domenica 29 aprile 2012

Io sono il Buon Pastore

Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi meditiamo la pagina evangelica che ci mostra Gesù Buon Pastore, attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:

C'era un tempo - e dovrebbe essere sempre - in cui si accentuava la figura del pastore, ossia di quanti Gesù chiama a continuare la Sua presenza tra gli uomini, conferendo loro la Grazia di continuare la Sua opera della salvezza, come Lui.
Ricordo che, da parroco, in Sicilia, si viveva questa giornata come la festa del parroco, buon pastore, ossia Gesù tra di noi. Era il giorno che sollecitava noi sacerdoti e pastori di anime, a chiederci se eravamo in linea con il nostro 'essere', con la nostra 'chiamatà.
Ma chi sono i pastori? Uomini che Gesù sceglie, sradica quasi da questo mondo, li afferra tutti per Sé, affidando loro i Suoi poteri.
Proviamo a volte tanta confusione, conoscendo di quali poteri siamo investiti e di quanta stima e fiducia siamo circondati.
Nessuno può scegliere di essere sacerdote: è Dio stesso che sceglie e chiama.
Ricordo come una volta, incontrando una persona che dimostrava tutta la sua stima verso di noi sacerdoti, chiesi: 'Perché ha così tanta stima e fiducia?'. La risposta mi lasciò stupito: 'Ma voi sacerdoti siete Cristo tra di noi. Normalmente le altre persone, nei loro diversi ruoli, quando va bene, sfiorano la bellezza della santità. Voi ci mostrate Gesù, anzi, siete Gesù tra di noi!'.
Questa è fede profonda!
Sono tanti gli anni che sono prima sacerdote e parroco, poi vescovo, che è davvero la più grande responsabilità verso i fedeli che ci sono affidati.
Non si può essere Cristo tra la gente 'in qualche modo' o, peggio ancora, 'a mezzo servizio'. Per noi, ogni attimo della vita e ogni azione dovrebbe mostrare il Cuore di Dio.
Si prova tanta gioia, ma anche confusione, quando celebrando la S. Messa, affermiamo, diventando Gesù stesso: 'Questo è il mio corpo'. Se da una parte si avverte tutta la propria povertà di uomini, dall'altra non possiamo che rallegrarci, per il dono ricevuto.
Sono gli stessi sentimenti profondi che si provano quando, con la stessa autorità di Dio, nel Sacramento della Penitenza, assolviamo i fratelli: 'lo ti assolvo dai tuoi peccati!'.
Incredibile agli occhi umani, ma realtà divina che si realizza.
E come è grande la responsabilità della proclamazione della Parola di Dio.
Tutto in noi, sacerdoti e vescovi, è Presenza di Gesù che opera. Ma occorre anche meritare, con la testimonianza umile e seria, la fiducia dei fedeli e soprattutto sforzarsi di esprimere una illimitata bontà, che dovrebbe essere la caratteristica dominante di un 'buon pastore'.
Essere 'pastori' non è un mestiere, ma un'azione di Dio in noi e con noi.
Così, oggi, Gesù parla: "Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario, invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde: egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre e offro la vita per le pecore.
E ho altre pecore che non sono di questo ovile: anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso perché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre". (Gv. 10, 11-18)
I fedeli, giustamente, esigono che il sacerdote, che li ha in cura, sia davvero l'incarnazione di Gesù, per lo stile di vita e la fede e serietà espresse dalla sua condotta. Chiedono a noi preti e vescovi di essere coerenti per comportamento e testimonianza. La gente ci vuole vedere diversi: siamo Gesù.
E del resto non possiamo prenderci gioco della fiducia che Dio ha avuto in noi, chiamandoci: una fiducia che la Chiesa ha confermato con l'ordinazione.
L'obbedienza mi ha chiesto di essere parroco in Sicilia. Una prova difficile, per tante ragioni.
Il sacerdote che aveva in cura quella parrocchia si era sposato. Eravamo due sacerdoti e dovevamo ricostruire la fiducia della gente. Ci vollero due anni di paziente attesa, poi, lentamente, la gente cominciò un nuovo cammino e divenne comunità, una stupenda famiglia.
Venne il momento della prova, con il terremoto del gennaio 1968.
Quella notte richiese tutto il nostro amore. La comunità era spaventata e dispersa.
La gente si affidò a noi e così, con la Grazia e la Forza di Dio, si potette vedere il volto meraviglioso del sacerdozio, che ha cura dei fedeli.
Ricordo quei giorni e quegli anni con tanta commozione. Ancora oggi conservo lo stesso amore.
Poi venne il tempo della grande prova, quando Paolo VI mi chiese di essere vescovo di Acerra: una Diocesi che mancava di un pastore da 12 anni.
Dovevo rimettere in piedi una comunità che non esisteva più. Suscitando lentamente fiducia e collaborazione divenne una Diocesi ammirata, al punto che il S. Padre, Giovanni Paolo II, scelse due miei sacerdoti per essere vescovi. Un fatto incredibile.
Paolo VI, parlando ai sacerdoti, affermava: "Noi preti dobbiamo avere una maniera speciale, un'arte speciale di amare Cristo. E qual è? Vediamo se abbiamo cauterizzato il nostro cuore da ogni altro amore per mantenerlo esclusivamente, totalmente impegnato nell'amore di Cristo. Vediamo se siamo ancora in questa dolcezza, in questa totalità di amore a Cristo. Vediamo se lo amiamo veramente come persona viva, presente, se siamo veramente legati con tutto il cuore a nostro Signore Gesù Cristo. Tutta la nostra iniziazione sacerdotale si è svolta proprio su questo tema: 'Ti amerò con tutta l'anima. È il giorno dell'amore questo. Io sono tuo'. Abbiamo detto questo nel giorno in cui abbiamo ricevuto il sacerdozio. Lo diciamo ogni giorno.
Ma possiamo oggi affermarlo con la stessa dedizione di fedeltà? Forse sì, ma di intensità?
Deboli come siamo, forse no. Facilmente ci lasciamo andare e diventa un'abitudine. L'abitudine ci fa comodo! E le parole che prima commuovevano ed esaltavano il nostro spirito? Si fermano sulle labbra, senza entrare nel vivo della vita, abbiamo tante cose da fare, diciamo.
E così ci siamo concessi più alla vita esteriore che a quella interiore. Dobbiamo essere sempre consapevole e presenti alle cose sacre e divine che si realizzano a mezzo delle nostre mani, della nostra voce. Dovremmo ricordarci che i nostri fedeli vogliono che il loro prete sia santo, sia davvero Gesù tra di noi (Paolo VI, vescovo a Milano)
Possono sembrare parole esigenti, dure, ma se ci pensiamo è proprio quello che i fedeli - Dio stesso - chiedono a noi. La comunità che ci è affidata, è composta da persone che sono consce del bisogno di avere chi le guida nel sentiero della fede.
Siamo davvero buoni pastori, pronti a cercare le pecore che si smarriscono, a dare la vita per trovarle e poi fare festa?
Questa domenica ogni comunità giustamente guarda ai propri pastori, non per criticarli, ma per sostenerli nella preghiera e nella collaborazione. Siamo tutti, preti e vescovi, consapevoli delle nostre debolezze, ma sappiamo anche che i nostri fedeli ci chiedono di essere vere guide in questa vita, in cui tante volte sono circondati da mercenari che li usano per i loro interessi e non si curano del loro vero bene.
Con noi cammina e ci sostiene la potenza stessa di Cristo, che ci ha scelti e chiamati. Non può venir meno la nostra fede; Lui è la nostra Guida, il nostro Maestro, il nostro unico Signore.
E dico alle mamme e ai papà: siate felici se Dio dovesse chiamare qualche vostro figlio ad essere sacerdote. È un dono immenso che vi viene offerto.
Ricordo come mamma, il giorno in cui andai ad annunciarle che la Chiesa mi voleva vescovo, fosse tanto felice, al punto da esprimere la sua infinita gioia con uno schiaffetto, dicendomi: 'Ricordati di essere un buon vescovo!'. Alla mia perplessità sulla chiamata - 'Non so come farò' le dissi - serena mi riprese: 'Perché ti preoccupi? Se Dio ti ha chiamato, saprà come guidarti e sostenerti!'.
E così è stato.
A me non resta che dire un grande Grazie a quanti - e sono davvero moltissimi - Dio mi ha fatto dono di incontrare o di servire. Ho sempre ricevuto tanta stima e gioia ed è giusto che oggi chieda a voi di ringraziare con me Dio, continuando a pregare perché sia sempre per tutti il 'buon pastore' che ci si attende. Grazie di cuore.

