domenica 30 settembre 2012
Guai a chi dà scandalo!
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:
Le parole, che oggi Gesù ci offre, sono un serio motivo di riflessione.
Pesa quel 'Guai a chi dà scandalo'. È un male che colpisce e può lasciare il suo marchio per la vita.
Leggiamo subito il Vangelo di Marco:
"In quel tempo, Giovanni rispose a Gesù dicendo: 'Maestro abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri. Ma Gesù disse: 'Non glielo proibite, perché non vi è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi, è per noi. Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel nome mio, perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa'.
E dopo avere fatte queste meravigliose affermazioni, che aprono tanto spazio a chi fa il bene ? e ce ne sono tanti anche oggi, per fortuna ? Gesù irrompe con un discorso duro, ma di grande attualità: un richiamo che mette rende tutti noi vigili e ci impone di interrogarci se per caso abbiamo comportamenti che meritano 'Guai! '.
"Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato in mare. Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo, è meglio per te entrare nella vita zoppo, che essere gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, càvalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo che essere gettato con due occhi 'nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue". (Mc. 9, 37-47)
La Parola di Dio davvero scombina le nostre posizioni, in un tempo, oggi, in cui ? è incredibile ed assurdo - 'fare scandalo è di moda', è diventato come un modo di affermarsi.
Ognuno di noi, venendo alla vita, in fondo ? anche se si crede autonomo ed autosufficiente - è 'quel' bambino, di cui parla l'evangelista Marco: un piccolo essere, fragile, povero, inesperto, condizionabile, esposto alla tempesta dello scandalo che può abbattere in lui, a volte precocemente, ogni desiderio di 'grandi prospettive', come ci offre il Maestro, così come può essere aiutato ad aprirsi al bene che, lentamente, può fare crescere in lui e rassodare grandi virtù, che è poi l'abito della santità con cui Dio adorna i suoi figli che tanto ama.
E suscita grande tenerezza il Vangelo, quando ci presenta 'Gesù, che prende un bambino tra le sue braccia, - come a difenderlo -, lo mette in mezzo alla gente ed afferma: 'Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome accoglie me'.
E suscita grande tenerezza il Vangelo, quando ci presenta 'Gesù, che prende un bambino tra le sue braccia, - come a difenderlo -, lo mette in mezzo alla gente ed afferma: 'Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome accoglie me'.
È come se Gesù volesse trattenere tra le sue braccia la debolezza di chi desidera essere difeso dalle tentazioni dello scandalo.
La realtà è che oggi, tutti, senza distinzioni, viviamo in questo mondo che pare non abbia più alcun pudore nello sfasciare ciò che è veramente bello agli occhi di Dio, per imporre le mostruosità del vizio, dell'egoismo, che sono la triste immagine del dominio del male che vuole imporsi e si impone con gli scandali sempre più numerosi.
Scriveva il caro Paolo VI, nel settembre 1964:
"Innanzitutto voi non troverete più nel linguaggio della gente perbene di oggi, nei libri, nelle cose che parlano degli uomini, la tremenda parola che invece è tanto frequente nel mondo religioso, la parola 'peccato'. Gli uomini nei giudizi odierni, non sono più chiamati peccatori. Vengono catalogati come sani, malati, bravi, buoni, forti, deboli, ricchi, poveri, sapienti, ignoranti, ma la parola 'peccato' non si incontra mai. E non torna perché, distaccato l'intelletto umano dalla sapienza divina, si è perduto il concetto di peccato. Pio XII affermava: 'Il mondo moderno ha perduto il senso del peccato', che cosa sia, cioè, la rottura dei propri rapporti con Dio. Il mondo non intende più soffermarsi su tali rapporti. Cosa dice a volte la nostra pedagogia: 'L'uomo è buono: sarà la società a renderlo cattivò. Viene adottata, come nonna, una indulgenza molto liberale, molto facile, che spiana le vie ad ogni esperienza, come se il male non esistesse. Ma come a contraddire tutto questo, guardate se c'è un filo ottimista nella produzione moderna; guardate se nei premi letterari, c'è un solo libro presentabile, che dichiari essere l'uomo buono, che esistono ancora delle virtù. Dilaga, al contrario, l'analisi del tanfo, della perversione umana, con la tacita, ma inesorabile sentenza che l'uomo è inguaribile. Ma Gesù vede e guarda a noi, che siamo povera gente, con tanti malanni, pronto a guarirci e ridarci quella veste del 'bambino' che è la vera grandezza nostra".
Eppure lo scandalo è un vero trauma dell'anima di chi lo riceve: un trauma che a volte incide nel profondo del cuore, dando un corso diverso e sbagliato ad un'intera esistenza. Un vero attentato all'anima.
Chiunque di noi abbia conservato un retto giudizio della vita, sa che è sopportabile e meno dannoso un incidente, che in qualche modo mutila il nostro corpo, di uno scandalo che intacchi l'integrità del cuore.
Oggi, anche S. Giacomo usa toni duri, come a darci la sveglia, se abbiamo permesso che 'le mode' ci addormentassero la coscienza.
"Ora a voi ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state divorate dalle tarme, il vostro oro e argento sono consumati dalla ruggine; la loro ruggine si leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni!
Ecco il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti.
Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non può opporre resistenza". (Gc. 5, 1-6) Davvero viene voglia di uscire da questo 'mondo', per assaporare la bellezza della virtù, della bontà. E c'è, per grazia di Dio, tanta, ma tanta gente semplice, che sa ancora conservare la bellezza e la dignità dell'anima e della vita, come un tesoro che dà felicità.
Ricordo, un giorno, parlando in cattedrale proprio su questo tema: Guai a voi, ricchi!, al termine dell'omelia verme una signora, che aveva sul volto, sfatto dalla fatica, una luce, come un riflesso del cielo. Conservava, per la sua vecchiaia, un gruzzolo, che teneva gelosamente custodito. Volle a tutti i costi privarsi di quel poco che aveva risparmiato.
E a me, che cercavo di far capire che il suo non era uno scandalo, ma una necessità, rispose: 'Voglio avere un cuore libero da tutto e così assaporare la gioia di avere in cambio due ali che mi facciano volare verso Dio'.
Ce n'è, più di quanto pensiamo, di questa brava gente. Proprio vero il proverbio che afferma: 'Fa molto rumore l'albero che cade: è silenziosa la foresta che cresce'.
Se è vero che lo scandalo tiene banco nella comunicazione e nel mondo, è altrettanto vero che è 'la forestà a farci sentire cittadini del Cielo.
Ci rattrista che nella mentalità di oggi non faccia meraviglia che ci sia chi offre scandalo, ma, proprio per questa tendenza, purtroppo generalizzata, suscita ancor più profondo stupore, chi vive con coerenza la propria vocazione alla santità: è il salutare 'scandalo evangelicò, inteso come verità di vita.
