domenica 20 maggio 2012

Ora il cielo è vicino

Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:

Dopo la Resurrezione, Gesù dà quasi l'impressione, di non voler lasciare ai suoi carissimi Apostoli alcun dubbio sulla sua resurrezione.
Così raccontano gli Atti degli Apostoli:"Gesù si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giovi e parlando del Regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre 'quella' ? disse ? 'che avete udita da me: Giovanni fu battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo'.
Così, venutisi a trovare insieme, gli domandarono: 'Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?: Ma egli rispose: 'Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terrà.
Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse ai loro sguardi.
E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, ecco due uomini in vesti bianche si presentarono a loro e dissero: 'Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù che è stato tra voi assunto al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo'." (At. 1, 1-11).
Difficile entrare nell'animo degli Apostoli, sottoposti, in pochi giorni, a eventi che nulla hanno a che vedere con la nostra esperienza, qui: dopo la crocifissione del Maestro avevano creduto di essere stati 'vittime' di un sogno, che non si era avverato, ossia 'seguire un grande della terrà, che l'avrebbe dominata; poi il terzo giorno dalla sua sepoltura lo vedono tornare 'vivò con la resurrezione e, parecchie volte, mostrando una gloria inaspettata, ma quello che importava era che il loro Gesù fosse tornato, anche se non comprendevano il 'come' e il 'perché'.
Poi per quaranta giorni Lo vedono venire ed andare, incontri inaspettati, incontri desiderati, come se la Sua vita fosse un 'nuovò invito a seguirLo, come solo in seguito lo Spirito chiarirà: seguirLo è la vera missione di amore di Dio verso di noi e di noi verso Lui.
La presenza di Gesù tra di noi, concretamente, aveva il fine di permetterci di tornare alla nostra vera casa, che non è qui, ma in Cielo dove Lui è asceso.
Il primo pensiero che ci assale e ci invita alla contemplazione, allo stupore e alla gratitudine, è lo stesso desiderio d'amore del Padre che tutti, senza eccezioni, un giorno saliamo al Cielo. Quante volte nel linguaggio comune appare la parola 'cielo".
'Lo sa il cielo!', quando non sappiamo dare risposta alle nostre domande terrene.
?Che il cielo ci protegga!' quando ci troviamo in difficoltà.
'Santo cielo!', ci viene da dire come invocazione, davanti a fatti inspiegabili. E via dicendo...
Credenti o no, il 'cielo' è il punto di riferimento del mistero della nostra vita, come se vedessimo nel 'Cielo', il solo che conosce tutto di noi!
E quante volte nel Vangelo troviamo questo riferimento al 'Cielo'.
Ma cosa intendiamo con questa parola - 'Cielo' - dove Gesù è asceso e verso cui noi tendiamo?
Scrive Paolo VI: ?Per cielo noi intendiamo molte cose. Intendiamo comunemente la condizione in cui sì trovano gli angeli, le anime dei buoni, separate dai corpi, gli spiriti giusti, viventi senza il rapporto materiale; intendiamo così la vita che si prolunga oltre la morte, la sopravvivenza oltre il tempo, la vita immutabile d'oltretomba, la vita eterna. intendiamo anche l'ordine nuovo che emana da Dio: il disegno che lui ha voluto sovrapporre alla vita naturale, il Regno dei cieli, ossia quel complesso di rapporti, completamente originali, che il mondo è venuto a godere con Dio mediante la missione di Gesù. Intendiamo così la condizione finale a cui il Regno dei cieli, incominciato con la vita cristiana in questa terra, deve portare l'umanità e che chiamiamo il Paradiso, la gloria di Cristo e dei suoi seguaci fedeli. Il Cielo è la visione di Dio, è la felicità eterna: è il termine a cui deve essere diretta la nostra vita presente. Se perciò a Cristo è legata la nostra sorte, con la Sua ascensione in quel mondo beato ed a noi ignoto, lo scopo della nostra vita è trasferito da questa terra al cielo.'Quanto a noi, la patria è nei cieli - afferma S. Paolo - non abbiamo qui città permanente, ma andiamo in cerca della futurà (Eb 13, 14).
il senso vero e completo del nostro vivere è un pellegrinaggio nel tempo, in questo mondo, per raggiungere la meta finale dove il nostro essere avrà la sua completezza.
Affrettiamoci verso quella vita.- dice A. Ambrogio - Dio, dopo questa nostra vita, sia la nostra patria? (1958).
Ma quanto può sembrare difficile, alla prima impressione, essere un giorno per sempre cittadini del Regno dei Cieli! Eppure è la sola ragione per chi concepisce la vita, non solo come un momento di esperienza sulla terra, dove è impossibile conoscere la gioia vera, ma un'esperienza proiettata verso l'eternità.
