domenica 26 agosto 2012
Signore, da chi andremo?
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:
Se c'è un atteggiamento che urta nei nostri rapporti quotidiani, dalla famiglia agli amici, alla politica, è la mancanza di chiarezza nel dialogo, soprattutto quando questo chiama a scelte di vita, che non ammettono ambiguità o silenzi o incomprensioni.
A volte nel proporci qualche cosa, si ricorre a giri di parole, che alla fine sanno solo di compromessi pericolosi, fino a togliere credibilità e bontà.
Non è così per Gesù e non potrebbe esserlo per Lui, che è la Verità che si comunica a noi uomini, che abbiamo sete di verità, anche se fanno male, perché non è concepibile una vita basata sulla menzogna o sulla ignoranza.
Nel Suo rapporto di divina amicizia con noi - un'amicizia che è fondamento di salvezza - Gesù parla con la lucidità della verità, senza alcun velo, in modo che il nostro 'sì' o 'no' sia totale: non vi sia insomma nessuna scusante per un 'ni', impossibile e assurdo in un rapporto fondato sulla vera amicizia.
Quando si parla 'senza dannosi velì, ci si può trovare di fronte ad un 'discorso durò, cosa che capita anche tra di noi, quando la carità sí fa dono a chi si ama o a chi si vede fuori strada. Facile, ma ingannevole, parlarsi senza dire niente: è come mettere un grande sipario che nasconda il reale teatro interiore della nostra vita.
D'altra parte un 'parlare chiarò esige sempre sincero amore alla verità, spirito di umiltà e carità.
A volte stare zitti, per non avere fastidi o rifiuti o peggio, è come recitare la parte del 'sacerdote', raccontata da Gesù nella parabola del buon Samaritano, che 'vede' il semivivo abbandonato sulla via dai ladri e 'passa oltre'.
Quanti fratelli e sorelle potremmo 'salvare' solo se avessimo il coraggio, tutti, di usare il linguaggio della verità nella carità.
Ma si preferisce non avere fastidi e così si tessono conoscenze, o cosiddette amicizie, fasulle, fondate sul vuoto del mancato dialogo.
Nel Vangelo di oggi, continuando il discorso sulla Eucaristia, Gesù fa esperienza dell'incomprensione e del rifiuto. Gesù aveva offerto il massimo dell'amore: 'farsi pané della nostra vita, farsi mangiare perché potessimo assaporare la forza, la bellezza di una vita, sapendosi amati al punto che il nostro Dio si fa nostra carne.
Poteva dare di più, Dio, a noi uomini, che siamo assetati non di parole o gesti banali, ma dell'Amore totale ed assoluto? Quell'amore che entra nelle ossa e diventa gioia di vivere, se è vero, com'è vero che il 'pané di cui tutti abbiamo bisogno è l'amore?
È già grande gioia quando sperimentiamo l'amore sincero di una persona cara.
Cosa dire, poi, se questo Amore, che ci si offre, è la Vita, la Carne e il Sangue di Dio stesso?
Quanti accorrevano in folla a Gesù, certamente erano attratti dalla sua divina personalità: uno che era diverso, venuto direttamente dal Cielo e non un povero uomo come noi, che abbiamo poco da offrire, anche quando amiamo.
Gesù si imponeva per l'autorevolezza della Sua Parola e la testimonianza continua della sua carità, a differenza degli uomini del suo tempo - e anche del nostro -.
Un'autorevolezza che sgorgava dal suo 'essere' la Verità, di cui tutti abbiamo sete.
Era un punto di riferimento - diremmo noi - o, se vogliamo, una fonte di speranza, per tanti, troppi, che sguazzavano nella disperazione... come oggi.
È impressionante, leggendo il Vangelo, vedere come le folle Lo cercassero e, per trovarlo, venissero da ogni parte, mettendolo al centro della vita, fino a togliergli il tempo per mangiare o dormire.
E a queste folle 'affamate di amore', Gesù dava sempre una risposta di speranza e di fiducia, con l'annuncio della Buona Novella, racchiuso in poche certezze: 'Dio, il Padre, vi vuole bene, un bene così grande da mettere in gioco la vita del Figlio prediletto, fino a consumarla totalmente con la crocifissione e la morte, per poter farvi partecipare della Sua Vita, nella resurrezioné.
E Gesù non esitava a moltiplicare í segni della carità del Padre nei miracoli, guarendo ogni tipo di malattia, moltiplicando i pani, risuscitando persino i morti, creando attorno al Suo Vangelo-Annuncio un'atmosfera di concreto amore.
Un'atmosfera che le folle respiravano a pieni polmoni, fino a farsi coinvolgere totalmente, lasciando tutto pur di stargli vicino.
Ma se era facile entrare in un amore che nutriva il corpo, ossia era fatto di segni diretti a questa nostra vita tribolata dalla fame, dalla sete, dalla malattia, non era altrettanto facile farsi coinvolgere ed entrare in un amore che interpellava il cuore, le scelte della vita.
Così, quando, dopo la moltiplicazione dei pani, passa bruscamente all'offerta del Pane della vita, ossia del Suo Corpo e del Suo Sangue, la mente delle folle si confonde....come la nostra! "In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue non avrete in voi la vita eterna....Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui". (Gv. 6, 51-59)
E' quanto ancora oggi Gesù offre a noi nell'Eucarestia e noi riceviamo nella Santa Comunione. Parole che davvero suscitano immenso stupore in chi davvero crede e fanno dire: 'Davvero Gesù con il suo Corpo, la Sua Vita, viene a me e si fa mia vita?'.
Un dono che dovrebbe far sussultare di gioia chi crede: 'Signore, dammi sempre questo pane!'
Ma è davvero così? Se onestamente riflettiamo sulla nostra fede e quanta parte nella nostra vita abbia la Santa Comunione, ci accorgiamo di essere davvero 'uomini di poca fede'.
A volte io stesso mi stupisco come la Chiesa, un tempo e oggi, ricordi a noi questo grande Dono, chiedendoci di riceverlo 'almeno una volta a Pasqua?!
Quando tutti sappiamo, o dovremmo saperlo, che si può fare a meno qualche giorno del pane della terra, ma è difficile fare a meno del Pane del Cielo, che è il segreto della gioia interiore e la forza di vivere, soprattutto nelle difficoltà.
L'esperienza mi dice che altro è vivere ogni giorno del Pane del Cielo, altro è vivere soli con le nostre debolezze.
Di fronte a tanto amore mi viene da mettermi nel Cuore di Gesù e vivere la grande amarezza del rifiuto. Cosa poteva dare dí più?
Questa amarezza è il Vangelo di oggi:
"In quel tempo, molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: 'Questo linguaggio è duro: chi potrà intenderlo?: Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: 'Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dove era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho detto sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra di voi che non credono'.
Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con Lui.
Disse allora Gesù ai Dodici: 'Forse anche voi volete andarvene?. Gli rispose Simon Pietro: 'Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna, noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei il Santo di Dio'." (Gv. 6, 61-70)
C'è tanta tristezza nelle parole del Maestro: e come non provarla nel vedersi incompreso proprio nel memento in cui offre l'incredibile, non un amore superficiale, ma il Pane della vita, Se stesso. Sembra impossibile che tanta gente, che gli era stata vicina per tanto tempo, aveva riposto in Lui ogni speranza, fino a seguirlo da vicino, aveva assaporato il gusto stupendo della Sua amicizia, che era il dono di Sé, abbia poi fatto marcia indietro, abbandonandolo per sempre.
Viene da chiederci ? è una domanda che ciascuno di noi deve avere il coraggio di rivolgersi personalmente -: Perché avevano, abbiamo, seguito Gesù? Cosa speravano, speriamo, da Lui? Chi era Gesù per loro, per noi?
Sono domande che sorgono spontanee anche oggi, di fronte alle statistiche, secondo le quali tanti fratelli nella fede, senza una ragione plausibile, dall'oggi al domani, lasciano Gesù, svuotando così le nostre assemblee liturgiche.
Uno staccarsi che è forse 'delusioné, perché nel rapporto con Dio non hanno ottenuto ciò che chiedevano di materiale?
