giovedì 31 marzo 2011

Sessualità umana - IX appuntamento

Torna l'appuntamento con il documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia "Sessualità umana: verità e significato". Oggi l'attenzione del documento è sull'educazione dei giovani alla castità: per chi segue questi appuntamento settimanali, sa che il Martedì, leggendo la Familiaris Consortio, continuiamo a leggere appelli provenienti dalla mano di Giovanni Paolo II il quale ha scritto davvero tanto sull'importanza dell'educazione giovanile. D'altronde, noi conosciamo l'amore che il caro Papa polacco provava verso i giovani e quindi è naturale vedere tanta apprensione per la loro formazione. In effetti, i timori di Giovanni Paolo II erano ben fondati in quanto la società odierna ci sta mostrando proprio l'aspetto più sbagliato e immorale della sessualità: in particolare, si è diffusa la mentalità che separa l'aspetto procreativo dall'aspetto unitivo scindendo così il significato stesso della sessualità che si divarica in due direzioni; da un parte si parla del sesso-piacere fisico e dall'altro di sesso-procreazione. Ma quest'ambivalenza del significato sessuale è stata introdotta non da Dio, ma dall'uomo che ha completamente dimenticato gli insegnamenti dei Padri della Chiesa e soprattutto delle Sacre Scritture. Dunque l'aspetto educativo, oggi, assume un significato ancora più pregnante rispetto ai tempi, ad esempio, della Familiaris Consortio o del documento in questione: possiamo dire che oggi, queste parole che stiamo leggendo di settimana in settimana, sono ancora più valide perchè ci servono per mantenere vivo il vero significato della sessualità che non può essere sottaciuto o modificato a nostro uso e consumo. L'appello va dunque in primis ai genitori che vogliono educare i figli secondo coscienza: bisogna indirizzare i figli sulla strada giusta mostrando il vero significato della sessualità e mostrando le conseguenze di chi fa sesso senza tenere a mente il suo significato e mostrando cosa accade quando si segue la corrente e non l'ordine prestabilito da nostro Signore. E poi bisogna anche combattere per evitare che le scuole, come sta accadendo in Germania, impongano un'educazione sessuale completamente avulsa da ogni riferimento cristiano e interamente improntata sulla mentalità contraccettiva che sta ormai dilagando nel mondo giovanile:

III

NELL'ORIZZONTE VOCAZIONALE
 
 

I genitori affrontano una preoccupazione attuale
 31. Purtroppo oggi, anche nelle società cristiane, i genitori hanno motivo di essere preoccupati circa la stabilità dei futuri matrimoni dei figli. Devono, però, reagire con ottimismo, malgrado l'incremento dei divorzi e la crescente crisi delle famiglie, impegnandosi per dare ai propri figli una profonda formazione cristiana che li renda capaci di superare le varie difficoltà. In concreto, l'amore per la castità, a cui li aiuteranno a formarsi, favorisce il mutuo rispetto fra l'uomo e la donna e fornisce le capacità di compassione, tenerezza, tolleranza, generosità e, soprattutto, di spirito di sacrificio, senza il quale nessun amore regge. I figli arriveranno così al matrimonio con quella saggezza realistica di cui parla San Paolo, secondo il cui insegnamento gli sposi devono continuamente guadagnarsi l'amore l'uno dell'altro e prendendosi reciprocamente cura con mutua pazienza e affetto (cf 1 Cor 7,3-6; Ef 5,21-23).

32. Mediante questa remota formazione alla castità in famiglia, gli adolescenti e i giovani imparano a vivere la sessualità nella dimensione personale, rifiutando qualsiasi separazione della sessualità dall'amore — inteso come donazione di sé — e dell'amore sponsale dalla famiglia.

Il rispetto dei genitori verso la vita e verso il mistero della procreazione eviterà al bambino o al giovane la falsa idea che le due dimensioni dell'atto coniugale, unitiva e procreativa, possano separarsi a proprio arbitrio. La famiglia viene riconosciuta così come parte inseparabile della vocazione al matrimonio.

Un'educazione cristiana alla castità nella famiglia non può sottacere la gravità morale che comporta la separazione della dimensione unitiva e di quella procreativa nell'ambito della vita coniugale, il che si realizza soprattutto nella contraccezione e nella procreazione artificiale: nel primo caso, s'intende ricercare il piacere sessuale intervenendo sull'espressione dell'atto coniugale per evitare il concepimento; nel secondo caso, si ricerca il concepimento sostituendo l'atto coniugale attraverso una tecnica. Ciò è contrario alla verità dell'amore coniugale e alla piena comunione sponsale.

Così la formazione alla castità dei giovani dovrà diventare una preparazione alla paternità e alla maternità responsabili, che « riguardano direttamente il momento in cui l'uomo e la donna, unendosi "in una sola carne", possono diventare genitori. E momento ricco di un valore peculiare sia per il loro rapporto interpersonale che per il loro servizio alla vita: essi possono diventare genitori — padre e madre — comunicando la vita ad un nuovo essere umano. Le due dimensioni dell'unione coniugale, quella unitiva e quella procreativa, non possono essere separate artificialmente senza intaccare la verità intima dell'atto coniugale stesso ».12

E necessario anche presentare ai giovani le conseguenze, sempre più gravi, che derivano dalla separazione della sessualità dalla procreazione quando si arriva a praticare la sterilizzazione e l'aborto, o a perseguire la pratica della sessualità dissociata anche dall'amore coniugale, prima e fuori del matrimonio.

Da questo momento educativo che si colloca nel disegno di Dio, nella struttura stessa della sessualità, nella natura intima del matrimonio e della famiglia, dipende gran parte dell'ordine morale e dell'armonia coniugale della famiglia e, perciò, dipende anche il vero bene della società.

33. I genitori che esercitano il proprio diritto e dovere di formare alla castità i figli, possono essere certi di aiutarli nella formazione a loro volta di famiglie stabili e unite anticipando così, nella misura possibile, le gioie del Paradiso: « Come descriverò la felicità del matrimonio che la Chiesa fonda, la reciproca offerta conferma, la benedizione suggella, gli angeli proclamano e Dio stesso ha celebrato?... I due sposi sono come fratelli, servi l'uno dell'altra, senza che si dia separazione fra di loro, né nella carne né nello spirito... In essi Cristo si rallegra e invia loro la sua pace; dove sono due, lì si trova anche Lui, e dove c'è Lui non può esserci più il male ».13

mercoledì 30 marzo 2011

Voglia di Paradiso - IX appuntamento

Torniamo a sentire voglia di Paradiso attraverso l'approfondimento dell'opera di Mons. Novello Pederzini: "Voglia di Paradiso". Il pensiero di oggi è interamente rivolto a Cristo: infatti, il Paradiso prima di essere un luogo è una Persona e cioè Gesù Cristo. Tutta la nostra vita non è altro che un pellegrinaggio guidato da Gesù: Egli cammina dinanzi a noi e noi siamo chiamati a seguirLo, consapevoli che Egli è l'Unico che può condurci alla meta a cui tutti gli esseri umani aspirano, anche se molti lo negano per disillusione, per mancanza di fede 
e/o speranza. Dunque la bellezza di oggi sta nello scoprire come il Paradiso tanto decantato nelle Sacre Scritture, è in primo luogo comunione vera con Cristo: tutti i Santi hanno compreso bene questo punto e hanno cercato il modo per entrare in Comunione con Gesù già durante la loro vita terrena; il modo che hanno trovato per far questo è stato accogliere e vivere la sofferenza perchè è nella sofferenza che si sentivano vicini a Colui che per primo aveva sofferto per amore di tutti gli uomini, buoni e cattivi, giusti e ingiusti. L'uomo oggi non si rende conto di tutto questo e non si ricorda nemmeno qual è lo scopo della sua esistenza: spende il suo tempo cercando di trovar stabilità, dimenticandosi che non esiste stabilità poiché noi siamo come un popolo nomade in terra straniera. Soltanto vedendo con gli occhi rivolti all'eterno, si può scorgere quest'aspetto della nostra esistenza: se un uomo vedesse con gli occhi di Gesù e dei Suoi Santi, si renderebbe conto di quanto risibile è la durata di questa vita terrena e dunque capirebbe come essa sia soltanto un cammino per giungere al Paradiso, alla Comunione Eterna con Cristo:

6.

IL PARADISO E’ COMUNIONE CON CRISTO

Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato... prima della creazione del mondo. Giovanni 17, 24

Il vincitore sarà vestito di bianche vesti, non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma lo riconoscerò davanti al Padre mio e davanti ai suoi Angeli. Apocalisse 3, 5

Il Paradiso è comunione con Cristo

«Oggi sarai con me in Paradiso»

Bibbia alla mano, in umile ascolto e rinunciando ad aprioristiche opinioni, sforziamoci di accogliere ciò che Dio ha voluto rivelarci sul Paradiso. Le parole che più ci colpiscono sono quelle con le quali Gesù illustra l'esistenza e i contenuti fondamentali del Paradiso. Sono le parole proferite sulla croce, poco prima di morire.

Racconta l'evangelista Luca: «Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!".
Ma l'altro lo rimproverava: "Neanche tu hai timore di Dio benché condannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male". E aggiunse: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno". Gli rispose: "In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso"».
In poche semplici parole Gesù dice l'essenziale:

l. oggi: cioè subito, senza attendere tempi più o meno lunghi, senza aspettare la fine del mondo e la risurrezione dei corpi;

2. sarai con me, cioè in mia compagnia, in intima comunione di amicizia e di amore. Sarai dove sarò io: e staremo e godremo insieme;

3. in Paradiso: in un luogo e in uno stato di delizie, dove cesseranno, finalmente, tutte le sofferenze della vita presente.

Ecco dunque la principale rivelazione: in Paradiso saremo in comunione piena e definitiva con Cristo! La promessa fatta al ladrone pentito vale per tutti coloro che nel Giudizio finale saranno ritenuti degni di entrare in Paradiso. Gesù dirà "venite benedetti...", e li introdurrà personalmente nel suo Regno. E nella comunione con Lui avranno gioia piena e felicità senza fine.

Piena comunione con Cristo

Essere con Cristo è la massima perfezione e la massima felicità.

Essere lontani da Lui è la maggiore di tutte le infelicità.

Dove è Gesù, è il Paradiso; dove Egli manca, è l'inferno.

Proprio per questo, il diacono Stefano, mentre moriva sotto i colpi delle pietre, guardava sorridente il cielo, pregustando la gioia di incontrare Gesù. Nella vita terrena, siamo già uniti a Cristo, ma percepiamo solo confusamente questa unione. Inoltre non possiamo vederlo, perché manchiamo dello strumento necessario per vedere il Signore glorificato. Siamo come un cieco che non percepisce i meravigliosi colori del bel quadro che ha fra le mani. Quando raggiungeremo il Paradiso, invece, incontreremo Cristo, che ci svelerà, finalmente, il suo volto. Lo vedremo

- immediatamente,

- direttamente,

- personalmente,

e subito saremo coscienti della nostra comunione con Lui.

Non ci sembrerà vero di poter vedere e abbracciare quel Gesù che è stato l'oggetto di tanti sospiri, di tante preghiere, di tante scelte faticose, di tante rinunce, di tanti sacrifici, di tante speranze e anche di tanti dubbi e paure! E saremo felici di constatare che le molte speranze non erano un'illusione; e che la nostra fiducia nell'invisibile era stata molto bene riposta!