domenica 22 aprile 2012

Perché siete tristi?

Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:

Doveva davvero essere triste il cuore degli Apostoli, dopo la morte del Maestro. Avevano vissuto insieme, con quale animo è difficile immaginare. Avevano fatto un'esperienza unica con Gesù. Erano stati ammirati del suo parlare profetico, che prospettava una vita, il cui compimento era oltre questo pellegrinaggio terreno. Ma era per loro difficile, forse impossibile, anche solo pensare di poterlo rivedere Risorto. Non esisteva nessuna esperienza in proposito. Eppure, nello stesso tempo, era come se il loro cuore rifiutasse l'evidenza, 'sperando contro ogni speranza' che forse sarebbe accaduto davvero qualcosa che non era esperienza umana: la Resurrezione, appunto.
È lo stesso sentimento che proviamo noi, ogni volta pensiamo al nostro futuro.
Sappiamo che la nostra vita ha un termine qui, ma nello stesso tempo avvertiamo in noi 'un germe di eternità', la certezza, nella fede, che l'oggi è solo la vigilia di un domani senza fine.
Che senso del resto avrebbe la vita, se non avesse un domani?
È davvero vita quella che non ha prospettive nel futuro?
C'è in tutti noi - sperando che nessuno sia vittima del materialismo, tutto ingolfato nel qui, considerato come un effimero passaggio senza sbocco - la consapevolezza che la vita va al di là di questa nostra esperienza terrena, dove tutto è provvisorio, che si sbriciola giorno per giorno per fare strada alla vera Vita che non ha fine, come il seme che pare disintegrarsi, ma per lasciare spazio al germoglio che lui è.
Era il sentimento ambivalente che provavano gli Apostoli. Tristezza per il timore di essersi sbagliati e che tutto fosse finito, speranza che qualcosa di impensabile potesse accadere... Gesù non aveva forse più volte parlato della Sua Resurrezione?
La Presenza di Gesù sulla terra era dovuta al grande amore del Padre, che voleva, tramite Suo Figlio, farci tornare al vero nostro essere, quello da Lui pensato, fin dall'origine del mondo: essere Suoi figli, tutti, ma proprio tutti, perché, anche se non ce ne accorgiamo, siamo a Lui cari come figli. Troppo spesso ci scordiamo della nostra origine divina. Prima che nascessimo nel seno di mamma, eravamo già esistenti nel Cuore di Dio, come veri figli, chiamati a stare con Lui e a partecipare del Suo Amore per l'eternità.
Ma ci voleva la 'chiave' per riaprire la porta del Cielo: il Verbo di Dio Incarnato.
Gesù come noi e per noi è il Dono che ha cancellato ogni traccia di peccato originale, quello che ci impediva di stare con Dio, di farci ritornare a essere completamente parte della Sua Famiglia in Cielo. Dovremmo sempre avere davanti agli occhi, nella mente e nel cuore, questa nostra fondamentale 'vocazione al Cielo' e su di essa impostare tutta la nostra esistenza quaggiù. I cristiani saggi vivono nell'attesa della visione di Dio e su questa certezza di fede impostano la vita, come si legge nella lettera a Diogneto, che risale ai primi tempi del Cristianesimo.
Ne offro uno scorcio, che è la fotografia stupenda di come i nostri fratelli, e sicuramente anche gli Apostoli, dopo le loro incertezze e dubbi, ormai confermati nella fede dal Cristo Risorto, hanno saputo interpretare la vita.
"I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi. Né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche o barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri, partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è loro patria e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano sulla terra, ma la loro cittadinanza è in Cielo. Obbediscono alle leggi stabilite e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti e da tutti sono perseguitati. Non sono conosciuti e vengono condannati. Sono uccisi e riprendono a vivere. Sono poveri e fanno ricchi molti. Mancano di tutto. Sono disprezzati e nel disprezzo hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Facendo del bene vengono puniti come malfattori. Sono condannati e gioiscono ed è come se ricevessero vita".
Questa è la profonda trasformazione che avviene negli uomini che credono e vivono la Resurrezione. Uno stile di vita difficile, anzi impossibile, se non si pone la speranza nel Risorto. Quella speranza che è mancata per un momento agli Apostoli, impauriti dalla morte di Gesù.
Hanno vissuto quell'incertezza che è davvero l'oscurità dell'anima, che anche noi possiamo provare, quando per qualche dura prova della vita perdiamo la serenità e viviamo il dubbio che tutto sia illusione: una sofferenza che tutti, credo, seppur in forme forse diverse, abbiamo sperimentato.
È la prova della nostra fede ed è in quei momenti che, a volte, si spalanca poi all'improvviso il Cielo di una gioia inattesa, come narra il Vangelo di oggi.
"In quel tempo di due discepoli che erano ritornati da Emmaus narravano agli Undici ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: 'Pace a voi!'. Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: 'Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate: un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che ho io'.
Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed
erano pieni di stupore, disse: 'Avete qui qualche cosa da mangiare?'. Gli offrirono una porzione
di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: 'Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosé, nei Profeti e nei Salmi'. Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: 'Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni'. (Lc. 24, 35-48)
Chi non si sente l'inferno addosso - se non si è spenta la voce della coscienza - ripensando ai nostri dubbi o, peggio, ai rifiuti dell'immenso amore con cui Dio ci circonda?
Non siamo ancora in Cielo: lo dobbiamo 'conquistare'. È vero che il vivere è a volte un viaggio duro, pericoloso, ma non lo è più, se siamo sorretti dalla fede di chi cammina con e verso Gesù Risorto. Per questo stupisce e disorienta il rendersi conto di quanti, troppi, vivano come se il Cielo non ci fosse e, quindi, neppure una vita nuova dopo la morte.
Eppure anche se vive in noi un solo briciolo di verità, non possiamo non sentire la nostalgia di un amore più grande, che non può avere casa quaggiù, dove, se siamo fortunati, possiamo al massimo godere di qualche sprazzo, che è come un raggio di sole, che si affaccia al mattino e scompare al tramonto.
Basterebbe stare vicino a fratelli e sorelle che vivono con la nostalgia del Cielo - una nostalgia che li fa vivi, ma come in attesa di una Gioia completa - per scoprire davvero che cosa sia l'ansia di vedere Dio e, quindi, il Paradiso.
Questa terra può solo, a volte, impaurirci, come è accaduto agli Apostoli dopo la Crocifissione del Maestro. Dobbiamo incontrare Gesù vivo, diventare testimoni della Resurrezione, sua e nostra. Dobbiamo lasciarci da Lui riempire il cuore di fede e di amore. Allora Gesù stesso ci mostrerà le Sue piaghe. Solo così, attraverso le Sue piaghe, potremo chinarci, senza paura, sui tanti crocifissi del nostro tempo: i poveri, i malati, i soli, gli emarginati, vedendo nelle piaghe dei nostri fratelli le piaghe stesse di Gesù, che è morto e risorto perché anche noi, tutti, risorgessimo.
Scriveva don Tonino Bello:
"Carissimi, coraggio! Irrompe la Pasqua.
È il giorno dei macigni che rotolano via dall'imboccatura dei sepolcri.
È il tripudio di una notizia che si temeva non potesse giungere più
e che oggi corre di bocca in bocca, ricreando rapporti nuovi tra vecchi amici. È la festa di quanti si credono delusi della vita,
ma nel cui cuore ora all'improvviso dilaga la speranza.
Che sia anche la festa, in cui il traboccamento della comunione venga a lambire le sponde della nostra isola solitaria". (Tonino Bello)

domenica 15 aprile 2012

Gesù risorto torna tra i Suoi discepoli, come oggi tra noi

Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, giornata in cui celebriamo la Divina Misericordia di Gesù Cristo, meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:

Gesù, appena risorse, come era naturale, apparve ai Suoi discepoli: una notizia, la resurrezione, che sarebbe stata poi, fino alla fine dei tempi, l'unica grande Notizia, che dà senso alla nostra vita. Molte volte ci avvolge una profonda delusione o il dubbio. Vivendo una vita che è un saliscendi di incertezze e disorientamenti, siamo come gli apostoli dopo la sepoltura del Maestro.
Davanti a certi fatti, che sono la notte della mente, non riusciamo a intravedere l'alba del nuovo giorno: il giorno del Signore.
D'altra parte credere che la vita non è solo l'esperienza quaggiù, ma ha un suo domani nella eternità è il sogno, almeno per chi conserva un minimo di verità e urgenza di un vero senso della vita, che si vorrebbe fosse realtà e non solo sogno. Abbiamo bisogno di certezze, come gli Apostoli.
Ma non è facile, come non lo fu per l'apostolo Tommaso.
Eppure che senso avrebbe una esperienza di vita destinata a finire, e quindi priva di quella speranza che in fondo tutti sentiamo urgere nel profondo del nostro spirito. Quante volte ci siamo soffermati a pensare ai nostri cari che ci hanno lasciato e li pensiamo talmente vivi di altra vita da sentirli vicini, come se avessero solo cambiato 'residenza'.
Quante volte, visitando i nostri defunti, incontriamo persone che davanti alla tomba, pregano per loro, addirittura dialogano, 'come se non fossero morti, ma solo allontanati per breve tempo... interiormente certi di poterli rincontrare nella gioia. Un'esperienza, se siamo sinceri, che non appartiene solo ai credenti. Ma è dei credenti la certezza che la resurrezione è la pietra miliare su cui poggia la speranza, radicata nella fede.
E è davvero bello sapere con certezza che, non solo Dio e tanti santi, ma anche i nostri cari davvero vivono 'altrove', in quella realtà definita Cielo, ma che non è 'luogo', secondo il nostro pensare umano, ma uno stato di vita, di esistenza, che non è più soggetto alle sofferenze e ai dubbi di quaggiù.
E' la certezza che si sperimenta tante volte visitando i malati, che hanno già il pensiero al Cielo e lo attendono ogni minuto, come il traguardo che corona una vita tutta in cammino verso l'eternità.
Quanti ricordi conservo di uomini, giovani, donne, che ho visitato da malati: avevano il sorriso di chi attende una vita diversa, senza più il peso delle sofferenze e delle angosce di qui.
Così come provo tanta compassione per fratelli e sorelle che vivono consumando la vita nei nulla dei piaceri o di altro, ma senza futuro. Non sono felici. Come nella parabola di Lazzaro, assomigliano ai cagnolini che si accontentano delle briciole che cadono dal tavolo del ricco epulone.
A differenza degli Apostoli, che dopo la morte del Maestro hanno vissuto il dubbio, la paura, il disagio di aver perso ogni punto di riferimento. L'esperienza di essere stati da Lui scelti e di averLo seguito aveva dato un senso a tutto il loro esistere, ora la Sua crocifissione li scaraventava nuovamente in una vita senza futuro. Ma Gesù, mai lascia i Suoi in balia delle loro paure.
Il Vangelo toglie davvero il dubbio sul domani: un domani che ora è l'eternità, se vissuto in attesa del Paradiso, che è Dio.
Racconta l'apostolo Giovanni, il prediletto di Gesù, quanto avvenne il giorno della Resurrezione:
"La sera dello stesso giorno - racconta Giovanni - il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: 'Pace a voi!'. Detto questo mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: 'Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi'. Dopo avere detto questo, alitò su di loro e disse: 'Ricevete lo Spirito Santo e a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi'. (Gv. 20,19-20) Così Gesù non solo apparve - e deve essere stata una grande inattesa sorpresa vederLo risorto - ma subito donò lo Spirito Santo, inviandoli a continuare la Sua missione: quella di invitare il mondo degli uomini ad accogliere il dono della Resurrezione, togliendo ciò che impedisce di essere rinnovati nello Spirito, ossia i nostri peccati.
Davvero, da quel momento gli apostoli iniziano la storia della Chiesa, giunta fino a noi. Una storia che ha il suo fondamento nell'azione di Dio, ma è anche fatta da poveri uomini, ecco perché subito il Vangelo racconta le difficoltà di un apostolo, che non crede possibile che un morto, fosse pure Gesù, il Maestro che tanti miracoli aveva compiuto, possa tornare alla pienezza della vita tra loro e, quindi, tanto meno che li possa rivestire della potenza di guarire il mondo dal peccato, opera che solo Dio può compiere e dunque impensabile che possa essere affidata alle mani di poveri uomini.
È vero. È davvero incredibile, che Dio abbia voluto mettere nelle nostre mani di sacerdoti e vescovi, un potere che è solo Suo. È davvero immensa la fiducia di Dio nell'uomo.
Umanamente sono pienamente comprensibili i dubbi e la esigenza di 'garanzie' di Tommaso.
Ogni volta sono chiamato a 'fare risorgere' un fratello che ha sbagliato, per me è come rivivere quella resurrezione dai 'morti' che Gesù ci ha consegnato. Forse abbiamo perso la coscienza di questa grazia per cui il sacramento della penitenza, che mostra il grande Cuore di Dio pronto a cancellare le tante offese che Gli facciamo, a volte senza neppure rendercene conto .. Ma quello che forse lascia disorientati tanti, è la stessa ragione della confusione di Tommaso: perché chiedere perdono delle nostre colpe ad un sacerdote? Davvero, per volontà di Dio, è 'Cristo che ci assolve', attraverso di lui?
Gesù, con la Sua Presenza e Parola, non lascia adito a dubbi o incertezze, per chi vive la fede. Non basta che ci pentiamo personalmente, Dio vuole perdonarci, Lui stesso, tramite il Sacramento della Penitenza, amministrato da un Suo ministro, che, lo confessa, non si sente giudice, ma dispensatore della misericordia del Padre, che vuole accogliere ogni figlio prodigo.
Noi stessi, dispensatori del Suo Perdono, siamo figli che hanno bisogno dell'abbraccio della Sua misericordia, del Suo perdono. Occorre fede e fiducia. Credo proprio che dovremmo recuperare il dono del Sacramento della Riconciliazione, come incontro rigenerante con il Padre, in un atteggiamento di umile ringraziamento. Stampiamo nella nostra mente le parole dette da Gesù agli apostoli e quindi ai vescovi e ai sacerdoti: "Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". Più chiaro di così si muore... di fatto!
Ecco perché il Vangelo di oggi riporta il dubbio, se non la certezza troppo umana, che dopo la morte si possa risorgere e la risposta di Gesù alla nostra paura.
E' la storia di Tommaso. E chissà quanti 'Tommaso' ci sono tra i cristiani!
"Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: 'Abbiamo visto il Signore!'. Ma egli disse loro: 'Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò'. Ma otto giorni dopo i discepoli erano ancora in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: 'Pace a voi!'. Poi disse a Tommaso: 'Metti il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la mano e mettila nel mio costato e non essere più incredulo, ma credente'. Rispose Tommaso: 'Mio Signore e mio Dio!'. Gesù gli disse: 'Perché mi hai veduto hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno"'. (Gv. 20,21-30)
Davvero nel racconto di Giovanni, rimaniamo senza parole davanti alla comprensione e bontà di Gesù: una bontà che è anche per noi e forse non sappiamo cogliere.
Noi possiamo essere, fin da oggi, quei 'beati " che senza aver visto... credono!
Così scriveva Paolo VI, nostro grande aiuto: "Uno scrittore moderno osserva: Ho conosciuto famiglie cristiane molto ferventi, che dicevano ai loro famigliari: 'E' duro essere cristiani' e la risposta era: 'Oh, sì, è duro!'. Invece noi cristiani dobbiamo sentirci felici perché abbiamo accettato di portare il giogo di Cristo: quel giogo che Gesù chiama soave e leggero, ma dobbiamo sentirci più felici perché abbiamo motivi splendidi e sicuri per esserlo. La salvezza che Cristo ci ha meritato e con essa la luce sui più ardui problemi della nostra esistenza, ci autorizza a guardare ogni cosa con ottimismo".
Ed è vero. Vivere con lo sguardo e la certezza che un giorno, dopo l'esperienza di questo passaggio sulla terra, vedremo la luce di Dio senza più notte, è la forza che sostiene chi crede ed affronta la vita con l'attesa dell'Incontro, come gli Apostoli.
 Che Gesù ci aiuti a guardare alla vita con lo sguardo su quel domani senza più tempo e dolore, affrontando le difficoltà di qui con la serenità di coloro che credono che i giorni che viviamo altro non sono che l'attesa dell'arrivo dello Sposo, così che Gesù ci trovi pronti!