Uno staccarsi che è 'scontento', per non essere riusciti a cambiare la natura del Cuore di Dio, piegandolo ai capricci di questa vita terrena, che non porta da nessuna parte?
Uno staccarsi che è la 'pretesa' di sapere cosa è meglio per noi e l'incapacità di mettersi in 'sintonia' con Dio, affidandosi a Lui, credendo che solo Lui, davvero, conosce quale sia il nostro vero bene?
Gesù non richiama chi se ne va e Gli volta le spalle. Non può compiacere l'uomo con dannosi compromessi, sarebbe tradirlo: l'amore è anzitutto fedeltà al bene.
Si chiude nel suo silenzio, pieno forse di tristezza, ma non per Sé, ma per chi si allontana, rischiando di diventare presto una... 'pecorella smarrità!
Si volge poi a coloro che sono rimasti e hanno bisogno di essere confermati nella loro scelta. 'Volete andarvene anche voi?'. à pronta la risposta di Pietro: 'Da chi andremo?'
Deve diventare la nostra risposta convinta ed appassionata.
La Chiesa, come a confermare che la risposta di Pietro dovrebbe essere la nostra, ci offre un brano di Giosuè:
"Giosuè radunò tutte le tribù di Israele in Sichem e convocò gli Anziani d'Israele, i capi, i giudici e gli scribi del popolo che si presentarono davanti a Dio. Giosuè disse a tutto il popolo: 'Se vi dispiace di servire il Signore, scegliete oggi chi volete servire: se gli dei che i vostri padri servirono oltre il fiume oppure gli dèi degli Amorrei, nel paese dei quali abitate. Quanto a me e alla mia casa, vogliamo servire il Signore'.
Allora il popolo rispose e disse: 'Ungi da noi l'abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché il Signore nostro Dio ha fatto uscire noi e i padri nostri dal paese d'Egitto, dalla condizione servile, ha compiuto questi grandi miracoli davanti ai nostri occhi e ci ha protetti per tutto il viaggio che abbiamo fatto e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati. Perciò anche noi vogliamo servire il Signore, perché Egli è il nostro Dio. (Giosuè 24, 1-18)
Oggi il Signore chiede anche a noi se vogliamo andarcene o accogliere il Suo Dono? Qual è la risposta?
Se c'è un atteggiamento che urta nei nostri rapporti quotidiani, dalla famiglia agli amici, alla politica, è la mancanza di chiarezza nel dialogo, soprattutto quando questo chiama a scelte di vita, che non ammettono ambiguità o silenzi o incomprensioni.
A volte nel proporci qualche cosa, si ricorre a giri di parole, che alla fine sanno solo di compromessi pericolosi, fino a togliere credibilità e bontà.
Non è così per Gesù e non potrebbe esserlo per Lui, che è la Verità che si comunica a noi uomini, che abbiamo sete di verità, anche se fanno male, perché non è concepibile una vita basata sulla menzogna o sulla ignoranza.
Nel Suo rapporto di divina amicizia con noi - un'amicizia che è fondamento di salvezza - Gesù parla con la lucidità della verità, senza alcun velo, in modo che il nostro 'sì' o 'no' sia totale: non vi sia insomma nessuna scusante per un 'ni', impossibile e assurdo in un rapporto fondato sulla vera amicizia.
Quando si parla 'senza dannosi velì, ci si può trovare di fronte ad un 'discorso durò, cosa che capita anche tra di noi, quando la carità sí fa dono a chi si ama o a chi si vede fuori strada. Facile, ma ingannevole, parlarsi senza dire niente: è come mettere un grande sipario che nasconda il reale teatro interiore della nostra vita.
D'altra parte un 'parlare chiarò esige sempre sincero amore alla verità, spirito di umiltà e carità.
A volte stare zitti, per non avere fastidi o rifiuti o peggio, è come recitare la parte del 'sacerdote', raccontata da Gesù nella parabola del buon Samaritano, che 'vede' il semivivo abbandonato sulla via dai ladri e 'passa oltre'.
Quanti fratelli e sorelle potremmo 'salvare' solo se avessimo il coraggio, tutti, di usare il linguaggio della verità nella carità.
Ma si preferisce non avere fastidi e così si tessono conoscenze, o cosiddette amicizie, fasulle, fondate sul vuoto del mancato dialogo.
Nel Vangelo di oggi, continuando il discorso sulla Eucaristia, Gesù fa esperienza dell'incomprensione e del rifiuto. Gesù aveva offerto il massimo dell'amore: 'farsi pané della nostra vita, farsi mangiare perché potessimo assaporare la forza, la bellezza di una vita, sapendosi amati al punto che il nostro Dio si fa nostra carne.
Poteva dare di più, Dio, a noi uomini, che siamo assetati non di parole o gesti banali, ma dell'Amore totale ed assoluto? Quell'amore che entra nelle ossa e diventa gioia di vivere, se è vero, com'è vero che il 'pané di cui tutti abbiamo bisogno è l'amore?
È già grande gioia quando sperimentiamo l'amore sincero di una persona cara.
Cosa dire, poi, se questo Amore, che ci si offre, è la Vita, la Carne e il Sangue di Dio stesso?
Quanti accorrevano in folla a Gesù, certamente erano attratti dalla sua divina personalità: uno che era diverso, venuto direttamente dal Cielo e non un povero uomo come noi, che abbiamo poco da offrire, anche quando amiamo.
Gesù si imponeva per l'autorevolezza della Sua Parola e la testimonianza continua della sua carità, a differenza degli uomini del suo tempo - e anche del nostro -.
Un'autorevolezza che sgorgava dal suo 'essere' la Verità, di cui tutti abbiamo sete.
Era un punto di riferimento - diremmo noi - o, se vogliamo, una fonte di speranza, per tanti, troppi, che sguazzavano nella disperazione... come oggi.
È impressionante, leggendo il Vangelo, vedere come le folle Lo cercassero e, per trovarlo, venissero da ogni parte, mettendolo al centro della vita, fino a togliergli il tempo per mangiare o dormire.
E a queste folle 'affamate di amore', Gesù dava sempre una risposta di speranza e di fiducia, con l'annuncio della Buona Novella, racchiuso in poche certezze: 'Dio, il Padre, vi vuole bene, un bene così grande da mettere in gioco la vita del Figlio prediletto, fino a consumarla totalmente con la crocifissione e la morte, per poter farvi partecipare della Sua Vita, nella resurrezioné.
E Gesù non esitava a moltiplicare í segni della carità del Padre nei miracoli, guarendo ogni tipo di malattia, moltiplicando i pani, risuscitando persino i morti, creando attorno al Suo Vangelo-Annuncio un'atmosfera di concreto amore.
Un'atmosfera che le folle respiravano a pieni polmoni, fino a farsi coinvolgere totalmente, lasciando tutto pur di stargli vicino.
Ma se era facile entrare in un amore che nutriva il corpo, ossia era fatto di segni diretti a questa nostra vita tribolata dalla fame, dalla sete, dalla malattia, non era altrettanto facile farsi coinvolgere ed entrare in un amore che interpellava il cuore, le scelte della vita.
Così, quando, dopo la moltiplicazione dei pani, passa bruscamente all'offerta del Pane della vita, ossia del Suo Corpo e del Suo Sangue, la mente delle folle si confonde....come la nostra! "In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue non avrete in voi la vita eterna....Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui". (Gv. 6, 51-59)
E' quanto ancora oggi Gesù offre a noi nell'Eucarestia e noi riceviamo nella Santa Comunione. Parole che davvero suscitano immenso stupore in chi davvero crede e fanno dire: 'Davvero Gesù con il suo Corpo, la Sua Vita, viene a me e si fa mia vita?'.
Un dono che dovrebbe far sussultare di gioia chi crede: 'Signore, dammi sempre questo pane!'
Ma è davvero così? Se onestamente riflettiamo sulla nostra fede e quanta parte nella nostra vita abbia la Santa Comunione, ci accorgiamo di essere davvero 'uomini di poca fede'.