Quanta gente buona incontro ed ogni volta è sentire che Dio è con noi meravigliosamente.
Per la mentalità del mondo ? stupidamente ? fa scandalo la ragazza intelligente, che non si piega alla moda senza pudore, l'imprenditore onesto che rispetta l'operaio, come fosse un fratello e non una cosa, il giovane retto che non ci sta ai compromessi con il vizio.
Credo proprio che oggi, forse più di un tempo, si avverta in tanti il desiderio di svincolarsi da una mentalità disonesta, che brucia ogni dignità e bellezza del cuore, cercando 'l'aria pulita di una condotta intelligente ed onestà.
Quando si ha un cuore tanto aperto, Dio sa immediatamente trovare la strada per accostarsi e ci attende l'abbraccio di Gesù, che ci vede tornare 'bambini'....da Regno dei Cieli!
Scrive Mario Luzi in Nostalgia di Te:
"Padre mio, mi sono affezionato alla terra quanto non avrei creduto.
È bella e terribile la terra: ci sono nato quasi di nascosto, ci sono cresciuto,
tra gente povera, amabile e tante volte esecrabile. Il cuore umano è pieno di contraddizioni, ma neppure un istante mi sono allontanato da Te. La vita sulla terra è dolorosa, ma è anche gioiosa...
Sono stato troppo uomo tra gli uomini oppure troppo poco? Il terrestre l'ho fatto troppo mio o troppo poco?
Sono venuto sulla terra per fare la Tua volontà eppure talvolta l'ho discussa.
Sii indulgente, Ti prego, con la mia debolezza.
Ma da questo stato umano d'abiezione, vengo a Te, nella mia debolezza. Comprendimi!
Quando saremo in Cielo ricongiunti, sarà stata grande prova ed essa non si perde nella memoria dell'eternità".
Le parole, che oggi Gesù ci offre, sono un serio motivo di riflessione.
Pesa quel 'Guai a chi dà scandalo'. È un male che colpisce e può lasciare il suo marchio per la vita.
Leggiamo subito il Vangelo di Marco:
"In quel tempo, Giovanni rispose a Gesù dicendo: 'Maestro abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri. Ma Gesù disse: 'Non glielo proibite, perché non vi è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi, è per noi. Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel nome mio, perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa'.
E dopo avere fatte queste meravigliose affermazioni, che aprono tanto spazio a chi fa il bene ? e ce ne sono tanti anche oggi, per fortuna ? Gesù irrompe con un discorso duro, ma di grande attualità: un richiamo che mette rende tutti noi vigili e ci impone di interrogarci se per caso abbiamo comportamenti che meritano 'Guai! '.
"Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato in mare. Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo, è meglio per te entrare nella vita zoppo, che essere gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, càvalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo che essere gettato con due occhi 'nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue". (Mc. 9, 37-47)
La Parola di Dio davvero scombina le nostre posizioni, in un tempo, oggi, in cui ? è incredibile ed assurdo - 'fare scandalo è di moda', è diventato come un modo di affermarsi.
Ognuno di noi, venendo alla vita, in fondo ? anche se si crede autonomo ed autosufficiente - è 'quel' bambino, di cui parla l'evangelista Marco: un piccolo essere, fragile, povero, inesperto, condizionabile, esposto alla tempesta dello scandalo che può abbattere in lui, a volte precocemente, ogni desiderio di 'grandi prospettive', come ci offre il Maestro, così come può essere aiutato ad aprirsi al bene che, lentamente, può fare crescere in lui e rassodare grandi virtù, che è poi l'abito della santità con cui Dio adorna i suoi figli che tanto ama.
E suscita grande tenerezza il Vangelo, quando ci presenta 'Gesù, che prende un bambino tra le sue braccia, - come a difenderlo -, lo mette in mezzo alla gente ed afferma: 'Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome accoglie me'.
E suscita grande tenerezza il Vangelo, quando ci presenta 'Gesù, che prende un bambino tra le sue braccia, - come a difenderlo -, lo mette in mezzo alla gente ed afferma: 'Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome accoglie me'.
È come se Gesù volesse trattenere tra le sue braccia la debolezza di chi desidera essere difeso dalle tentazioni dello scandalo.
La realtà è che oggi, tutti, senza distinzioni, viviamo in questo mondo che pare non abbia più alcun pudore nello sfasciare ciò che è veramente bello agli occhi di Dio, per imporre le mostruosità del vizio, dell'egoismo, che sono la triste immagine del dominio del male che vuole imporsi e si impone con gli scandali sempre più numerosi.
Scriveva il caro Paolo VI, nel settembre 1964:
"Innanzitutto voi non troverete più nel linguaggio della gente perbene di oggi, nei libri, nelle cose che parlano degli uomini, la tremenda parola che invece è tanto frequente nel mondo religioso, la parola 'peccato'. Gli uomini nei giudizi odierni, non sono più chiamati peccatori. Vengono catalogati come sani, malati, bravi, buoni, forti, deboli, ricchi, poveri, sapienti, ignoranti, ma la parola 'peccato' non si incontra mai. E non torna perché, distaccato l'intelletto umano dalla sapienza divina, si è perduto il concetto di peccato. Pio XII affermava: 'Il mondo moderno ha perduto il senso del peccato', che cosa sia, cioè, la rottura dei propri rapporti con Dio. Il mondo non intende più soffermarsi su tali rapporti. Cosa dice a volte la nostra pedagogia: 'L'uomo è buono: sarà la società a renderlo cattivò. Viene adottata, come nonna, una indulgenza molto liberale, molto facile, che spiana le vie ad ogni esperienza, come se il male non esistesse. Ma come a contraddire tutto questo, guardate se c'è un filo ottimista nella produzione moderna; guardate se nei premi letterari, c'è un solo libro presentabile, che dichiari essere l'uomo buono, che esistono ancora delle virtù. Dilaga, al contrario, l'analisi del tanfo, della perversione umana, con la tacita, ma inesorabile sentenza che l'uomo è inguaribile. Ma Gesù vede e guarda a noi, che siamo povera gente, con tanti malanni, pronto a guarirci e ridarci quella veste del 'bambino' che è la vera grandezza nostra".
Eppure lo scandalo è un vero trauma dell'anima di chi lo riceve: un trauma che a volte incide nel profondo del cuore, dando un corso diverso e sbagliato ad un'intera esistenza. Un vero attentato all'anima.
Chiunque di noi abbia conservato un retto giudizio della vita, sa che è sopportabile e meno dannoso un incidente, che in qualche modo mutila il nostro corpo, di uno scandalo che intacchi l'integrità del cuore.
Oggi, anche S. Giacomo usa toni duri, come a darci la sveglia, se abbiamo permesso che 'le mode' ci addormentassero la coscienza.
"Ora a voi ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state divorate dalle tarme, il vostro oro e argento sono consumati dalla ruggine; la loro ruggine si leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni!