domenica 8 aprile 2012

Il Cielo si apre di nuovo

Oggi è Pasqua, giorno di gioia e speranza per tutti gli uomini che hanno avuto e che hanno fede in Colui che Dio ha mandato per salvare e redimere l'umanità intera. Meditiamo insieme a Mons.Riboldi:

Difficile affidare alle parole il Mistero da vivere in questa solennità di Pasqua, con la Resurrezione di Gesù. Dopo il peccato originale eravamo come esuli senza un domani. Solo Dio poteva come un autore senza limiti cancellare il male fatto e tornare a farci partecipi della Sua stessa Vita e del Paradiso. Mi affido al canto della Chiesa, nella liturgia della notte di Pasqua, che davvero comunica la grande gioia dell'Evento:
"Gesù Cristo nostro Signore ha pagato per noi all'eterno Padre il debito di Adamo
e con il sangue sparso per la nostra salvezza ha cancellato la condanna della colpa antica.
Questa è la vera Pasqua in cui è ucciso il vero Agnello
che con il suo sangue consacra le case dei fedeli.
Questa è la notte in cui hai liberato i figli di Israele, nostri padri,
dalla schiavitù dell'Egitto, e li hai fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso. Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo
dall'oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo,
li consacra all'amore del Padre e li unisce nella comunione dei santi.
O immensità del tuo amore per noi!. O inestimabile segno di bontà:
per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio.
O notte beata, tu sola hai meritato di conoscere il tempo e l'ora
in cui Cristo è risorto dai morti. Di questa notte è stato scritto:
la notte splenderà come il giorno e sarà fonte di gioia per la mia delizia.
O notte veramente gloriosa, che ricongiunge la terra al Cielo e l'uomo al suo Creatore!"
Davvero i santi e tutti i cristiani sanno capire, vivere ed assaporare la grande gioia che è nella Pasqua, giorno di resurrezione di Gesù, che da quel momento, dopo avere pagato un duro prezzo con la sua crocifissione, ci accoglie come fratelli dello stesso Padre e cittadini del Cielo. Giustamente la Pasqua è la festa più grande dell'anno liturgico. Non resta a noi che viverla in pienezza. Per assaporare l'immensa gioia vorremmo metterci nei panni di Maria, la Mamma di Gesù che aveva visto il Figlio morire in croce e con grande delicatezza deporlo nel sepolcro.
Lo amava più di se stessa e Lo amavano sul serio i suoi discepoli, fino a ritenerlo 'il tutto della vità. Per Maria SS. ma, Gesù era il Figlio affidatole dal Padre, che mai aveva abbandonato, fino a starGli vicino sotto la croce. Una forza, frutto dell'amore, che gli apostoli non avevano avuto, tanto da tentare di nascondersi, vivendo quel momento con la sola paura di essere riconosciuti e fare la stessa fine del loro Maestro e Signore.
E' vero che Gesù li aveva rassicurati, parlando del giorno della resurrezione, ma era difficile per loro anche solo capire il significato di quegli avvenimenti e soprattutto l'Evento che ne sarebbe seguito: un Evento che avrebbe letteralmente cambiato le sorti dell'umanità.
Con la Resurrezione le porte del Cielo non si sono aperte solo per Gesù, che così è tornato a Casa non solo come Dio, ma con tutta la Sua Umanità, ma anche per noi, per ciascuno di noi, dopo che Lui ha ritessuto i nostri rapporti con il Padre. E' difficile per noi entrare in questo immenso mondo dell'amore di Dio. Impensabile, nel mondo in cui viviamo, abituato a fare pagare e duramente gli errori che si commettono. E' difficile comprendere quella pietà che fa rinascere chi ha sbagliato. Da noi chi sbaglia paga il duro prezzo delle carceri. Eppure sentiamo tante volte il desiderio di uscire da quell'inferno che spesso ci creiamo con le nostre stesse mani, increduli che ci sia qualcuno capace di capirci, di perdonarci, fino a pagare Lui per noi.
Davvero grande, immenso, per troppi incomprensibile, l'Amore di Dio.
È abitudine a Pasqua accostarsi al sacramento della Riconciliazione, che è la riscoperta del Padre, del Suo Amore, e una rinnovata volontà di comunione verso tutti i fratelli, cioè esperienza di resurrezione! Purtroppo, per tanti, non è così. Vedono la confessione - quella pasquale - come una consuetudine a cui ci si deve assoggettare, così, come tutti i riti che sono vissuti come semplici tradizioni, ci lascia come eravamo. Non è resurrezione!
Davvero invece sperimentano la resurrezione tanti che nella confessione trovano la grazia di 'cancellare' un passato, lontani dal Padre e in conflitto con i fratelli, per ricostruire una vita nuova nella comunione. Quanti ricordi ho di questa vera Pasqua di resurrezione: fratelli che nel sacramento della Riconciliazione sono davvero risorti alla pienezza della Vita, iniziando un nuovo cammino. Ricordo un fratello che un giorno decise di cambiare e venne a trovarmi. Non riusciva neppure a parlare, ma parlavano le sue lacrime, che erano davvero una purificazione, nella ricerca di una via per risorgere. Piangendo raccontò la sua vita sbagliata: un tempo che sembrava il venerdì santo di Gesù. Ma, alla fine, quando gli diedi il perdono di Dio, fu festa e la sua vita, seppur 'in salità e con fatica, da allora divenne 'altra cosa'! Ogni tanto viene a trovarmi e mi comunica la gioia dell'essere tornato a casa.