A volte io stesso mi stupisco come la Chiesa, un tempo e oggi, ricordi a noi questo grande Dono, chiedendoci di riceverlo 'almeno una volta a Pasqua?!
Quando tutti sappiamo, o dovremmo saperlo, che si può fare a meno qualche giorno del pane della terra, ma è difficile fare a meno del Pane del Cielo, che è il segreto della gioia interiore e la forza di vivere, soprattutto nelle difficoltà.
L'esperienza mi dice che altro è vivere ogni giorno del Pane del Cielo, altro è vivere soli con le nostre debolezze.
Di fronte a tanto amore mi viene da mettermi nel Cuore di Gesù e vivere la grande amarezza del rifiuto. Cosa poteva dare dí più?
Questa amarezza è il Vangelo di oggi:
"In quel tempo, molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: 'Questo linguaggio è duro: chi potrà intenderlo?: Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: 'Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dove era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho detto sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra di voi che non credono'.
Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con Lui.
Disse allora Gesù ai Dodici: 'Forse anche voi volete andarvene?. Gli rispose Simon Pietro: 'Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna, noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei il Santo di Dio'." (Gv. 6, 61-70)
C'è tanta tristezza nelle parole del Maestro: e come non provarla nel vedersi incompreso proprio nel memento in cui offre l'incredibile, non un amore superficiale, ma il Pane della vita, Se stesso. Sembra impossibile che tanta gente, che gli era stata vicina per tanto tempo, aveva riposto in Lui ogni speranza, fino a seguirlo da vicino, aveva assaporato il gusto stupendo della Sua amicizia, che era il dono di Sé, abbia poi fatto marcia indietro, abbandonandolo per sempre.
Viene da chiederci ? è una domanda che ciascuno di noi deve avere il coraggio di rivolgersi personalmente -: Perché avevano, abbiamo, seguito Gesù? Cosa speravano, speriamo, da Lui? Chi era Gesù per loro, per noi?
Sono domande che sorgono spontanee anche oggi, di fronte alle statistiche, secondo le quali tanti fratelli nella fede, senza una ragione plausibile, dall'oggi al domani, lasciano Gesù, svuotando così le nostre assemblee liturgiche.
Uno staccarsi che è forse 'delusioné, perché nel rapporto con Dio non hanno ottenuto ciò che chiedevano di materiale?
Uno staccarsi che è 'scontento', per non essere riusciti a cambiare la natura del Cuore di Dio, piegandolo ai capricci di questa vita terrena, che non porta da nessuna parte?
Uno staccarsi che è la 'pretesa' di sapere cosa è meglio per noi e l'incapacità di mettersi in 'sintonia' con Dio, affidandosi a Lui, credendo che solo Lui, davvero, conosce quale sia il nostro vero bene?
Gesù non richiama chi se ne va e Gli volta le spalle. Non può compiacere l'uomo con dannosi compromessi, sarebbe tradirlo: l'amore è anzitutto fedeltà al bene.
Si chiude nel suo silenzio, pieno forse di tristezza, ma non per Sé, ma per chi si allontana, rischiando di diventare presto una... 'pecorella smarrità!
Si volge poi a coloro che sono rimasti e hanno bisogno di essere confermati nella loro scelta. 'Volete andarvene anche voi?'. à pronta la risposta di Pietro: 'Da chi andremo?'
Deve diventare la nostra risposta convinta ed appassionata.
La Chiesa, come a confermare che la risposta di Pietro dovrebbe essere la nostra, ci offre un brano di Giosuè:
"Giosuè radunò tutte le tribù di Israele in Sichem e convocò gli Anziani d'Israele, i capi, i giudici e gli scribi del popolo che si presentarono davanti a Dio. Giosuè disse a tutto il popolo: 'Se vi dispiace di servire il Signore, scegliete oggi chi volete servire: se gli dei che i vostri padri servirono oltre il fiume oppure gli dèi degli Amorrei, nel paese dei quali abitate. Quanto a me e alla mia casa, vogliamo servire il Signore'.
Allora il popolo rispose e disse: 'Ungi da noi l'abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché il Signore nostro Dio ha fatto uscire noi e i padri nostri dal paese d'Egitto, dalla condizione servile, ha compiuto questi grandi miracoli davanti ai nostri occhi e ci ha protetti per tutto il viaggio che abbiamo fatto e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati. Perciò anche noi vogliamo servire il Signore, perché Egli è il nostro Dio. (Giosuè 24, 1-18)
Oggi il Signore chiede anche a noi se vogliamo andarcene o accogliere il Suo Dono? Qual è la risposta?
domenica 19 agosto 2012
Un annuncio incompreso
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:
Come il solito, cerchiamo di immaginarci tra la folla impressionata dalla moltiplicazione dei pani e dei pesci. Crede di avere trovato finalmente uno che l'avrebbe liberata dai mali che sembrano la grande ombra che oscura la vita. Ieri, oggi, sempre.
Davvero non siamo nell'Eden, ma sembra che tutto sia vittima di un disordine di giustizia, di mancanza di senso nella vita, e quello che fa male, di essere gli uni contro gli altri, anziché essere gli uni con gli altri. Ed a volte sembra di avere i sentimenti di stanchezza che ebbe il profeta Elia. "In quel tempo Elìa si inoltrò nel deserto, una giornata di cammino, e andò a sedersi sotto un ginepro. Desideroso di morire, disse: "Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri".
Si coricò e si addormentò sotto il ginepro.
Allora, ecco un angelo lo toccò e gli disse: "Alzati e mangia!". Egli si alzò e vide vicino alla sua testa una focaccia cotta su pietre roventi e un orcio di acqua.
Mangiò e bevve, quindi tornò a coricarsi.
Venne di nuovo l'angelo del Signore, lo toccò e gli disse: "Su, mangia perché è troppo lungo per te il cammino". Si alzò, mangiò e bevve.
Con la forza datagli da quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti, fino al monte di Dio, l'Oreb" (1Re 19,4-8).
Meraviglia la forza di quel pane venuto dal cielo e di quell'acqua che dettero la forza incredibile di riprendere il cammino, per quaranta giorni e quaranta notti.
Ma è la 'figura' di quanto Gesù propone non solo a quella folla che lo aveva rincorso, ma a tutti noi, ieri, oggi, sempre. Avevano la certezza che da Lui potevano ottenere materialmente quei miracoli che la scienza non sa fare.
Miracoli che si limitano al benessere del corpo; miracoli che si fermano al benessere qui, ma il più delle volte non sfiorano il benessere della vita che va oltre.
Quante volte capita che la nostra fede in Dio si fermi sulla soglia di un miracolo chiesto e non ottenuto e quindi si sciolga, a volte, con lo sdegno di chi non è stato ascoltato.
Ma è proprio vero che Dio non ascolta? E dove e come, davvero, Dio si fa vicino a noi, mostrando il suo infinito amore, che va certamente oltre quanto chiediamo, anche se quello che chiediamo, come una guarigione, è di per sé cosa buona?
Se riduciamo la grandezza dell' amore nell'avere un bene che di per sé è buono, ma molto limitato, abbiamo certamente una fede molto labile e fuorviante.
Gesù, nel suo discorso alla folla, va oltre questo limite e ci fa dono di un amore che più grande di così non può esistere, se non in Dio.
Racconta Giovanni l'evangelista: "In quel tempo i Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: "lo sono il pane disceso dal cielo".
Una affermazione davvero non facile a capirsi con il metro del materialismo di ieri e di sempre.
Ed allora quella folla, passando da un entusiasmo che l'aveva spinta a rincorrerLo, esprime critica e mormorazione. Incredibile! Riesce difficile spiegarsi come si possa passare da una ricerca appassionata di una persona, al cercare di farla a pezzi nella stima e nell'amore.
"E dicevano: Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?"
La risposta di Gesù non si fa attendere: "Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato: e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta infatti scritto nei profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio".
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti: questo (il mio) è il pane che discende dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò
è la mia carne per la vita del mondo" (Gv 6,41-52).
Incredibile, meraviglioso, che Gesù spieghi chi davvero Lui è per noi: "il pane della vita".
E sappiamo tutti come quando parliamo di pane parliamo di crescita di vita corporale...anche se oggi magari si mangia altro.