Ecco il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti.
Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non può opporre resistenza". (Gc. 5, 1-6) Davvero viene voglia di uscire da questo 'mondo', per assaporare la bellezza della virtù, della bontà. E c'è, per grazia di Dio, tanta, ma tanta gente semplice, che sa ancora conservare la bellezza e la dignità dell'anima e della vita, come un tesoro che dà felicità.
Ricordo, un giorno, parlando in cattedrale proprio su questo tema: Guai a voi, ricchi!, al termine dell'omelia verme una signora, che aveva sul volto, sfatto dalla fatica, una luce, come un riflesso del cielo. Conservava, per la sua vecchiaia, un gruzzolo, che teneva gelosamente custodito. Volle a tutti i costi privarsi di quel poco che aveva risparmiato.
E a me, che cercavo di far capire che il suo non era uno scandalo, ma una necessità, rispose: 'Voglio avere un cuore libero da tutto e così assaporare la gioia di avere in cambio due ali che mi facciano volare verso Dio'.
Ce n'è, più di quanto pensiamo, di questa brava gente. Proprio vero il proverbio che afferma: 'Fa molto rumore l'albero che cade: è silenziosa la foresta che cresce'.
Se è vero che lo scandalo tiene banco nella comunicazione e nel mondo, è altrettanto vero che è 'la forestà a farci sentire cittadini del Cielo.
Ci rattrista che nella mentalità di oggi non faccia meraviglia che ci sia chi offre scandalo, ma, proprio per questa tendenza, purtroppo generalizzata, suscita ancor più profondo stupore, chi vive con coerenza la propria vocazione alla santità: è il salutare 'scandalo evangelicò, inteso come verità di vita.
Quanta gente buona incontro ed ogni volta è sentire che Dio è con noi meravigliosamente.
Per la mentalità del mondo ? stupidamente ? fa scandalo la ragazza intelligente, che non si piega alla moda senza pudore, l'imprenditore onesto che rispetta l'operaio, come fosse un fratello e non una cosa, il giovane retto che non ci sta ai compromessi con il vizio.
Credo proprio che oggi, forse più di un tempo, si avverta in tanti il desiderio di svincolarsi da una mentalità disonesta, che brucia ogni dignità e bellezza del cuore, cercando 'l'aria pulita di una condotta intelligente ed onestà.
Quando si ha un cuore tanto aperto, Dio sa immediatamente trovare la strada per accostarsi e ci attende l'abbraccio di Gesù, che ci vede tornare 'bambini'....da Regno dei Cieli!
Scrive Mario Luzi in Nostalgia di Te:
"Padre mio, mi sono affezionato alla terra quanto non avrei creduto.
È bella e terribile la terra: ci sono nato quasi di nascosto, ci sono cresciuto,
tra gente povera, amabile e tante volte esecrabile. Il cuore umano è pieno di contraddizioni, ma neppure un istante mi sono allontanato da Te. La vita sulla terra è dolorosa, ma è anche gioiosa...
Sono stato troppo uomo tra gli uomini oppure troppo poco? Il terrestre l'ho fatto troppo mio o troppo poco?
Sono venuto sulla terra per fare la Tua volontà eppure talvolta l'ho discussa.
Sii indulgente, Ti prego, con la mia debolezza.
Ma da questo stato umano d'abiezione, vengo a Te, nella mia debolezza. Comprendimi!
Quando saremo in Cielo ricongiunti, sarà stata grande prova ed essa non si perde nella memoria dell'eternità".
domenica 23 settembre 2012
Essere ultimo e servo di tutti
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:
Ci sono piaghe dolorose, che ci portiamo addosso tutti e che ereditiamo dal peccato originale.
Nel paradiso terrestre, che ci era stato donato, dove regnava l'amore pieno, mise piede un giorno il serpente. Dio permise che i nostri progenitori fossero messi alla prova, perché così è giusto che sia, nella natura dell'amore, che è libero: una prova che consisteva nella scelta tra Dio e se stessi. Obbedienza e umiltà o orgoglio e superbia.
Sappiamo tutti come finì. Davanti alla tentazione di poter 'essere come Dio', solo attraverso la disobbedienza, non seppero resistere al fascino maledetto che è 'sentirsi grandi e potenti, come dei'. Non si accetta la realtà del nostro essere creature: l'uomo in sé è davvero piccolo e misero, insufficiente, ed acquista bellezza e dignità solo se sa riconoscere la sua miseria e fa posto a Chi è grande e da Cui sgorga la vera grandezza.
È terribile il male della superbia. È tragica la corsa che si fa in ogni capo per affermare una grandezza che è solo esteriore, se non addirittura dannosa. Così abbiamo le 'grandi potenze', i 'grandi' della terra, i 'famosi', ma tutti constatiamo come spesso questa 'corsa' produce solo tanta povertà e tanta, ma tanta, gente che è umiliata, al punto da sentirsi ed essere considerata nulla: l'esercito dei miseri e dei poveri della terra, sgabello dei cosiddetti 'grandi'.
Dobbiamo essere sinceri con noi stessi: chi di noi non sente il 'veleno' del serpente, che è l'orgoglio?
Nessuno vuole vestire l'abito 'dell'ultimo', ma solo quello 'del primo'... anche se poi la vera grandezza si scopre proprio negli ultimi: 'Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente? perché ha guardato all'umiltà della Sua serva', proclama Maria SS.ma.
Fa sempre tanta pena incontrarsi con chi non fa proprio nulla per nascondere la sua superbia, così come è quasi un toccare con mano la bellezza del Cielo, vivere ed incontrare chi ha il divino candore dell'umiltà, sa riconoscere il proprio nulla - pur essendo magari ricco di qualità e pregi umani - e fa posto a Chi davvero è tutto, diventando 'gloria del Dio vivente'.
È il Vangelo di oggi, come la lettera di Giacomo, ad aiutarci ad entrare nel mondo degli 'ultimi', che agli occhi di Dio sono 'i primi'.
Narra l'evangelista Marco:
"Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva i suoi discepoli e diceva loro: 'Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno: ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risorgerà'.
Ma essi non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazione.
Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa chiese loro: 'Di che cosa stavate discutendo lungo la via?: Ed essi tacevano.
Per la via infatti avevano discusso tra di loro chi fosse il più grande.
Allora, sedutosi, chiamò i dodici e disse loro: 'Se uno di voi vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti. E preso un bambino lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: 'Chi accoglie uno di questi bambini, accoglie me, ma chi accoglie me, non accoglie me, ma Colui che mi ha mandato" (Mc 9, 29-36).
Queste ultime parole mi fanno passare davanti agli occhi tanti bambini del nostro tempo, non nati, rifiutati, affamati, percossi, rimandati, dopo giorni sui barconi degli immigrati, senza capire, a morire 'a casa lorò!