E sono tanti quelli che sperimentano questa grazia: crocifiggere il male che è dentro di loro ed entrare nella festa della resurrezione. Sono più di quelli che si pensa: testimoni dell'amore del Padre che accoglie il figlio prodigo sulla porta di casa e fa festa.
Ma lascio la parola al nostro caro Paolo VI: "Il Mistero della Pasqua è così alto e così grande, che spazia su tutta la vita cristiana: sulla dottrina, sul costume, sulla liturgia, sull'arte e offre cento aspetti in cui si infrange la sua luce, che è come il sole nell'oscurità dei nostri destini umani.
La Chiesa canta nella notte del Sabato Santo l'inno pasquale, invitando la terra a gioire di questo splendore. 'Tripudi la terra irradiata da tanto fulgore'.
E fa considerare, durante la veglia della celebrazione notturna, come il Mistero della resurrezione di Cristo abbia carattere non solo personale, ma universale: in Cristo risorto, risorge il genere umano. Egli ha raggiunto per primo lo stato perfetto e soprannaturale della vita umana, al quale noi siamo ora inizialmente associati. La Pasqua fa sorgere negli animi sentimenti di letizia e di poesia: 'Sono giunti i giorni in cui dobbiamo cantare l'Alleluja, fratelli: canti la voce, canti la vita, cantino le azioni'. Perciò nasce in noi il desiderio, in questo momento di riflessione sul Mistero pasquale, di cercare quale sia il suo punto focale, e di vedere come questo fu allora individuato, quando l'avvenimento strepitoso si verificò, e come esso è tuttora avvertito, come prima sorgente di tutto il suo canto, dalla liturgia stessa, che da quella fonte deriva le sue rievocazioni di grazia, di preghiera e di poesia. Il punto centrale della Pasqua è il fatto; il fatto storico, preciso, eccezionale, della resurrezione personale di Gesù..... Il fatto, dico, è fondamentale... prima ancora di farne oggetto di commento ed argomento di smisurate conseguenze, gioverebbe ricordarlo, ricostruirlo, rivederlo, e lasciare che la sua evidenza ci impressionasse, ci scuotesse, ci svegliasse dai nostri consueti pensieri, e ci chiamasse alla sua scoperta ed alla sua meraviglia. Ciascuno di noi faccia mentalmente, spiritualmente ricorso alle fonti di quell'avvenimento".
Leggiamo, dunque, insieme e lasciamoci coinvolgere dallo stesso stupore di Pietro e Giovanni nel sentire 'la Notizia dell'Evento' portata dalla Maddalena dopo la visita al sepolcro ..
"Maria Maddalena corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: 'Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!". Pietro uscì insieme all'altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario - che era stato sul suo capo - non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. (Gv. 20,1-9)
Non resta che cantare con cuore gioioso parte della sequenza della S. Messa di Pasqua:
"Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della Vita era morto, ma ora, vivo, trionfa. 'Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via?'.
'La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto, e gli angeli suoi testimoni, il sudario e le sue vesti. Cristo, mia speranza, è risorto: e ci precede in Galilea'.
Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto. Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi".

venerdì 6 aprile 2012

Venerdì Santo - Passione di Gesù Cristo

+ Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni ( 18,1- 19,42 )


- Catturarono Gesù e lo legarono
In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?».

- Lo condussero prima da Anna
Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo».

Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.

Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.

- Non sei anche tu uno dei suoi discepoli? Non lo sono!
Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.

- Il mio regno non è di questo mondo
Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.

Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?».

E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.

- Salve, re dei Giudei!
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi.

Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!».

Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».

All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande».

- Via! Via! Crocifiggilo!
Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parascève della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

- Lo crocifissero e con lui altri due
Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».

- Si sono divisi tra loro le mie vesti
I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato –, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte». E i soldati fecero così.

- Ecco tuo figlio! Ecco tua madre!
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.

(Qui si genuflette e di fa una breve pausa)

- E subito ne uscì sangue e acqua
Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».

- Presero il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli insieme ad aromi
Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.

