domenica 25 marzo 2012
Giorni che esigono riflessione
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:
Fin dall'inizio, nella Chiesa vi è stata la consuetudine, in questa domenica così vicina alla Pasqua, di contemplare, nel loro tragico sviluppo, i giorni del dolore, che si fa dono, per creare spazi di gioia negli uomini, proiettandoli nella realtà della resurrezione pasquale.
Davvero si rimane sbalorditi, se si riflette sul serio e si è disposti a seguire Gesù con tutto il cuore e la vita, pensando alla Sua passione, morte e resurrezione, che ha ridato nuova speranza alla storia di Dio con l'uomo. La Resurrezione è l'azione di Dio che, dopo aver cancellato tutto il male di noi uomini - e a che prezzo! - ci fa dono di rinascere a quella vita nuova che da sempre aveva pensato per noi, prima del peccato originale dei nostri progenitori.
E', questo, non solo il sogno di un Dio che ci ama tanto, ma è il Suo dono concreto, sempre che facciamo della vita un atto libero di amore a Lui, come era nell'intenzione del Padre, creandoci.
A rifletterci bene, c'è davvero da impazzire di gioia, pensando quanto Dio ci ama e quanto sia disposto a donarci per averci vicino a Sè!
Ma chi siamo perché Dio ci voglia tanto bene?
Dovrebbe, questo pensiero, invitarci a fare di questa Quaresima, il tempo del ritorno ad essere veramente degni figli del Padre.
Ma saremo capaci di cogliere questo immenso bene che ci viene offerto ancora una volta in questa Quaresima che ci accosta alla Pasqua di Resurrezione?
C'è nell'aria un assuefarsi alla normalità di una vita che confessa il vuoto di un'esistenza senza la presenza del Padre, che vorrebbe, con la Sua Pasqua - giorno veramente offerto per lasciare alle spalle le conseguenze del peccato originale - farci nuovamente respirare la dolce aria del Paradiso, per cui Lui ci ha creati ..
Se osserviamo la vita di tanti, troppo spesso dobbiamo ammettere che ci troviamo di fronte a cristiani che vivono alla giornata, accontentandosi di ciò che offre la 'terrà, che, se va bene, a volte concede qualche soddisfazione, ma nulla che abbia a che vedere con la pienezza di chi vive la santità, ieri e oggi.
Occorre davvero che ciascuno di noi, in questi giorni di 'passione di Gesù', il più grande Dono, l'amore di Dio trovi posto nel nostro quotidiano.... anche se è difficile, confusi come siamo dal chiasso del mondo e delle sua vanità.
Inutile sognare un mondo di pace, di bontà, di serenità, senza entrare nello Spirito di Dio che ci trasforma. E' in fondo il vero ed unico modo di vivere questo tempo di 'passioné, se vogliamo conoscerne il dono e accoglierlo.
Ci indica la strada per una conversione o se volete per una 'nostra partecipazioné profonda e vitale alla Pasqua, il Vangelo di oggi:
"In quel tempo - racconta Giovanni l'evangelista - tra quelli che erano saliti, per il culto durante la festa, c'erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsaida di Galilea, e gli chiesero: 'Signore, vogliamo vedere Gesù'. Filippo andò a dirlo ad Andrea e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose: 'E' giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. In verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire mi segua e là dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà. Ora l'anima mia è turbata: e che devo dire? Padre salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora. Padre glorifica il Tuo Nome'. Venne allora dal cielo una voce: 'L'ho glorificato e sempre lo glorificherò'. Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo. Ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori, Io quando sarò elevato da questa terra, attirerò altri a me. Questo diceva di quale morte doveva morire" (Gv. 12,20-33)
Un discorso duro che è il prezzo della nostra possibile santità. "Chi mi ama, - dice Gesù - perderà la sua vita, e chi odia la propria vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna"
Un discorso davvero esigente, ma necessario, che ci fa intravedere come ciascuno di noi, che vuole seguire Cristo, dovrà portare la sua croce, seguendo le orme del Maestro.
Sono tante le croci che si affacciano nella vita, in ogni ambiente.
Basta guardare il mondo che ci circonda e sembra davvero una selva di croci.
Tutti hanno da raccontare le proprie, e tutte hanno la loro ragione nella precarietà della vita qui in terra, ma hanno anche il pregio di essere la via della nostra santificazione, se accolte come prova del nostro amore a Dio.
Vi sono poi le croci che l'uomo si crea con le sue stesse mani.
Difficile contarle oggi: più facile contare le stelle in cielo, ma con la differenza che queste fanno sognare, quelle croci a volte fanno morire.
Vi sono le croci dei ricchi, che tanti cercano affannosamente o insensatamente costruiscono, come si trattasse di troni: troni invece di solitudine, costruiti spesso sull'ingiustizia, tragici pesi da portare. Non hanno conosciuto il vero trono: la croce di Cristo, offerto per tutti.
Ci sono tante, troppe croci dei tossicodipendenti, prigionieri del loro vizio: croci da cui non riescono a scendere, se non con una grande fatica che è 'resurrezioné alla vera vita senza droghe.
Ci sono poi le ruvide croci dei condannati alla fame, alla miseria, alla disoccupazione.
Sono drammatiche croci che hanno l'età dell'egoismo dell'uomo: di pochi contro molti, di chi ha troppo contro chi ha nulla. Sono croci di ingiustizia, create dalla mancanza di solidarietà dell'uomo verso il proprio fratello... e sono tante.
Non è più necessario guardare all'Africa, ormai basta guardarci attorno, anche tra di noi.
Sono le infinite croci, inventate cinicamente dall'egoismo di chi vuole apparire umanamente potente, di una potenza terribile, basata sull'accaparramento della ricchezza, un'insana ricchezza che, senza pudore, viene considerata 'fortuna' o 'progresso e civiltà', quando è invece spesso una vergogna, uno schiaffo alla carità, un non così tanto mascherato sopruso, un'indifferenza, che nulla ha di umano, verso le tante necessità degli uomini, nostri fratelli.
Forse perché non si è compresa l'umiltà di Cristo, che sulla croce vive il 'perdere la propria vità con la più totale povertà, che è il grande e meraviglioso prezzo per rendere la vita un meraviglioso dono agli uomini: 'Chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna'
E ci sono poi le croci quotidiane, che camminano con ogni vita, come le malattie, la fatica del lavoro, la passione della famiglia, le difficoltà di ogni genere: realtà 'ferialì che altro non sono che schegge più o meno gravi di quella croce quotidiana che segna la nostra esistenza, ma possono diventare sprazzi di luce se accolte e vissute con Cristo, in Cristo e per Cristo.
E' proprio grazie alla Croce di Gesù, questo 'sì' al Padre, uscito dal Suo Cuore, che ogni uomo può conoscere il senso della propria stessa croce: trono della nostra gloria con Dio.
La croce di Cristo è proprio la testimonianza dell' Amore di un Dio che vuole salvarci, percorrendo Lui stesso il sentiero del Calvario.
Chi può evitare di percorrere nella sua vita questo 'sentierò?
E' un sentiero che si cerca di ignorare, ma si disegna come un'ombra, che, solo se vogliamo, può essere illuminata da Cristo, che ci precede e segna la strada.
Tutti abbiamo la nostra croce, ma non tutti sappiamo scorgere in lei la via dell'amore che si fa dono e misura di amore.
Occorre davvero voler ritornare alla scuola di Gesù, seguendo i Suoi passi e i Suoi insegnamenti, via sicura per tanti veri credenti, santi.
UN GRANDE GRAZIE A MARIA SS. MA
Lunedì, 26 marzo, la Chiesa celebra il grande evento dell'Annunciazione dell'Angelo a Maria, scelta dal Padre ad essere Madre del Suo Figlio prediletto, Gesù, per opera dello Spirito Santo. Maria, fanciulla di Nazareth, aveva progettato la sua vita come sposa di Giuseppe.
Ma Dio interviene a cambiare le carte e la invita a essere Madre di Dio, dando così inizio ad una storia nuova, che porrà fine a quell'esilio dal Cielo dopo il peccato originale.
Maria, immacolata, è chiamata a cambiare la nostra storia, consentendoci di ritornare ad essere in pienezza figli di Dio, con il suo 'sì' al concepimento di Gesù.
Comprendiamo il turbamento di Maria, ma quanto è preziosa la sua libera risposta: 'Si compia in me la tua volontà'... ha letteralmente cambiato la nostra storia.
La Chiesa ricorda questo divino evento, recitando ogni giorno l'Angelus Domini.
Difficile anche solo capire il grande amore di Dio che ci rivuole figli, donandoci Maria come Madre.
Guardando a Lei, la nostra vita dovrebbe essere una continua, vigile, amorosa ricerca di Dio, che ci manifesta la Sua volontà, giorno dopo giorno, per poi imitarla nel pronunciare con docilità e amore: 'Si compia la Tua volontà '.
E' davvero, l'Annunciazione, la festa che ci deve ricordare l'amore del Padre e il nostro dovere di dirGli sempre GRAZIE, attraverso Maria.
Fin dall'inizio, nella Chiesa vi è stata la consuetudine, in questa domenica così vicina alla Pasqua, di contemplare, nel loro tragico sviluppo, i giorni del dolore, che si fa dono, per creare spazi di gioia negli uomini, proiettandoli nella realtà della resurrezione pasquale.
Davvero si rimane sbalorditi, se si riflette sul serio e si è disposti a seguire Gesù con tutto il cuore e la vita, pensando alla Sua passione, morte e resurrezione, che ha ridato nuova speranza alla storia di Dio con l'uomo. La Resurrezione è l'azione di Dio che, dopo aver cancellato tutto il male di noi uomini - e a che prezzo! - ci fa dono di rinascere a quella vita nuova che da sempre aveva pensato per noi, prima del peccato originale dei nostri progenitori.
E', questo, non solo il sogno di un Dio che ci ama tanto, ma è il Suo dono concreto, sempre che facciamo della vita un atto libero di amore a Lui, come era nell'intenzione del Padre, creandoci.