Di fronte a questi bambini, per noi a nulla valgono le parole di Gesù: 'accogliendoli, non accogliete Me, ma Colui che mi ha mandato'.
Mi incontrai un giorno con alunni di una scuola media, per un 'botta e rispostà spontaneo, che svelasse ciò che gli adolescenti pensano della vita, della fede, di tutto insomma.
Erano ragazzi e ragazze, che nulla facevano per nascondere il loro 'culto del benessere'. Forse papà e mamma erano persone 'importanti'. Il dialogo si avviò con difficoltà, anche perché i ragazzi non sapevano cosa chiedere ad un vescovo, tanto più che ero stato presentato come uno 'che sta dalla parte degli ultimi' e, amando i poveri, passavo per 'un povero Cristo'.
Tentai allora di avviare un dialogo con la descrizione dei valori della vita e, soprattutto, del grandissimo valore della presenza di Gesù nella nostra esistenza.
Gli occhi di quegli adolescenti erano puntati su quello che dicevo e per loro era davvero un discorso duro e sconosciuto. A bruciapelo feci questa domanda: 'Chi vorrete essere nella vita da grandi?'. In coro fecero nomi di persone ricche e famose, che per lo più non conoscevo.
Credendo di non essere stato capito, formulai in altro modo la domanda: 'Ammettiamo che voi desideriate veramente la vostra felicità, che è nella grandezza di essere figli di Dio. Vorreste essere come S. Francesco d'Assisi, che da ricco divenne povero per sua scelta, o come uno sceicco d'Arabia che da povero divenne ricchissimo e famoso?'. Questa volta la risposta fu fulminea e quasi corale: 'Lo sceicco!'.
Quello che ho raccontato potrebbe sembrare un fatto isolato, che riguarda solo alcuni, che vanno compassionati. Ma nella storia dell'umanità si è sempre giocato al tragico 'essere primo', ossia il più importante, riducendo il senso della vita al potere, al successo, al prestigio.
Lo stesso Gesù, nel deserto, fu tentato da satana a fare la parte del 'grande'. E furono tentati gli stessi discepoli, che non capivano il discorso di Gesù, che parlava di crocifissione, ossia consumarsi tutto, essere umiliato fino alla morte, per farci dono poi della resurrezione.
Cosi parlava dell'umiltà Paolo VI: ?L'uomo, nella concezione e nella realtà del cattolicesimo, è grande, e tale deve sentirsi nella coscienza, nel valore della sua opera, nella speranza del suo finale destino. Ma i suoi pensieri, il suo stile di vita, il so rapporto con i suoi simili, gli impone nello stesso tempo di essere umile. Che l'umiltà sia una esigenza, potremmo dire costituzionale, della psicologia e della moralità del cristiano, nessuno potrà negarlo.
Un cristiano superbo è una contraddizione nei suoi stessi termini. Se vogliamo rinnovare la vita cristiana, non possiamo tacere la lezione e la pratica dell'umiltà...
L'apparente contraddizione fra umiltà e dignità del cristiano, ha nel Magnificat, l'inno di Maria SS.ma, l'umile tra tutte le creature, la più alta soluzione.
E la prima soluzione è data dalla considerazione dell'uomo davanti a Dio.
L'uomo veramente religioso non può non essere umile. L'umiltà è verità.
S. Agostino che dell'umiltà ha un concetto sempre presente nelle sue opere, ci insegna che l'umiltà è da collocarsi nel quadro della verità. ?Siamo piccoli e per di più siamo peccatori. - scrive S. Pietro - sotto la mano potente di Dio, affinché vi esalti nel tempo della sua visita; ogni nostra ansietà deponetela in Lui, perché Lui ha cura di voi'.
Sono due i malanni della psicologia umana, colpevoli delle rovine più estese e più grandi dell'umanità: l'egoismo e l'orgoglio.
È allora che l'uomo fa centro su se stesso nella estimazione dei valori della vita: egli si fa primo, egli si fa unico. La sua arte di vivere consiste nel pensare a se stesso e nel sottomettere gli altri. Tutti i grandi disordini sociali e politici hanno nell'egoismo tante capacità d'azione, ma l'amore non c'è più? (febbraio 1975).
Saremo capaci di accogliere l'invito di Gesù a svestire gli abiti effimeri e bugiardi dell'orgoglio, per indossare l'abito semplice dei bambini?
È qui davvero il segreto della nostra gioia, della speranza che questa umanità torni a ritrovare quella pace, che solo un cuore da bambino sa creare.
E davvero fa bene, tanto bene, incontrare nella vita fratelli e sorelle di una tale semplicità di animo, che ti ridonano la bellezza di vivere con amore e per amore, e ti famio vedere il Cielo che è ancora sopra di noi, tra di noi.
Accogliamo l'invito dell'apostolo Giacomo:
"Carissimi, dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni. La sapienza che viene dall'alto, è anzitutto pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia. Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace.
Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi?
Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra?
Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete, chiedete e non otterrete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri!" (Gc. 3, 16)
Una dura lezione, ma necessaria esortazione a diventare tutti quei 'piccolì, o 'ultimi' del Vangelo, per assaporare la gioia del cuore dei bimbi, che sanno vedere ancora la bellezza del Cielo. Così pregava il caro don Tonino Bello:
"Santa Maria, donna di parte, come siamo distanti dalla tua logica!
Tu ti sei fidata di Dio e come Lui hai tutto scommesso sui poveri,
affiancandoti ai poveri e facendo della povertà
l'indicatore più chiaro del tuo abbandono in Lui,
'che ha scelto ciò che nel inondo è nulla, per ridurre a nulla tutte le cose che sono'. Noi invece andiamo sul sicuro.
Non ce la sentiamo di rischiare.
Ci vogliamo garantire dagli imprevisti.
Sarà pure giusto lo stile del Signore, ma intanto preferiamo la praticità della terra, terra dei nostri programmi.
Continuiamo a fare assegnamento sulla forza, sul prestigio, sul denaro e sul successo. Quando ci decideremo, sul tuo esempio, a fare scelte umanamente perdenti,
nella convinzione che solo passando sulla tua sponda
potremo redimerci e redimere??
Ci sono piaghe dolorose, che ci portiamo addosso tutti e che ereditiamo dal peccato originale.
Nel paradiso terrestre, che ci era stato donato, dove regnava l'amore pieno, mise piede un giorno il serpente. Dio permise che i nostri progenitori fossero messi alla prova, perché così è giusto che sia, nella natura dell'amore, che è libero: una prova che consisteva nella scelta tra Dio e se stessi. Obbedienza e umiltà o orgoglio e superbia.