Spesso c'è il rischio di vivere alla giornata, e non è certamente giusto interpretare la vita in modo così riduttivo.
Se si pensa bene, per chi crede, il Cielo è un'assemblea di santi e di gente semplice, che sono stati nostri compagni di vita: una vita con 'i piedi a terrà, ma il pensiero e il cuore 'rivolti al Cielo'. Possiamo incontrare, qui, oggi, sulla strada della vita, tanti nostri fratelli che seguono quelle orme: vivono da pellegrini 'provvisori' su questa terra. Sono impegnati, come tutti, a compiere la loro fatica terrestre, ma il loro passo è sempre diretto al Cielo.
Che servirebbero tanti sacrifici, se non fossero interpretati e vissuti come la necessaria fatica verso una gioia eterna? È la grande speranza che portano nel cuore tanti che ci sono vicini e da cui apprendiamo come si cammina nella vita verso il Cielo.
Viviamo della speranza che Cristo, salendo al Cielo, ha dischiuso all'anima. Questa speranza ci darà il miglior senso di questa vita presente: ci libererà dall'incombente ossessione del materialismo organizzato, opprimente castigo a se stesso, e, se avesse a prevalere, rovina della stessa civiltà cristiana.
Questa speranza del Cielo ci insegna a portare e santificare i dolori del nostro viaggio terreno, ci infonderà premura e amore per fare del bene ai nostri simili; ci conserverà nella libertà dello spirito, che l'orizzonte puramente temporale tenta di restringere e soffocare; ci ammonirà finalmente a considerare questo nostro provvisorio soggiorno sulla terra, come una vigilia laboriosa e amorosa, sostenuta dalla preghiera che vince il sonno della materia e della morte, in attesa dell'incontro e del ritorno a Lui, Cristo, ìn Cielo.
È necessario convincerci che la Resurrezione di Gesù e la sua Ascensione al Cielo, non è solo una 'questione personale', come una dimostrazione della potenza, che Dio ha su tutto, anche sulla morte, ma, Lui, Dio, si è fatto uomo, per coinvolgerci tutti, ma proprio tutti, nella Sua stessa sorte. È questo il grande evento dell'Amore del Padre.
Non ci rimane, allora, che guardare alla vita temporale, questo piccolo spazio, concessoci da Dio, non come un'avventura, ma come un valore che veramente ci riporta alla ragione per cui Dio ci ha creati: imparare a 'stare sempre con Lui' già qui sulla terra, per essere pronti a 'stare con Lui eternamente in Cielo'.
E questa è la missione che Gesù ha lasciato agli Apostoli, salutandoli, prima di ascendere al Cielo.
Narra Marco: "In quel tempo Gesù apparve agli Undici e disse loro: 'Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e se berranno qualche veleno non recherà loro alcun danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno'.
Il Signore, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme a loro e confermava la parola con i prodigi che l'accompagnavano" (Mc 16).
È bello riflettere sulle ultime parole di Gesù, mentre manda i Suoi a predicare in mezzo a questo mondo che, anche se non appare, ha bisogno di infinito, di speranza, di quella gioia che ha il cielo ? un incarico che fa tremare anche noi, oggi, tanto è grande -. E' un compito che sembra non da poveri uomini, ma da Angeli, ecco perché Lui assicura la Sua Presenza 'operando con noi e confermando la Sua Parola con i miracoli che l'accompagnano'.
Ed è cosi.
Ogni volta che predico il Vangelo, sento davvero di essere solo la voce, povera voce, e nello stesso tempo, sperimento la manifestazione della potenza di Gesù.
Per questo noi, che veramente siamo discepoli di Gesù, oggi, siamo colmi di speranza, celebrando l'Ascensione del nostro Maestro e Signore.
Sappiamo che un giorno saremo con Lui e lo vedremo 'faccia a faccia'. Vivere diventa dunque un pregustare la gioia di quel posto che Gesù ci ha preparato. Ma soprattutto sappiamo che Gesù, asceso al Cielo, non è lontano da noi; è qui con noi a condividere la nostra 'passione quotidiana' e ci sentiamo forti della Sua Forza.
Se siamo sinceri con noi stessi, quante volte siamo assaliti da un nascosto e irrefrenabile desiderio di una vita che abbia più nulla a che fare con quello che viviamo, ma sia piena di una gioia, per cui sentiamo di essere nati e che non riusciamo a sapere dove attingere.
Ogni volta mi reco in pellegrinaggio a Lourdes, sono preso dal canto, durante la processione serale: 'Andrò a vederla un di' e, misurando le fatiche del mio ministero, ma nello stesso tempo la sua bellezza, davvero questo mondo mi appare un calvario da farsi, ma per arrivare là! Quanta nostalgia del Cielo! È la nostalgia che oggi viviamo, con la speranza che un giorno sia gioia piena.