Parola del Signore

domenica 1 aprile 2012

Domenica delle Palme

Torna l'appuntamento domenicale di meditazione del Vangelo: quest'oggi, Domenica delle Palme, meditiamo la pagina evangelica attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi:

Ci volle un gran coraggio - che è la natura dell'amore - da parte di Gesù per entrare in Gerusalemme quel giorno delle Palme. Lui sapeva molto bene e lo avevano avvertito i suoi, gli Apostoli, che il vaso dell'odio e della volontà di toglierLo di mezzo, in coloro che Gesù, disturbava, perché addirittura metteva in crisi la religione dei padri come da loro era interpretata e insegnata, ormai traboccava. Non si sapeva come questo odio potesse esplodere, ma gli Apostoli percepivano che questa volta poteva succedere qualcosa di tragico; certo non immaginavano neppure che sarebbe finita, come poi accadrà, con l'arresto, la passione e la morte in croce del loro amato Maestro. Eppure Gesù li aveva preparati alla Sua fine.
Aveva detto che Lui un giorno sarebbe salito a Gerusalemme e lì gli scribi e i farisei - ossia quei custodi della legge che Gesù non esitava a definire 'ipocriti' per il fatto che erano esigenti nel pretendere l'osservanza della legge, che trasgredivano con facilità, 'nascondendosi' dietro un'immagine di un Dio padrone e non il vero Dio d'Israele, che sempre è stato per il Suo popolo un Padre premuroso - innocente, Lo avrebbero fatto arrestare, flagellare e condannare a morte, con la sola colpa di essere la VERITA' e l'AMORE.
Più volte Gesù aveva affermato che sarebbe stato arrestato e messo a morte, ma che poi il terzo giorno sarebbe risorto, e, con la sua morte e resurrezione, avrebbe aperto a tutti la possibilità della resurrezione, la nostra resurrezione!
Chissà con quanta tristezza nel cuore Gesù andava con il suo pensiero alla sorte che gli sarebbe toccata. E fa una grande impressione, al solo leggere il Vangelo, pensare a Gesù che nella notte del Giovedì, dopo avere celebrato la Pasqua con i suoi, si ritira solo nel Getsemani a pregare, chiedendo la compagnia dei tre diletti apostoli: Pietro, Giacomo e Giovanni.
Quante volte, anche noi, nel momento del dolore e della prova, ci sentiamo come Gesù che suda sangue e cerca la compagnia e il sostegno degli amici, che erano a due passi da Lui.
Ma li trova addormentati. Era davvero solo a soffrire: una sofferenza che, sapendo quello che Lo attendeva, gli fa dire: 'Padre, se è possibile, passi da me questo calice '.
Una preghiera che, se fosse stata accolta dal Padre, avrebbe annullato la nostra possibilità di partecipare alla resurrezione.
Ma Gesù è l'Amore, un Amore che non conosce confini e limiti, ecco dunque la sua consapevole scelta e decisione, come uomo e come Dio: 'ma si compia in me la tua volontà".
Suscita tanta tristezza il racconto di Gesù che cerca conforto negli apostoli, che aveva scelto, con cui aveva condiviso tutto, volendoli in quel sublime momento vicino a Sé, e... li trova addormentati! Sono scene che richiamano tante volte la nostra storia nel dolore.
Quante volte cerchiamo compagnia e conforto e troviamo solitudine! E, ancor peggio, quante volte siamo 'addormentati' di fronte alle richieste di aiuto di chi è nel dolore!!
Quanti insegnamenti ci offre Gesù per la nostra vita, quando soffriamo o quando dovremmo essere un sostegno per chi soffre.
Ma Gesù conosce la nostra debolezza e non si scandalizza. Infatti solo qualche giorno prima della Sua Passione, si era abbandonato all'amore espresso da chi lo accoglieva portando le palme.
Oggi, ricordiamo quel momento di festa, in cui prevalse in tutti un senso o una voglia di pace.
E' bello anche per noi metterci al seguito di Gesù nel solenne ingresso in Gerusalemme.
Così lo racconta Marco:
"Quando si avvicinarono a Gerusalemme, verso Betfage e Betania, presso il Monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse: 'Andate nel villaggio, che vi sta di fronte, e subito entrando in esso troverete un asinello legato, sul quale mai nessuno è salito. Scioglietelo e conducetelo. E se qualcuno vi dirà: 'Perché fate questo?' rispondete: 'Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito'.
Andarono e trovarono un asinello legato vicino a una porta, fuori sulla strada e lo sciolsero.