Un incontro che non ci deluderà

L'incontro con Gesù non porterà alcuna delusione, come invece spesso accade fra persone umane. Egli supererà tutte le attese, perché Egli è diverso da chiunque altro: in Lui, infatti, è tutto l'amore che il Padre ci vuole donare. La vita del cielo è la partecipazione alla sovranità di Cristo, che è il Signore del cielo e della terra. E se giungeremo a incontrarlo nella sua persona pienamente manifestata, sperimenteremo che Cristo ci darà ciò che il nostro cuore ha desiderato per tutta la vita. Tutto il cammino terreno è stato un viaggio verso questa persona, senza averla mai potuta vedere. In Paradiso saremo pieni di stupore, quando scopriremo che tutte le cose belle erano solo un'ombra, e che l'unica realtà era proprio Lui, e solo Lui! La morte diverrà amica e sorella, perché sarà il passaggio che ci apre alla comunione con Gesù. Così pensava l'apostolo Paolo, che prigioniero in Roma e in attesa del processo era lieto di scrivere: per me vivere è Cristo, e la morte un guadagno... infatti la cosa migliore è quella di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo. Colui che sarà degno del Paradiso sperimenterà immediatamente ciò che già sapeva, e cioè che Cristo è per noi il pane, la vita, la luce, la verità, la via.

Cristo è il pane

Gesù, per illustrarci la sua piena comunione con noi nella patria celeste, usa la similitudine del pane. Cristo dice di essere il pane, il pane vero, il pane buono. È il pane che solo può saziare la fame più intima e profonda: la fame del cuore e dello spirito. La nostra vita è caratterizzata da una continua fame, ma nel tempo presente possiamo vivere solo di desiderio. Gesù promette: io vi darò un pane che sazierà la vostra fame profonda, come il pane terreno sazia la fame corporale. E moltiplica i pani, sfamando la folla, come segno di una realtà futura in cui tutti saranno pienamente e definitivamente saziati. Giunge poi a trasformare il pane terreno nel suo Corpo e nel suo Sangue per farne il cibo per la fame spirituale dei suoi figli e fratelli. Ma anche questo pane non sazia perfettamente: solo in Paradiso diverrà Pane vero per appagare totalmente e definitivamente la nostra fame. Solo in Paradiso potremo sederci a quel gustoso banchetto preparato e servito personalmente da Lui.

Cristo è la vita

Gesù ha detto inoltre di essere la vita. Noi amiamo la vita e aneliamo a farla crescere e ad arricchirla. Desideriamo goderla in pienezza, senza amarezze e delusioni, ma purtroppo il nostro desiderio di godere non è mai pienamente soddisfatto:

- né dai beni materiali,

- né dal successo nella professione e nel lavoro,

- né dall'amore,

- né dalle amicizie,

- né dal danaro,

- né dagli onori,

- né da qualunque bene pur ambito e prestigioso.

La nostra vita è perennemente segnata dall'insoddisfazione, dalla tristezza, e spesso dalla depressione.Non esiste un momento nel quale possiamo dire di essere pienamente felici e quindi totalmente appagati. Perché?Perché nessuna persona e nessuna cosa si identificano con quella pienezza di vita e quindi di felicità alla quale aspiriamo. Gesù dice: solo io vi posso appagare; io e non altri, perché io sono la Vita, la Vita piena e sicura! Ciò che voi chiamate vita è solo un riflesso della Vita che sono io! La vostra vita è povera e caduca, ma se crederete in me essa diventerà piena e perenne. Per avere una vita piena, dovete essere uniti a me, come il tralcio deve essere unito alla vite e all'albero, per vivere e fiorire. Questa vita divina è già presente e operante nella vita terrena, ma sarà pienamente manifestata e posseduta in quella futura. Allora godremo la gioia di sentirci immersi in lui, nostra vera e unica Vita.

Cristo è la luce

Alla vita si collega la luce. Cristo è la luce vera: la luce che allontana le tenebre, che vince l'errore, che smaschera l'ipocrisia, che scaccia il peccato. La luce rischiara e illumina il mondo, ma ogni luce terrena può scacciare l'oscurità solo temporaneamente e parzialmente. E anche quando è piena e splendente, come nel sole, non può concedere alla persona umana quel fulgore di cui ha bisogno per comprendere se stessa, e per percorrere le vie dello spirito e del cuore. Per soddisfare queste aspirazioni occorre un sole diverso da quello visibile, c'è bisogno di una luce che faccia conoscere le verità che sono al di fuori e al di sopra della realtà terrena, che è troppo parziale e relativa.

Solo Cristo può dare questa luce!

Solo Lui, che viene dal profondo della vita trinitaria può trasmettere la Verità di Dio, e con autorità divina. Il credente unito a Cristo nella sua vita terrena è già un illuminato da Lui, ma nella vita beata comprenderà pienamente tutta la Verità, immergendosi nella luce essenziale che è Dio, visto a faccia a faccia! In Paradiso si adempirà ciò che Paolo scriveva ai Corinzi: «Dio che disse: rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina, che rifulge sul volto di Cristo».

Cristo è la verità

Dio, che «abita in una luce inaccessibile», è divenuto accessibile in Cristo. In lui, quindi, «possiamo vedere il Padre». Ma durante questo tempo della vita terrena la realtà divina, pur accessibile, continua però a rimanere velata. Nell'esistenza celeste, invece, l'incontro con Cristo avverrà in modo diretto e senza alcuna sovrapposizione. Noi ci incontreremo con la Verità nella sua gloria e ne saremo dominati. E così la nostra fame di verità sarà pienamente saziata.

Cristo è la via

Cristo, nell'esistenza celeste, sazierà pienamente e definitivamente la nostra fame di pane di vita, di luce e di verità. Ma c'è di più: l'incontro con lui sarà anche la Via al Padre, che è il termine ultimo del nostro «andare a Dio». Perché non è solo il Maestro che indica la Via per arrivare al Padre, ma è la stessa Via, che deve essere percorsa per arrivare al Padre di tutti. Gesù lo afferma esplicitamente: «io sono la Via!». Noi accogliamo il suo invito, accostandoci a lui nella fede.

Ma fin che siamo nella fede non possiamo conoscere pienamente l'essenza di questa Via: la conosceremo completamente in Paradiso, quando ci sarà dato di conoscere che Lui solo è la "porta" d'accesso all'intimità del Padre. Ed essendo la Via obbligata al Padre, Egli ha il diritto di disporre liberamente della casa paterna e di introdurvi coloro che gli sono uniti. In questa casa invita gli amici:

- al banchetto della gioia,

- al convito di festa,

- alla tavola di Dio,

dove Egli stesso siederà a mensa e servirà i commensali. Al termine del viaggio terreno Egli assicura una meta felice: Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato, perché tu mi hai amato prima della creazione del mondo.

Cristo è il nostro tutto

Il Paradiso, quindi, prima che un luogo o qualcosa di grandioso e di bello, è una Persona: Gesù Cristo, il Figlio di Dio, il Verbo Incarnato; e, con lui e per lui, il Padre e lo Spirito Santo. Scopo della vita, perciò, è solamente Cristo. Giacomo Cusano, il santo palermitano della carità, così illustra la felicità dell'incontro con il Salvatore: «Gesù Cristo è nostro, tutto nostro, e abbracciarlo sarà la somma gioia. Egli è la nostra letizia, la nostra pace, la nostra esaltazione, il nostro gaudio, il nostro desiderio, il nostro pensiero, la nostra vita, il nostro alimento, la nostra forza, la nostra sostanza, la nostra speranza, la nostra felicità, il nostro Dio, il nostro Tutto».

martedì 29 marzo 2011

Familiaris Consortio - La famiglia cristiana - XX

Continuiamo il percorso familiare e reimmergiamoci nelle parole della Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II. Oggi, al centro dell'attenzione, vi è l'intinerario morale che devono seguire gli sposi, all'interno del matrimonio. C'è un aspetto che mi preme sottolineare: il Venerabile Giovanni Paolo II parla di gradualità del cammino e non di gradualità della legge il che equivale a dire che non esiste una morale od una legge che si adatti alle diverse circostanze: dunque il pensiero degli interpreti "moderni" è completamente erroneo perchè non è possibile immaginare una legge che si applichi in maniera diversa da caso a caso: sarebbe come dire che mentre Tizio e Caio devono osservare la castità, Sempronia e Tizia non la devono rispettare perchè loro vivono una condizione diversa. Dunque, è giusto pensare alla gradualità del cammino anche perchè certamente le differenza da caso a caso vi sono, ma l'importante è non giungere alla conclusione pericolosa che la Legge di Dio sia adattabile poiché siamo noi a doverci adattare e non viceversa. Questa è un importante precisazione che il Venerabile Giovanni Paolo II ha cercato di spiegare con queste parole:

II. Il servizio della vita

1) La trasmissione della vita  

L'itinerario morale degli sposi

34. E' sempre di grande importanza possedere una retta concezione dell'ordine morale, dei suoi valori e delle sue norme: l'importanza cresce, quando più numerose e gravi si fanno le difficoltà a rispettarli.

Proprio perché rivela e propone il disegno di Dio Creatore, l'ordine morale non può essere qualcosa di mortificante per l'uomo e di impersonale; al contrario, rispondendo alle esigenze più profonde dell'uomo creato da Dio, si pone al servizio della sua piena umanità, con l'amore delicato e vincolante con cui Dio stesso ispira, sostiene e guida ogni creatura verso la sua felicità.

Ma l'uomo, chiamato a vivere responsabilmente il disegno sapiente e amoroso di Dio, è un essere storico, che si costruisce giorno per giorno, con le sue numerose libere scelte: per questo egli conosce ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita.

Anche i coniugi, nell'ambito della loro vita morale, sono chiamati ad un incessante cammino, sostenuti dal desiderio sincero e operoso di conoscere sempre meglio i valori che la legge divina custodisce e promuove, e dalla volontà retta e generosa di incarnarli nelle loro scelte concrete. Essi, tuttavia, non possono guardare alla legge solo come ad un puro ideale da raggiungere in futuro, ma debbono considerarla come un comando di Cristo Signore a superare con impegno le difficoltà. «Perciò la cosiddetta "legge della gradualità", o cammino graduale, non può identificarsi con la "gradualità della legge", come se ci fossero vari gradi e varie forme di precetto nella legge divina per uomini e situazioni diverse. Tutti i coniugi, secondo il disegno divino, sono chiamati alla santità nel matrimonio e questa alta vocazione si realizza in quanto la persona umana è in grado di rispondere al comando divino con animo sereno, confidando nella grazia divina e nella propria volontà» (Giovanni Paolo PP. II, Omelia per la conclusione del VI Sinodo dei Vescovi, 8 [25 Ottobre 1980]: ASS 72 [1980] 1083). In questa stessa linea, rientra nella pedagogia della Chiesa che i coniugi anzitutto riconoscano chiaramente la dottrina della «Humanae Vitae» come normativa per l'esercizio della loro sessualità, e sinceramente si impegnino a porre le condizioni necessarie per osservare questa norma.

Questa pedagogia, come ha rilevato il Sinodo, comprende tutta la vita coniugale. Per questo il compito di trasmettere la vita deve essere integrato nella missione globale dell'intera vita cristiana, la quale senza la croce non può giungere alla risurrezione. In simile contesto si comprende come non si possa togliere il sacrificio dalla vita familiare, anzi si debba accettare di cuore, perché l'amore coniugale si approfondisca e diventi fonte di intima gioia.

Questo comune cammino esige riflessione, informazione, idonea educazione dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici, che sono impegnati nella pastorale familiare: tutti costoro potranno aiutare i coniugi nel loro itinerario umano e spirituale, che comporta la coscienza del peccato, il sincero impegno di osservare la legge morale, il ministero della riconciliazione. E' pure da tenere presente come nell'intimità coniugale siano implicate le volontà di due persone, chiamate però ad una armonia di mentalità e di comportamento: ciò esige non poca pazienza, simpatia e tempo. Di singolare importanza in questo campo è l'unità dei giudizi morali e pastorali dei sacerdoti: tale unità dev'essere accuratamente ricercata ed assicurata, perché i fedeli non abbiano a soffrire ansietà di coscienza (cfr. Paolo PP. VI «Humanae Vitae», 28).