domenica 13 maggio 2012

Ricordiamo Fatima

Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:

Sono davvero molti gli appuntamenti che Maria SS.ma ha avuto in tante parti del mondo, a cominciare da Lourdes e Fatima. Ogni occasione era, non solo per rassicurarci sulla sua vicinanza di Mamma, a cui Gesù ci aveva affidati, ma per suggerirci, proprio come fanno le mamme, la via della salvezza.
Il 13 maggio del 1917 tre bambini pascolavano un piccolo gregge nella Cova da Iria, frazione di Fatima. Si chiamavano Lucia (10 anni) e i suoi cugini Francesco e Giacinta (9 e 7 anni). Verso mezzogiorno, dopo aver recitato il Rosario, all'improvviso videro una grande luce; pensando che si trattasse di un lampo decisero di andarsene, ma ne sopraggiunse un altro e sopra un piccolo elce videro una "Signora più splendente del sole" dalle cui mani pendeva un rosario bianco. La Signora disse ai tre bambini che era necessario pregare molto e li invitò a tornare in quel luogo per cinque mesi consecutivi, il giorno 13 e a quella stessa ora. I bambini così fecero e nei giorni 13 di giugno, luglio, settembre e ottobre la Signora tornò ad apparire e a parlare con loro. Ad agosto l'apparizione ebbe luogo il 19 nelle vicinanze di Aljustrel, perché il giorno 13 i bambini furono "sequestrati" dal sindaco. Nell'ultima apparizione, il 13 ottobre, la Signora disse di essere "la Madonna del Rosario" e chiese che venisse costruita in quel luogo una cappella in suo onore. Dopo l'apparizione tutti i presenti (circa 70.000 persone) furono testimoni del miracolo promesso ai tre bambini nei mesi di luglio e di settembre: dopo un forte temporale, smise di piovere e il sole per tre volte girò su se stesso, lanciando in tutte le direzioni raggi di luce di diversi colori. Il globo di fuoco parve staccarsi dal firmamento e precipitare sulla folla, che visse momenti di grande terrore. A dieci minuti dall'inizio del prodigio, il sole ritornò al suo stato normale e tutti si ritrovarono con gli abiti, prima fradici di pioggia, perfettamente asciutti. Più tardi, quando Lucia era già religiosa, la Madonna le apparve nuovamente (il 10 dicembre 1925, il 15 febbraio 1926 e ancora nella notte tra il 13 e il 14 giugno del 1929) chiedendo le devozioni dei primi cinque sabati del mese e la consacrazione della Russia al suo Cuore Immacolata Il 13 maggio del 2000, il Papa Giovanni Paolo II ha solennemente beatificato i pastorelli Giacinta e Francesco. Nell'omelia, durante la Messa di beatificazione a Fatima di Giacinta il Papa ha così parlato: Nella sua sollecitudine materna, la Santissima Vergine è venuta a Fatima per chiedere agli uomini di "non offendere più Dio, Nostro Signore, che è già molto offeso".