A rifletterci bene, c'è davvero da impazzire di gioia, pensando quanto Dio ci ama e quanto sia disposto a donarci per averci vicino a Sè!
Ma chi siamo perché Dio ci voglia tanto bene?
Dovrebbe, questo pensiero, invitarci a fare di questa Quaresima, il tempo del ritorno ad essere veramente degni figli del Padre.
Ma saremo capaci di cogliere questo immenso bene che ci viene offerto ancora una volta in questa Quaresima che ci accosta alla Pasqua di Resurrezione?
C'è nell'aria un assuefarsi alla normalità di una vita che confessa il vuoto di un'esistenza senza la presenza del Padre, che vorrebbe, con la Sua Pasqua - giorno veramente offerto per lasciare alle spalle le conseguenze del peccato originale - farci nuovamente respirare la dolce aria del Paradiso, per cui Lui ci ha creati ..
Se osserviamo la vita di tanti, troppo spesso dobbiamo ammettere che ci troviamo di fronte a cristiani che vivono alla giornata, accontentandosi di ciò che offre la 'terrà, che, se va bene, a volte concede qualche soddisfazione, ma nulla che abbia a che vedere con la pienezza di chi vive la santità, ieri e oggi.
Occorre davvero che ciascuno di noi, in questi giorni di 'passione di Gesù', il più grande Dono, l'amore di Dio trovi posto nel nostro quotidiano.... anche se è difficile, confusi come siamo dal chiasso del mondo e delle sua vanità.
Inutile sognare un mondo di pace, di bontà, di serenità, senza entrare nello Spirito di Dio che ci trasforma. E' in fondo il vero ed unico modo di vivere questo tempo di 'passioné, se vogliamo conoscerne il dono e accoglierlo.
Ci indica la strada per una conversione o se volete per una 'nostra partecipazioné profonda e vitale alla Pasqua, il Vangelo di oggi:
"In quel tempo - racconta Giovanni l'evangelista - tra quelli che erano saliti, per il culto durante la festa, c'erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsaida di Galilea, e gli chiesero: 'Signore, vogliamo vedere Gesù'. Filippo andò a dirlo ad Andrea e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose: 'E' giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. In verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire mi segua e là dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà. Ora l'anima mia è turbata: e che devo dire? Padre salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora. Padre glorifica il Tuo Nome'. Venne allora dal cielo una voce: 'L'ho glorificato e sempre lo glorificherò'. Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo. Ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori, Io quando sarò elevato da questa terra, attirerò altri a me. Questo diceva di quale morte doveva morire" (Gv. 12,20-33)
Un discorso duro che è il prezzo della nostra possibile santità. "Chi mi ama, - dice Gesù - perderà la sua vita, e chi odia la propria vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna"
Un discorso davvero esigente, ma necessario, che ci fa intravedere come ciascuno di noi, che vuole seguire Cristo, dovrà portare la sua croce, seguendo le orme del Maestro.
Sono tante le croci che si affacciano nella vita, in ogni ambiente.
Basta guardare il mondo che ci circonda e sembra davvero una selva di croci.
Tutti hanno da raccontare le proprie, e tutte hanno la loro ragione nella precarietà della vita qui in terra, ma hanno anche il pregio di essere la via della nostra santificazione, se accolte come prova del nostro amore a Dio.
Vi sono poi le croci che l'uomo si crea con le sue stesse mani.
Difficile contarle oggi: più facile contare le stelle in cielo, ma con la differenza che queste fanno sognare, quelle croci a volte fanno morire.
Vi sono le croci dei ricchi, che tanti cercano affannosamente o insensatamente costruiscono, come si trattasse di troni: troni invece di solitudine, costruiti spesso sull'ingiustizia, tragici pesi da portare. Non hanno conosciuto il vero trono: la croce di Cristo, offerto per tutti.
Ci sono tante, troppe croci dei tossicodipendenti, prigionieri del loro vizio: croci da cui non riescono a scendere, se non con una grande fatica che è 'resurrezioné alla vera vita senza droghe.
Ci sono poi le ruvide croci dei condannati alla fame, alla miseria, alla disoccupazione.
Sono drammatiche croci che hanno l'età dell'egoismo dell'uomo: di pochi contro molti, di chi ha troppo contro chi ha nulla. Sono croci di ingiustizia, create dalla mancanza di solidarietà dell'uomo verso il proprio fratello... e sono tante.
Non è più necessario guardare all'Africa, ormai basta guardarci attorno, anche tra di noi.
Sono le infinite croci, inventate cinicamente dall'egoismo di chi vuole apparire umanamente potente, di una potenza terribile, basata sull'accaparramento della ricchezza, un'insana ricchezza che, senza pudore, viene considerata 'fortuna' o 'progresso e civiltà', quando è invece spesso una vergogna, uno schiaffo alla carità, un non così tanto mascherato sopruso, un'indifferenza, che nulla ha di umano, verso le tante necessità degli uomini, nostri fratelli.
Forse perché non si è compresa l'umiltà di Cristo, che sulla croce vive il 'perdere la propria vità con la più totale povertà, che è il grande e meraviglioso prezzo per rendere la vita un meraviglioso dono agli uomini: 'Chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna'
E ci sono poi le croci quotidiane, che camminano con ogni vita, come le malattie, la fatica del lavoro, la passione della famiglia, le difficoltà di ogni genere: realtà 'ferialì che altro non sono che schegge più o meno gravi di quella croce quotidiana che segna la nostra esistenza, ma possono diventare sprazzi di luce se accolte e vissute con Cristo, in Cristo e per Cristo.
E' proprio grazie alla Croce di Gesù, questo 'sì' al Padre, uscito dal Suo Cuore, che ogni uomo può conoscere il senso della propria stessa croce: trono della nostra gloria con Dio.
La croce di Cristo è proprio la testimonianza dell' Amore di un Dio che vuole salvarci, percorrendo Lui stesso il sentiero del Calvario.
Chi può evitare di percorrere nella sua vita questo 'sentierò?
E' un sentiero che si cerca di ignorare, ma si disegna come un'ombra, che, solo se vogliamo, può essere illuminata da Cristo, che ci precede e segna la strada.
Tutti abbiamo la nostra croce, ma non tutti sappiamo scorgere in lei la via dell'amore che si fa dono e misura di amore.
Occorre davvero voler ritornare alla scuola di Gesù, seguendo i Suoi passi e i Suoi insegnamenti, via sicura per tanti veri credenti, santi.
UN GRANDE GRAZIE A MARIA SS. MA
Lunedì, 26 marzo, la Chiesa celebra il grande evento dell'Annunciazione dell'Angelo a Maria, scelta dal Padre ad essere Madre del Suo Figlio prediletto, Gesù, per opera dello Spirito Santo. Maria, fanciulla di Nazareth, aveva progettato la sua vita come sposa di Giuseppe.
Ma Dio interviene a cambiare le carte e la invita a essere Madre di Dio, dando così inizio ad una storia nuova, che porrà fine a quell'esilio dal Cielo dopo il peccato originale.
Maria, immacolata, è chiamata a cambiare la nostra storia, consentendoci di ritornare ad essere in pienezza figli di Dio, con il suo 'sì' al concepimento di Gesù.
Comprendiamo il turbamento di Maria, ma quanto è preziosa la sua libera risposta: 'Si compia in me la tua volontà'... ha letteralmente cambiato la nostra storia.
La Chiesa ricorda questo divino evento, recitando ogni giorno l'Angelus Domini.
Difficile anche solo capire il grande amore di Dio che ci rivuole figli, donandoci Maria come Madre.
Guardando a Lei, la nostra vita dovrebbe essere una continua, vigile, amorosa ricerca di Dio, che ci manifesta la Sua volontà, giorno dopo giorno, per poi imitarla nel pronunciare con docilità e amore: 'Si compia la Tua volontà '.
E' davvero, l'Annunciazione, la festa che ci deve ricordare l'amore del Padre e il nostro dovere di dirGli sempre GRAZIE, attraverso Maria.
domenica 18 marzo 2012
Le braccia aperte del Padre, sempre
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:
Qualche volta, incontrando la gente, ci si rende conto quanto sia difficile per noi povere creature accettare e, ancor più, vivere la legge del perdono. Siamo in una società in cui ogni giorno, ovunque, a cominciare dall'interno delle famiglie, ai singoli cittadini, fino ai rapporti tra gli Stati, nascono motivi di screzio e, senza mai valutarne le conseguenze tragiche, si pensa di risolvere i problemi con la violenza, fino alla guerra.
Fa davvero impressione come in tutto il mondo ci siano armi modernissime, a cominciare dai micidiali caccia da guerra, alle bombe atomiche, pronte a distruggere lo stesso nostro pianeta.
E' vero che, consce di questi rischi, tante nazioni cercano le vie del compromesso nelle varie questioni, ed è un vero bene, ma si rimane comunque sempre con il fiato sospeso. Non si è più Sicuri.
Ma fa ancor più impressione constatare come, ormai troppo spesso, per uno sbaglio umano, una parola detta fuori posto, un errore magari comprensibile, si generino reazioni incontrollate, per la tanta voglia di vendicarsi... come se la vendetta fosse la soluzione giusta e non allarghi invece il campo dell'odio e delle tragedie ed atrocità.
Non sappiamo 'leggere' le tante storie umane, in cui la violenza quotidiana provoca solo distruzione e morte, come del resto abbiamo rimosso i ricordi di guerre, neppure troppo lontane, che distrussero uomini e cose, obbligando poi a ricominciare da capo tutto.
Con la violenza o il litigio prolungato non si risolve nulla. Solo la pace è la medicina per tutto.
E la lezione viene proprio da Dio. Lo offendiamo tante volte, senza neppure pensarci, ma da Lui non arriva nessuna vendetta o castigo. Accetta tutto, anche la morte, per salvarci.