E alcuni dei presenti però dissero loro: 'Perché fate questo?'. Risposero: 'Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito' e li lasciarono fare.
Essi condussero l'asinello da Gesù e vi gettarono sopra i loro mantelli ed Egli vi montò sopra.
E molti stendevano i propri mantelli sulla strada ed altri delle fronde che avevano tagliate dai campi. Quelli poi che andavano innanzi e venivano dietro, gridavano: 'Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli! '. (Mc. 11, 1-10)
E' stato davvero un atto di gioia e coraggio quello di Gesù, osannato da gente semplice che vedeva in Lui il Messia che suscitava tanta speranza: una speranza che non ha le sue basi nella pomposità degli uomini, che amano esibirsi, ma nella semplicità che ha radici nella povertà di spirito.
Sono davvero gli umili, la gente semplice, quella che, anche oggi, 'vede' oltre le apparenze e fa festa a Gesù, che è tra di noi.
Entrare nella vita, cavalcando un asino e attorniato da gente modesta, non so se possiamo chiamarlo, secondo i nostri parametri moderni, un 'trionfo'. Noi siamo abituati ad altro ed è per questo che non riusciamo a scorgere ed accogliere la bellezza della Pasqua.
Ma per i credenti ci si commuove oggi, celebrando la domenica delle Palme, anche solo tentando di intuire i sentimenti nel cuore di GESÙ, che, conoscendo le Scritture sul Servo sofferente, ben sapeva ciò che lo attendeva in settimana: non più la dolcezza e spontaneità dei 'piccolì, ma la furia dell'odio di altri che non Lo sopportavano.
Il racconto della passione di Gesù, che la Chiesa ci offre oggi, in chi sa entrare nello spirito del Vangelo, ha sempre un effetto profondo nel suo cuore.
Subito ci viene da identificarci con qualche personaggio che ha un ruolo, più o meno importante nella vicenda. Viene da chiederci "Io chi sono?". Forse Pietro che nel pericolo Lo rinnega? O Maria di Magdala che lo segue nella via del Calvario fin sotto la croce, condividendo dolore e umiliazione? O Pilato che si lava le mani per non avere fastidi, anche se questo suo non assumersi responsabilità, significa aprire la strada a ingiustizie e crimini? O forse, seppur in momenti diversi, un po' di ciascuno di loro vive in noi?
Per questo, nonostante le nostre fragilità e le nostre infedeltà, siamo chiamati, come ogni uomo, ad accompagnare Gesù sul Calvario, per essere inondati dal fiume di misericordia che sgorga dal suo costato. Sarà questo lo spirito con cui vogliamo vivere in questa settimana Santa?
Lo auguro di cuore a tutti per uscire 'nuovi', davvero risorti a vita nuova nella Pasqua.
Auguri di una buona e santa Settimana!
INVITO ALLA PARTECIPAZIONE, NELLA FEDE, AI RITI DELLA SETTIMANA SANTA.
Chiamiamo, quella che precede la Pasqua, Settimana santa, perché in essa non solo ricordiamo, ma siamo chiamati a partecipare alle stupende liturgie, in cui si compiono i Misteri che si celebrano. Partecipando alle varie celebrazioni, si ha come l'impressione di vedere all'opera l'amore di Dio, che, per associarci di nuovo alla Sua famiglia, 'si serve' del Figlio per farci persone nuove, degne di far parte della Loro stessa famiglia, compiendo atti che non sono un ricordo, ma memoria attuale e fondamenta della vita della Sua Chiesa.
Non è concepibile per un fedele fermarsi al 'folklore' esterno, che tante volte circonda le varie liturgie. Basta pensare ai cosiddetti 'sepolcri', che si allestiscono, la sera del giovedì santo, o alle tante 'scenografie' della Via Crucis nella notte della Pasqua di Resurrezione.
Sono simboli o rappresentazioni degli avvenimenti, ma occorre, nella fede, 'entrare e partecipare' alla grande Opera divina, al Mistero, che si compie.
Non dobbiamo restare solo spettatori, ma diventare credenti, che vogliono farsi coinvolgere, con tutto il loro essere, dal Mistero di Amore che è la Pasqua di resurrezione di Cristo e nostra.
GIOVEDÌ SANTO: in tutte le cattedrali delle Diocesi al mattino i presbiteri celebrano la festa del sacerdozio, alla presenza e in comunione con il proprio vescovo.
La S. Messa è detta del S. Crisma, perché vengono benedetti e consacrati gli OLI SANTI.
Alla sera vi è la solenne celebrazione Eucaristica, definita 'In Coena Domini', ossia 'nella Cena del Signore'. È la solennità della 'prima Comunioné della Chiesa, rappresentata dagli Apostoli, con il