Il cammino dei coniugi sarà dunque facilitato se, nella stima della dottrina della Chiesa e nella fiducia verso la grazia di Cristo, aiutati ed accompagnati dai pastori d'anime e dall'intera comunità ecclesiale, essi sapranno scoprire e sperimentare il valore di liberazione e di promozione dell'amore autentico, che il Vangelo offre ed il comandamento del Signore propone.

lunedì 28 marzo 2011

Comunicazione

Carissimi, causa problemi personali, oggi non sono in grado di pubblicare il consueto appuntamento con il Diario di Suor Faustina. Mi scuso per l'inconveniente e spero di tornare domani a postare regolarmente. Un caro saluto a tutti!

domenica 27 marzo 2011

Scoprire la Sacra Liturgia - Mediator Dei - Diciannovesima parte

Continuiamo ad indagare la bellezza della Sacra Liturgia, nel giorno in cui Cristo ha vinto la morte, attraverso le parole dell'Enciclica Mediator Dei di Papa Pio XII. Continua a l'approfondimento della seconda parte dell'Enciclica, dedicata al Culto Eucaristico: oggi scopriamo il vero significato dell'adorazione eucaristica, ancora ignoto a buona parte di noi fedeli:

Parte II.

Il Culto Eucaristico

L'adorazione dell'Eucaristia

Il nutrimento Eucaristico contiene, come tutti sanno, «veramente, realmente e sostanzialmente il Corpo e il Sangue insieme con l’Anima e la Divinità di Nostro Signore Gesù Cristo»; non fa quindi meraviglia se la Chiesa, fin dalle origini, ha adorato il Corpo di Cristo sotto le specie Eucaristiche, come appare dai riti stessi dell'Augusto Sacrificio, con i quali si prescrive ai sacri ministri di adorare il santissimo Sacramento con genuflessioni o con inclinazioni profonde.

I Sacri Concili insegnano che, fin dall'inizio della sua vita, è stato trasmesso alla Chiesa che si deve onorare «con una unica adorazione il Verbo Dio incarnato e la sua propria carne»; e Sant’Agostino afferma: «Nessuno mangia quella carne, senza averla prima adorata», aggiungendo che non solo non pecchiamo adorando, ma pecchiamo non adorando.

Da questi principi dottrinali è nato e si è venuto poco a poco sviluppando il culto Eucaristico dell’adorazione distinto dal santo Sacrificio. La conservazione delle Sacre Specie per gli infermi, e per tutti quelli che venivano a trovarsi in pericolo di morte, introdusse il lodevole uso di adorare questo cibo celeste conservato nelle chiese. Questo culto di adorazione ha un valido e solido motivo. L'Eucaristia, difatti, è un sacrificio ed è anche un Sacramento; e differisce dagli altri Sacramenti in quanto non solo produce la grazia, ma contiene in modo permanente l'Autore stesso della grazia. Quando, perciò, la Chiesa ci comanda di adorare Cristo nascosto sotto i veli Eucaristici, e di chiedere a Lui doni soprannaturali e terreni di cui abbiamo sempre bisogno, manifesta la fede viva, con la quale crede presente sotto quei veli suo Sposo divino, gli manifesta la sua riconoscenza e gode della sua intima familiarità.

Di questo culto la Chiesa, nel decorso dei tempi, ha introdotto varie forme, ogni giorno certamente più belle e salutari: come, per esempio, devote ed anche quotidiane visite ai divini tabernacoli; benedizioni col santissimo Sacramento; solenni processioni per paesi e città, specialmente in occasione dei Congressi Eucaristici, e adorazioni dell'augusto Sacramento pubblicamente esposto. Le quali pubbliche adorazioni talvolta durano per un tempo limitato, talvolta, invece, sono prolungate per intere ore e anche per quaranta ore; in qualche luogo sono protratte per la durata di tutto l'anno, a turno, nelle singole chiese; altrove, poi, si continuano anche di giorno e di notte, a cura di Comunità religiose; e ad esse spesso prendono parte anche i fedeli.

Questi esercizi di devozione contribuirono in modo mirabile alla fede ed alla vita soprannaturale della Chiesa militante in terra la quale, così facendo, fa eco, in certo modo, alla Chiesa trionfante che innalza in eterno l'inno di lode a Dio e all'Agnello «che è stato ucciso». Perciò la Chiesa non solo ha approvato, ma ha fatto suoi e ha confermato con la sua autorità questi devoti esercizi, propagati dovunque nel corso dei secoli. Essi sgorgano dallo spirito della sacra Liturgia; e perciò, qualora siano compiuti col decoro, la fede e la devozione richiesti dai sacri riti e dalle prescrizioni della Chiesa, certamente aiutano moltissimo a vivere la vita liturgica.

Né si deve dire che questo culto Eucaristico provoca una erronea confusione tra il Cristo storico, come dicono, che è vissuto in terra e il Cristo presente nell'Augusto Sacramento dell'altare, e il Cristo trionfante in cielo e dispensatore di grazie; si deve, anzi, affermare che, in tal modo, i fedeli testimoniano e manifestano solennemente la fede della Chiesa, con la quale si crede che uno e identico è il Verbo di Dio e il Figlio di Maria Vergine, che soffrì in Croce, che è presente nascosto nella Eucaristia, che regna nel cielo. Così S. Giovanni Crisostomo: «Quando te lo vedi presentare (il Corpo di Cristo), di’ a te stesso: Per questo Corpo non sono più terra e cenere, non più schiavo, ma libero: perciò spero di avere il cielo e i beni che vi si trovano, la vita immortale, l’eredità degli Angeli, la compagnia di Cristo: questo Corpo, trafitto dai chiodi, dilaniato dai flagelli, non fu preda della morte . . . Questo è quel corpo che fu insanguinato, trapassato dalla lancia, dal quale scaturirono due fonti salutari: l'una di sangue, l'altra di acqua . . . Questo Corpo, ci diede e da tenere e da mangiare, il che fu conseguenza di intenso amore».

In modo particolare, poi, è molto da lodarsi la consuetudine secondo la quale molti esercizi di pietà entrati nell'uso del popolo cristiano si concludono col rito della benedizione Eucaristica. Nulla di meglio e di più vantaggioso del gesto col quale il sacerdote, levando al cielo il Pane degli Angeli, al cospetto della folla cristiana prostrata, e volgendolo intorno in forma di croce, invoca il Padre celeste perché voglia volgere benignamente gli occhi a suo Figlio, crocifisso per amor nostro, e a causa di Lui che volle essere nostro Redentore e fratello, e per suo mezzo, effonda i suoi doni celesti sui redenti dal sangue immacolato dell'Agnello.

Procurate, dunque, Venerabili Fratelli, con la vostra abituale, somma diligenza, che templi edificati dalla fede e dalla pietà delle generazioni cristiane nel decorso dei secoli come un perenne inno di gloria a Dio Onnipotente e come degna dimora del nostro Redentore nascosto sotto le specie Eucaristiche, siano il più possibile aperti ai sempre più numerosi fedeli, perché essi, raccolti ai piedi del nostro Salvatore, ascoltino il suo dolcissimo invito: «Venite a me voi tutti che siete tribolati ed oppressi, ed io vi ristorerò». Siano davvero i templi la casa di Dio, nella quale chi entra per domandare favori, si allieti di tutto conseguire e ottenga la celeste consolazione.

Soltanto così potrà avvenire che tutta l'umana famiglia si pacificherà nell'ordine, e con mente e cuore concordi canterà l'inno della speranza e dell'amore: «Buon Pastore, pane verace - o Gesù, di noi pietà: - tu ci pasci, tu difendici; facci tu vedere la felicità - nella terra dei viventi».

Non chiedere...

Torna l'appuntamento, della Domenica mattina, di meditazione del Vangelo. Il Vangelo di oggi è una nuova tappa verso la Pasqua e ci mostra il celebre incontro tra la donna samaritana e il Giudeo Gesù che mostra come il Messia non tenga conto delle divisioni e delle separazioni umane, proprio perchè il Suo sacrificio è universale. Questa Domenica meditiamo con la riflessione precisa di don Marco Pedron:

Il vangelo di oggi ci propone questo incontro meraviglioso tra Gesù e la Samaritana.
Gesù, che è giudeo, si trova in Samaria, che è pagana. I profeti erano andati spesso dai Samaritani a dirgli: "Branco di ignoranti! Bisogna andare al tempio di Gerusalemme, non sul Garizim, il monte dove andate voi! Siete eretici, impuri: convertitevi!".
Noi dobbiamo entrare nella logica e nella mentalità di quel tempo per capire cosa Gesù fa. Ciò che Gesù fa è contro ogni buon senso e contro ogni regola del tempo. L'incontro infatti sovverte tutte le norme comuni e religiose. Gesù scavalca tutte le barriere.
La barriera del sesso: un rabbino (Gesù) non doveva mai rivolgere la parola ad una donna fuori di casa, neanche la sua! La barriera della razza: i samaritani erano considerati dei bastardi in quanto erano mescolanza con gli Assiri. La barriera della nazionalità: i samaritani erano considerati forestieri. La barriera della religione: erano considerati scismatici e impuri. barriera della ben-dicenza: parlare al pozzo ad una donna era corteggiarla, farle delle avances, "provarci", e la cosa sarebbe andata in bocca a tutti (mal-dicenza). Eppure Gesù rompe ogni schema e le parla. E' per questo che i suoi discepoli sono scandalizzati (4,27)!
Gesù fu un uomo libero e solo per questa sua libertà fece degli incontri meravigliosi nella sua vita. Gesù non si faceva delle idee sulle persone, né aveva dei pregiudizi: lui le incontrava. Non diceva mai: "Questo no perché si dice che è così… questo lo evitiamo perché tutti sappiamo chi è, cos'ha fatto… quello è così, meglio lasciar stare…". Lui andava a vedere.
Gesù non diceva: "Questo è ricco, no! (Zaccheo); questa (dicono) è una donna di malaffare, no! (l'adultera, la samaritana; Gesù toccava le donne!); questo, lo sanno tutti, è un ladro (Matteo Levi), no!; questo la legge non lo permette (guarire di sabato), no!; questo non sta bene (la donna che lavò con le lacrime i suoi piedi e con i capelli glieli asciugò), no; questi sono pagani, eretici (samaritani), no; questi sono peccatori (i pubblicani, le prostitute), no". E proprio per questo essere fuori dagli schemi Gesù fu considerato un anti-dio e condannato a morte. Poiché era scomodo e inopportuno per tutte le persone piene di regole, di rigidità e dalla mentalità ristretta.
Essere liberi vuol dire non permettere che idee, barriere religiose, ciò che si dice o altro ci impediscano di incontrare le persone e la vita. Di fronte alle regole che dicevano: "Non incontrare costui", Gesù diceva: "E perché no? Lo voglio incontrare di persona, voglio parlarci, sentire il suo cuore... poi vedremo".

Gesù giunge a Sicar e Sicar vuol dire "qualcosa è intasato".
E non è vero che proprio noi, a volte, siamo Sicar, cioè intasati? Abbiamo di tutto, ma siamo tormentati; ci sentiamo pieni, goffi, addormentati; non riusciamo a raggiungerci, ad andare dentro di noi; non riusciamo ad attingere a ciò che c'è dentro; mangiamo per riempirci e anche quando non lavoriamo dobbiamo fare qualcosa per non stare con noi; pensiamo sempre per non sentire cosa abbiamo dentro: siamo intasati, ostruiti, pieni.
Abbiamo bisogno di riempirci per evitarci la verità, per non andare nel fondo, nel profondo di noi.

