanni, rimaniamo senza parole davanti alla comprensione e bontà di Gesù: una bontà che è anche per noi e forse non sappiamo cogliere.
Noi possiamo essere, fin da oggi, quei 'beati " che senza aver visto... credono!
Così scriveva Paolo VI, nostro grande aiuto: "Uno scrittore moderno osserva: Ho conosciuto famiglie cristiane molto ferventi, che dicevano ai loro famigliari: 'E' duro essere cristiani' e la risposta era: 'Oh, sì, è duro!'. Invece noi cristiani dobbiamo sentirci felici perché abbiamo accettato di portare il giogo di Cristo: quel giogo che Gesù chiama soave e leggero, ma dobbiamo sentirci più felici perché abbiamo motivi splendidi e sicuri per esserlo. La salvezza che Cristo ci ha meritato e con essa la luce sui più ardui problemi della nostra esistenza, ci autorizza a guardare ogni cosa con ottimismo".
Ed è vero. Vivere con lo sguardo e la certezza che un giorno, dopo l'esperienza di questo passaggio sulla terra, vedremo la luce di Dio senza più notte, è la forza che sostiene chi crede ed affronta la vita con l'attesa dell'Incontro, come gli Apostoli.
Che Gesù ci aiuti a guardare alla vita con lo sguardo su quel domani senza più tempo e dolore, affrontando le difficoltà di qui con la serenità di coloro che credono che i giorni che viviamo altro non sono che l'attesa dell'arrivo dello Sposo, così che Gesù ci trovi pronti!
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