Ma che Gesù affermi che Lui si lascia sbriciolare, fino a diventare pane perché noi conosciamo la gioia della vera vita, per chi non sa cosa voglia dire dare tutto quando si ama, può esaltare o fare 'mormorare'.
Eppure a volte, anche noi quando vogliamo esprimere come vorremmo vivere dell'amore di un altro, diciamo: "Potessi ti mangerei" ossia vivrei non solo con te, ma di te. Parole forti e meravigliose che chissà quante volte abbiamo sentito o dette.
E sembrano in qualche modo spiegare quello che Gesù diceva alla folla.
L'amore, quello vero, che è la gioia e la bellezza del cuore, dono del Padre, quando è grande, 'vive' di chi ama e chi è amato diventa "pane della vita". "Se non ci fosse quella persona che amo tanto, morrei. Lui, lei è in fondo "il pane della mia vita".
Forse troppe volte quando parliamo di amore, parliamo di un sentimento che sfiora solo la superficie della nostra esistenza e non è felicità piena: dura quanto dura e finisce nell'album dei ricordi, dove finiscono tanti sposi e spose e tanti amici, che credevano di amarsi ma non hanno saputo essere "pane della vita".
Ed è proprio qui che veniamo a conoscere la povertà nostra e del nostro cuore.
Ma anche quando riusciamo a diventare 'pane' per chi amiamo, il nostro è sempre povero amore.
Ma che Gesù si offra ad essere pane della vita, pane disceso dal cielo, davvero fa impressione, o almeno dovrebbe dare tale serenità e forza, in ogni circostanza, perché se sostenuti da tale "Pane" si può tutto, ma davvero tutto.
Mia mamma in questo era davvero maestra. Da ragazza fino alla morte non lasciava passare giorno senza nutrirsi di quel "pane" ossia di Dio.
E volle che la comunione le venisse data ogni giorno, anche da ammalata, da immobilizzata, ma - lucida. Un giorno che, tornando da non so dove, le portai un bouquet di fiori, credendo di farla felice, mi guardò con aria seria e espresse il suo stupore con questo amaro rimprovero: "Tu vescovo mi porti i fiori...sono più intelligenti i tuoi fratelli che mi hanno portato la Santa Comunione. Senza "quel pane" non avrei certamente la forza di portare sulle spalle la famiglia". E, subito dopo la mia Prima Comunione, volle che ogni mattina prima di andare a scuola mi recassi in Chiesa per ricevere Gesù. Era tempo di digiuno. Tornavo di corsa a casa dopo la Comunione per fare colazione. Ho sempre davanti agli occhi mia mamma che mi attendeva sulla porta di casa. In una mano vi era un pezzo di pane e nell'altra la cartella per la scuola. Quel pezzo di pane doveva essere la mia colazione. Davanti al mio lamento, 'ho fame', rispondeva: "Nella vita meglio una buona Comunione che una bella colazione!" Dove è finito oggi questo desiderio del "pane della vita", ossia del dono che Gesù fa di Sé, fino a diventare nostro pane? L'eclissi di Dio, come qualcuno definisce oggi l'assenza negli uomini dei valori della vita e quindi dell'amore, certamente è dovuta a questo "pane" che non raccogliamo, per la ragione che non conosciamo ancora la totalità di Dio, che si dona fino a farsi vita.
E allora capita; come nel racconto di Elia, il senso di vuoto che ci fa desiderare di morire. Dovremmo allora nutrirci di quel pane che è alla portata di tutti, per avere la forza di camminare fino "all'Oreb", la montagna di Dio.
Mi piace offrire a voi quanto di sé disse il grande Giovanni Paolo II, che certamente è maestro di vita cristiana a proposito dell'Eucaristia.
"Quando penso alla Eucaristia, guardando alla mia vita di sacerdote, di Vescovo, di Successore di Pietro, mi viene spontaneo ricordare i tanti momenti, i tanti luoghi in cui mi è stato concesso di celebrarla.
Ricordo la chiesa parrocchiale di Niengrowic, dove svolsi il mio primo incarico pastorale, la collegiata di S. Floriano a Cracovia, la cattedrale di Wawel, la basilica di S. Pietro e le tante basiliche e chiese di Roma e del mondo intero. Ho potuto celebrare la S. Messa in cappelle poste sui sentieri di montagna, sulle sponde dei laghi, sulle rive del mare.
L'ho celebrata su altari costruiti negli stadi, nelle piazze delle città. Questo scenario così variegato delle mie celebrazioni eucaristiche me ne fa sperimentare fortemente il carattere universale e, per così dire, cosmico. Sì, cosmico.
Perché anche quando viene celebrata nel piccolo altare di una chiesa di campagna, l'Eucaristia è sempre celebrata, in un certo senso, "sull'altare del mondo".
Essa unisce il cielo e la terra.
Comprende e pervade tutto il creato. Il Figlio di Dio si è fatto uomo per restituire tutto il creato, in un superiore atto di lode, a Colui che lo ha fatto dal nulla" (Ec. et Euc. n.8).
Come "camminando sui passi" del S.Padre, ricordo una visita ad Auschwitz, il famoso campo di sterminio, visitato recentemente da Papa Benedetto XVI.
Ottenni di celebrare (cosa rarissima) la S. Messa accanto a quello che è chiamato il 'muro delle fucilazioni'. A fianco erano le celle dove furono fatti morire di fame e sete i dieci condannati tra cui il S. Massimiliano Kolbe. Ed era come un sentire il canto di Massimiliano che incoraggiava i condannati. Quel "canto" mi dava tutta la bellezza del "pane disceso dal cielo", che era la forza del martirio.
Avrei voluto che non finisse mai quella Messa...
Ma ho sempre l'impressione che tra vita e Messa non vi siano spazi vuoti.
Come il solito, cerchiamo di immaginarci tra la folla impressionata dalla moltiplicazione dei pani e dei pesci. Crede di avere trovato finalmente uno che l'avrebbe liberata dai mali che sembrano la grande ombra che oscura la vita. Ieri, oggi, sempre.
Davvero non siamo nell'Eden, ma sembra che tutto sia vittima di un disordine di giustizia, di mancanza di senso nella vita, e quello che fa male, di essere gli uni contro gli altri, anziché essere gli uni con gli altri. Ed a volte sembra di avere i sentimenti di stanchezza che ebbe il profeta Elia. "In quel tempo Elìa si inoltrò nel deserto, una giornata di cammino, e andò a sedersi sotto un ginepro. Desideroso di morire, disse: "Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri".
Si coricò e si addormentò sotto il ginepro.
Allora, ecco un angelo lo toccò e gli disse: "Alzati e mangia!". Egli si alzò e vide vicino alla sua testa una focaccia cotta su pietre roventi e un orcio di acqua.
Mangiò e bevve, quindi tornò a coricarsi.
Venne di nuovo l'angelo del Signore, lo toccò e gli disse: "Su, mangia perché è troppo lungo per te il cammino". Si alzò, mangiò e bevve.
Con la forza datagli da quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti, fino al monte di Dio, l'Oreb" (1Re 19,4-8).
Meraviglia la forza di quel pane venuto dal cielo e di quell'acqua che dettero la forza incredibile di riprendere il cammino, per quaranta giorni e quaranta notti.
Ma è la 'figura' di quanto Gesù propone non solo a quella folla che lo aveva rincorso, ma a tutti noi, ieri, oggi, sempre. Avevano la certezza che da Lui potevano ottenere materialmente quei miracoli che la scienza non sa fare.
Miracoli che si limitano al benessere del corpo; miracoli che si fermano al benessere qui, ma il più delle volte non sfiorano il benessere della vita che va oltre.
Quante volte capita che la nostra fede in Dio si fermi sulla soglia di un miracolo chiesto e non ottenuto e quindi si sciolga, a volte, con lo sdegno di chi non è stato ascoltato.
Ma è proprio vero che Dio non ascolta? E dove e come, davvero, Dio si fa vicino a noi, mostrando il suo infinito amore, che va certamente oltre quanto chiediamo, anche se quello che chiediamo, come una guarigione, è di per sé cosa buona?