Gesù, dopo un lungo viaggio sotto il sole, ha sete e si siede presso un pozzo dove ha bevuto. Arriva la donna e c'è l'incontro tra due seti: quella di Gesù ("Dami da bere" 4,7) e quella della donna ("Signore, dammi di quest'acqua" 4,15). Gesù ha sete di acqua del pozzo; la donna ha sete d'amore.
Per noi un pozzo oggi è niente. Ma cos'era un pozzo una volta?
Nella Bibbia scopriamo che al pozzo Rebecca incontra il capo dei servi di Abramo; Giacobbe incontra Rachele e Mosè incontra Zippora.
Mio nonno "ha trovato" mia nonna alle funzioni (il vespro). A quel tempo non c'erano le discoteche, non c'erano i pub e i bar per gli spritz, non c'erano le piazze, le feste per i single o i luoghi di ritrovo di oggi.
Quando volevi trovarti un uomo o una donna, anni fa si andava alle funzioni, qualche secolo fa', invece, al pozzo. Poiché il pozzo, l'acqua, era la cosa più importante, più vitale, più necessaria al tempo (le città potevano essere costruite solo dove c'era acqua!), tutti andavano al pozzo (uomini e donne). Era il luogo della "ricerca dell'amore", dell'adescamento, dove trovare la propria anima gemella o semplicemente una donna o un uomo.
E' per questo che la donna gli chiede: "Come mai tu, che fra l'altro sei Giudeo, chiedi da bere a me che sono una donna samaritana?". Che un uomo aprisse il discorso, la conversazione, che "tacasse botton" con una donna, per quel tempo, era un chiaro segno di corteggiamento. Che poi quell'uomo fosse anche un rabbino, e per di più Giudeo, era proprio una proposta strana.
La donna non può non pensare che Gesù "ci prova". Gesù, inoltre, le fa una domanda molto personale: "Va a chiamare tuo marito" (perché si intromette nella sua vita privata? Cosa gli interessa sapere certe cose?).
Gesù fa una domanda che scopre la donna, la rivela. La donna, all'inizio, cerca di fuggire e di evitare il discorso dicendo: "Non ho marito". Ma Gesù la mette di fronte alla dura verità: "Sì, dici bene di non aver marito. Ma non perché tu non abbia un compagno. Non hai marito perché ne hai già avuti cinque e questo che hai adesso non è tuo marito ma un tuo compagno".
Avere avuto sei uomini, è chiaro, fa della donna una "donna facile".

Siamo presso un pozzo e il pozzo è il simbolo della profondità. Il pozzo ti costringe a scavare, ad andare dentro per tirare fuori ciò che c'è sotto e ciò che c'è di nascosto.
Gesù non fa il moralista (gli era stata servita un'occasione sul piatto d'argento: lui giudeo con una donna così e per di più samaritana…!): "Ma non ti vergogni! Ma che donna sei! Sei nel peccato! Sei impura!".
Gesù costringe la donna a dirsi una verità dura e difficile: "Ho avuto tanti uomini ma nessuno mi ha mai riempito dentro; nessuno mi ha mai bastato; nessuno ha mai placato la mia sete".
Gesù è colui che ti mette di fronte alla tua verità. Gesù non fa sconti sulla nostra vita; Lui non ci giudica, non ci condanna, ma vuole che andiamo dentro di noi e che tiriamo fuori le cose per come stanno.
C'è una donna, quarant'anni e non sposata. Lei dice: "Non ho trovato nessuno perché gli uomini non vogliono impegnarsi e pensano sempre e solo a quello". La verità è che ha paura di non valere come donna, di essere rifiutata; ha paura che qualcuno stia con lei e poi si stanchi, così per sicurezza non si coinvolge mai.
C'è un prete che dice: "Non viene più nessuno in chiesa; questo mondo materialista ed edonista!". Sì, potrebbe essere vero. La verità però è un'altra: "Chi vuoi che venga ad ascoltarti se predichi così!".
Un uomo dice: "Se io ho un problema me lo gestisco da solo". Sì, potrebbe essere vero ma la verità è: "Io non voglio farmi aiutare da nessuno perché sono orgoglioso".
Una donna dice: "Io non riesco a dormire insieme a io marito perché lui russa". Sì, potrebbe essere vero, ma non è la verità. In realtà tu non sei più attratta da lui e ti sta bene evitarlo.
Un ragazzo dice: "Io sono uno che si accontenta, sono di gusti facili, sono uno buono". Sì, potrebbe essere vero. Ma la verità è che tu hai paura di scegliere, che tu hai paura di dire di no e cerchi di accontentare tutti in modo che gli altri non ti lascino o non siano delusi da te. E' diverso!
C'è una ragazza che dice: "Io non capisco, gli uomini cadono tutti ai miei piedi. E sì che io non faccio niente, anzi!". "Ma guarda come ti vesti! Non vedi che tenti di sedurli tutti!".

Incontrare il Signore è dirsi la verità, non mentirsi, non dirsi "balle".
A volte noi sentiamo che dietro le nostre affermazioni c'è qualcosa che andrebbe visto, indagato, portato fuori, a galla. Ma non ci spingiamo oltre perché è meglio "non farsi troppi problemi". Così sopravviviamo; così sfuggiamo alla verità, all'incontro con noi stessi; così sfuggiamo al nostro cuore e a ciò che c'è dentro.
Facendo così viviamo una vita falsa, mascherata, non nostra: mostriamo una verità (e tentiamo poi di convincerci che siamo proprio così!) per avere una bella faccettina da esibire agli altri e fuggiamo da noi.
Ma vivere una vita non nostra non può che portare inevitabilmente all'insoddisfazione e all'infelicità.

La verità non è difficile da accettare se non abbiamo qualcosa da difendere. La verità è l'unica strada per Dio. Perché dirsi la verità è andare al centro, nel profondo di sé, faccia a faccia dove Dio risiede.
Se la donna non si fosse detta la verità ("sì ho avuto sei uomini ma in realtà sono ancora affamata d'amore") non avrebbe potuto incontrare l'Amore vero, il Signore, colui che sfama ogni sete. Certo che se tu devi difendere qualcosa, allora è impossibile dirsi certe verità.
Se la tua famiglia dev'essere perfetta, non puoi accettare che ci siano dei problemi in casa tua. E se ci saranno, li sminuirai, li nasconderai, li seppellirai.
Se tu devi difendere la tua immagine di "bravo uomo" non puoi andare in crisi, non puoi chiedere aiuto, non puoi accettare di fare degli errori, non puoi vederti imperfetto.
Se tu devi difendere i tuoi genitori, che "sono stati dei bravi genitori", non puoi vedere che la loro educazione è stata alquanto discutibile, che ti hanno ferito, che hanno cercato di farti come a loro andava bene.
Quando una persona non riesce a dirsi la verità, bisogna chiedersi: "Che cosa deve difendere?".

La donna ha avuto sei uomini. Sei come le giare a Cana. Un caso? Il sei è il numero che prende tutto ma che, nonostante abbia tutto, gli manca sempre qualcosa (non è il sette, la perfezione, la realizzazione). A Cana c'era lo sposo e il vino ma il vero sposo e il vero vino era il Signore, la settima giara. Per questo c'erano sei giare. La Samaritana ha avuto sei uomini: nessuno di essi ha placato la sua fame d'amore.

Un uomo, quand'era bambino, veniva lasciato a piangere per ore. Poi si stancava e, disperato, prendeva sonno. Lui si sentiva abbandonato. I suoi genitori, invece, dicevano: "Vedi che ha imparato!". Quando sua moglie esce alla sera per una cena con i colleghi o con le amiche lui vive un'angoscia terribile. Rivive la paura di essere abbandonato così fa di tutto perché lei non vada.
Un uomo si sente sempre in colpa, sempre in difetto; deve sempre fare di più o qualcosa per gli altri. Lui si chiede: ma perché mi devo sempre sentire così? Perché devo accontentare gli altri prima di me? Quand'era piccolo, suo padre, per lavoro, aveva dovuto abbandonare la famiglia. Sua madre, quando lui la faceva arrabbiare, le diceva: "Il papà non c'è perché tu sei cattivo". Così lui pensava che suo padre non c'era per colpa sua. Oggi la cosa continua: se qualcosa non va con qualcuno, pensa che sia sempre colpa sua e che dipenda tutto da lui.
Una donna, da piccola, aveva la madre "esaurita" che non poteva prendersi cura di lei. Anzi: in certi giorni la madre urlava o spaccava qualcosa; in altri dormiva tutto il giorno depressa. Così la bambina si alzava sempre nell'angoscia: che giornata avrà oggi mia madre? Ci sarà il sole o la tempesta? Sarà tranquilla o me le prenderò? Era un'angoscia continua! Adesso che è adulta, ogni mattina, risente quell'angoscia.
Una donna è insieme ad un uomo che sperpera i soldi con "le macchinette" (i videopoker) e che si fa gli spinelli. Lui la maltratta, la picchia e la umilia. Ma lei dice: "Non posso vivere senza di lui. Lui è tutto".
C'è una donna, sposata, che dice: "E se un giorno non lo amerò più? E se non avremo più nulla da dirci? E se si innamora di un'altra?". Così questa donna fa di tutto per lui, diventando assillante.

Che c'entra tutto questo con la fede? Sono problemi di fede questi? Questioni spirituali? Certo!
Quando mi attendo dal mio compagno di riempire il mio buco interiore dell'infanzia gli chiedo qualcosa che non può fare, che non mi può dare. Sono come la Samaritana: affamato d'amore ma nessun amore può riempire il mio buco. E per quanto lui faccia non basterà mai (oltre al fatto che sarò possessivo da morire!). Solo Dio può riempire il mio vuoto.
Quando chiedo a mio marito, a mia moglie, di farmi felice, gli chiedo qualcosa che non può darmi. Quando gli chiedo di esserci sempre, di darmi protezione assoluta, di farmi sentire sicuro, gli chiedo qualcosa che non può darmi. Nessun uomo, nessuna donna, ci possono dare qualcosa di assoluto. Il mio compagno non può placare tutta la mia sete di protezione, di sicurezza, la mia fame d'amore e d'accoglienza. E più mi aggrappo a lui e più diventa enorme, la paura di essere abbandonato.
Nessun uomo può soddisfare il mio bisogno d'amore. Nessuna donna può riempire la mia sete d'amore.
Non chiedete alle persone quello che non vi possono dare. Uno perché sarete delusi; due perché, stressate, se ne andranno e le perderete.

Le relazioni uomo-donna sono sempre imperfette e parziali (non per questo non meravigliose!). Noi chiediamo un amore infinito, assoluto, perché abbiamo fame e desiderio di Dio, di Lui. Allora: la nostra domanda è infinita mentre la risposta è finita. Se ci aspettiamo che l'altro ci riempia del tutto, saremo sempre delusi.
Se, invece, siamo consapevoli che l'altro ci ama ma che non può soddisfare alla nostra fame infinita, allora sapremo accettare e cogliere anche l'amore parziale ma meraviglioso degli uomini e delle donne.
Quando faccio questo realizzo due cose: la prima è che non delego a qualcun altro ciò che dovrei fare io. E' la mia vita, la mia felicità, la mia strada, non posso chiedere a nessun altro di fare ciò che io devo fare.
La seconda è che non chiedo ad un uomo di farmi da Dio. Solo Dio, che è infinito, può placare la mia sete che è infinita.
"Puoi cambiare quanti uomini vuoi (i sei uomini della samaritana stanno per tutti gli uomini), ma nessuno può saziare la tua fame d'amore (solo il settimo, il Signore). Non sbagliare obiettivo".
Peccato, in ebraico, è una freccia che non raggiunge il bersaglio. E' sbagliare obiettivo. Non fare peccato è, allora, non chiedere a qualcuno di darci quello che non ci può dare.