Pensiamo a Gesù che, sulla croce, dopo averci fatto dono della Sua presenza meravigliosa tra di noi, dopo avere seminato un incredibile bene a tanti malati e a tante anime, viene ripagato con la morte in croce. Su quella croce c'era Dio che aveva scelto di insegnare a noi il perdono, non facendo pagare a noi le nostre cattiverie, ma redimendole e trasformandole in amore quando alla fine proprio dalla croce dirà: "Padre, perdona loro non sanno quello che fanno". Incredibile.
Davanti a questo esempio di Dio, che non si vendica assolutamente del male ricevuto, ma dà la vita per farci conoscere la bellezza del perdono, ci sentiamo davvero 'piccola miseria' davanti a Lui e anche tra di noi, assistendo come per poco cancelliamo il dovere di amare e creiamo solchi di rifiuto ed odio, per offese ricevute o anche solo per pregiudizi coltivati o sensazioni non controllate. Troppo spesso non è davvero nostra abitudine saper mettere alle spalle il male che si riceve, per fare strada al perdono. Capita alle volte che noi sacerdoti, a chi si accosta al sacramento del perdono, la confessione, poniamo una domanda: 'E' davvero in pace con tutti, o qualcuno è 'fuori dal suo amore e altri sentimenti vi hanno preso il suo posto?'. Sappiamo tutti, o dovremmo almeno saperlo, che senza un animo in pace, non ci è permesso di accostarci alla Santa Comunione. Essere in comunione con Dio richiede essere in comunione con i fratelli. Ecco perché a volte nelle confessioni è bene chiedere ai penitenti se vi è qualche dissidio non perdonato.
Ricordo una volta fui costretto a negare il perdono ad una persona che si era accostata al sacramento della riconciliazione, perché non volle assolutamente perdonare chi l'aveva offeso.
La reazione fu terribile, da coinvolgere i fedeli presenti nello scandalo.
E' difficile dire "non posso darle l'assoluzioné, perché neppure Dio la può perdonare: 'Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori' preghiamo nel Padre nostro.
Il sacerdote non può negare la Parola e, anche se è difficile, deve aiutare il penitente a camminare nella verità, perché non accada che chi non accetta di perdonare si permetta di accostarsi alla Comunione.
Come è possibile comunicarsi con Chi ama, perdona, si dà tutto, senza seguirne l'esempio?
Dice S. Paolo oggi scrivendo agli Efesini: "Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati; da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo; per grazia infatti siete stati salvati. Con Lui infatti ci ha resuscitati e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà, verso di noi in Cristo Gesù" (Ef. 2, 4-10)
Questo tempo di Quaresima, che ci avvicina sempre di più alla Pasqua, ci invita a considerare il grande dono della conversione e della riconciliazione. Una riconciliazione tramite il sacramento, che ci fa conoscere quale bene sia essere in pace con Dio e con tutti.
Dovremmo ringraziare davvero Dio, che, offeso dai nostri peccati, ci mette a disposizione la sua grazia del perdono. Credo sia difficile e insopportabile, per chi ha ancora conservato la voce della coscienza, che è la voce di Dio che ci avverte sul nostro stato di salute, vivere sapendo che con il peccato si è, come il figlio prodigo della parabola, lasciata la casa di Dio per i capricci del mondo. Sappiamo tutti come ci si sente, se rientriamo in noi stessi (ed è una grande grazia) come si viva male nel mondo, lontano dalla casa del Padre. Si ha l'impressione in un primo tempo di sentirsi finalmente liberi da tutto e da tutti, 'liberi dai doveri di amore', ma lentamente si avverte come il mondo non possa assolutamente farci conoscere un briciolo di quella gioia che vi è nel vivere in grazia. Si comincia a sperimentare inquietudine, insofferenza, un malessere interiore che a volte sfocia nella nausea, nel non senso verso tutto ciò che ci accade.
Ma sappiamo per fede che desiderare di 'tornare a Casa' è una grande Grazia: è l'inizio di un nuovo cammino di speranza, un sentirsi lentamente rinascere.
Forse è un discorso, questo della misericordia, che trova troppo poco posto tra tanta gente.
Ricordo che al tempo dei terroristi, venni per caso invitato a visitare questi fratelli nelle carceri. Mi faceva 'strada' una cara sorella, Suor Tersilla che era davvero uno sprazzo di luce per i detenuti, e con Padre Bachelet, che aveva avuto il fratello ucciso dalle brigate rosse. Aveva saputo superare ogni odio e aveva scelto di visitare proprio chi aveva ucciso, come segno di perdono. La loro visita era sempre una festa per i terroristi. La presenza della Chiesa era un segno tangibile che nel cuore di Dio c'era posto per loro, nonostante tutto, sempre che si riconciliassero con Lui.
Fu un gesto che non fu accettato da tanti, che preferiscono il castigo all'amore. Ed era facile incontrare nelle piazze chi disapprovava. Tanto che un giorno, partecipando con due confratelli, Mons. Magrassi e il vescovo di Novara, chiesi che fare, tanto ero bombardato da critiche. La risposta di Mons. Magrassi fu netta: "Tu in questo momento sei come una punta che tenta di bucare l'indifferenza, o peggio, verso chi ha sbagliato; un buco attraverso cui può passare il giusto sentimento dei cristiani veri, ossia l'amore nonostante tutto e ridonare la speranza che deve nascere dalla nostra presenza fraterna. Se va bene - mi diceva - e riesci a sfondare, poi la via della misericordia diverrà la strada della speranza. Ma se la punta si spezza la pagherai".
E le sue parole si avverarono. Quel buco divenne la strada del volontariato nelle carceri, la strada della speranza che è voglia di aiutare a far sbocciare nuovamente la bellezza della vita, per ogni essere umano, tanto più se ha sbagliato.
FESTA DI S. GIUSEPPE.
Una delle feste che tutti amiamo è quella di S. Giuseppe.
"La festa di oggi, affermava Paolo VI, ci invita alla meditazione su San Giuseppe, il padre legale e putativo di Gesù, nostro Signore... S. Giuseppe è il tipo del Vangelo che Gesù, lasciata la piccola dimora di Nazareth, annuncerà come programma per la redenzione della umanità. S. Giuseppe è il modello degli umili che il cristianesimo solleva ad alti destini; è la prova che per essere buoni e veri seguaci di Gesù, non occorrono grandi cose, ma si richiedono solo virtù umane, semplici, vere ed autentiche... Esempio per noi, Giuseppe! Cerchiamo di imitarlo? Inoltre la Chiesa lo invoca per un profondo desiderio di rinverdire la sua esistenza di Virtù evangeliche quali in Giuseppe rifulgono, ed infine protettore lo vuole la Chiesa per l'incrollabile fiducia che, colui al quale Cristo volle affidare la sua fragile infanzia umana, vorrà continuare dal cielo la sua missione tutelare a guida e difesa del corpo mistico di Cristo, sempre debole, sempre insidiato, sempre drammaticamente pericolante" (19.3.1969)
Preghiamo Giuseppe e la Sacra Famiglia con la breve, ma efficace preghiera:
Gesù, Giuseppe e Maria vi dono il cuore e l'anima mia. Gesù, Giuseppe e Maria assistetemi nell'ultima agonia. Gesù, Giuseppe e Maria spiri in pace con voi l'anima mia.
Qualche volta, incontrando la gente, ci si rende conto quanto sia difficile per noi povere creature accettare e, ancor più, vivere la legge del perdono. Siamo in una società in cui ogni giorno, ovunque, a cominciare dall'interno delle famiglie, ai singoli cittadini, fino ai rapporti tra gli Stati, nascono motivi di screzio e, senza mai valutarne le conseguenze tragiche, si pensa di risolvere i problemi con la violenza, fino alla guerra.
Fa davvero impressione come in tutto il mondo ci siano armi modernissime, a cominciare dai micidiali caccia da guerra, alle bombe atomiche, pronte a distruggere lo stesso nostro pianeta.
E' vero che, consce di questi rischi, tante nazioni cercano le vie del compromesso nelle varie questioni, ed è un vero bene, ma si rimane comunque sempre con il fiato sospeso. Non si è più Sicuri.
Ma fa ancor più impressione constatare come, ormai troppo spesso, per uno sbaglio umano, una parola detta fuori posto, un errore magari comprensibile, si generino reazioni incontrollate, per la tanta voglia di vendicarsi... come se la vendetta fosse la soluzione giusta e non allarghi invece il campo dell'odio e delle tragedie ed atrocità.
Non sappiamo 'leggere' le tante storie umane, in cui la violenza quotidiana provoca solo distruzione e morte, come del resto abbiamo rimosso i ricordi di guerre, neppure troppo lontane, che distrussero uomini e cose, obbligando poi a ricominciare da capo tutto.
Con la violenza o il litigio prolungato non si risolve nulla. Solo la pace è la medicina per tutto.
E la lezione viene proprio da Dio. Lo offendiamo tante volte, senza neppure pensarci, ma da Lui non arriva nessuna vendetta o castigo. Accetta tutto, anche la morte, per salvarci.
Pensiamo a Gesù che, sulla croce, dopo averci fatto dono della Sua presenza meravigliosa tra di noi, dopo avere seminato un incredibile bene a tanti malati e a tante anime, viene ripagato con la morte in croce. Su quella croce c'era Dio che aveva scelto di insegnare a noi il perdono, non facendo pagare a noi le nostre cattiverie, ma redimendole e trasformandole in amore quando alla fine proprio dalla croce dirà: "Padre, perdona loro non sanno quello che fanno". Incredibile.
Davanti a questo esempio di Dio, che non si vendica assolutamente del male ricevuto, ma dà la vita per farci conoscere la bellezza del perdono, ci sentiamo davvero 'piccola miseria' davanti a Lui e anche tra di noi, assistendo come per poco cancelliamo il dovere di amare e creiamo solchi di rifiuto ed odio, per offese ricevute o anche solo per pregiudizi coltivati o sensazioni non controllate. Troppo spesso non è davvero nostra abitudine saper mettere alle spalle il male che si riceve, per fare strada al perdono. Capita alle volte che noi sacerdoti, a chi si accosta al sacramento del perdono, la confessione, poniamo una domanda: 'E' davvero in pace con tutti, o qualcuno è 'fuori dal suo amore e altri sentimenti vi hanno preso il suo posto?'. Sappiamo tutti, o dovremmo almeno saperlo, che senza un animo in pace, non ci è permesso di accostarci alla Santa Comunione. Essere in comunione con Dio richiede essere in comunione con i fratelli. Ecco perché a volte nelle confessioni è bene chiedere ai penitenti se vi è qualche dissidio non perdonato.