Se riduciamo la grandezza dell' amore nell'avere un bene che di per sé è buono, ma molto limitato, abbiamo certamente una fede molto labile e fuorviante.
Gesù, nel suo discorso alla folla, va oltre questo limite e ci fa dono di un amore che più grande di così non può esistere, se non in Dio.
Racconta Giovanni l'evangelista: "In quel tempo i Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: "lo sono il pane disceso dal cielo".
Una affermazione davvero non facile a capirsi con il metro del materialismo di ieri e di sempre.
Ed allora quella folla, passando da un entusiasmo che l'aveva spinta a rincorrerLo, esprime critica e mormorazione. Incredibile! Riesce difficile spiegarsi come si possa passare da una ricerca appassionata di una persona, al cercare di farla a pezzi nella stima e nell'amore.
"E dicevano: Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?"
La risposta di Gesù non si fa attendere: "Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato: e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta infatti scritto nei profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio".
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti: questo (il mio) è il pane che discende dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò
è la mia carne per la vita del mondo" (Gv 6,41-52).
Incredibile, meraviglioso, che Gesù spieghi chi davvero Lui è per noi: "il pane della vita".
E sappiamo tutti come quando parliamo di pane parliamo di crescita di vita corporale...anche se oggi magari si mangia altro.
Ma che Gesù affermi che Lui si lascia sbriciolare, fino a diventare pane perché noi conosciamo la gioia della vera vita, per chi non sa cosa voglia dire dare tutto quando si ama, può esaltare o fare 'mormorare'.
Eppure a volte, anche noi quando vogliamo esprimere come vorremmo vivere dell'amore di un altro, diciamo: "Potessi ti mangerei" ossia vivrei non solo con te, ma di te. Parole forti e meravigliose che chissà quante volte abbiamo sentito o dette.
E sembrano in qualche modo spiegare quello che Gesù diceva alla folla.
L'amore, quello vero, che è la gioia e la bellezza del cuore, dono del Padre, quando è grande, 'vive' di chi ama e chi è amato diventa "pane della vita". "Se non ci fosse quella persona che amo tanto, morrei. Lui, lei è in fondo "il pane della mia vita".
Forse troppe volte quando parliamo di amore, parliamo di un sentimento che sfiora solo la superficie della nostra esistenza e non è felicità piena: dura quanto dura e finisce nell'album dei ricordi, dove finiscono tanti sposi e spose e tanti amici, che credevano di amarsi ma non hanno saputo essere "pane della vita".
Ed è proprio qui che veniamo a conoscere la povertà nostra e del nostro cuore.
Ma anche quando riusciamo a diventare 'pane' per chi amiamo, il nostro è sempre povero amore.
Ma che Gesù si offra ad essere pane della vita, pane disceso dal cielo, davvero fa impressione, o almeno dovrebbe dare tale serenità e forza, in ogni circostanza, perché se sostenuti da tale "Pane" si può tutto, ma davvero tutto.
Mia mamma in questo era davvero maestra. Da ragazza fino alla morte non lasciava passare giorno senza nutrirsi di quel "pane" ossia di Dio.
E volle che la comunione le venisse data ogni giorno, anche da ammalata, da immobilizzata, ma - lucida. Un giorno che, tornando da non so dove, le portai un bouquet di fiori, credendo di farla felice, mi guardò con aria seria e espresse il suo stupore con questo amaro rimprovero: "Tu vescovo mi porti i fiori...sono più intelligenti i tuoi fratelli che mi hanno portato la Santa Comunione. Senza "quel pane" non avrei certamente la forza di portare sulle spalle la famiglia". E, subito dopo la mia Prima Comunione, volle che ogni mattina prima di andare a scuola mi recassi in Chiesa per ricevere Gesù. Era tempo di digiuno. Tornavo di corsa a casa dopo la Comunione per fare colazione. Ho sempre davanti agli occhi mia mamma che mi attendeva sulla porta di casa. In una mano vi era un pezzo di pane e nell'altra la cartella per la scuola. Quel pezzo di pane doveva essere la mia colazione. Davanti al mio lamento, 'ho fame', rispondeva: "Nella vita meglio una buona Comunione che una bella colazione!" Dove è finito oggi questo desiderio del "pane della vita", ossia del dono che Gesù fa di Sé, fino a diventare nostro pane? L'eclissi di Dio, come qualcuno definisce oggi l'assenza negli uomini dei valori della vita e quindi dell'amore, certamente è dovuta a questo "pane" che non raccogliamo, per la ragione che non conosciamo ancora la totalità di Dio, che si dona fino a farsi vita.
E allora capita; come nel racconto di Elia, il senso di vuoto che ci fa desiderare di morire. Dovremmo allora nutrirci di quel pane che è alla portata di tutti, per avere la forza di camminare fino "all'Oreb", la montagna di Dio.
Mi piace offrire a voi quanto di sé disse il grande Giovanni Paolo II, che certamente è maestro di vita cristiana a proposito dell'Eucaristia.
"Quando penso alla Eucaristia, guardando alla mia vita di sacerdote, di Vescovo, di Successore di Pietro, mi viene spontaneo ricordare i tanti momenti, i tanti luoghi in cui mi è stato concesso di celebrarla.
Ricordo la chiesa parrocchiale di Niengrowic, dove svolsi il mio primo incarico pastorale, la collegiata di S. Floriano a Cracovia, la cattedrale di Wawel, la basilica di S. Pietro e le tante basiliche e chiese di Roma e del mondo intero. Ho potuto celebrare la S. Messa in cappelle poste sui sentieri di montagna, sulle sponde dei laghi, sulle rive del mare.
L'ho celebrata su altari costruiti negli stadi, nelle piazze delle città. Questo scenario così variegato delle mie celebrazioni eucaristiche me ne fa sperimentare fortemente il carattere universale e, per così dire, cosmico. Sì, cosmico.
Perché anche quando viene celebrata nel piccolo altare di una chiesa di campagna, l'Eucaristia è sempre celebrata, in un certo senso, "sull'altare del mondo".
Essa unisce il cielo e la terra.
Comprende e pervade tutto il creato. Il Figlio di Dio si è fatto uomo per restituire tutto il creato, in un superiore atto di lode, a Colui che lo ha fatto dal nulla" (Ec. et Euc. n.8).
Come "camminando sui passi" del S.Padre, ricordo una visita ad Auschwitz, il famoso campo di sterminio, visitato recentemente da Papa Benedetto XVI.
Ottenni di celebrare (cosa rarissima) la S. Messa accanto a quello che è chiamato il 'muro delle fucilazioni'. A fianco erano le celle dove furono fatti morire di fame e sete i dieci condannati tra cui il S. Massimiliano Kolbe. Ed era come un sentire il canto di Massimiliano che incoraggiava i condannati. Quel "canto" mi dava tutta la bellezza del "pane disceso dal cielo", che era la forza del martirio.
Avrei voluto che non finisse mai quella Messa...
Ma ho sempre l'impressione che tra vita e Messa non vi siano spazi vuoti.
domenica 12 agosto 2012
Io sono il Pane della vita
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:
Risulta difficile per chi ascoltava Gesù, che annunciava l'Eucarestia, il dono più grande che si può fare a chi si vuol bene. Un bene che non si ferma alla superficialità delle parole o all'esteriorità materiale, ma entra a far parte della nostra vita, proprio come un pezzo di pane per il corpo.
Davanti a questo dono che Dio fa di se stesso, si dovrebbe davvero provare grande gioia e gratitudine.
Gesù non è solo vicino a noi, come un amico carissimo, ma va oltre ogni nostra comprensione, divenendo carne della nostra carne. Un dono che ha dell'incredibile, per questo troppo pochi lo comprendono.
Eppure se riflettiamo un momento, anche nel linguaggio di chi vuole bene totalmente, come la mamma nei confronti del figlio, l'amore esprime ciò che l'Eucarestia realizza: 'Ti mangerei!', ossia ti farei parte della mia vita.
Un amore completo, questo, non superficiale, ma che si fa 'una cosa sola con l'amato'.