Alcuni genitori vivono per, in funzione, del proprio figlio. Allora il figlio sente che senza di lui, i genitori sono persi, morti, che non possono più vivere. Questo peso lo schiaccia e gli impedisce di andarsene. Magari si sposa anche, ma dentro non li ha mai lasciati (e spesso proprio per questo si sposa un partner simile al genitore).
Alcuni genitori vivono col terrore se il proprio figlio torna tardi la sera, se va in vacanza lontano o se non lo sentono per due-tre giorni. Il figlio è tutto per loro e non possono vivere senza di lui.
Quando chiedo a mio figlio di essere la mia ragione di vita ("Vivo solo per te; se non c'eravate voi avrei lasciato tuo padre; mi fai morire; sei tutto quello che ho") allora vuol dire che io ho perso la mia ragione di vita. Vuol dire che io non ho più una vocazione, una chiamata; vuol dire che ho perso la mia strada divina e ho fatto di mio figlio l'assoluto della mia vita, la mia strada. Mio figlio è sulla mia strada (magari per un bel po' di tempo) ma non la mia strada.
Sto scambiando Dio per mio figlio e faccio di mio figlio Dio.
Fede è non perdere mai di vista il centro: io ho un nucleo divino; io sono a questo mondo per un motivo ben preciso; io ho qualcosa da vivere e da realizzare; io sono chiamato a qualcosa che devo seguire; Dio mi ha creato per un motivo ben preciso. Se vivo per mio figlio allora vuol dire che io ho perso la mia chiamata divina.
I figli sono un dono: mi sono donati ma non appartengono a me, sono di Dio. Ma neanche i genitori appartengono ai figli: sono donati ai figli perché siano da essi amati, ma non sono loro.
Amiamoci ma non dimentichiamo la nostra realtà più profonda: nessuno è di nessun altro perché tutti siamo solo di Lui. Solo a Lui apparteniamo e a nessun altro.
Per questo in un rapporto marito/moglie o genitori-figli o amico/amico è importante la preghiera, lo spirito, la fede. Se non c'è la fede faccio dell'altro un idolo e gli chiedo l'impossibile.
Io ho bisogno di fermarmi, di inginocchiarmi, di fare silenzio e di pregare: "Signore, tu solo sei Tutto. Tu solo sei l'Acqua, il Vino, lo Sposo, il Compagno, la Felicità, la Strada piena e assoluta. Non chiederò agli altri di essere Te e non mi sostituirò a te per gli altri. Amo mio figlio, ma so che è tuo. Amo mio marito, ma non è tutta la mia vita. Desidero essere amato da mio figlio e da mi marito ma non chiederò a loro quello che solo Tu mi puoi dare. E grazie, Signore, grazie per ciò che ogni giorno loro mi danno".

Gesù nel vangelo si spinge ancor oltre. Non solo dice: "Non fare di nessun uomo Dio", ma addirittura: "Non fare di nessun'autorità, di nessuna esperienza, di nessun gruppo religioso il tuo Dio".
"E' giunto il momento in cui né su questo monte (Garizim) né in Gerusalemme adorerete il Padre. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità" (4,21-23). E' difficile per noi accogliere e accettare le conseguenze di ciò che Gesù dice.
Dov'è Dio? Dov'è che lo troviamo? In chiesa, in una liturgia, in chi si sacrifica, quando uno prega… Forse sì, forse no. Dio non è in un posto. Dio si rende visibile dove c'è spirito e verità, qualunque posto sia, qualunque uomo sia, qualunque zona della terra sia.
Per noi è più facile e più gratificante cercare Dio fuori di noi: su di un trono, circondato da poteri magici, nelle grandi liturgie oppure trovarlo nei dogmi o nelle chiese. Perché così ci risparmia lo sforzo di decifrare e di pervenire alla verità e allo spirito che ci abita.
Ma Dio non è qui o lì. Dio è dove c'è spirito e verità. Questo è il criterio. Allora: non è più importante chi sei, cosa puoi esibire ("Io sono questo; io ho questo incarico; io ho fatto questa scuola religiosa, ecc"), ma se nel tuo parlare, nel tuo agire, nel tuo amare, traspare spirito e verità. Se traspare, lì Dio c'è.
S. Agostino diceva che se entrava in una casa e vedeva che un uomo e una donna si amavano veramente, non aveva bisogno di chieder loro se erano sposati perché il sacramento stesso dell'amore (Dio) li univa (capisco che la frase è pericolosa ma colgo il senso profondo dell'affermazione).
Quando un uomo vive fedele alla sua coscienza e aderente al suo spirito, lì Dio c'è. Non importa più se è cristiano, musulmano, buddista o se si proclama ateo: in ogni caso lì Dio c'è.
Quando un uomo fa verità di sé e porta la luce nel suo profondo, lì Dio c'è. Quando un uomo ama, rispetta e onora tutti gli esseri che vivono, lì Dio c'è. Quando due persone si amano passionalmente nella libertà di ciascuno, lì Dio c'è. Quando una persona lotta per la verità intorno a sé e per l'accettazione della diversità, lì Dio c'è.
Un giorno durante una conferenza una persona chiese, forse provocatoriamente, a Davide Maria Turoldo: "Ma nelle nostre chiese c'è Dio?". E lui rispose: "Se c'è spirito e verità, allora Dio c'è".
C'è Dio qui stamattina fra di noi? Non lo so, non spetta a me dirlo. So che se c'è "spirito e verità" allora Lui c'è.
Non chiederti più dov'è Dio; chiediti invece dove c'è spirito e verità: lì c'è anche Lui.

sabato 26 marzo 2011

La storia di San Francesco di Assisi - Diciottesima parte

Continuiamo a scoprire la storia di San Francesco di Assisi: oggi scopriamo come davvero le Vie del Signore sono infinite e non sempre coincidono con i nostri propositi. Infatti, sebbene il Beato Francesco avesse in cuore di andare incontro al martirio, Dio non glielo permise ed ogni volta ostacolava il suo piano e il suo viaggio. Questo ci fa davvero meravigliare perchè Dio dimostra di prendersi davvero cura dei Suoi figli e di apprezzare anche solo l'intenzione di fare qualcosa. Infatti, non vi è dubbio alcuno sulle intenzioni del Beato Francesco e per questo Dio lo benedice in ogni modo, rendendolo anche capace di prodigi incredibili, come la moltiplicazione dei viveri avvenuti su di un barca, in un episodio che ci accingiamo a scoprire. Ma vi è di più nel poverello d'Assisi: in egli vi è davvero il fervore dello Spirito, quello stesso fervore che abbiamo riconosciuto nei Santi Apostoli che non temettero il martirio nell'evangelizzare in terre insidiose e sconosciute (come vedremo, il Beato Francesco non avrà timore nemmeno di andare in mezzo ai saraceni pur di portare pace e la Buona Novella). Questo è il fervore di chi davvero si abbandona a Dio rinunciando alla sua vita: il Beato Francesco ha già da tempo rinunciato alla sua vita, alimentando la vocazione al martirio, la stessa che contraddistinse, fra tutti, Santo Stefano Protomartire che abbracciò la morte senza paura né timore né rimpianto perchè ormai aveva già rinunciato alla vita per amore di Gesù. In questi uomini noi vediamo compiersi le parole di Gesù: "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà. Che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima? Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi" (Mc 8, 34-38) 
Queste sante parole del Figlio di Dio hanno preso vita in modo particolare nel Beato Francesco, il quale non aveva altro desiderio che di seguire realmente Gesù come Egli desiderava e non come molti di noi fanno oggi (a parole mentre nei fatti fanno l'opposto guidati da logiche egoistiche): 

CAPITOLO VENTESIMO

DESIDEROSO DEL MARTIRIO FRANCESCO PRIMA CERCA DI ANDARE MISSIONARIO NELLA SPAGNA POI IN SIRIA. PER SUO MERITO, Dio MOLTIPLICA I VIVERI E SCAMPA I NAVIGANTI DAL NAUFRAGIO

55. Animato da ardente amore di Dio, il beatissimo padre Francesco desiderava sempre metter mano a grandi imprese, e, camminando con cuore generoso sulla via della volontà del Signore, anelava raggiungere la vetta della santità.

Nel sesto anno dalla sua conversione ardendo di un intrattenibile desiderio del martirio, decise di recarsi in Siria a predicare la fede e la penitenza ai Saraceni. Si imbarcò per quella regione, ma il vento avverso fece dirottare la nave verso la Schiavonia ~ Allora, deluso nel suo ardente desiderio e non essendoci per quell'anno nessun'altra nave in partenza verso la Siria, pregò alcuni marinai diretti ad Ancona di prenderlo con loro. Ne ebbe un netto rifiuto perché i viveri erano insufficienti. Ma il Santo, fiducioso nella bontà di Dio, salì di nascosto sulla imbarcazione col suo compagno. Ed ecco sopraggiungere, mosso dalla divina Provvidenza, un tale, sconosciuto a tutti, che consegno ad uno dell'equipaggio che era timorato di Dio, delle vivande, dicendogli: «Prendi queste cose e dalle fedelmente a quei poveretti che sono nascosti nellà nave, quando ne avranno bisogno». E avvenne che, scoppiata una paurosa burrasca, i marinai, affaticandosi per molti giorni a remare, consumarono tutti i loro viveri; poterono salvarsi solo con i viveri del poverello Francesco, i quali, moltiplicandosi per grazia di Dio, bastarono abbondantemente alla necessità di tutti finché giunsero al porto di Ancona. I naviganti compresero ch'erano stati scampati dai pericoli del mare per merito di Francesco, e ringraziarono l'onnipotente Iddio, che sempre si mostra mirabile e misericordioso nei suoi servi.

56. Lasciato il mare, il servo dell'Altissimo Francesco si mise a percorrere la terra, e solcandola col vomere della parola di Dio, vi seminava il seme di vita, che produce frutti benedetti. E subito molti uomini, buoni e idonei, chierici e laici, fuggendo il mondo e sconfiggendo virilmente le insidie del demonio, toccati dalla volontà e grazia divina, abbracciarono la sua vita e il suo programma. Ma sebbene, a similitudine dell'albero evangelico, producesse abbondanti e squisiti frutti, ciò non bastava a spegnere in Francesco il sublime proposito e l'anelito ardente del martirio. E così poco tempo dopo intraprese un viaggio missionario verso il Marocco, per annunciare al Miramolino e ai suoi correligionari la Buona Novella. Era talmente vivo il suo desiderio apostolico, che gli capitava a volte di lasciare indietro il compagno di viaggio affrettandosi nell'ebbrezza dello spirito ad eseguire il suo proposito. Ma la bontà di Dio, che si compiacque benignamente di ricordarsi di me e di innumerevoli altri, fece andare le cose diversamente resistendogli in faccia. Infatti, Francesco, giunto in Spagna, fu colpito da malattia e costretto a interrompere il viaggio.