Corpo e Sangue di Gesù, donato per sempre quella sera. Una Cena che è la grande manifestazione di Dio che si fa Dono, Pane di Vita, per noi: 'Mistero grande della fede'.
È qui che si misura quanto conta l'Eucarestia per noi: se poco o se tanto. Ognuno deve chiederselo. Durante la S. Messa vi è la lavanda dei piedi: da Gesù impariamo cosa voglia dire 'essere servi' del fratello, chinandosi con gioia per 'lavargli i piedi'. Non è dare cose, ma 'donare noi stessi', la nostra attenzione, il nostro ascolto, il nostro tempo, la nostra accoglienza....
Segue quindi l'esposizione del SS. mo Sacramento per l'adorazione, in quello che un tempo si chiamava 'sepolcrò.
Al Gloria vengono 'legate' le campane che non suoneranno più fino alla Resurrezione.
VENERDÌ SANTO: alle tre del pomeriggio si legge il Passio, quindi vi è il bacio della Croce, come atto di devozione ed amore e la S. Comunione. In tanti luoghi dopo si partecipa alla Via Crucis per le vie cittadine. Noi con chi siamo, il venerdì santo?
Con Maria, Giovanni e le donne a ricordare in Chiesa la passione e baciare il Crocifisso, in attesa della speranza... della resurrezione? O siamo vittime della paura, propria di chi fugge perché non trova più una ragione nella speranza e nel perdono? Ma, se così, dove possiamo andare?
Oppure, Dio non voglia, siamo tra quelli che giocano la vita sull'egoismo, a cui non interessa più che Dio abbia fatto dono del Figlio, per permetterci di uscire dal sepolcro dei nostri peccati e tornare a conoscere la vera vita, senza avere consapevolezza che questa è la vera strada per crocifiggersi... ma senza speranza?
Non si può conoscere la bellezza della vita, se non si conosce l'amore e..... Colui che è l'Amore! SABATO SANTO: la Chiesa, in attesa della resurrezione 'tace'. Normalmente verso mezzanotte si celebra la Pasqua di Resurrezione, preceduta dalle letture che sono il racconto dell'amore di Dio verso di noi. Si accende il cero pasquale che sarà esposto come segno di Cristo, Luce del mondo. Fino al canto del Gloria e il rinnovato suono delle campane, espressione della gioia ritrovata per la Resurrezione del Maestro, anticipazione della nostra stessa resurrezione.
SONO GIORNI CHE RACCONTANO, CELEBRANO E FANNO MEMORIA - CIOÈ ATTUALIZZANO - LA NOSTRA. SALVEZZA. È UN GRANDE ATTO DI FEDE E DI RINGRAZIAMENTO PARTECIPARE.
Noi ci saremo?
Invochiamo lo Spirito, che ci introduca nel cuore del Mistero della Settimana santa.
Consentiamo a Dio, con fiducia nella Sua Misericordia, di operare nella nostra esistenza, donandoci la Sua pienezza di Vita eterna, oggi quaggiù e domani presso di Lui.