Ricordo una volta fui costretto a negare il perdono ad una persona che si era accostata al sacramento della riconciliazione, perché non volle assolutamente perdonare chi l'aveva offeso.
La reazione fu terribile, da coinvolgere i fedeli presenti nello scandalo.
E' difficile dire "non posso darle l'assoluzioné, perché neppure Dio la può perdonare: 'Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori' preghiamo nel Padre nostro.
Il sacerdote non può negare la Parola e, anche se è difficile, deve aiutare il penitente a camminare nella verità, perché non accada che chi non accetta di perdonare si permetta di accostarsi alla Comunione.
Come è possibile comunicarsi con Chi ama, perdona, si dà tutto, senza seguirne l'esempio?
Dice S. Paolo oggi scrivendo agli Efesini: "Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati; da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo; per grazia infatti siete stati salvati. Con Lui infatti ci ha resuscitati e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà, verso di noi in Cristo Gesù" (Ef. 2, 4-10)
Questo tempo di Quaresima, che ci avvicina sempre di più alla Pasqua, ci invita a considerare il grande dono della conversione e della riconciliazione. Una riconciliazione tramite il sacramento, che ci fa conoscere quale bene sia essere in pace con Dio e con tutti.
Dovremmo ringraziare davvero Dio, che, offeso dai nostri peccati, ci mette a disposizione la sua grazia del perdono. Credo sia difficile e insopportabile, per chi ha ancora conservato la voce della coscienza, che è la voce di Dio che ci avverte sul nostro stato di salute, vivere sapendo che con il peccato si è, come il figlio prodigo della parabola, lasciata la casa di Dio per i capricci del mondo. Sappiamo tutti come ci si sente, se rientriamo in noi stessi (ed è una grande grazia) come si viva male nel mondo, lontano dalla casa del Padre. Si ha l'impressione in un primo tempo di sentirsi finalmente liberi da tutto e da tutti, 'liberi dai doveri di amore', ma lentamente si avverte come il mondo non possa assolutamente farci conoscere un briciolo di quella gioia che vi è nel vivere in grazia. Si comincia a sperimentare inquietudine, insofferenza, un malessere interiore che a volte sfocia nella nausea, nel non senso verso tutto ciò che ci accade.
Ma sappiamo per fede che desiderare di 'tornare a Casa' è una grande Grazia: è l'inizio di un nuovo cammino di speranza, un sentirsi lentamente rinascere.
Forse è un discorso, questo della misericordia, che trova troppo poco posto tra tanta gente.
Ricordo che al tempo dei terroristi, venni per caso invitato a visitare questi fratelli nelle carceri. Mi faceva 'strada' una cara sorella, Suor Tersilla che era davvero uno sprazzo di luce per i detenuti, e con Padre Bachelet, che aveva avuto il fratello ucciso dalle brigate rosse. Aveva saputo superare ogni odio e aveva scelto di visitare proprio chi aveva ucciso, come segno di perdono. La loro visita era sempre una festa per i terroristi. La presenza della Chiesa era un segno tangibile che nel cuore di Dio c'era posto per loro, nonostante tutto, sempre che si riconciliassero con Lui.
Fu un gesto che non fu accettato da tanti, che preferiscono il castigo all'amore. Ed era facile incontrare nelle piazze chi disapprovava. Tanto che un giorno, partecipando con due confratelli, Mons. Magrassi e il vescovo di Novara, chiesi che fare, tanto ero bombardato da critiche. La risposta di Mons. Magrassi fu netta: "Tu in questo momento sei come una punta che tenta di bucare l'indifferenza, o peggio, verso chi ha sbagliato; un buco attraverso cui può passare il giusto sentimento dei cristiani veri, ossia l'amore nonostante tutto e ridonare la speranza che deve nascere dalla nostra presenza fraterna. Se va bene - mi diceva - e riesci a sfondare, poi la via della misericordia diverrà la strada della speranza. Ma se la punta si spezza la pagherai".
E le sue parole si avverarono. Quel buco divenne la strada del volontariato nelle carceri, la strada della speranza che è voglia di aiutare a far sbocciare nuovamente la bellezza della vita, per ogni essere umano, tanto più se ha sbagliato.
FESTA DI S. GIUSEPPE.
Una delle feste che tutti amiamo è quella di S. Giuseppe.
"La festa di oggi, affermava Paolo VI, ci invita alla meditazione su San Giuseppe, il padre legale e putativo di Gesù, nostro Signore... S. Giuseppe è il tipo del Vangelo che Gesù, lasciata la piccola dimora di Nazareth, annuncerà come programma per la redenzione della umanità. S. Giuseppe è il modello degli umili che il cristianesimo solleva ad alti destini; è la prova che per essere buoni e veri seguaci di Gesù, non occorrono grandi cose, ma si richiedono solo virtù umane, semplici, vere ed autentiche... Esempio per noi, Giuseppe! Cerchiamo di imitarlo? Inoltre la Chiesa lo invoca per un profondo desiderio di rinverdire la sua esistenza di Virtù evangeliche quali in Giuseppe rifulgono, ed infine protettore lo vuole la Chiesa per l'incrollabile fiducia che, colui al quale Cristo volle affidare la sua fragile infanzia umana, vorrà continuare dal cielo la sua missione tutelare a guida e difesa del corpo mistico di Cristo, sempre debole, sempre insidiato, sempre drammaticamente pericolante" (19.3.1969)
Preghiamo Giuseppe e la Sacra Famiglia con la breve, ma efficace preghiera:
Gesù, Giuseppe e Maria vi dono il cuore e l'anima mia. Gesù, Giuseppe e Maria assistetemi nell'ultima agonia. Gesù, Giuseppe e Maria spiri in pace con voi l'anima mia.
domenica 11 marzo 2012
La frusta di Gesù
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la pagina evangelica che ci riporta al momento dell'indignazione di Gesù, attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:
Il modo con cui Gesù si presenta o, se vogliamo, presenta la sua missione, è perentorio e non ammette tentennamenti.
Da sempre il popolo ebreo attendeva 'la notizia delle notizie', ossia che il Messia fosse tra di loro e quindi Dio attuasse tutte le promesse fatte.
'Il tempo è compiuto' annunciava Gesù, alle genti di Galilea che Lo seguivano, Lo ascoltavano, ma non riuscivano a capire il senso profondo del Suo essere il Messia. "Il regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo".
Certamente voleva dire: "E' finito il tempo di stare a discutere o a sperare: il tempo delle incertezze, del sentirsi avvolti da una pericolosa nebbia, il tempo di dubitare sull'agire di Dio, sul Suo Amore per noi. Oggi è il tempo della fiducia, della decisione, della scelta".
La buona novella che Dio costruisce giorno per giorno, uomo per uomo; il Suo progetto per noi è qui, in mezzo a noi, è Gesù stesso che parla ed opera.
Lui è la Buona Novella che il mondo attendeva, l'unica, quella che il mondo mai ha avuto.
Gesù è la concreta prova che l'amore di Dio non è certamente una parola, come tra noi poveri uomini, priva di senso, o, quando va bene, con tante promesse o sogni tutti da verificare.
GESU' è la PAROLA di DIO, il Suo VANGELO.
Scrive oggi S. Paolo ai Corinzi: "Fratelli mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo dei Giudei, stoltezza per i pagani, ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che greci, noi predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debolezza d Dio, è più forte degli uomini" (Cor.1, 22-25)
Deve aver fatto una certa impressione a quanti Lo udivano parlare in questo modo con autorevolezza e senza esitazione.
Non era facile, come non lo è oggi, entrare nella bellezza divina della Parola di Gesù. Difficilmente le permettiamo di scuoterci e, a volte, la sentiamo, ma non la ascoltiamo davvero neppure quando viene proclamata la domenica. Eppure ogni Parola contiene la sapienza di Dio, che nulla ha a che fare con il vuoto che tante volte è nelle nostre parole.
Gesù è venuto tra di noi e anche la Sua presenza oggi, non è un fatto insignificante, che ci può lasciare indifferenti. Lo può essere solo per chi nulla o poco sa della bellezza e verità della Sua parola, per chi non ha ancora fatto esperienza della Sua Presenza viva e reale nella propria vita. Penso invece a tanti fratelli nella fede, non solo monaci o religiosi o sacerdoti, ma laici cristiani. uomini e donne, giovani e anziani, che si lasciano affascinare ed educare dalla Sua Parola.
Senza la luce che mi viene dalla Parola di Dio, - mi diceva un signore un giorno - io vivrei una vita da sbandato con tutte e inevitabili conseguenze amare'.
E sono tanti coloro che percorrono le vie della vita in modo confuso, disorientato, senza sapere alla fine di una giornata la ragione del tempo che è trascorso, senza lasciare traccia che meriti di essere conservata, come il prezioso bagaglio delle parole che hanno senso o della testimonianza che lascia una traccia da seguire sempre.
Carissimi, penso davvero che a volte ci perdiamo in troppe parole, che sono solo chiacchiere.
Non bastassero le nostre, ci pensano i mezzi di comunicazione a riempire ogni briciola di tempo, lasciandoci alla fine con l'amarezza nel cuore. Davvero abbiamo sete di parole buone e di comunicarle, come ci invita S. Paolo oggi nella lettera ai Corinzi.
Quanti di noi a volte sognano un poco di silenzio, tanto è lo stordimento che ci circonda, spesso sopraffatti da avvenimenti che altro non fanno che aumentare le nostre angosce.
Abbiamo bisogno di sperimentare quel silenzio che dà modo, per chi ha ancora voglia di Cielo, di sentire la compagnia di Dio, che usa di tutto per donarci verità e serenità.