57. Ritornato a Santa Maria della Porziuncola, non molto tempo dopo gli si presentarono alcuni uomini letterati e alcuni nobili, ben felici di unirsi a lui. Da uomo nobile d'animo e prudente, egli li accolse con onore e dignità, dando paternamente a ciascuno ciò che doveva. E davvero, poiché era dotato di squisito e raro discernimento, teneva conto della condizione di ciascuno. Ma non riesce ancora a darsi pace finché non attui, con tentativi ancor più audaci il suo bruciante sogno. E nel tredicesimo anno dalla sua conversione, partì per la Siria, e mentre infuriavano aspre battaglie tra cristiani e pagani, preso con sé un compagno ,non esitò a presentarsi al cospetto del Sultano. Chi potrebbe descrivere la sicurezza e il coraggio con cui gli stava davanti e gli parlava, e la decisione, e l'eloquenza con cui rispondeva a quelli che ingiuriavano la legge cristiana? Prima di giungere al Sultano, i suoi sicari l'afferrarono, l'insultarono, lo sferzarono, ed egli non temette nulla: né minacce, né torture, né morte; e sebbene investito dall'odio brutale di molti, eccolo accolto dal Sultano con grande onore! Questi lo circondava di favori regalmente e, offrendogli molti doni, tentava di convertirlo alle ricchezze del mondo; ma, vedendolo disprezzare tutto risolutamente come spazzatura, ne rimase profondamente stupito, e lo guardava come un uomo diverso da tutti gli altri. Era molto commosso dalle sue parole e lo ascoltava molto volentieri.
Ma in tutte queste cose il Signore non concedeva il compimento del desiderio del Santo, riservandogli il privilegio di una grazia singolare.

venerdì 25 marzo 2011

Imparando con le Lettere Apostoliche - Trentaseiesimo appuntamento

Torna l'appuntamento settimanale con "Imparando con le Lettere Apostoliche". Il cammino di oggi continua a mostrarci la missione apostolica e a ricordarci il contenuto del loro annuncio:

Quinta parte della Seconda Lettera ai Corinzi   

1Sappiamo infatti che quando verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra, riceveremo un'abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita da mani di uomo, nei cieli. 2Perciò sospiriamo in questo nostro stato, desiderosi di rivestirci del nostro corpo celeste: 3a condizione però di esser trovati già vestiti, non nudi. 4In realtà quanti siamo in questo corpo, sospiriamo come sotto un peso, non volendo venire spogliati ma sopravvestiti, perché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita. 5È Dio che ci ha fatti per questo e ci ha dato la caparra dello Spirito.
6Così, dunque, siamo sempre pieni di fiducia e sapendo che finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, 7camminiamo nella fede e non ancora in visione. 8Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo ed abitare presso il Signore. 9Perciò ci sforziamo, sia dimorando nel corpo sia esulando da esso, di essere a lui graditi. 10Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male.
11Consapevoli dunque del timore del Signore, noi cerchiamo di convincere gli uomini; per quanto invece riguarda Dio, gli siamo ben noti. E spero di esserlo anche davanti alle vostre coscienze. 12Non ricominciamo a raccomandarci a voi, ma è solo per darvi occasione di vanto a nostro riguardo, perché abbiate di che rispondere a coloro il cui vanto è esteriore e non nel cuore. 13Se infatti siamo stati fuori di senno, era per Dio; se siamo assennati, è per voi.
14Poiché l'amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. 15Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. 16Cosicché ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne; e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così. 17Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove.
18Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. 19È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. 20Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. 21Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio.

COMMENTO

 "Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio."
Oggi partirei da questa ultima frase che per me è molto significativa e quasi sicuramente la più importante di tutto il passo odierno: colui che non aveva conosciuto peccato, Gesù, fu trattato come se avesse peccato e tutto questo solo per la redenzione, affinché le nostre colpe fossero giustificate. E' immenso tutto questo: eppure nessuno di noi lo apprezza come dovrebbe, forse perchè non riesce a comprendere la grandezza di questo gesto totalmente gratuito: Colui che dovrebbe essere degno di lode e gloria, si umilia al punto da divenire capro espiatorio di tutte le colpe. 
Ed è questo che gli apostoli si trovano ad annunciare: l'intero loro ministero (il quale è oggi condotto dai sacerdoti e dai membri dell'ordine sacerdotale) è rivolto all'annunciazione di quanto Dio ha compiuto per l'uomo attraverso Gesù Cristo. E chiaramente coloro che per primi udirono queste cose furono presi da grande meraviglia perchè i dei che venivano adorati in quei tempi bui, erano soliti chiedere il sangue, ma non avevano mai donato il loro e né tantomeno avevano mai udito di un dio che si sacrifica per gli uomini. Gesù è totalmente diverso perchè si addossa le responsabilità degli uomini, pagandole con il suo sangue e non con il sangue di altri uomini.
San Paolo ci tiene in queste prime battute della Lettera a sottolineare il lavoro che sta svolgendo insieme agli altri apostoli in quanto vuol far capire che loro stanno trasmettendo qualcosa che hanno ricevuto in prima battuta: ogni loro parola è guidata dallo Spirito Santo e per questo che fa male ascoltarla. Pensate che i profeti, i santi, gli stessi apostoli, hanno sempre ricevuto percosse proprio perchè la verità che esponevano faceva male, trapassava i cuori. Oggigiorno, appena un uomo prova ad evidenziare le enormi contraddizioni che ci circondano, viene subito taciuto ed etichettato come bigotto o puritano: quest'avviene perchè non si vuole che il male venga rivelato in quanto è troppo piacevole seguirlo nell'ombra, nel sentimento dell'ignoranza: chi pecca preferisce non sapere che pecca perchè il peccato lo attira e lo seduce. Ma giustamente San Paolo dice queste cose perchè egli non può parlare per compiacere l'interlocutore, ma deve parlare secondo Verità così come Cristo gli ha chiesto di fare. E lo stesso avviene ai sacerdoti: essi non possono parlare secondo il nostro compiacimento, ma devono parlare secondo Verità, ammonendoci e indicandoci anche aspramente l'indirizzo da seguire.
Come dice San Paolo, un giorno tutti compariremo dinanzi al Tribunale di Cristo: ecco perchè bisogna esser pronti, avere fede e ascoltare chi ci ammonisce al riguardo, perchè attraverso l'ammonimento possiamo aprire gli occhi e vedere la trave conficcata nel nostro occhio (e nel nostro cervello): dobbiamo dunque apprezzare il lavoro sacerdotale e dobbiamo essere noi a chiedere che essi si comportino secondo Verità perchè è solo così che possiamo correggerci e giunti preparati dinanzi al Tribunale dell'Altissimo!  

giovedì 24 marzo 2011

Sessualità umana - VIII appuntamento

Torna l'appuntamento con il documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia "Sessualità umana: verità e significato". Oggi cominciamo a prendere in considerazione l'aspetto vocazionale legato alla materia sessuale ed in particolare, oggi apprenderemo della vocazione matrimoniale. Infatti, la vocazione non è certamente solo quella sacerdotale o quella della verginità, ma vi è anche la vocazione al matrimonio. Dio, infatti, ha per ognuno dei suoi figli un progetto particolare e mentre ci sono alcuni che vengono chiamati a servire Dio nell'evangelizzazione e cura delle anime, ci sono altri che vengono chiamati a servire Dio nel Suo progetto legato alla procreazione, alla vita. Dio stesso benedisse l'uomo affinché fosse fecondo e si moltiplicasse e ancora oggi Egli lo benedice e lo rende fecondo anche se l'uomo, oggi, pensa di poter manipolare la fecondità a suo piacimento. Nel leggere queste pagine, ci rendiamo sempre più conto di quanto la società odierna si sia allontanata dalla Verità e dalla Volontà del Signore: Egli ha stabilito e ordinato ogni cosa, ma l'uomo ha pensato bene di porre il disordine e di vanificare la perfezione dell'ordine naturale delle cose. Quale ultimo passo, l'uomo sta tentando di distruggere anche il matrimonio, non più solo attraverso la previsione di forme di separazione e divorzio, ma anche attraverso nuove forme di unione che evitano la formale celebrazione sacramentale: basti pensare alle coppie di fatto che rinnegano il matrimonio. Invece noi cristiani, aventi la vocazione matrimoniale, siamo chiamati ad unirci in matrimonio e a partecipare al progetto di vita previsto dall'Altissimo e a seguire quel modello di vita familiare che tal documento ci va mostrando, di settimana in settimana:

III

NELL'ORIZZONTE VOCAZIONALE
 
26. La famiglia svolge un ruolo decisivo nel fiorire di tutte le vocazioni e nel loro sviluppo, come ha insegnato il Concilio Vaticano II: « Dal matrimonio procede la famiglia, nella quale nascono i nuovi cittadini della società umana, che per la grazia dello Spirito Santo sono elevati col battesimo allo stato di figli di Dio, per perpetuare attraverso i secoli il suo popolo. In questa che si potrebbe chiamare chiesa domestica, i genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con l'esempio, i primi annunciatori della fede, e secondare la vocazione propria di ognuno, e quella sacra in modo speciale ».1 Anzi, il segno di una pastorale familiare adeguata è proprio il fatto che fioriscono le vocazioni: « Dove esiste una illuminata ed efficace pastorale della famiglia, come è naturale che si accolga con gioia la vita, così è più facile che risuoni in essa la voce di Dio e sia più generoso l'ascolto che ne riceve ».2

Si tratti di vocazioni al matrimonio o alla verginità e al celibato, sempre però sono vocazioni alla santità. Infatti, il documento del Concilio Vaticano II Lumen gentium espone il suo insegnamento circa l'universale chiamata alla santità: « Muniti di tanti e così mirabili mezzi di salvezza, tutti i fedeli di ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a quella perfezione di santità di cui è perfetto il Padre celeste ».3

1. La vocazione al matrimonio

27. La formazione al vero amore è la migliore preparazione per la vocazione al matrimonio. In famiglia i bambini e i giovani potranno imparare a vivere la sessualità umana con lo spessore e nel contesto di una vita cristiana. I fanciulli e i giovani possono scoprire gradualmente che un saldo matrimonio cristiano non può essere considerato il risultato di convenienze o di mera attrazione sessuale. Per il fatto di essere una vocazione, il matrimonio non può non coinvolgere una scelta ben meditata, il mutuo impegno davanti a Dio, e la costante impetrazione del suo aiuto nella preghiera.