Sappiamo tutti come finì. Davanti alla tentazione di poter 'essere come Dio', solo attraverso la disobbedienza, non seppero resistere al fascino maledetto che è 'sentirsi grandi e potenti, come dei'. Non si accetta la realtà del nostro essere creature: l'uomo in sé è davvero piccolo e misero, insufficiente, ed acquista bellezza e dignità solo se sa riconoscere la sua miseria e fa posto a Chi è grande e da Cui sgorga la vera grandezza.
È terribile il male della superbia. È tragica la corsa che si fa in ogni capo per affermare una grandezza che è solo esteriore, se non addirittura dannosa. Così abbiamo le 'grandi potenze', i 'grandi' della terra, i 'famosi', ma tutti constatiamo come spesso questa 'corsa' produce solo tanta povertà e tanta, ma tanta, gente che è umiliata, al punto da sentirsi ed essere considerata nulla: l'esercito dei miseri e dei poveri della terra, sgabello dei cosiddetti 'grandi'.
Dobbiamo essere sinceri con noi stessi: chi di noi non sente il 'veleno' del serpente, che è l'orgoglio?
Nessuno vuole vestire l'abito 'dell'ultimo', ma solo quello 'del primo'... anche se poi la vera grandezza si scopre proprio negli ultimi: 'Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente? perché ha guardato all'umiltà della Sua serva', proclama Maria SS.ma.
Fa sempre tanta pena incontrarsi con chi non fa proprio nulla per nascondere la sua superbia, così come è quasi un toccare con mano la bellezza del Cielo, vivere ed incontrare chi ha il divino candore dell'umiltà, sa riconoscere il proprio nulla - pur essendo magari ricco di qualità e pregi umani - e fa posto a Chi davvero è tutto, diventando 'gloria del Dio vivente'.
È il Vangelo di oggi, come la lettera di Giacomo, ad aiutarci ad entrare nel mondo degli 'ultimi', che agli occhi di Dio sono 'i primi'.
Narra l'evangelista Marco:
"Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva i suoi discepoli e diceva loro: 'Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno: ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risorgerà'.
Ma essi non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazione.
Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa chiese loro: 'Di che cosa stavate discutendo lungo la via?: Ed essi tacevano.
Per la via infatti avevano discusso tra di loro chi fosse il più grande.
Allora, sedutosi, chiamò i dodici e disse loro: 'Se uno di voi vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti. E preso un bambino lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: 'Chi accoglie uno di questi bambini, accoglie me, ma chi accoglie me, non accoglie me, ma Colui che mi ha mandato" (Mc 9, 29-36).
Queste ultime parole mi fanno passare davanti agli occhi tanti bambini del nostro tempo, non nati, rifiutati, affamati, percossi, rimandati, dopo giorni sui barconi degli immigrati, senza capire, a morire 'a casa lorò!
Di fronte a questi bambini, per noi a nulla valgono le parole di Gesù: 'accogliendoli, non accogliete Me, ma Colui che mi ha mandato'.
Mi incontrai un giorno con alunni di una scuola media, per un 'botta e rispostà spontaneo, che svelasse ciò che gli adolescenti pensano della vita, della fede, di tutto insomma.
Erano ragazzi e ragazze, che nulla facevano per nascondere il loro 'culto del benessere'. Forse papà e mamma erano persone 'importanti'. Il dialogo si avviò con difficoltà, anche perché i ragazzi non sapevano cosa chiedere ad un vescovo, tanto più che ero stato presentato come uno 'che sta dalla parte degli ultimi' e, amando i poveri, passavo per 'un povero Cristo'.
Tentai allora di avviare un dialogo con la descrizione dei valori della vita e, soprattutto, del grandissimo valore della presenza di Gesù nella nostra esistenza.
Gli occhi di quegli adolescenti erano puntati su quello che dicevo e per loro era davvero un discorso duro e sconosciuto. A bruciapelo feci questa domanda: 'Chi vorrete essere nella vita da grandi?'. In coro fecero nomi di persone ricche e famose, che per lo più non conoscevo.
Credendo di non essere stato capito, formulai in altro modo la domanda: 'Ammettiamo che voi desideriate veramente la vostra felicità, che è nella grandezza di essere figli di Dio. Vorreste essere come S. Francesco d'Assisi, che da ricco divenne povero per sua scelta, o come uno sceicco d'Arabia che da povero divenne ricchissimo e famoso?'. Questa volta la risposta fu fulminea e quasi corale: 'Lo sceicco!'.
Quello che ho raccontato potrebbe sembrare un fatto isolato, che riguarda solo alcuni, che vanno compassionati. Ma nella storia dell'umanità si è sempre giocato al tragico 'essere primo', ossia il più importante, riducendo il senso della vita al potere, al successo, al prestigio.
Lo stesso Gesù, nel deserto, fu tentato da satana a fare la parte del 'grande'. E furono tentati gli stessi discepoli, che non capivano il discorso di Gesù, che parlava di crocifissione, ossia consumarsi tutto, essere umiliato fino alla morte, per farci dono poi della resurrezione.
Cosi parlava dell'umiltà Paolo VI: ?L'uomo, nella concezione e nella realtà del cattolicesimo, è grande, e tale deve sentirsi nella coscienza, nel valore della sua opera, nella speranza del suo finale destino. Ma i suoi pensieri, il suo stile di vita, il so rapporto con i suoi simili, gli impone nello stesso tempo di essere umile. Che l'umiltà sia una esigenza, potremmo dire costituzionale, della psicologia e della moralità del cristiano, nessuno potrà negarlo.
Un cristiano superbo è una contraddizione nei suoi stessi termini. Se vogliamo rinnovare la vita cristiana, non possiamo tacere la lezione e la pratica dell'umiltà...
L'apparente contraddizione fra umiltà e dignità del cristiano, ha nel Magnificat, l'inno di Maria SS.ma, l'umile tra tutte le creature, la più alta soluzione.
E la prima soluzione è data dalla considerazione dell'uomo davanti a Dio.
L'uomo veramente religioso non può non essere umile. L'umiltà è verità.
S. Agostino che dell'umiltà ha un concetto sempre presente nelle sue opere, ci insegna che l'umiltà è da collocarsi nel quadro della verità. ?Siamo piccoli e per di più siamo peccatori. - scrive S. Pietro - sotto la mano potente di Dio, affinché vi esalti nel tempo della sua visita; ogni nostra ansietà deponetela in Lui, perché Lui ha cura di voi'.
Sono due i malanni della psicologia umana, colpevoli delle rovine più estese e più grandi dell'umanità: l'egoismo e l'orgoglio.
È allora che l'uomo fa centro su se stesso nella estimazione dei valori della vita: egli si fa primo, egli si fa unico. La sua arte di vivere consiste nel pensare a se stesso e nel sottomettere gli altri. Tutti i grandi disordini sociali e politici hanno nell'egoismo tante capacità d'azione, ma l'amore non c'è più? (febbraio 1975).