Potrebbe veramente, questo tempo di Quaresima, invitare tutti a cercare spazi di silenzio, riempiti dalla Parola di Dio, che infonde nella mente e nel cuore pensieri di verità e sentimenti di bellezza e bontà.
Il Vangelo di oggi, ci mostra Gesù indignato nel vedere come la casa di Dio, il tempio, anziché essere un luogo di preghiera, di ascolto del Padre, fosse diventata, per i mercati che vi si svolgevano, 'piazza di interessi materialì .
Un vero schiaffo ai luoghi di Dio che chiedono rispetto e gioia, sapendo che lì ci attende il Padre per farci sentire la Sua voce e riempirci di speranza.
C'erano una volta chiese aperte tutto il giorno, per dare modo a quanti, passando vicino, volessero trovare tempo e modo di stare con Dio. E non è forse il dono più bello? Non è forse un meraviglioso dono trascorrere anche solo un po' di tempo in una chiesa per contemplare o dialogare con Dio?
Se ci riflettiamo bene, non è forse questo un dono stupendo che Dio ha fatto a noi, creando le chiese, i luoghi dell'incontro con Lui?
Chi ha conservato la gioia del silenzio e comprende il grande dono di stare con Dio, anche in silenzio, sa che nulla, ma proprio nulla, ha paragone. Per questo fa tanta tristezza, oggi, scoprire che le chiese, per paura di ladri o altro, sono chiuse per la gran parte della giornata.
Ricordo un dialogo, a cui ho assistito, tra due persone, che discutevano animatamente proprio riguardo alla visita al SS. mo Sacramento: una era quasi scandalizzata nel sapere che l'altra trovava serenità nello stare per un certo tempo ogni giorno a tu per tu con Dio.
Come invece non provare grande stupore di fronte a questo grande dono fatto a noi uomini: la disponibilità di Dio di stare in mezzo a noi, a portata di mano, attendendoci con la gioia del Padre che ama stare in compagnia del figlio. Sa che il figlio, noi, ha tanto bisogno di Lui, anche e soprattutto quando non ne è consapevole.
E Lui ha tanto desiderio di farsi vicino, portare quella serenità che è la sola aria, che fa respirare la nostra anima.
Dovrebbe essere sentita, da noi cristiani, come una necessità, quella di avere una chiesa dove sappiamo che Gesù nel tabernacolo ci attende, ci è vicino e ama essere visitato.
Da qui l'origine delle chiese nel mondo.
Ed è sotto gli occhi di tutti come i nostri fratelli nella fede hanno costruito chiese che sono vere opere d'arte per la loro bellezza. A Dio era doveroso costruire una dimora dove stare con noi.
Ma non sempre viene capito questo grandioso dono di Dio 'a portata di mano': la Chiesa come luogo, meravigliosa casa del Padre che ci attende.
Troppe chiese rimangono chiuse di giorno e sono aperte solo per le cerimonie.
Purtroppo qualche volta manca anche il senso della solennità, sacralità, frutti della fede, e, in alcuni casi, diventano davvero un mercato, come durante i matrimoni o altro.
Per questo Gesù oggi si indigna vedendo il tempio di Gerusalemme usato per altro.
"In quel tempo - racconta l'apostolo Giovanni - si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori dal tempio con le pecore e i buoi, gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: 'Portate via queste cose, e non fate della casa del Padre mio, un luogo di mercato'.
I discepoli si ricordarono che sta scritto: "Lo zelo per la tua casa mi divora". ( Gv. 2,13-25) Onoriamo le nostre chiese e siano davvero la casa meravigliosa per incontrare, con i fratelli, Dio. Sono questi sentimenti che dovrebbero accompagnarci frequentando le Chiese.
C'era un tempo, e ancora oggi, in cui i nostri fratelli costruivano le Chiesa facendone dei capolavori, che sono un vero gioiello di arte e cultura.
Ma non scordiamoci mai che la bellezza è nell'essere luoghi in cui possiamo incontrare il nostro Dio, realmente Presente nell'Eucarestia.
Solo con il desiderio di tale incontro noi davvero onoriamo le nostre chiese.
Infine non dimentichiamo anche come il Concilio ha definito la famiglia: 'chiesa domestica'.
E, per grazia di Dio, vi sono ancora oggi tante famiglie che danno davvero l'impressione di essere un angolo di chiesa, per la fede che vi regna.
Visitando una casa di persone semplici, ho trovato una scritta sulla porta, che mi ha stupito: 'Benvenuti in questa casa! Vi sentirete come in una Chiesa perché qui, con noi, vive Dio'.
Era una casa sobria in tutto, ma vi erano tutti gli ingredienti per essere Regno di Dio.
"Vede, Padre - mi disse il capo famiglia - ci fu un tempo in cui anche noi credevamo alla casa del mondo: vivevamo solo con il desiderio di diventare ricchi. E vi eravamo riusciti in qualche modo. Cercavamo di stare bene .. finché non ci raggiunse la Grazia. Ci convertimmo e ora viviamo come gente che si prepara per essere degni di fare parte della Sua Casa. Ci raggiunse la Parola di Dio e ci siamo convertiti .. La grande fatica è stata quella di voltare le spalle alla mentalità del mondo che impedisce di desiderare la bellezza della Casa del Padre. Ora abbiamo la voglia di dare la nostra mano a qualcuno che desidera di amare ed essere amato, e insieme sulle ali della speranza indirizzare i passi verso il cielo".
Per fortuna sono tanti, ancora oggi, i cristiani che conservano gelosamente la loro casa come fosse una chiesa in cui regna Dio.
Non resta che anche noi riportare nelle nostre famiglie il dono di essere 'Chiesa domestica'. Sarebbe davvero il miracolo pasquale.
Il modo con cui Gesù si presenta o, se vogliamo, presenta la sua missione, è perentorio e non ammette tentennamenti.
Da sempre il popolo ebreo attendeva 'la notizia delle notizie', ossia che il Messia fosse tra di loro e quindi Dio attuasse tutte le promesse fatte.
'Il tempo è compiuto' annunciava Gesù, alle genti di Galilea che Lo seguivano, Lo ascoltavano, ma non riuscivano a capire il senso profondo del Suo essere il Messia. "Il regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo".
Certamente voleva dire: "E' finito il tempo di stare a discutere o a sperare: il tempo delle incertezze, del sentirsi avvolti da una pericolosa nebbia, il tempo di dubitare sull'agire di Dio, sul Suo Amore per noi. Oggi è il tempo della fiducia, della decisione, della scelta".
La buona novella che Dio costruisce giorno per giorno, uomo per uomo; il Suo progetto per noi è qui, in mezzo a noi, è Gesù stesso che parla ed opera.
Lui è la Buona Novella che il mondo attendeva, l'unica, quella che il mondo mai ha avuto.
Gesù è la concreta prova che l'amore di Dio non è certamente una parola, come tra noi poveri uomini, priva di senso, o, quando va bene, con tante promesse o sogni tutti da verificare.
GESU' è la PAROLA di DIO, il Suo VANGELO.
Scrive oggi S. Paolo ai Corinzi: "Fratelli mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo dei Giudei, stoltezza per i pagani, ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che greci, noi predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debolezza d Dio, è più forte degli uomini" (Cor.1, 22-25)
Deve aver fatto una certa impressione a quanti Lo udivano parlare in questo modo con autorevolezza e senza esitazione.
Non era facile, come non lo è oggi, entrare nella bellezza divina della Parola di Gesù. Difficilmente le permettiamo di scuoterci e, a volte, la sentiamo, ma non la ascoltiamo davvero neppure quando viene proclamata la domenica. Eppure ogni Parola contiene la sapienza di Dio, che nulla ha a che fare con il vuoto che tante volte è nelle nostre parole.
Gesù è venuto tra di noi e anche la Sua presenza oggi, non è un fatto insignificante, che ci può lasciare indifferenti. Lo può essere solo per chi nulla o poco sa della bellezza e verità della Sua parola, per chi non ha ancora fatto esperienza della Sua Presenza viva e reale nella propria vita. Penso invece a tanti fratelli nella fede, non solo monaci o religiosi o sacerdoti, ma laici cristiani. uomini e donne, giovani e anziani, che si lasciano affascinare ed educare dalla Sua Parola.
Senza la luce che mi viene dalla Parola di Dio, - mi diceva un signore un giorno - io vivrei una vita da sbandato con tutte e inevitabili conseguenze amare'.
E sono tanti coloro che percorrono le vie della vita in modo confuso, disorientato, senza sapere alla fine di una giornata la ragione del tempo che è trascorso, senza lasciare traccia che meriti di essere conservata, come il prezioso bagaglio delle parole che hanno senso o della testimonianza che lascia una traccia da seguire sempre.
Carissimi, penso davvero che a volte ci perdiamo in troppe parole, che sono solo chiacchiere.
Non bastassero le nostre, ci pensano i mezzi di comunicazione a riempire ogni briciola di tempo, lasciandoci alla fine con l'amarezza nel cuore. Davvero abbiamo sete di parole buone e di comunicarle, come ci invita S. Paolo oggi nella lettera ai Corinzi.
Quanti di noi a volte sognano un poco di silenzio, tanto è lo stordimento che ci circonda, spesso sopraffatti da avvenimenti che altro non fanno che aumentare le nostre angosce.
Abbiamo bisogno di sperimentare quel silenzio che dà modo, per chi ha ancora voglia di Cielo, di sentire la compagnia di Dio, che usa di tutto per donarci verità e serenità.
Potrebbe veramente, questo tempo di Quaresima, invitare tutti a cercare spazi di silenzio, riempiti dalla Parola di Dio, che infonde nella mente e nel cuore pensieri di verità e sentimenti di bellezza e bontà.
Il Vangelo di oggi, ci mostra Gesù indignato nel vedere come la casa di Dio, il tempio, anziché essere un luogo di preghiera, di ascolto del Padre, fosse diventata, per i mercati che vi si svolgevano, 'piazza di interessi materialì .