Chiamati all'amore coniugale

28. I genitori cristiani, impegnati nel compito di educare i figli all'amore, possono fare riferimento anzitutto alla consapevolezza del loro amore coniugale. Come ricorda l'Enciclica Humanae vitae tale amore « rivela la sua vera natura e nobiltà quando è considerato nella sua sorgente suprema, Dio, che è Amore (cf 1 Gv 4,8), "il Padre da cui ogni paternità in cielo e in terra trae il suo nome" (cf Ef 3,15). Il matrimonio non è quindi effetto del caso o prodotto dell'evoluzione di inconsce forze naturali: è una sapiente istituzione del Creatore per realizzare nell'umanità il suo disegno d'amore. Per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, gli sposi tendono alla comunione dei loro esseri in vista di un mutuo perfezionamento personale, per collaborare con Dio alla generazione e all'educazione di nuove vite. Per i battezzati, poi, il matrimonio riveste la dignità di segno sacramentale della grazia, in quanto rappresenta l'unione di Cristo e della Chiesa ».4

La Lettera alle famiglie del Santo Padre rammenta che: « La famiglia è... una comunità di persone, per le quali il modo proprio di esistere e di vivere insieme è la comunione: communio personarum »;5 e, richiamandosi all'insegnamento del Concilio Vaticano II, il Santo Padre ricorda che tale comunione comporta: « una certa similitudine tra l'unione delle Persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità ».6 « Questa formulazione, particolarmente ricca e pregnante, innanzitutto conferma ciò che decide dell'intima identità di ogni uomo e di ogni donna. Tale identità consiste nella capacità di vivere nella verità e nell'amore; anzi, e ancor più, consiste nel bisogno di verità e di amore quale dimensione costitutiva della vita della persona. Tale bisogno di verità e di amore apre l'uomo sia a Dio che alle creature: lo apre alle altre persone, alla vita "in comunione", in particolare al matrimonio e alla famiglia ».7

29. L'amore coniugale, secondo quanto afferma l'Enciclica Humanae vitae, ha quattro caratteristiche: è amore umano (sensibile e spirituale), è amore totale, fedele e fecondo.8

Queste caratteristiche si fondano sul fatto che « l'uomo e la donna nel matrimonio si uniscono tra loro così saldamente da divenire — secondo le parole del Libro della Genesi — "una sola carne" (Gn 2,24). Maschio e femmina per costituzione fisica, i due soggetti umani, pur somaticamente differenti, partecipano in modo uguale alla capacità di vivere "nella verità e nell'amore". Questa capacità, caratteristica dell'essere umano in quanto persona, ha una dimensione spirituale e corporea insieme... La famiglia che ne scaturisce trae la sua solidità interiore dal patto tra i coniugi, che Cristo ha elevato a Sacramento. Essa attinge la propria natura comunitaria, anzi, le sue caratteristiche di "comunione", da quella fondamentale comunione dei coniugi che si prolunga nei figli. "Siete disposti ad accogliere responsabilmente e con amore i figli che Dio vorrà donarvi e a educarli...?" — domanda il Celebrante durante il rito del matrimonio. La risposta degli sposi corrisponde all'intima verità dell'amore che li unisce ».9 E con la stessa formula della celebrazione del matrimonio gli sposi si impegnano e promettono di « essere fedeli sempre »10 proprio perché la fedeltà degli sposi scaturisce da questa comunione di persone che si salda nel progetto del Creatore, nell'Amore Trinitario e nel Sacramento che esprime l'unione fedele di Cristo con la Chiesa.

30. Il matrimonio cristiano è un sacramento per cui la sessualità viene integrata in un cammino di santità, con un vincolo rinforzato nella sua indissolubile unità: « Il dono del sacramento è nello stesso tempo vocazione e comandamento per gli sposi cristiani, perché rimangano tra loro fedeli per sempre, al di là di ogni prova e difficoltà, in generosa obbedienza alla santa volontà del Signore: "Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi" ».11

mercoledì 23 marzo 2011

Voglia di Paradiso - VIII appuntamento

Torniamo a sentire voglia di Paradiso attraverso l'approfondimento dell'opera di Mons. Novello Pederzini: "Voglia di Paradiso". Oggi scopriamo il significato della parola Paradiso e della parola Cielo e tutta la simbologia ad essi inerente. Infatti, bisogna saper cogliere il significato profondo che si cela dietro i nomi e i termini utilizzati dalle Sacre Scritture: 

TANTI NOMI, TANTI SIMBOLI
 
Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra...
Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme...
Ecco la dimora di Dio con gli uomini...
Egli... tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte,
né lutto, né lamento, né affanno...
Apocalisse 21, 1-4

Nella casa del Padre mio vi sono molti posti... Io vado a prepararvi un posto;
quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me,
perché siate anche voi dove sono io.
Giovanni 14, 1-3

Tanti nomi, tanti simboli

La beatitudine finale e definitiva, che è il massimo dono del Padre, viene descritta nella Bibbia con diverse espressioni e parole. Le principali sono:

- Paradiso,

- Cielo,

- Regno dei Cieli,

- Gerusalemme nuova,

- Casa del Padre,

- Vita eterna.

Cerchiamo di coglierne il significato, incominciando dal termine più comunemente usato che è il Paradiso.

Paradiso

Con la traduzione detta "dei Settanta", entrò nella Bibbia il termine paradeisos, che viene dal persiano pardés e significa giardino.
Nelle religioni del Medio Oriente il termine paradiso era usato per esprimere lo stato felice degli dèi che si pensava vivessero, come gli uomini potenti della terra, in palazzi sontuosi, circondati da giardini bagnati da acque copiose e da alberi lussureggianti, fra cui l'albero della vita.
La Bibbia si adegua alla mentalità dell'epoca e usa queste immagini per descrivere la felicità alla quale il Creatore ha destinato la creatura da Lui preferita, che è la creatura umana.
Nella Rivelazione il termine Paradiso è usato per indicare:

• il primo delizioso luogo della dimora divina dove «Dio passeggiava alla brezza del giorno» fra alberi lussureggianti che sono citati come simbolo di vita e di fecondità»;

• l'abitazione ideale della prima coppia umana, in una felicità sconfinata che richiama le caratteristiche dell'età aurea descritta dall'antichità classica;

• una felicità perduta, a causa del peccato originale che segna tutte le generazioni lasciando nel cuore umano una profonda e insopprimibile nostalgia;

• un Bene ricuperato in Cristo Gesù Redentore e Salvatore di tutti gli esseri umani.

Questo bene, che nel linguaggio e nel contenuto richiama beni terreni deliziosi e grandemente appetibili, sulla bocca di Gesù assume invece un carattere di felicità eterna e soprannaturale: «oggi sarai con me in Paradiso».
Il Paradiso diventa quindi per i credenti l'obiettivo primario della loro vita, segnata certamente dalla struggente nostalgia per il paradiso perduto, ma sostenuta dalla speranza di raggiungere il Paradiso futuro.

Cielo
Il termine cielo nella Bibbia indica due cose:

1. la volta celeste che si distende sulla terra, e quindi la sede delle nuvole e delle stelle. Questa volta celeste costituisce, con la terra, l'intera creazione;

2. la dimora di Dio; lo spazio riservato a Lui, il suo Santuario, il suo trono.

Se il cielo è la dimora di Dio,

• il cielo si apre quando Dio si rivolge agli uomini, e quando gli uomini vi debbono entrare;

• dal cielo Cristo è venuto sulla terra; e dal cielo verrà di nuovo nel mondo per giudicarlo e trasformarlo;

• dal cielo Dio manda il suo Spirito; e dal cielo discendono gli Angeli per portare gli ordini divini. Questa concezione ha sempre creato, e continua a creare, non pochi malintesi, perché quando la scienza ha allargato i confini della terra e, sotto e sopra, "ha sfrattato" Dio perché non l'ha trovato, l'uomo si è posto la domanda:

- ma dov'è Dio?

- dov'è la sua effettiva dimora?

- dov'è il suo Paradiso?

È nota l'affermazione del primo astronauta russo: «sono salito molto in alto, ho cercato in tutti i modi di trovare la sede di Dio, ma non ho trovato proprio nulla! Dio in cielo non c'è, perché se ci fosse, in qualche modo l'avrei incontrato! Come sono ingenui coloro che ci credono!».
 
Dio e il Paradiso sono proprio in cielo?

Gli uomini hanno sempre pensato al cielo come alla dimora stabile di Dio; lo hanno cioè immaginato come dimorante in un luogo alto, sovrastante la terra e tanto distante da dover fare molta fatica per poterlo raggiungere.

Hanno cioè localizzato le sfere celesti come un domicilio stabile, circoscritto, lontano e riservato a Dio e ai suoi eletti. Ma è proprio così? Per rispondere a questa domanda occorre sapere che Dio è qualitativamente distinto da ogni altro essere vivente e da ogni altra cosa.
Ora, stando così le cose, è assolutamente impossibile riuscire a trovarlo con quegli strumenti e con quegli esperimenti che sono propri delle cose e delle esperienze umane.
Se Dio è diverso, come è possibile che sia oggetto di ricerche scientifiche, e come è possibile che venga collocato in spazi e territori che hanno dimensioni geografiche, storiche e ambientali?

Dio quindi:

• non è legato a un determinato spazio;

• non è localizzato oltre le nuvole e le stelle, così che, salendo in alto, lo si possa incontrare o non incontrare;

• non si identifica con un pezzo di mondo distinto da altri pezzi, ma, pur essendo sostanzialmente distinto da ognuna delle sue creature, è presente:

- in ogni luogo,

- in ogni creatura,

- con ogni creatura,

così come l'anima è tutta presente, anche se distinta, in ogni parte del corpo, anche la meno importante.

Perché, allora, la Bibbia dice che "Dio è in alto", "è nel cielo"?
La Bibbia usa queste espressioni non solo per adeguarsi alla mentalità comune e al linguaggio corrente, ma anche e soprattutto,

• per esprimere la Maestà di Dio;

• per indicare la sua elevatezza sul mondo;

• per significare che Egli è il Principio creativo e attivo di ogni cosa, mentre la terra, che è in basso, è segno dell'oscuro, del tenebroso, del pesante, del passivo;

• per evidenziare la sua Personalità, che viene a essere potentemente affermata perché protesa verso l'alto, o discendente dall'alto.

La Sacra Scrittura quindi, quando usa le parole cielo o cieli, non intende esprimere giudizi sulla natura o sulla struttura del cosmo, ma semplicemente trasmettere messaggi divini attraverso parole e concetti comuni alla cultura e al linguaggio dell'epoca in cui fu rivelata e scritta. Andare in cielo Dio dunque

- non è legato a un luogo,

- non si identifica con una parte del mondo,

- non è in cielo o in terra.

Quando diciamo che Dio è in cielo, intendiamo dire che è un'Entità diversa dalla terra, e che è elevato al di sopra e al di fuori di essa.
Il termine cielo

- diventa così sinonimo di Dio,

- designa la speciale natura di Dio,

- può essere usato al posto di Dio.

L'espressione andare in cielo significa andare a Dio, ma non andare da Lui in un determinato spazio geografìco e circoscritto.
Il cielo è là dove è Dio, e quindi ovunque. L'affermazione l'uomo va in cielo è quindi indipendente

- da qualsiasi concezione,

- da qualsiasi mutazione,

- da qualsiasi progresso delle cose e del mondo.

È un'affermazione che era valida al tempo in cui fu scritta la Bibbia, e resta valida oggi in cui le conoscenze scientifiche e le cose sono notevolmente cambiate. Andare in cielo significa, dunque, anzitutto, andare a Dio, iniziando una nuova forma e un diverso modo di esistere, differente da quello terreno.

Uno stato o un luogo?