Saremo capaci di accogliere l'invito di Gesù a svestire gli abiti effimeri e bugiardi dell'orgoglio, per indossare l'abito semplice dei bambini?
È qui davvero il segreto della nostra gioia, della speranza che questa umanità torni a ritrovare quella pace, che solo un cuore da bambino sa creare.
E davvero fa bene, tanto bene, incontrare nella vita fratelli e sorelle di una tale semplicità di animo, che ti ridonano la bellezza di vivere con amore e per amore, e ti famio vedere il Cielo che è ancora sopra di noi, tra di noi.
Accogliamo l'invito dell'apostolo Giacomo:
"Carissimi, dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni. La sapienza che viene dall'alto, è anzitutto pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia. Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace.
Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi?
Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra?
Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete, chiedete e non otterrete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri!" (Gc. 3, 16)
Una dura lezione, ma necessaria esortazione a diventare tutti quei 'piccolì, o 'ultimi' del Vangelo, per assaporare la gioia del cuore dei bimbi, che sanno vedere ancora la bellezza del Cielo. Così pregava il caro don Tonino Bello:
"Santa Maria, donna di parte, come siamo distanti dalla tua logica!
Tu ti sei fidata di Dio e come Lui hai tutto scommesso sui poveri,
affiancandoti ai poveri e facendo della povertà
l'indicatore più chiaro del tuo abbandono in Lui,
'che ha scelto ciò che nel inondo è nulla, per ridurre a nulla tutte le cose che sono'. Noi invece andiamo sul sicuro.
Non ce la sentiamo di rischiare.
Ci vogliamo garantire dagli imprevisti.
Sarà pure giusto lo stile del Signore, ma intanto preferiamo la praticità della terra, terra dei nostri programmi.
Continuiamo a fare assegnamento sulla forza, sul prestigio, sul denaro e sul successo. Quando ci decideremo, sul tuo esempio, a fare scelte umanamente perdenti,
nella convinzione che solo passando sulla tua sponda
potremo redimerci e redimere??
domenica 16 settembre 2012
Pensare secondo Dio
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:
Non era certamente facile per gli apostoli conoscere in profondità Chi li aveva chiamati e capire esattamente la stessa generosità con cui loro avevano accettato l'invito di seguirLo.
Forse erano semplicemente stati attratti dalla personalità del Maestro e suscita stupore come abbiano accolto il Suo invito, senza porsi tante domande. Non immaginavano neppure che cosa lontanamente li attendeva, ossia che sarebbero diventati le colonne della Chiesa, diffusa su tutta la terra. Capita anche a noi, forse, di avere accettato di essere cristiani, ma tante volte senza pienamente pensare che 'essere chiamati da Cristo a seguirLo' nel Battesimo, comporta poi un seguirlo nella vita, seriamente e con convinzione.
Il Vangelo di oggi pone a noi la stessa domanda che Gesù fece ai suoi discepoli.
"Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo, e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: Che dice la gente che io sia? Ed essi risposero: Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti. Ma egli replicò: E voi chi dite che io sia? Pietro gli rispose: Tu sei il Cristo. E impose loro di non parlarne con nessuno".
Difficile pensare chi fosse per i Dodici. Forse in quella risposta di Pietro vi era un sogno di grandezza umana, di un 'personaggio che avrebbe cambiato il mondo'.
Ma le parole di Gesù li risveglia subito alla comprensione di una realtà più profonda, che avrebbe motivato tutta la vicenda del Maestro tra noi e per noi, e che non era nei sogni umani dei Dodici. "E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, per venire ucciso e dopo tre giorni risuscitare Gesù faceva questo discorso apertamente".
E subito vi è la reazione di Pietro, che svela i sogni umani dei Dodici ? e forse di tanti di noi ? che avevano accettato di seguirlo, perché speravano di aver trovato Uno che risolve i nostri problemi e realizza i nostri - spesso troppo piccoli - sogni.
È vero che il Padre ha cura di noi, ma sempre in ordine alla nostra santificazione, che è il grande dono di Gesù e che si raggiunge giorno per giorno con fede e amore.
"Allora Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma Gesù, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: 'Lontano da me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!".
Convocata la folla, insieme ai suoi discepoli, disse loro: 'Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuol salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà" (Mc 8, 27-35).
Possiamo immaginare lo sgomento degli Apostoli nel vedere forse andare a pezzi i loro sogni di raggiungere traguardi di benessere e successo terreno, che nulla hanno a che vedere con la presenza e l'amore di Dio.
Ma noi oggi ? come loro ? vorremmo confermare a Gesù il nostro amore senza limiti, con le parole di Paolo Vi, grande innamorato di Cristo:
"Vi è una categoria di credenti, la nostra categoria, di gente che non solo accetta il Cristo della tradizione cattolica con pacifica e docile adesione, ma lo scopre con gioia, lo confessa con entusiasmo, lo proclama con fede, lo segue con amore.
Sì, per misericordia sua e per fortuna nostra, ci siamo ancora noi, che non dubitiamo di credere in Lui, con tutta la Chiesa cattolica ed apostolica, invasa da gaudio immenso, a gridare: è Lui! È il Signore.
Siamo, sì, sbattuti dal vento delle tante difficoltà, a cui oggi lo spirito, per il suo stesso progresso, è esposto: anche noi siamo fratelli di Tommaso, l'apostolo del Vangelo, che vorremmo certezze palpabili, che vorremmo misurare la realtà religiosa, con il metro cortissimo delle nostre nozioni, più o meno razionali; vorremmo, come sempre siamo abituati oggi a fare, almeno vederLo, toccarLo, noi così restii ad ammettere poi il miracolo, come la grande e celebre preghiera di Papini che a Cristo domandava:
'E' giunto il tempo in cui devi apparire a tutti noi e dare un segno perentorio a questa generazione...Sia pure un breve ritorno, una venuta improvvisa...un segno solo, un avviso unico, un baleno nel cielo, un lume nella notte....'.
Vorremmo vederLo anche noi e divenire capaci di ripetere le parole della prima generazione cristiana: 'Vieni, torna Signore Gesù', (maggio 1962)
Ma, come a voler unire Gesù e la sua presenza negli uomini, a cominciare dai più deboli e poveri, l'apostolo Giacomo così ci avverte oggi:
"Cosa giova, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere?
Forse che quella fede può salvarlo?
Se un fratello o una sorella sono senza vestiti, sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: 'Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi', ma non dà loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede, se non ha le opere, è morta in se stessa. Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere. Mostrami la tua fede senza le opere ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede". (Lettera Gc. 2, 14-18)
Com'è facile parlare, carissimi, di amore per i poveri!
E per povertà intendo ogni forma di bisogno: mancanza di casa, di pane, di affetto, di lavoro, di comprensione. La povertà è sempre un 'vuoto' creato da mille circostanze, alle volte colpevole, alle volte no. Un vuoto che chiede di essere colmato dalla ricchezza dell'amore.