Un vero schiaffo ai luoghi di Dio che chiedono rispetto e gioia, sapendo che lì ci attende il Padre per farci sentire la Sua voce e riempirci di speranza.
C'erano una volta chiese aperte tutto il giorno, per dare modo a quanti, passando vicino, volessero trovare tempo e modo di stare con Dio. E non è forse il dono più bello? Non è forse un meraviglioso dono trascorrere anche solo un po' di tempo in una chiesa per contemplare o dialogare con Dio?
Se ci riflettiamo bene, non è forse questo un dono stupendo che Dio ha fatto a noi, creando le chiese, i luoghi dell'incontro con Lui?
Chi ha conservato la gioia del silenzio e comprende il grande dono di stare con Dio, anche in silenzio, sa che nulla, ma proprio nulla, ha paragone. Per questo fa tanta tristezza, oggi, scoprire che le chiese, per paura di ladri o altro, sono chiuse per la gran parte della giornata.
Ricordo un dialogo, a cui ho assistito, tra due persone, che discutevano animatamente proprio riguardo alla visita al SS. mo Sacramento: una era quasi scandalizzata nel sapere che l'altra trovava serenità nello stare per un certo tempo ogni giorno a tu per tu con Dio.
Come invece non provare grande stupore di fronte a questo grande dono fatto a noi uomini: la disponibilità di Dio di stare in mezzo a noi, a portata di mano, attendendoci con la gioia del Padre che ama stare in compagnia del figlio. Sa che il figlio, noi, ha tanto bisogno di Lui, anche e soprattutto quando non ne è consapevole.
E Lui ha tanto desiderio di farsi vicino, portare quella serenità che è la sola aria, che fa respirare la nostra anima.
Dovrebbe essere sentita, da noi cristiani, come una necessità, quella di avere una chiesa dove sappiamo che Gesù nel tabernacolo ci attende, ci è vicino e ama essere visitato.
Da qui l'origine delle chiese nel mondo.
Ed è sotto gli occhi di tutti come i nostri fratelli nella fede hanno costruito chiese che sono vere opere d'arte per la loro bellezza. A Dio era doveroso costruire una dimora dove stare con noi.
Ma non sempre viene capito questo grandioso dono di Dio 'a portata di mano': la Chiesa come luogo, meravigliosa casa del Padre che ci attende.
Troppe chiese rimangono chiuse di giorno e sono aperte solo per le cerimonie.
Purtroppo qualche volta manca anche il senso della solennità, sacralità, frutti della fede, e, in alcuni casi, diventano davvero un mercato, come durante i matrimoni o altro.
Per questo Gesù oggi si indigna vedendo il tempio di Gerusalemme usato per altro.
"In quel tempo - racconta l'apostolo Giovanni - si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori dal tempio con le pecore e i buoi, gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: 'Portate via queste cose, e non fate della casa del Padre mio, un luogo di mercato'.
I discepoli si ricordarono che sta scritto: "Lo zelo per la tua casa mi divora". ( Gv. 2,13-25) Onoriamo le nostre chiese e siano davvero la casa meravigliosa per incontrare, con i fratelli, Dio. Sono questi sentimenti che dovrebbero accompagnarci frequentando le Chiese.
C'era un tempo, e ancora oggi, in cui i nostri fratelli costruivano le Chiesa facendone dei capolavori, che sono un vero gioiello di arte e cultura.
Ma non scordiamoci mai che la bellezza è nell'essere luoghi in cui possiamo incontrare il nostro Dio, realmente Presente nell'Eucarestia.
Solo con il desiderio di tale incontro noi davvero onoriamo le nostre chiese.
Infine non dimentichiamo anche come il Concilio ha definito la famiglia: 'chiesa domestica'.
E, per grazia di Dio, vi sono ancora oggi tante famiglie che danno davvero l'impressione di essere un angolo di chiesa, per la fede che vi regna.
Visitando una casa di persone semplici, ho trovato una scritta sulla porta, che mi ha stupito: 'Benvenuti in questa casa! Vi sentirete come in una Chiesa perché qui, con noi, vive Dio'.
Era una casa sobria in tutto, ma vi erano tutti gli ingredienti per essere Regno di Dio.
"Vede, Padre - mi disse il capo famiglia - ci fu un tempo in cui anche noi credevamo alla casa del mondo: vivevamo solo con il desiderio di diventare ricchi. E vi eravamo riusciti in qualche modo. Cercavamo di stare bene .. finché non ci raggiunse la Grazia. Ci convertimmo e ora viviamo come gente che si prepara per essere degni di fare parte della Sua Casa. Ci raggiunse la Parola di Dio e ci siamo convertiti .. La grande fatica è stata quella di voltare le spalle alla mentalità del mondo che impedisce di desiderare la bellezza della Casa del Padre. Ora abbiamo la voglia di dare la nostra mano a qualcuno che desidera di amare ed essere amato, e insieme sulle ali della speranza indirizzare i passi verso il cielo".
Per fortuna sono tanti, ancora oggi, i cristiani che conservano gelosamente la loro casa come fosse una chiesa in cui regna Dio.
Non resta che anche noi riportare nelle nostre famiglie il dono di essere 'Chiesa domestica'. Sarebbe davvero il miracolo pasquale.
domenica 4 marzo 2012
La Trasfigurazione di Gesù sul monte
Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, meditiamo la pagina evangelica che ci riporta al momento della Trasfigurazione, attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:
Può sembrare, nel tempo quaresimale, un non senso quello che racconta il Vangelo oggi, nella trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor. Eppure è proprio in Quaresima che dovrebbe essere tempo di penitenza, per essere degni di capire e giungere alla pienezza della gioia, che è la Pasqua di Resurrezione, che occorrono le 'certezze' che i sacrifici che facciamo, per la nostra conversione, non sono scelte inutili, ma portano alla gloria. Mi ha impressionato, un giorno, visitando gli ammalati in ospedale, il viso di una persona. Il suo male era di quelli che non perdonano. Ma ciò che colpiva era la serenità, come una trasfigurazione nel dolore... quasi a volerci insegnare che vi è 'una sofferenza' che matura e, in più, ci rende davvero figli, degni del premio eterno.
Gesù sapeva che sarebbe venuto il giorno in cui i suoi apostoli si sarebbero 'scandalizzati' della Sua apparente rassegnazione alla sofferenza nella Sua Passione. Non sapevano che era la preziosa scelta consapevole e necessaria per giungere al grande evento della Sua e nostra Resurrezione.
Ed è qui il senso che dobbiamo dare al dolore. Così racconta il Vangelo di Marco:
"Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò su un monte alto, in un luogo appartato, soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elìa con Mosé e discorrevano con Gesù. prendendo la parola Pietro disse a Gesù: 'Maestro, come è bello stare qui; facciamo tre tende, una per Te, una per Mosé e una per Elìa!'. Non sapeva infatti cosa dire, perché erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: 'Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!'. E subito, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti. Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire 'resuscitare dai morti'. (Mc. 9, 1-9)
Facciamoci accompagnare per mano, dal nostro caro Paolo VI, nella meditazione e contemplazione di questa straordinaria pagina di Vangelo.
"Figli del nostro tempo, con i suoi ausili di progresso visivo e tecnico, possiamo quasi ricostruire, davanti a noi, l'impressionante scena. Il Vangelo è sobrio; ma, soffermandoci sulle circostanze, notiamo subito che si tratta di un avvenimento pieno di interesse e di stupore...
Gesù chiama in disparte i tre discepoli preferiti: Pietro, Giacomo e Giovanni, e con loro sale su di un alto monte.... Andarono, dunque, per rimanere soli e pregare. Giunti sulla vetta... Gesù pregava ciò egli soleva fare durante le ore di riposo e a lungo - sempre dimostrando di quale personale vita interiore vibrasse il suo divin cuore. Ad un certo momento i tre si svegliano; levano gli occhi e vedono Gesù straordinariamente luminoso come se un fuoco di portento si fosse acceso nella sua Persona... Lo sguardo dei veggenti si fissa attonito, estatico.
Gesù così trasfigurato domina sul monte; ed ecco che ai suoi lati si delineano due figure che intraprendono con il Maestro una misteriosa conversazione.... Mosé ed Elia: l'Antico Testamento che converge intorno a Gesù, il Salvatore del mondo!
Pietro - come in altre circostanze il più entusiasta ed esuberante - prorompe in un grido: come è bello rimanere qui, per sempre!.... Ed ecco che l'intero panorama è avvolto da una nube, pur essa candida. Non è nebbia opaca, ma nimbo di gloria che accresce e pone in risalto la visione. Si avverte una presenza ancora più impressionante: infatti una voce profonda, in cui Palpita tutto il cielo, esclama: Questi è il Figlio mio diletto, ascoltatelo.
I discepoli, a sentire che l'intero creato esalta quella voce tonante e dolce insieme, si prostrano per terra e nascondono la faccia senza osare più nemmeno soffermare gli occhi sulla visione. Ad un tratto si sentono toccare: è Gesù, solo, tornato al suo consueto aspetto di sempre. Forse stava albeggiando. La voce del Maestro ordina: Scendiamo, ormai, e nulla direte di quanto avete visto, fino al giorno in cui il Figlio dell'uomo - l'espressione usata da Gesù per indicare se stesso - non sarà risuscitato dai morti. Parole allora incomprensibili per i tre discepoli: i quali, però, giammai avrebbero dimenticato quel prodigio. San Pietro, molto più tardi, forse trent'anni dopo, lo rievoca quale uno «degli spettacoli della grandezza di lui>, in quella sua seconda lettera, che sembra proprio scritta da Roma. Ed aggiunge: «Egli [Gesù] infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, essendo discesa a lui dalla maestosa gloria quella voce: Questi è il mio Figliolo diletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo. E questa voce procedente dal cielo noi la udimmo mentre eravamo con lui sul monte santo>. La testimonianza per Gesù, in questo racconto, rimase quasi un testamento e un saluto dell'apostolo dalla comunità romana.
Ci domandiamo: perché la Chiesa ripropone, nella liturgia, un quadro così sfavillante della gloria del Signore? Occorre spiegare in che modo quell'evento si innesta nella storia evangelica.