Confesso che ogni volta che celebro la S. Messa mi sorprendo sempre, gioiosamente, nel pronunciare le stesse parole di Gesù, quando offrì ai suoi l'Eucarestia: 'Questo è il mio corpo... questo è il mio sangue... Fate questo in memoria di me': memoria che non è solo ricordo, ma realizzazione nel presente.
Gesù non solo offre un dono divino, di essere una cosa sola con Lui, ricevendolo nella Santa Comunione, ma addirittura si fa cibo per la vita eterna.
Sono tanti gli anni che celebro: dall'ordinazione nel giugno del 1951!
Anche dopo il terremoto nella valle del Belice, che aveva distrutto tutto, case e chiese, non ho mai mancato di celebrare la S. Messa, in un campo o sotto una fragile tenda, che lasciava scorrere l'acqua, al punto che ci voleva qualcuno che riparasse l'altare e me con l'ombrello. Ma l'Eucarestia era la mia, la nostra forza.
Aveva ragione mamma, che da ragazzo voleva che facessi la Comunione ogni giorno prima di andare a scuola. 'Caro Antonio, la Comunione è Dio che entra nella tua vita, un nutrimento che supera tutto. La Comunione è Gesù che si fa tua vita e di Lui abbiamo bisogno', ripeteva spesso.
Ma sono davvero tanti coloro che attribuiscono all'Eucarestia, e quindi alla Comunione con Gesù, il dono incomparabile che è?
Tante volte mi chiedo la ragione per cui alcuni, pur partecipando alla Santa Messa, non mangiano di quel Pane celeste. Credo che tanti non abbiano ancora compreso fino in fondo il Dono di Gesù, come accadde quando lo annunciò.
In parte ce lo conferma il Vangelo di oggi.
"In quel tempo i Giudei mormoravano di Lui perché aveva detto: 'Io sono il pane disceso dal Cielo'. E dicevano: 'Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Io sono disceso dal Cielo?'
Gesù rispose: 'Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a Me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta scritto nei Profeti. 'E tutti saranno ammaestrati da Dio'. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da Lui, viene a me.
Io sono il pane della vita. I vostri Padri hanno mangiato la manna del deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita eterna". (Gv. 6, 41-52)
Sembra chiaro il discorso di Gesù, ma occorre capire fino in fondo che cosa significa per Lui 'farsi pané per diventare partecipe del nostro cammino spirituale.
Tutti sappiamo come non sia facile camminare verso Dio, anche se è l'unico senso che ha la nostra vita. Siamo stati creati 'a Sua immaginé, la nostra natura umana è intrisa di divinità, eppure ci accontentiamo spesso di credere 'cibo' della vita le piccole, evanescenti, fragili illusioni dell'esistenza terrena.
Occorre una profonda fede, una grande capacità di amore, per entrare nell'offerta di Gesù, nostro unico vero Pane di Vita.
Scriveva il nostro caro Paolo VI:
"Comunione con Cristo, è l'Eucarestia come sacramento e come sacrificio, ma anche comunione tra di noi fratelli, con la Comunità, con la Chiesa. È ancora la Rivelazione a dircelo, con le parole di Paolo: 'Dal momento che vi è un solo pane, noi che siamo molti formiamo un solo corpo, perché noi tutti partecipiamo di questo unico pané.... Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha messo profondamente in luce questa realtà, quando ha detto che i cristiani 'cibandosi del Corpo di Cristo nella Santa Comunione, mostrano concretamente l'unità del Corpo di Cristo'... E davvero l'Eucarestia intende fondere in unità i credenti, che siamo noi, a tutti i fratelli del mondo e la celebrazione dell'Eucarestia è sempre principio di unione, di carità, non solo nel sentimento, ma anche nella pratica. 'Amatevi gli uni gli altri come Io vi ho amati' è il comandamento nuovo, quello che deve distinguere i figli della Chiesa". (giugno 1969)
Risulta difficile per chi ascoltava Gesù, che annunciava l'Eucarestia, il dono più grande che si può fare a chi si vuol bene. Un bene che non si ferma alla superficialità delle parole o all'esteriorità materiale, ma entra a far parte della nostra vita, proprio come un pezzo di pane per il corpo.
Davanti a questo dono che Dio fa di se stesso, si dovrebbe davvero provare grande gioia e gratitudine.
Gesù non è solo vicino a noi, come un amico carissimo, ma va oltre ogni nostra comprensione, divenendo carne della nostra carne. Un dono che ha dell'incredibile, per questo troppo pochi lo comprendono.
Eppure se riflettiamo un momento, anche nel linguaggio di chi vuole bene totalmente, come la mamma nei confronti del figlio, l'amore esprime ciò che l'Eucarestia realizza: 'Ti mangerei!', ossia ti farei parte della mia vita.
Un amore completo, questo, non superficiale, ma che si fa 'una cosa sola con l'amato'.
Confesso che ogni volta che celebro la S. Messa mi sorprendo sempre, gioiosamente, nel pronunciare le stesse parole di Gesù, quando offrì ai suoi l'Eucarestia: 'Questo è il mio corpo... questo è il mio sangue... Fate questo in memoria di me': memoria che non è solo ricordo, ma realizzazione nel presente.
Gesù non solo offre un dono divino, di essere una cosa sola con Lui, ricevendolo nella Santa Comunione, ma addirittura si fa cibo per la vita eterna.
Sono tanti gli anni che celebro: dall'ordinazione nel giugno del 1951!
Anche dopo il terremoto nella valle del Belice, che aveva distrutto tutto, case e chiese, non ho mai mancato di celebrare la S. Messa, in un campo o sotto una fragile tenda, che lasciava scorrere l'acqua, al punto che ci voleva qualcuno che riparasse l'altare e me con l'ombrello. Ma l'Eucarestia era la mia, la nostra forza.
Aveva ragione mamma, che da ragazzo voleva che facessi la Comunione ogni giorno prima di andare a scuola. 'Caro Antonio, la Comunione è Dio che entra nella tua vita, un nutrimento che supera tutto. La Comunione è Gesù che si fa tua vita e di Lui abbiamo bisogno', ripeteva spesso.
Ma sono davvero tanti coloro che attribuiscono all'Eucarestia, e quindi alla Comunione con Gesù, il dono incomparabile che è?
Tante volte mi chiedo la ragione per cui alcuni, pur partecipando alla Santa Messa, non mangiano di quel Pane celeste. Credo che tanti non abbiano ancora compreso fino in fondo il Dono di Gesù, come accadde quando lo annunciò.
In parte ce lo conferma il Vangelo di oggi.
"In quel tempo i Giudei mormoravano di Lui perché aveva detto: 'Io sono il pane disceso dal Cielo'. E dicevano: 'Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Io sono disceso dal Cielo?'
Gesù rispose: 'Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a Me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta scritto nei Profeti. 'E tutti saranno ammaestrati da Dio'. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da Lui, viene a me.
Io sono il pane della vita. I vostri Padri hanno mangiato la manna del deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita eterna". (Gv. 6, 41-52)
Sembra chiaro il discorso di Gesù, ma occorre capire fino in fondo che cosa significa per Lui 'farsi pané per diventare partecipe del nostro cammino spirituale.
Tutti sappiamo come non sia facile camminare verso Dio, anche se è l'unico senso che ha la nostra vita. Siamo stati creati 'a Sua immaginé, la nostra natura umana è intrisa di divinità, eppure ci accontentiamo spesso di credere 'cibo' della vita le piccole, evanescenti, fragili illusioni dell'esistenza terrena.
Occorre una profonda fede, una grande capacità di amore, per entrare nell'offerta di Gesù, nostro unico vero Pane di Vita.