Di fronte alla povertà davvero l'amore a Cristo si esprime nella sua totalità, al punto che i poveri diventano la nostra ricchezza... sempre che consideriamo felicità il dare più che l'avere, il voler vedere vivi gli altri, anche se questo richiede il dono di noi stessi, della nostra vita.
Può essere duro parlare di amore in questi termini, ma è il solo modo, quando si dà all'amore il vero significato evangelico, che è quello della condivisione.
Come ha fatto del resto Dio che, per esprimere l'Amore a noi uomini - poveri, ma veramente miseri senza il Suo amore - ha condiviso totalmente in Gesù la nostra povertà, fino a dare la vita perché noi avessimo la pienezza di vita.
Il Vangelo di oggi ci mostra come reagì Pietro, quando Gesù parlò di questa Sua condivisione, annunciando la Sua passione e morte, ma anche la presa di posizione del Maestro: 'Gesù, voltatosi e
guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: 'Lontano da me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!".
Secondo il pensiero di Dio, la parola condivisione espelle, una volta per tutte, il diffuso concetto di amore come elemosina, che è come uno sguardo distratto sulla povertà e non un chinarsi seriamente su chi è nella necessità, il povero, fino a preferire l'eliminazione della sua sofferenza rispetto ad ogni nostro interesse.
Vivendo nel Belice, nelle baracche, dopo il terremoto, mi sentivo come schiacciato dalle tante necessità della mia gente. L'amore mi portava a fare tutto il possibile - sempre per quel poco che un sacerdote può fare. Quante volte chiedevo almeno la solidarietà. Tentavo con un'energia e un coraggio, che ancora oggi non mi so spiegare, di fare capire che non chiedevamo compassione o altro, ma volevamo solidarietà, condivisione. Ma era un discorso che, il più delle volte, cadeva nel vuoto, se non nel disprezzo.
Ricordo una domenica, venni invitato in una città, che voleva conoscere il dramma irrisolto del Belice. Con dignità e forza proponevo la storia di tanti baraccati, che attendevano giustizia.
Coglievo nell'aria una curiosità, che però non si spingeva oltre. Qualcuno poi si attendeva forse qualche filippica contro questo o quello e, di fronte ad un discorso che interpellava la coscienza, non nascondeva la delusione e il dissenso. Alla fine ci fu chi pensò bene di raccogliere le offerte. Tante monetine, che suscitarono in me sdegno, nel vedere come l'appello alla solidarietà era stato inteso come una richiesta di elemosina.
Non nascosi la mia amarezza, uscendo dalla chiesa, come se avessero offeso la mia dignità e quella della mia gente baraccata. Non avevo chiesto soldi, ma solidarietà.
Mi vennero in mente le parole che l'apostolo Giacomo offre nella liturgia di oggi: 'Che giova, fratelli, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo?'.
C'è davvero una profonda conversione da compiere in questo senso nelle nostre comunità parrocchiali. A volte appaiono chiuse in se stesse, disinteressate della povertà del vicino, al punto di non accorgersi delle lacrime che, molte volte, gli scavano il volto durante la Messa; al punto di non accorgersi che c'è chi sfiora l'abisso della disperazione, per tanti motivi, che a volte potrebbero essere rimossi con un briciolo di quel benedetto amore, che è la condivisione.
Bisognerebbe avere la capacità di abbattere le robuste mura che ci siamo costruiti per difendere la nostra tranquillità, in modo da diventare 'case aperte', 'mense imbandite' per chi passa e ha fame, sete, è ignudo, o, semplicemente non sa a chi affidare le proprie lacrime.
Non resta che chiedere a Dio il dono della carità a tutto tondo, che sappia capire, accogliere tutti, con un cuore simile ad una mensa a cui tutti possono sedersi.
Così pregava don Tonino Bello:
"Santa Maria, donna di parte, noi ti preghiamo per la Chiesa di Dio,
che, a differenza di Te, fa ancora fatica ad allinearsi coraggiosamente con i poveri. In teoria essa dichiara l'opzione preferenziale in loro favore.
Ma in pratica, spesso rimane sedotta dalle manovre accaparratrici dei potenti. Aiutala a uscire dalla sua pavida neutralità.
Mettile sulle labbra le cadenze eversive del Magnificat,
di cui talvolta sembra abbia smarrito gli accordi.
Te lo chiediamo per Cristo, nostro Signore".
Non era certamente facile per gli apostoli conoscere in profondità Chi li aveva chiamati e capire esattamente la stessa generosità con cui loro avevano accettato l'invito di seguirLo.
Forse erano semplicemente stati attratti dalla personalità del Maestro e suscita stupore come abbiano accolto il Suo invito, senza porsi tante domande. Non immaginavano neppure che cosa lontanamente li attendeva, ossia che sarebbero diventati le colonne della Chiesa, diffusa su tutta la terra. Capita anche a noi, forse, di avere accettato di essere cristiani, ma tante volte senza pienamente pensare che 'essere chiamati da Cristo a seguirLo' nel Battesimo, comporta poi un seguirlo nella vita, seriamente e con convinzione.
Il Vangelo di oggi pone a noi la stessa domanda che Gesù fece ai suoi discepoli.
"Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo, e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: Che dice la gente che io sia? Ed essi risposero: Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti. Ma egli replicò: E voi chi dite che io sia? Pietro gli rispose: Tu sei il Cristo. E impose loro di non parlarne con nessuno".
Difficile pensare chi fosse per i Dodici. Forse in quella risposta di Pietro vi era un sogno di grandezza umana, di un 'personaggio che avrebbe cambiato il mondo'.
Ma le parole di Gesù li risveglia subito alla comprensione di una realtà più profonda, che avrebbe motivato tutta la vicenda del Maestro tra noi e per noi, e che non era nei sogni umani dei Dodici. "E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, per venire ucciso e dopo tre giorni risuscitare Gesù faceva questo discorso apertamente".
E subito vi è la reazione di Pietro, che svela i sogni umani dei Dodici ? e forse di tanti di noi ? che avevano accettato di seguirlo, perché speravano di aver trovato Uno che risolve i nostri problemi e realizza i nostri - spesso troppo piccoli - sogni.
È vero che il Padre ha cura di noi, ma sempre in ordine alla nostra santificazione, che è il grande dono di Gesù e che si raggiunge giorno per giorno con fede e amore.
"Allora Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma Gesù, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: 'Lontano da me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!".
Convocata la folla, insieme ai suoi discepoli, disse loro: 'Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuol salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà" (Mc 8, 27-35).
Possiamo immaginare lo sgomento degli Apostoli nel vedere forse andare a pezzi i loro sogni di raggiungere traguardi di benessere e successo terreno, che nulla hanno a che vedere con la presenza e l'amore di Dio.