Gesù intende dare un saggio di ciò che egli è; vuole impressionare i suoi discepoli perché poco prima ha parlato della sua Passione e ne riparlerà anche in seguito. Sono gli ultimi giorni della sua missione in Galilea. Gesù sta per trasferirsi nella Giudea, ove accadrà il grande dramma della fine del Vangelo, della vita temporale del Signore. Gesù sarà crocifisso. E perché i discepoli, questi tre specialmente, non siano scandalizzati, stupiti, anzi esterrefatti dalla fine tristissima del Maestro, ma conservino la fede, Gesù decide di imprimere nelle loro anime la meraviglia testé rievocata.
Ora la Chiesa la ripresenta anche a noi, come per dire: vedrete il Redentore crocifisso, avrete indicibile sgomento per il suo sangue sparso, per la sua sofferenza, nel contemplarlo come schiacciato dai suoi nemici; e affinché non vi scandalizziate, e non abbiate a tradirlo o a lasciarlo, in quell'ora grande e amara, considerate ora, chi egli è e quanto può.
In altri termini: questa scena del Vangelo pone dinanzi a noi una questione di grandissima attualità, si direbbe fatta sulla misura delle nostre condizioni spirituali. La domanda è la medesima rivolta da Gesù, sei giorni prima dell'evento sul Tabor, agli apostoli: Chi dite che sia il Figlio dell'uomo? La stessa richiesta ripetiamola anche a noi.
Ecco che il Vangelo diventa incalzante e urgente sulle nostre anime: chi pensiamo che sia Gesù? Chi è Gesù in se stesso? La mente corre al catechismo. Sì, ricordiamo che Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo. Ma sappiamo noi bene che cosa ciò vuol significare?
E inoltre: se Gesù è Dio fatto uomo, la meraviglia delle meraviglie, chi egli è per me? Che rapporto c'è tra me e lui? Devo occuparmi di lui? Lo incontro nel cammino della mia vita? È legato al mio destino? Non basta.
Se io domandessi appunto agli uomini del tempo nostro: chi ritenete che sia Cristo Gesù? Come lo pensate? Ditemi: chi è il Signore? Chi è questo Gesù che noi andiamo predicando da tanti secoli e che riteniamo sia ancora più necessario della nostra stessa vita annunciarlo alle anime? Chi è Gesù? Alla domanda alcuni, molti, non rispondono, non sanno che dire .. Esiste come una nube - e questa sì, è opaca e pesante - di ignoranza che preme su tanti intelletti. Si ha una cognizione vaga del Cristo, non lo si conosce bene: si cerca, anzi, di respingerlo. Al punto che all'offerta del Signore di voler essere, per tutti, guida e maestro, si risponde di non averne bisogno, e si preferisce tenerlo lontano. Quante volte gli uomini respingono Gesù e non lo vogliono sui loro passi, lo temono più che identificarlo ed amarlo. Non vogliono che il Signore regni su di loro; cercano in ogni modo di allontanarlo. C'è persino chi urla contro Cristo: Via! E' il grido blasfemo - alla croce! Lo vogliono come annullare e togliere dalla faccia della civiltà moderna; non c'è posto per Iddio, né per la religione; si affannano a cancellare il suo nome e la sua presenza.
Tale è il contenuto di tutto questo laicismo sfrenato che, talvolta, incalza fino alle porte delle nostre chiese e che in tanti Paesi, ancor oggi, infierisce. Non si vuole più l'immagine di Cristo.
Ma il triste fenomeno è degli altri. Noi che abbiamo questo grandissimo e dolcissimo nome da ripetere a noi stessi; noi che siamo fedeli; noi che crediamo in Cristo; noi sappiamo bene chi è? Sapremo dirgli una parola diretta ed esatta; chiamarlo veramente per nome; chiamarlo Maestro, Pastore; invocarlo quale luce dell'anima e ripetergli: tu sei il Salvatore? Sentire, cioè, che egli è necessario, e noi non possiamo fare a meno di lui; è la nostra fortuna, la nostra gioia e felicità, promessa e speranza; la nostra via, verità e vita? Riusciremo a dirlo bene, e completamente?
Ecco il senso del racconto evangelico. Bisogna che gli occhi della nostra anima siano rischiarati, abbagliati da tanta luce e che la nostra anima prorompa nella esclamazione di Pietro: Come è bello stare davanti a te, o Signore, e conoscerti! Gesù ha due aspetti: quello ordinario, che il Vangelo presenta e la gente del tempo vedeva: un uomo vero. Ma, pur a guardarlo sotto questo aspetto umano, c'è qualche cosa, in lui, di singolare, unico, caratteristico, dolce, misterioso, al punto che -come riferisce il Vangelo - coloro che hanno visto Gesù hanno dovuto confessare: nessuno è come lui; nessuno si è espresso mai nella sua maniera. E cioè, anche naturalmente parlando - ed è la testimonianza data da coloro stessi che hanno studiato Gesù cercando di negare ciò che egli è: il Figlio di Dio fatto uomo - tutti devono ammettere: è unico, non c'e alcuno, nella storia di questa nostra umanità, che possa veramente paragonarsi a lui per candore, purità, sapienza, carità, grandezza d'animo, eroismo, per capacità di arrivare ai cuori, per potenza sulle cose.
Ora quanto io vedo con gli occhi, mi dà la definizione completa del Signore?
I tre apostoli sono rimasti a fissare la visione ed hanno notato la trasparenza: nella persona di Gesù c'è un'altra vita, c'è un'altra natura oltre quella umana: la natura divina.
Gesù è un tabernacolo in moto: è l'uomo che porta dentro di sé l'ampiezza del cielo; è il Figlio di Dio fatto uomo, è il miracolo che passa sui sentieri della nostra terra.
Gesù è davvero l'unico, il buono, il santo. Se lo avessimo ad incontrare anche noi, se fossimo noi così privilegiati come Pietro, Giacomo e Giovanni!
Orbene, questa fortuna l'avremo. Non sarà sensibile come nella trasfigurazione luminosa, che ha colpito la vista e la mente degli apostoli, ma la sua realtà sarà largita anche a noi.
Occorre saper trasfigurare, mercè lo sguardo della fede, i segni con cui il Signore si presenta a noi; non per alimentare la nostra fantasia profilandoci un mito, un fantasma, un'immaginazione. No, ma per completare la realtà, il mistero, ciò che veramente è.
Ripetiamo, con le parole di Pietro, che Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo e lasciamo che tali parole si scolpiscono nelle nostre anime, credendo alla realtà ch'esse intendono trasfondere in noi e tutti sappiano che non si tratta d'un uomo che passa e si spegne: non di cosa esteriore, che poco interessa. Senta ognuno e ripeta: è la mia vita, è il mio destino, è la mia definizione, giacché anch'io sono cristiano, anch'io sono figlio di Dio La rivelazione di Gesù svela a me stesso ciò che io sono.
È qui l'inizio della beatitudine, il destino soprannaturale, già ora inaugurato e attivo nel nostro essere. Accresciamo nei nostri cuori la fede in Gesù Cristo, meditando chi veramente egli è; e pensiamo che il suo volto splendente è il sole per le nostre anime. Dobbiamo sempre sentirci illuminati da lui, luce del mondo, nostra salvezza. (marzo 1965)
Non resta che farsi riempire della gioia di Pietro, Giacomo e Giovanni, nei giorni immancabili in cui la vita è più vicina alla 'passioné che alla 'trasfigurazioné, sapendo che il Padre permette dubbio e sofferenza, ma ci pone al fianco Suo Figlio, per sostenerci e confermarci nella via alla trasfigurazione in Cielo.
Può sembrare, nel tempo quaresimale, un non senso quello che racconta il Vangelo oggi, nella trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor. Eppure è proprio in Quaresima che dovrebbe essere tempo di penitenza, per essere degni di capire e giungere alla pienezza della gioia, che è la Pasqua di Resurrezione, che occorrono le 'certezze' che i sacrifici che facciamo, per la nostra conversione, non sono scelte inutili, ma portano alla gloria. Mi ha impressionato, un giorno, visitando gli ammalati in ospedale, il viso di una persona. Il suo male era di quelli che non perdonano. Ma ciò che colpiva era la serenità, come una trasfigurazione nel dolore... quasi a volerci insegnare che vi è 'una sofferenza' che matura e, in più, ci rende davvero figli, degni del premio eterno.
Gesù sapeva che sarebbe venuto il giorno in cui i suoi apostoli si sarebbero 'scandalizzati' della Sua apparente rassegnazione alla sofferenza nella Sua Passione. Non sapevano che era la preziosa scelta consapevole e necessaria per giungere al grande evento della Sua e nostra Resurrezione.
Ed è qui il senso che dobbiamo dare al dolore. Così racconta il Vangelo di Marco:
"Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò su un monte alto, in un luogo appartato, soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elìa con Mosé e discorrevano con Gesù. prendendo la parola Pietro disse a Gesù: 'Maestro, come è bello stare qui; facciamo tre tende, una per Te, una per Mosé e una per Elìa!'. Non sapeva infatti cosa dire, perché erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: 'Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!'. E subito, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti. Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire 'resuscitare dai morti'. (Mc. 9, 1-9)
Facciamoci accompagnare per mano, dal nostro caro Paolo VI, nella meditazione e contemplazione di questa straordinaria pagina di Vangelo.
"Figli del nostro tempo, con i suoi ausili di progresso visivo e tecnico, possiamo quasi ricostruire, davanti a noi, l'impressionante scena. Il Vangelo è sobrio; ma, soffermandoci sulle circostanze, notiamo subito che si tratta di un avvenimento pieno di interesse e di stupore...
Gesù chiama in disparte i tre discepoli preferiti: Pietro, Giacomo e Giovanni, e con loro sale su di un alto monte.... Andarono, dunque, per rimanere soli e pregare. Giunti sulla vetta... Gesù pregava ciò egli soleva fare durante le ore di riposo e a lungo - sempre dimostrando di quale personale vita interiore vibrasse il suo divin cuore. Ad un certo momento i tre si svegliano; levano gli occhi e vedono Gesù straordinariamente luminoso come se un fuoco di portento si fosse acceso nella sua Persona... Lo sguardo dei veggenti si fissa attonito, estatico.