Per questo Ella chiede ai pastorelli: "Pregate, pregate molto e fate sacrifici per i peccatori; tante anime finiscono nell'inferno perché non c'è chi preghi e si sacrifichi per loro".
La piccola Giacinta ha condiviso e vissuto quest'afflizione della Madonna, offrendosi eroicamente come vittima per i peccatori. Giacinta era rimasta così colpita dalla visione dell'inferno, avvenuta nell'apparizione di luglio, che tutte le mortificazioni e penitenze le sembravano poca cosa per salvare i peccatori. Giacinta potrebbe benissimo esclamare come san Paolo: "Mi rallegro di soffrire per voi, completando in me stessa quello che manca alle tribolazioni di Cristo a vantaggio del suo Corpo, che è la Chiesa".
Pensieri sul Vangelo di oggi: "AMATEVI COME IO VI HO AMATI"
Diciamolo francamente. senza pudore, con la voglia di sincerità che segue il risveglio da una 'malattia', in cui ci siamo solo preoccupati di appropriarci di quello che ci piaceva, in tutto, facendo del nostro egoismo l'unica legge da seguire, per poi diventare anche giudici impietosi per gli sbagli che altri hanno potuto commettere - e la debolezza in questo senso è davvero grande!
Oggi non sappiamo neanche più provare ripugnanza per tutto il male che si commette e che pare, come fango, sommergere uomini e istituzioni: rischiamo l'assuefazione e non ci rendiamo conto che è questo il vero baratro, non la crisi economica, e, soprattutto, non riflettiamo che questo malessere che ormai viviamo è il frutto di esserci considerati regola dei nostri cattivi comportamenti, ognuno al suo posto e nel suo ruolo, senza eccezioni.

Quando si era più poveri - lo ricordo nella mia infanzia - tutti vivevamo un senso di appartenenza, rispetto all'ambiente in cui si viveva. Nella nostra vita, forte era il senso dell'amicizia e la solitudine non era mai di casa. Sentivamo che non si poteva e non si può vivere senza incontrare o dare amore. Sapevamo di non essere stati creati per l'isolamento, ma eravamo educati ad una realizzazione di sé possibile solo nell'apertura a chi ci era vicino o lontano, all'Altro, al prossimo.
È questa la verità profonda del nostro essere, ecco perché ci commuove e ci stimola a percorrere la stessa strada, scoprire come, ieri ed oggi, vi siano uomini e donne che, stanchi del loro 'solitario benessere', che diventa un carcere invisibile, ad un certo punto lasciano tutto e vanno dove sembra di poter dare qualcosa a chi non ha neanche un poco di affetto.
Ho in mente l'esempio di Follereau che scelse come amici carissimi i lebbrosi. La sua vita era un correre dove si trovavano ed ogni incontro diventava una festa.
Il lebbroso, che poteva stringere la sua mano amica, ritrovava la gioia dell'uomo che riscopre la propria dignità, creato per amare ed essere amato.
È un'esperienza di tutti scoprire, a volte, quanto sia contro natura e faccia soffrire avere anche solo la sensazione che nessuno si 'interessi' a noi.
Quando il Padre ci ha creati, ha fatto a tutti un grande dono, senza eccezioni: la capacità di amare come Lui ci ama e di essere amati. Siamo stati creati per l'Amore, ma lo dimentichiamo troppo spesso e la conseguenza è un vivere come se fossimo 'numeri', 'individui', ognuno preoccupato di raggiungere i propri obiettivi, la propria realizzazione.
Non abbiamo ancora capito che non conta essere importanti, ricchi o poveri, sani o malati, giovani o anziani: quello che ci fa davvero vivere, sentire vivi, è sapere che siamo amati, amando.
Amare è vita che dà vita, ed è quello che tante volte manca ai più.
Questa necessità e natura del vivere amando, è confermata dalla Parola di Gesù, oggi:
"Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore.
Come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.
Voi siete miei amici, se farete quello che io comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, ma vi ho chiamati amici, perché ciò che ho udito dal Padre mio,
l'ho fatto conoscere a voi. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri". (Gv. 15,9-17)
È una dichiarazione stupenda, che esce dal Cuore e dalla bocca di Dio, trasmessa a noi da Lui stesso. L'Amore fa parte ormai della nostra natura e vita.
Non c'è fèlicità più grande che di amare ed essere amati. E non c'è infelicità più tragica di quella di essere soli: è un non vivere, un togliere il respiro al cuore.
Come sarebbe bello, oso dire da discepoli di Gesù, se tra noi vi fosse un continuo ricercare la bellezza dell'Amore, costi quello che costi, per fare tanto spazio a chi ci sta vicino.
Questo non è utopia, non è sogno, non è illusione: è l'unica ragione della nostra esistenza. Afferma la saggezza: 'Non posso vivere senza amare e non posso amare senza vivere'.
È la prima ed unica vera 'regola' della nostra vita; fuori di essa vi è l'autodistruzione.
È la ragione per cui scrivo a voi e che genera la gioia di chiamarvi 'amici' di tutto cuore.
È la regola che S. Giovanni, l'apostolo prediletto di Gesù, oggi, sulle orme del Maestro ci offre:
"Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio.
Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.....
In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è Lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati". (I Gv. 4, 7-10)