Ma noi oggi ? come loro ? vorremmo confermare a Gesù il nostro amore senza limiti, con le parole di Paolo Vi, grande innamorato di Cristo:
"Vi è una categoria di credenti, la nostra categoria, di gente che non solo accetta il Cristo della tradizione cattolica con pacifica e docile adesione, ma lo scopre con gioia, lo confessa con entusiasmo, lo proclama con fede, lo segue con amore.
Sì, per misericordia sua e per fortuna nostra, ci siamo ancora noi, che non dubitiamo di credere in Lui, con tutta la Chiesa cattolica ed apostolica, invasa da gaudio immenso, a gridare: è Lui! È il Signore.
Siamo, sì, sbattuti dal vento delle tante difficoltà, a cui oggi lo spirito, per il suo stesso progresso, è esposto: anche noi siamo fratelli di Tommaso, l'apostolo del Vangelo, che vorremmo certezze palpabili, che vorremmo misurare la realtà religiosa, con il metro cortissimo delle nostre nozioni, più o meno razionali; vorremmo, come sempre siamo abituati oggi a fare, almeno vederLo, toccarLo, noi così restii ad ammettere poi il miracolo, come la grande e celebre preghiera di Papini che a Cristo domandava:
'E' giunto il tempo in cui devi apparire a tutti noi e dare un segno perentorio a questa generazione...Sia pure un breve ritorno, una venuta improvvisa...un segno solo, un avviso unico, un baleno nel cielo, un lume nella notte....'.
Vorremmo vederLo anche noi e divenire capaci di ripetere le parole della prima generazione cristiana: 'Vieni, torna Signore Gesù', (maggio 1962)
Ma, come a voler unire Gesù e la sua presenza negli uomini, a cominciare dai più deboli e poveri, l'apostolo Giacomo così ci avverte oggi:
"Cosa giova, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere?
Forse che quella fede può salvarlo?
Se un fratello o una sorella sono senza vestiti, sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: 'Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi', ma non dà loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede, se non ha le opere, è morta in se stessa. Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere. Mostrami la tua fede senza le opere ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede". (Lettera Gc. 2, 14-18)
Com'è facile parlare, carissimi, di amore per i poveri!
E per povertà intendo ogni forma di bisogno: mancanza di casa, di pane, di affetto, di lavoro, di comprensione. La povertà è sempre un 'vuoto' creato da mille circostanze, alle volte colpevole, alle volte no. Un vuoto che chiede di essere colmato dalla ricchezza dell'amore.
Di fronte alla povertà davvero l'amore a Cristo si esprime nella sua totalità, al punto che i poveri diventano la nostra ricchezza... sempre che consideriamo felicità il dare più che l'avere, il voler vedere vivi gli altri, anche se questo richiede il dono di noi stessi, della nostra vita.
Può essere duro parlare di amore in questi termini, ma è il solo modo, quando si dà all'amore il vero significato evangelico, che è quello della condivisione.
Come ha fatto del resto Dio che, per esprimere l'Amore a noi uomini - poveri, ma veramente miseri senza il Suo amore - ha condiviso totalmente in Gesù la nostra povertà, fino a dare la vita perché noi avessimo la pienezza di vita.
Il Vangelo di oggi ci mostra come reagì Pietro, quando Gesù parlò di questa Sua condivisione, annunciando la Sua passione e morte, ma anche la presa di posizione del Maestro: 'Gesù, voltatosi e
guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: 'Lontano da me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!".
Secondo il pensiero di Dio, la parola condivisione espelle, una volta per tutte, il diffuso concetto di amore come elemosina, che è come uno sguardo distratto sulla povertà e non un chinarsi seriamente su chi è nella necessità, il povero, fino a preferire l'eliminazione della sua sofferenza rispetto ad ogni nostro interesse.
Vivendo nel Belice, nelle baracche, dopo il terremoto, mi sentivo come schiacciato dalle tante necessità della mia gente. L'amore mi portava a fare tutto il possibile - sempre per quel poco che un sacerdote può fare. Quante volte chiedevo almeno la solidarietà. Tentavo con un'energia e un coraggio, che ancora oggi non mi so spiegare, di fare capire che non chiedevamo compassione o altro, ma volevamo solidarietà, condivisione. Ma era un discorso che, il più delle volte, cadeva nel vuoto, se non nel disprezzo.
Ricordo una domenica, venni invitato in una città, che voleva conoscere il dramma irrisolto del Belice. Con dignità e forza proponevo la storia di tanti baraccati, che attendevano giustizia.
Coglievo nell'aria una curiosità, che però non si spingeva oltre. Qualcuno poi si attendeva forse qualche filippica contro questo o quello e, di fronte ad un discorso che interpellava la coscienza, non nascondeva la delusione e il dissenso. Alla fine ci fu chi pensò bene di raccogliere le offerte. Tante monetine, che suscitarono in me sdegno, nel vedere come l'appello alla solidarietà era stato inteso come una richiesta di elemosina.
Non nascosi la mia amarezza, uscendo dalla chiesa, come se avessero offeso la mia dignità e quella della mia gente baraccata. Non avevo chiesto soldi, ma solidarietà.
Mi vennero in mente le parole che l'apostolo Giacomo offre nella liturgia di oggi: 'Che giova, fratelli, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo?'.
C'è davvero una profonda conversione da compiere in questo senso nelle nostre comunità parrocchiali. A volte appaiono chiuse in se stesse, disinteressate della povertà del vicino, al punto di non accorgersi delle lacrime che, molte volte, gli scavano il volto durante la Messa; al punto di non accorgersi che c'è chi sfiora l'abisso della disperazione, per tanti motivi, che a volte potrebbero essere rimossi con un briciolo di quel benedetto amore, che è la condivisione.
Bisognerebbe avere la capacità di abbattere le robuste mura che ci siamo costruiti per difendere la nostra tranquillità, in modo da diventare 'case aperte', 'mense imbandite' per chi passa e ha fame, sete, è ignudo, o, semplicemente non sa a chi affidare le proprie lacrime.
Non resta che chiedere a Dio il dono della carità a tutto tondo, che sappia capire, accogliere tutti, con un cuore simile ad una mensa a cui tutti possono sedersi.
Così pregava don Tonino Bello:
"Santa Maria, donna di parte, noi ti preghiamo per la Chiesa di Dio,
che, a differenza di Te, fa ancora fatica ad allinearsi coraggiosamente con i poveri. In teoria essa dichiara l'opzione preferenziale in loro favore.
Ma in pratica, spesso rimane sedotta dalle manovre accaparratrici dei potenti. Aiutala a uscire dalla sua pavida neutralità.
Mettile sulle labbra le cadenze eversive del Magnificat,
di cui talvolta sembra abbia smarrito gli accordi.
Te lo chiediamo per Cristo, nostro Signore".
Iscriviti a:
Post (Atom)