Scriveva il nostro caro Paolo VI:
"Comunione con Cristo, è l'Eucarestia come sacramento e come sacrificio, ma anche comunione tra di noi fratelli, con la Comunità, con la Chiesa. È ancora la Rivelazione a dircelo, con le parole di Paolo: 'Dal momento che vi è un solo pane, noi che siamo molti formiamo un solo corpo, perché noi tutti partecipiamo di questo unico pané.... Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha messo profondamente in luce questa realtà, quando ha detto che i cristiani 'cibandosi del Corpo di Cristo nella Santa Comunione, mostrano concretamente l'unità del Corpo di Cristo'... E davvero l'Eucarestia intende fondere in unità i credenti, che siamo noi, a tutti i fratelli del mondo e la celebrazione dell'Eucarestia è sempre principio di unione, di carità, non solo nel sentimento, ma anche nella pratica. 'Amatevi gli uni gli altri come Io vi ho amati' è il comandamento nuovo, quello che deve distinguere i figli della Chiesa". (giugno 1969)
domenica 5 agosto 2012
Signore, dacci sempre il tuo pane
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:
Possiamo facilmente immaginare la scena che il Vangelo descrive oggi.
La folla era stata saziata dal grande ed inaspettato miracolo della moltiplicazione dei pani. Aveva quindi intravisto la possibilità di trovare in Gesù una certezza materiale, per il proprio futuro: Gesù, in un modo o in un altro avrebbe risolto i problemi quotidiani, quelli che ancora oggi affliggono tragicamente singole persone, famiglie intere o Nazioni.
Basta pensare alla fame che in tante Nazioni, in Africa, genera morti ogni giorno. Oggi, sono ancora tanti, nell'intera comunità umana, coloro che sono condannati a vedere il proprio diritto alla vita, alla salute, alla stessa libertà, come un sogno irraggiungibile, riservato solo ad alcuni fortunati, come noi dei Paesi sviluppati. Quello che fa più male è che spesso, proprio noi, non sentiamo più la loro voce, perché è coperta dal frastuono di un benessere che non dà spazio ai lamenti altrui, o meglio, al grido di giustizia, che chiede ciò che loro spetta, a cominciare da un pezzo di pane... Leggendo circa i rifiuti che buttiamo via, rilevati dagli esperti, - e sono migliaia di tonnellate al giorno - ci torna alla mente il grido di Gesù: 'Avevo fame e non mi avete dato da mangiare. Ero nudo e non mi avete vestito. Ero ammalato e non mi avete visitato... Andate, maledetti nel fuoco eterno... '
Ho l'occasione, come vescovo, di incontrare spesso missionari che scelgono di vivere in zone dove la fame è regina. Chiedono giustizia più che aiuto: quella giustizia che non trova abbastanza posto nel mondo consumistico... eppure a volerlo, un pezzo di pane la terra lo potrebbe dare a tutti!
Questo è davvero quello che fa male a chi ha a cuore la carità. Molte volte a noi costa poco mettere in disparte qualcosa per chi ha nulla... ma poi, magari anche in nome della crisi economica, ci chiudiamo nel nostro egoismo. È vero che tante comunità parrocchiali oggi si prendono cura dei poveri ed hanno punti di accoglienza, dove è possibile avere almeno un pasto al giorno. E noi benediciamo questi fratelli che si adoperano per coloro che sono in difficoltà, ma possiamo fare di più. Basterebbe riservare una piccola parte del nostro vitto per chi non ha nulla. Ho sempre ammirato la testimonianza di un mio confratello che, ogni giorno, a tavola toglieva qualcosa del suo, che poi donava ai suoi poveri. Era una meravigliosa condivisione.
Scriveva il grande Paolo VI: "Il possesso e la ricerca della ricchezza come fine a se stessa, come unica garanzia di benessere presente e di pienezza è la paralisi dell'amore. I drammi della sociologia contemporanea lo mostrano: e quali prove tragiche, che oscurano generazioni! L'educazione cristiana alla povertà - intesa come distacco assoluto dall'idolatria del benessere - sa distinguere innanzitutto l'uso dal possesso delle cose materiali e sa distinguere poi la libera e meritoria rinuncia ai beni temporali, in quanto impedimento allo spirito umano nella ricerca e nel conseguimento del suo ottimo fine che è Dio e il prossimo che è il fratello da amare e da servire e liberare dalla carenza di quei beni che sono indispensabili alla vita presente, come dalla miseria, dalla fame, a cui è dovere e carità provvedere".
In altre parole dovremmo saper vedere nell'uomo, ovunque abiti, il fratello che oggi è Cristo tra di noi e attende una risposta o una testimonianza della carità. Non è questione di fare un'elemosina, ma di andare oltre, abbracciando l'intera umanità e farsi prossimo a chi sta male.
A volte, invece, si ha come l'impressione che i poveri diano fastidio, ieri come oggi.
Ricordo, dopo qualche giorno dal terremoto nel Belice, in aereo stavo recandomi a visitare mamma, molto preoccupata. Avevo perso tutto, quindi ero vestito in qualche modo... la cosa, probabilmente, diede fastidio al mio vicino, che fece presente, non certo con garbo, il suo pensiero, dichiarando che 'in aereo non avrebbero dovuto salire gli straccioni'. Un altro passeggero, che mi aveva conosciuto, intervenne con veemenza: 'Lei non sa chi è questa persona: è don Riboldi, un sacerdote che sta dando tutto per i suoi terremotati'. Per quanto mi riguarda, per un attimo ero stato felice di sentirmi quello che allora davvero ero: povero!
Ma bisogna avere occhi e cuore di Cristo, per saper leggere e non solo vedere i poveri, come è nel Vangelo di oggi:
"Quando la folla vide che Gesù non era più là e neppure i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao, alla ricerca di Gesù.
Trovatolo al di là del mare, gli dissero: 'Rabbì, quando sei venuto qui?'.
Gesù rispose: 'In verità, in verità vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo'. Gli dissero allora: 'Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?'. Gesù rispose: 'Questa è l'opera di Dio, credere in Colui che Egli ha mandato.'
Allora gli dissero: 'Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come è scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo.'
Rispose Gesù: 'In verità, in verità vi dico: non Mosé vi ha dato il pane del cielo, quello vero.
Il pane di Dio è Colui che discende dal Cielo e dà la vita al mondo.'
Allora gli dissero: 'Signore, dacci sempre di questo pane.'
Gesù rispose: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete." (Gv. 6,24-35)
Per la folla e per noi, Gesù alza il tiro, parlando del pane, fonte della vita. Non dimentica l'urgenza del pane, per coloro che hanno fame, ma neppure vuole che ci si fermi alla dimensione materiale, pur necessaria... Il suo discorso va oltre la vita terrena e mira direttamente al pane che dona la vita eterna: una necessità nutrirsi del pane materiale, altro è nutrirsi del Pane del cielo.
Lo conosciamo tutti quel pane, che è l'Eucarestia: Gesù stesso che si fa Pane della Vita. Una vita che va oltre quella provvisoria dell'esistenza terrena, oltre la morte: la vita eterna con Lui.
Eppure, se ci guardiamo attorno, tanti di noi, che pure si dicono credenti, fanno fatica anche solo a pensare che la Comunione possa essere il grande nutrimento dell'anima. È difficile anche solo entrare nella profondità di questo Dono del Cielo. Genera come uno stordimento, anche solo pensare che quella piccola Ostia, che a volte, o ogni giorno riceviamo, sia davvero Gesù in persona. Per grazia di Dio ci sono però tanti per i quali il Pane del Cielo è davvero il nutrimento della vita interiore e non riescono a vivere senza nutrirsene.
Mamma, nonostante la famiglia numerosa, i tanti sacrifici, iniziava la sua giornata con il ricevere la S. Comunione, dicendoci spesso: 'Senza di Lui non saprei come educarvi ed amarvi. È la mia forza'.
E ricorderò sempre quello che mi insegnò dopo la mia prima Comunione. Prima di andare a scuola voleva che andessi a ricevere l'Eucarestia. Allora la si poteva ricevere solo se si era digiuni. Quando tornavo era già ora della scuola e trovavo mamma che mi attendeva con un pezzo di pane e se mi lamentavo diceva: 'Meglio una buona comunione che una colazioné.
È vero: difficile esprimere la gioia e la forza interiore che si prova, iniziando la giornata con il Pane che dà la vita, Gesù stesso!
Poteva Gesù farci un dono più grande? Sicuramente no. Ma allora perché un tale dono è così poco apprezzato?