Gesù così trasfigurato domina sul monte; ed ecco che ai suoi lati si delineano due figure che intraprendono con il Maestro una misteriosa conversazione.... Mosé ed Elia: l'Antico Testamento che converge intorno a Gesù, il Salvatore del mondo!
Pietro - come in altre circostanze il più entusiasta ed esuberante - prorompe in un grido: come è bello rimanere qui, per sempre!.... Ed ecco che l'intero panorama è avvolto da una nube, pur essa candida. Non è nebbia opaca, ma nimbo di gloria che accresce e pone in risalto la visione. Si avverte una presenza ancora più impressionante: infatti una voce profonda, in cui Palpita tutto il cielo, esclama: Questi è il Figlio mio diletto, ascoltatelo.
I discepoli, a sentire che l'intero creato esalta quella voce tonante e dolce insieme, si prostrano per terra e nascondono la faccia senza osare più nemmeno soffermare gli occhi sulla visione. Ad un tratto si sentono toccare: è Gesù, solo, tornato al suo consueto aspetto di sempre. Forse stava albeggiando. La voce del Maestro ordina: Scendiamo, ormai, e nulla direte di quanto avete visto, fino al giorno in cui il Figlio dell'uomo - l'espressione usata da Gesù per indicare se stesso - non sarà risuscitato dai morti. Parole allora incomprensibili per i tre discepoli: i quali, però, giammai avrebbero dimenticato quel prodigio. San Pietro, molto più tardi, forse trent'anni dopo, lo rievoca quale uno «degli spettacoli della grandezza di lui>, in quella sua seconda lettera, che sembra proprio scritta da Roma. Ed aggiunge: «Egli [Gesù] infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, essendo discesa a lui dalla maestosa gloria quella voce: Questi è il mio Figliolo diletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo. E questa voce procedente dal cielo noi la udimmo mentre eravamo con lui sul monte santo>. La testimonianza per Gesù, in questo racconto, rimase quasi un testamento e un saluto dell'apostolo dalla comunità romana.
Ci domandiamo: perché la Chiesa ripropone, nella liturgia, un quadro così sfavillante della gloria del Signore? Occorre spiegare in che modo quell'evento si innesta nella storia evangelica.
Gesù intende dare un saggio di ciò che egli è; vuole impressionare i suoi discepoli perché poco prima ha parlato della sua Passione e ne riparlerà anche in seguito. Sono gli ultimi giorni della sua missione in Galilea. Gesù sta per trasferirsi nella Giudea, ove accadrà il grande dramma della fine del Vangelo, della vita temporale del Signore. Gesù sarà crocifisso. E perché i discepoli, questi tre specialmente, non siano scandalizzati, stupiti, anzi esterrefatti dalla fine tristissima del Maestro, ma conservino la fede, Gesù decide di imprimere nelle loro anime la meraviglia testé rievocata.
Ora la Chiesa la ripresenta anche a noi, come per dire: vedrete il Redentore crocifisso, avrete indicibile sgomento per il suo sangue sparso, per la sua sofferenza, nel contemplarlo come schiacciato dai suoi nemici; e affinché non vi scandalizziate, e non abbiate a tradirlo o a lasciarlo, in quell'ora grande e amara, considerate ora, chi egli è e quanto può.
In altri termini: questa scena del Vangelo pone dinanzi a noi una questione di grandissima attualità, si direbbe fatta sulla misura delle nostre condizioni spirituali. La domanda è la medesima rivolta da Gesù, sei giorni prima dell'evento sul Tabor, agli apostoli: Chi dite che sia il Figlio dell'uomo? La stessa richiesta ripetiamola anche a noi.
Ecco che il Vangelo diventa incalzante e urgente sulle nostre anime: chi pensiamo che sia Gesù? Chi è Gesù in se stesso? La mente corre al catechismo. Sì, ricordiamo che Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo. Ma sappiamo noi bene che cosa ciò vuol significare?
E inoltre: se Gesù è Dio fatto uomo, la meraviglia delle meraviglie, chi egli è per me? Che rapporto c'è tra me e lui? Devo occuparmi di lui? Lo incontro nel cammino della mia vita? È legato al mio destino? Non basta.
Se io domandessi appunto agli uomini del tempo nostro: chi ritenete che sia Cristo Gesù? Come lo pensate? Ditemi: chi è il Signore? Chi è questo Gesù che noi andiamo predicando da tanti secoli e che riteniamo sia ancora più necessario della nostra stessa vita annunciarlo alle anime? Chi è Gesù? Alla domanda alcuni, molti, non rispondono, non sanno che dire .. Esiste come una nube - e questa sì, è opaca e pesante - di ignoranza che preme su tanti intelletti. Si ha una cognizione vaga del Cristo, non lo si conosce bene: si cerca, anzi, di respingerlo. Al punto che all'offerta del Signore di voler essere, per tutti, guida e maestro, si risponde di non averne bisogno, e si preferisce tenerlo lontano. Quante volte gli uomini respingono Gesù e non lo vogliono sui loro passi, lo temono più che identificarlo ed amarlo. Non vogliono che il Signore regni su di loro; cercano in ogni modo di allontanarlo. C'è persino chi urla contro Cristo: Via! E' il grido blasfemo - alla croce! Lo vogliono come annullare e togliere dalla faccia della civiltà moderna; non c'è posto per Iddio, né per la religione; si affannano a cancellare il suo nome e la sua presenza.
Tale è il contenuto di tutto questo laicismo sfrenato che, talvolta, incalza fino alle porte delle nostre chiese e che in tanti Paesi, ancor oggi, infierisce. Non si vuole più l'immagine di Cristo.
Ma il triste fenomeno è degli altri. Noi che abbiamo questo grandissimo e dolcissimo nome da ripetere a noi stessi; noi che siamo fedeli; noi che crediamo in Cristo; noi sappiamo bene chi è? Sapremo dirgli una parola diretta ed esatta; chiamarlo veramente per nome; chiamarlo Maestro, Pastore; invocarlo quale luce dell'anima e ripetergli: tu sei il Salvatore? Sentire, cioè, che egli è necessario, e noi non possiamo fare a meno di lui; è la nostra fortuna, la nostra gioia e felicità, promessa e speranza; la nostra via, verità e vita? Riusciremo a dirlo bene, e completamente?
Ecco il senso del racconto evangelico. Bisogna che gli occhi della nostra anima siano rischiarati, abbagliati da tanta luce e che la nostra anima prorompa nella esclamazione di Pietro: Come è bello stare davanti a te, o Signore, e conoscerti! Gesù ha due aspetti: quello ordinario, che il Vangelo presenta e la gente del tempo vedeva: un uomo vero. Ma, pur a guardarlo sotto questo aspetto umano, c'è qualche cosa, in lui, di singolare, unico, caratteristico, dolce, misterioso, al punto che -come riferisce il Vangelo - coloro che hanno visto Gesù hanno dovuto confessare: nessuno è come lui; nessuno si è espresso mai nella sua maniera. E cioè, anche naturalmente parlando - ed è la testimonianza data da coloro stessi che hanno studiato Gesù cercando di negare ciò che egli è: il Figlio di Dio fatto uomo - tutti devono ammettere: è unico, non c'e alcuno, nella storia di questa nostra umanità, che possa veramente paragonarsi a lui per candore, purità, sapienza, carità, grandezza d'animo, eroismo, per capacità di arrivare ai cuori, per potenza sulle cose.
Ora quanto io vedo con gli occhi, mi dà la definizione completa del Signore?
I tre apostoli sono rimasti a fissare la visione ed hanno notato la trasparenza: nella persona di Gesù c'è un'altra vita, c'è un'altra natura oltre quella umana: la natura divina.
Gesù è un tabernacolo in moto: è l'uomo che porta dentro di sé l'ampiezza del cielo; è il Figlio di Dio fatto uomo, è il miracolo che passa sui sentieri della nostra terra.
Gesù è davvero l'unico, il buono, il santo. Se lo avessimo ad incontrare anche noi, se fossimo noi così privilegiati come Pietro, Giacomo e Giovanni!
Orbene, questa fortuna l'avremo. Non sarà sensibile come nella trasfigurazione luminosa, che ha colpito la vista e la mente degli apostoli, ma la sua realtà sarà largita anche a noi.
Occorre saper trasfigurare, mercè lo sguardo della fede, i segni con cui il Signore si presenta a noi; non per alimentare la nostra fantasia profilandoci un mito, un fantasma, un'immaginazione. No, ma per completare la realtà, il mistero, ciò che veramente è.
Ripetiamo, con le parole di Pietro, che Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo e lasciamo che tali parole si scolpiscono nelle nostre anime, credendo alla realtà ch'esse intendono trasfondere in noi e tutti sappiano che non si tratta d'un uomo che passa e si spegne: non di cosa esteriore, che poco interessa. Senta ognuno e ripeta: è la mia vita, è il mio destino, è la mia definizione, giacché anch'io sono cristiano, anch'io sono figlio di Dio La rivelazione di Gesù svela a me stesso ciò che io sono.
È qui l'inizio della beatitudine, il destino soprannaturale, già ora inaugurato e attivo nel nostro essere. Accresciamo nei nostri cuori la fede in Gesù Cristo, meditando chi veramente egli è; e pensiamo che il suo volto splendente è il sole per le nostre anime. Dobbiamo sempre sentirci illuminati da lui, luce del mondo, nostra salvezza. (marzo 1965)
Non resta che farsi riempire della gioia di Pietro, Giacomo e Giovanni, nei giorni immancabili in cui la vita è più vicina alla 'passioné che alla 'trasfigurazioné, sapendo che il Padre permette dubbio e sofferenza, ma ci pone al fianco Suo Figlio, per sostenerci e confermarci nella via alla trasfigurazione in Cielo.
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