Credo davvero che dobbiamo chiedercelo e cercare di darci una risposta, se così fosse.... chiedendo la grazia di comprendere che fare dell'Eucarestia il nostro cibo è dare pienezza di senso, di forza e di serenità alla nostra esperienza umana quaggiù, per prepararci, fin da ora, a 'vivere di Dio'... cosa potremmo desiderare di più?
Possiamo facilmente immaginare la scena che il Vangelo descrive oggi.
La folla era stata saziata dal grande ed inaspettato miracolo della moltiplicazione dei pani. Aveva quindi intravisto la possibilità di trovare in Gesù una certezza materiale, per il proprio futuro: Gesù, in un modo o in un altro avrebbe risolto i problemi quotidiani, quelli che ancora oggi affliggono tragicamente singole persone, famiglie intere o Nazioni.
Basta pensare alla fame che in tante Nazioni, in Africa, genera morti ogni giorno. Oggi, sono ancora tanti, nell'intera comunità umana, coloro che sono condannati a vedere il proprio diritto alla vita, alla salute, alla stessa libertà, come un sogno irraggiungibile, riservato solo ad alcuni fortunati, come noi dei Paesi sviluppati. Quello che fa più male è che spesso, proprio noi, non sentiamo più la loro voce, perché è coperta dal frastuono di un benessere che non dà spazio ai lamenti altrui, o meglio, al grido di giustizia, che chiede ciò che loro spetta, a cominciare da un pezzo di pane... Leggendo circa i rifiuti che buttiamo via, rilevati dagli esperti, - e sono migliaia di tonnellate al giorno - ci torna alla mente il grido di Gesù: 'Avevo fame e non mi avete dato da mangiare. Ero nudo e non mi avete vestito. Ero ammalato e non mi avete visitato... Andate, maledetti nel fuoco eterno... '
Ho l'occasione, come vescovo, di incontrare spesso missionari che scelgono di vivere in zone dove la fame è regina. Chiedono giustizia più che aiuto: quella giustizia che non trova abbastanza posto nel mondo consumistico... eppure a volerlo, un pezzo di pane la terra lo potrebbe dare a tutti!
Questo è davvero quello che fa male a chi ha a cuore la carità. Molte volte a noi costa poco mettere in disparte qualcosa per chi ha nulla... ma poi, magari anche in nome della crisi economica, ci chiudiamo nel nostro egoismo. È vero che tante comunità parrocchiali oggi si prendono cura dei poveri ed hanno punti di accoglienza, dove è possibile avere almeno un pasto al giorno. E noi benediciamo questi fratelli che si adoperano per coloro che sono in difficoltà, ma possiamo fare di più. Basterebbe riservare una piccola parte del nostro vitto per chi non ha nulla. Ho sempre ammirato la testimonianza di un mio confratello che, ogni giorno, a tavola toglieva qualcosa del suo, che poi donava ai suoi poveri. Era una meravigliosa condivisione.
Scriveva il grande Paolo VI: "Il possesso e la ricerca della ricchezza come fine a se stessa, come unica garanzia di benessere presente e di pienezza è la paralisi dell'amore. I drammi della sociologia contemporanea lo mostrano: e quali prove tragiche, che oscurano generazioni! L'educazione cristiana alla povertà - intesa come distacco assoluto dall'idolatria del benessere - sa distinguere innanzitutto l'uso dal possesso delle cose materiali e sa distinguere poi la libera e meritoria rinuncia ai beni temporali, in quanto impedimento allo spirito umano nella ricerca e nel conseguimento del suo ottimo fine che è Dio e il prossimo che è il fratello da amare e da servire e liberare dalla carenza di quei beni che sono indispensabili alla vita presente, come dalla miseria, dalla fame, a cui è dovere e carità provvedere".
In altre parole dovremmo saper vedere nell'uomo, ovunque abiti, il fratello che oggi è Cristo tra di noi e attende una risposta o una testimonianza della carità. Non è questione di fare un'elemosina, ma di andare oltre, abbracciando l'intera umanità e farsi prossimo a chi sta male.
A volte, invece, si ha come l'impressione che i poveri diano fastidio, ieri come oggi.
Ricordo, dopo qualche giorno dal terremoto nel Belice, in aereo stavo recandomi a visitare mamma, molto preoccupata. Avevo perso tutto, quindi ero vestito in qualche modo... la cosa, probabilmente, diede fastidio al mio vicino, che fece presente, non certo con garbo, il suo pensiero, dichiarando che 'in aereo non avrebbero dovuto salire gli straccioni'. Un altro passeggero, che mi aveva conosciuto, intervenne con veemenza: 'Lei non sa chi è questa persona: è don Riboldi, un sacerdote che sta dando tutto per i suoi terremotati'. Per quanto mi riguarda, per un attimo ero stato felice di sentirmi quello che allora davvero ero: povero!
Ma bisogna avere occhi e cuore di Cristo, per saper leggere e non solo vedere i poveri, come è nel Vangelo di oggi:
"Quando la folla vide che Gesù non era più là e neppure i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao, alla ricerca di Gesù.
Trovatolo al di là del mare, gli dissero: 'Rabbì, quando sei venuto qui?'.
Gesù rispose: 'In verità, in verità vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo'. Gli dissero allora: 'Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?'. Gesù rispose: 'Questa è l'opera di Dio, credere in Colui che Egli ha mandato.'
Allora gli dissero: 'Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come è scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo.'
Rispose Gesù: 'In verità, in verità vi dico: non Mosé vi ha dato il pane del cielo, quello vero.
Il pane di Dio è Colui che discende dal Cielo e dà la vita al mondo.'
Allora gli dissero: 'Signore, dacci sempre di questo pane.'
Gesù rispose: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete." (Gv. 6,24-35)
Per la folla e per noi, Gesù alza il tiro, parlando del pane, fonte della vita. Non dimentica l'urgenza del pane, per coloro che hanno fame, ma neppure vuole che ci si fermi alla dimensione materiale, pur necessaria... Il suo discorso va oltre la vita terrena e mira direttamente al pane che dona la vita eterna: una necessità nutrirsi del pane materiale, altro è nutrirsi del Pane del cielo.
Lo conosciamo tutti quel pane, che è l'Eucarestia: Gesù stesso che si fa Pane della Vita. Una vita che va oltre quella provvisoria dell'esistenza terrena, oltre la morte: la vita eterna con Lui.
Eppure, se ci guardiamo attorno, tanti di noi, che pure si dicono credenti, fanno fatica anche solo a pensare che la Comunione possa essere il grande nutrimento dell'anima. È difficile anche solo entrare nella profondità di questo Dono del Cielo. Genera come uno stordimento, anche solo pensare che quella piccola Ostia, che a volte, o ogni giorno riceviamo, sia davvero Gesù in persona. Per grazia di Dio ci sono però tanti per i quali il Pane del Cielo è davvero il nutrimento della vita interiore e non riescono a vivere senza nutrirsene.
Mamma, nonostante la famiglia numerosa, i tanti sacrifici, iniziava la sua giornata con il ricevere la S. Comunione, dicendoci spesso: 'Senza di Lui non saprei come educarvi ed amarvi. È la mia forza'.
E ricorderò sempre quello che mi insegnò dopo la mia prima Comunione. Prima di andare a scuola voleva che andessi a ricevere l'Eucarestia. Allora la si poteva ricevere solo se si era digiuni. Quando tornavo era già ora della scuola e trovavo mamma che mi attendeva con un pezzo di pane e se mi lamentavo diceva: 'Meglio una buona comunione che una colazioné.
È vero: difficile esprimere la gioia e la forza interiore che si prova, iniziando la giornata con il Pane che dà la vita, Gesù stesso!
Poteva Gesù farci un dono più grande? Sicuramente no. Ma allora perché un tale dono è così poco apprezzato?
Credo davvero che dobbiamo chiedercelo e cercare di darci una risposta, se così fosse.... chiedendo la grazia di comprendere che fare dell'Eucarestia il nostro cibo è dare pienezza di senso, di forza e di serenità alla nostra esperienza umana quaggiù, per prepararci, fin da ora, a 'vivere di Dio'... cosa potremmo desiderare di più?
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