Da quanto abbiamo detto, il cielo è anzitutto non un luogo, ma un nuovo modo di esistere. Ma potrebbe essere anche un luogo?
Sicuramente sì, perché coloro che partecipano delle forme della vita celeste sono legati allo spazio, specie dopo la risurrezione corporale, perché non possono essere onnipresenti.
Dice lo Schmaus: «certo l'uomo, giunto alla perfezione celeste, non soggiace più, come l'uomo pellegrino sulla terra, alle leggi del tempo e dello spazio. Tuttavia resta limitato a un determinato spazio.
La natura di questo vincolo spaziale è difficile da determinare. Si deve comunque dire che agli spiriti dei trapassati viene affidato uno spazio determinato in cui esprimere il proprio modo di vivere. Essi hanno, come gli angeli, un campo limitato di azione. E così si deve ammettere che la comunità dei beati è legata a un luogo di vita comunitaria.
Tuttavia, il Paradiso non può essere fissato in una determinata parte del creato.
Alla questione della localizzazione del Paradiso non può essere data una risposta: con buona pace degli studiosi, i quali sanno che questa localizzazione non appartiene alla sostanza della fede».

martedì 22 marzo 2011

Familiaris Consortio - La famiglia cristiana - XIX

Continuiamo il percorso familiare e reimmergiamoci nelle parole della Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II. Oggi scopriamo il ruolo della Chiesa in rapporto alla castità coniugale su cui abbiamo riflettuto la settimana scorsa. Ancora oggi, il Venerabile Giovanni Paolo II, insiste sull'importanza, sulla necessità della castità coniugale ed indica il ruolo fondamentale della Chiesa nell'essere Maestra della norma morale e Madre per aiutare i coniugi che trovano difficoltà in questo cammino di castità e perfezione spirituale. Su tutti primeggia un aspetto molto importante: la Chiesa non può venir meno alla certezza della norma morale solo per esigenze di adattamento al tempo e alle situazioni particolari. Questo è molto importante in una società che per giustificare i propri vizi, non si trattiene dal definire la Chiesa come affetta da sessuofobia. E' un'accusa ingiustificata che non tiene conto del fatto che la Chiesa è custode di norme che Dio stesso ha inciso nel cuore degli uomini; pensare che la Chiesa debba venir incontro alle esigenze della modernità è alquanto aberrante e fuori da ogni logica morale. La sessualità ha un valore, un significato preciso che Dio stesso ha costituito: la Chiesa custodisce questo significato e lo trasmette di generazione in generazione affinché l'uomo si ricordi di quelle regole fondamentali che guidano la sua vita.
Importante diventa l'educazione alla castità in modo da mostrare, soprattutto ai più giovani, che la sessualità è qualcosa di complesso, di meraviglioso, ma soprattutto definito da tempi precisi: e non a caso il Venerabile Giovanni Paolo II si sofferma sull'educazione volta alla scoperta dei periodi di fertilità della donna, poiché in questo modo si scandisce il tempo della sessualità e il tempo della castità. Sono parole importantissime che tutti noi siamo chiamati ad ascoltare perchè traduzione concreta della Verità:


II. Il servizio della vita

1) La trasmissione della vita 

La Chiesa Maestra e Madre per i coniugi in difficoltà

33. Anche nel campo della morale coniugale la Chiesa è ed agisce come Maestra e Madre.

Come Maestra, essa non si stanca di proclamare la norma morale che deve guidare la trasmissione responsabile della vita. Di tale norma la Chiesa non è affatto né l'autrice né l'arbitra. In obbedienza alla verità, che è Cristo, la cui immagine si riflette nella natura e nella dignità della persona umana, la Chiesa interpreta la norma morale e la propone a tutti gli uomini di buona volontà, senza nasconderne le esigenze di radicalità e di perfezione.
Come Madre, la Chiesa si fa vicina alle molte coppie di sposi che si trovano in difficoltà su questo importante punto della vita morale: conosce bene la loro situazione, spesso molto ardua e a volte veramente tormentata da difficoltà di ogni genere, non solo individuali ma anche sociali; sa che tanti coniugi incontrano difficoltà non solo per la realizzazione concreta, ma anche per la stessa comprensione dei valori insiti nella norma morale.

Ma è la stessa ed unica Chiesa ad essere insieme Maestra e Madre. Per questo la Chiesa non cessa mai di invitare e di incoraggiare, perché le eventuali difficoltà coniugali siano risolte senza mai falsificare e compromettere la verità: è infatti convinta che non può esserci vera contraddizione tra la legge divina del trasmettere la vita e quella di favorire l'autentico amore coniugale (cfr. «Gaudium et Spes«, 51). Per questo, la pedagogia concreta della Chiesa deve sempre essere connessa e non mai separata dalla sua dottrina. Ripeto, pertanto, con la medesima persuasione del mio predecessore: «Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime» (Paolo PP. VI «Humanae Vitae», 29).
D'altra parte l'autentica pedagogia ecclesiale rivela il suo realismo e la sua sapienza solo sviluppando un impegno tenace e coraggioso nel creare e sostenere tutte quelle condizioni umane - psicologiche, morali e spirituali - che sono indispensabili per comprendere e vivere il valore e la norma morale.
Non c'è dubbio che tra queste condizioni si debbano annoverare la costanza e la pazienza, l'umiltà e la fortezza d'animo, la filiale fiducia in Dio e nella sua grazia, il ricorso frequente alla preghiera e ai sacramenti dell'Eucaristia e della riconciliazione (cfr. ibid. 25). Così corroborati, i coniugi cristiani potranno mantenere viva la coscienza del singolare influsso che la grazia del sacramento del matrimonio esercita su tutte le realtà della vita coniugale, e quindi anche sulla loro sessualità: il dono dello Spirito, accolto e corrisposto dai coniugi, li aiuta a vivere la sessualità umana secondo il piano di Dio e come segno dell'amore unitivo e fecondo di Cristo per la sua Chiesa.

Ma tra le condizioni necessarie rientra anche la conoscenza della corporeità e dei suoi ritmi di fertilità. In tal senso bisogna far di tutto perché una simile conoscenza sia resa accessibile a tutti i coniugi, e prima ancora alle persone giovani, mediante un'informazione ed una educazione chiare, tempestive e serie, ad opera di coppie, di medici e di esperti. La conoscenza poi deve sfociare nell'educazione all'autocontrollo: di qui l'assoluta necessità della virtù della castità e della permanente educazione ad essa. Secondo la visione cristiana, la castità non significa affatto né rifiuto né disistima della sessualità umana: significa piuttosto energia spirituale, che sa difendere l'amore dai pericoli dell'egoismo e dell'aggressività e sa promuoverlo verso la sua piena realizzazione.

Paolo VI, con profondo intuito di sapienza e di amore, altro non ha fatto che dare voce all'esperienza di tante coppie di sposi quando ha scritto nella sua enciclica: «il dominio dell'istinto mediante la ragione e la libera volontà, impone indubbiamente una ascesi, affinché le manifestazioni affettive della vita coniugale siano secondo il retto ordine e in particolare per l'osservanza della continenza periodica. Ma questa disciplina, propria della purezza degli sposi, ben lungi dal nuocere all'amore coniugale, gli conferisce invece un più alto valore umano. Esige un continuo sforzo, ma grazie al suo benefico influsso i coniugi sviluppano integralmente la loro personalità arricchendosi di valori spirituali: essa apporta alla vita familiare frutti di serenità e di pace e agevola la soluzione di altri problemi; favorisce l'attenzione verso l'altro coniuge, aiuta gli sposi a bandire l'egoismo, nemico del vero amore, ed approfondisce il loro senso di responsabilità nel compimento dei loro doveri. I genitori acquistano con essa la capacità di un influsso più profondo ed efficace per l'educazione dei figli» («Humanae Vitae», 21).

lunedì 21 marzo 2011

Scopriamo Santa Maria Faustina Kowalska - Nono appuntamento

Torniamo ad approfondire la figura di Santa Faustina Kowalska, nota come l'Apostola della Divina Misericordia. Oggi scopriamo una meravigliosa visione avuta da Santa Faustina, una visione che ci conforta davvero tanto perchè ci mostra come il sacrificio di Gesù è sempre presente dinanzi agli occhi di Dio, ogni volta che Egli porge il suo sguardo su di noi. Dobbiamo ringraziare Dio per questo e dobbiamo ringraziare Gesù che ha donato tutto sé stesso solamente per donarci amore, perdono, misericordia.:

1933. Una volta udii nel mio intimo questa voce: « Fa' una novena per la Patria. La novena consisterà nelle litanie dei Santi. Chiedi il permesso al confessore ». Durante la successiva confessione ottenni il permesso e la sera iniziai subito la novena. Verso la fine delle litanie vidi un grande chiarore ed in esso Dio Padre. Fra quel chiarore e la terra vidi Gesù inchiodato sulla croce in modo tale che Iddio, volendo guardare sulla terra, doveva guardare attraverso le Piaghe di Gesù. E compresi che per riguardo di Gesù Iddio benediva la terra. Gesù, Ti ringrazio per questa grande grazia, cioè per il confessore, che Tu stesso Ti sei degnato di scegliermi e che mi hai fatto vedere in visione prima che lo conoscessi di persona. 
Quando ero andata a confessarmi da Padre Andrasz, pensavo che sarei stata liberata dalle mie ispirazioni interiori. Il Padre mi rispose che non mi poteva liberare, ma: « Preghi, sorella, per ottenere un direttore spirituale ». Dopo una breve e fervida preghiera vidi di nuovo Don Sopocko nella nostra cappella fra il confessionale e l'altare. Allora mi trovavo a Cracovia. Queste due visioni mi rafforzarono tanto più nello spirito in quanto lo trovai così come lo avevo visto in visione sia a Varsavia durante la terza probazione, sia a Cracovia. Gesù, Ti ringrazio per questa grande grazia. Adesso tremo quando sento dire talvolta da qualche anima che non ha il confessore, cioè il direttore spirituale. So bene infatti quali gravi danni ho avuto io stessa quando non avevo questo aiuto. Senza un direttore spirituale si può andare facilmente fuori strada. O vita grigia e monotona, quanti tesori in te! Nessun'ora è uguale all'altra, per cui il grigiore e la monotonia scompaiono, quando considero ogni cosa con l'occhio della fede. La grazia elargita a me in quest'ora, non si ripeterà nell'ora successiva. Mi verrà data anche nell'ora successiva, ma non sarà più la stessa. il tempo passa e non ritorna più. Ciò che contiene in sé, non si cambierà mai: lo sigilla col sigillo per l'eternità. Don Sopocko dev'essere molto amato dal Signore. Lo dico perché ho avuto modo di constatare quanto il Signore si preoccupi per lui in certi momenti Nel notare ciò sono enormemente lieta che il Signore abbia degli eletti di questo genere. 

domenica 20 marzo 2011

Scoprire la Sacra Liturgia - Mediator Dei - DIciottesima parte

Continuiamo ad indagare la bellezza della Sacra Liturgia, nel giorno in cui Cristo ha vinto la morte, attraverso le parole dell'Enciclica Mediator Dei di Papa Pio XII. Continua a l'approfondimento della seconda parte dell'Enciclica, dedicata al Culto Eucaristico: oggi leggiamo il pensiero di Pio XII sul ringraziamento che dovrebbe seguire il termine della celebrazione:

Parte II.

Il Culto Eucaristico

Il ringraziamento

L'azione sacra, che è regolata da particolari norme liturgiche, dopo che è stata compiuta, non dispensa dal ringraziamento colui che ha gustato il nutrimento celeste; è cosa, anzi, molto conveniente che egli, dopo aver ricevuto il cibo Eucaristico e dopo la fine dei riti pubblici, si raccolga, e, intimamente unito al Divino Maestro, si trattenga con Lui, per quanto gliene diano opportunità le circostanze, in dolcissimo e salutare colloquio. Si allontanano, quindi, dal retto sentiero della verità coloro i quali, fermandosi alle parole più che al pensiero, affermano e insegnano che, finita la Messa, non si deve prolungare il ringraziamento, non soltanto perché il Sacrificio dell'altare è per natura sua un'azione di grazie, ma anche perché ciò appartiene alla pietà privata, personale, e non al bene della comunità.

Ma, al contrario, la natura stessa del Sacramento richiede che il cristiano che lo riceve ne ricavi abbondanti frutti di santità. Certo, la pubblica adunanza della comunità è sciolta, ma è necessario che i singoli, uniti con Cristo, non interrompano nella loro anima il canto di lode «ringraziando sempre di tutto, nel nome del Signor Nostro Gesù Cristo, il Dio e il Padre». A ciò ci esorta anche la stessa sacra Liturgia del Sacrificio Eucaristico, quando ci comanda di pregare con queste parole: «Concedici, ti preghiamo, di renderti continue grazie . . . e non cessiamo mai di lodarti». Per cui, se si deve sempre ringraziare Dio e non si deve mai cessare dal lodarlo, chi oserebbe riprendere e disapprovare la Chiesa che consiglia ai suoi sacerdoti e ai fedeli di trattenersi almeno per un po' di tempo, dopo la Comunione, in colloquio col Divin Redentore, e che ha inserito nei libri liturgici opportune preghiere, arricchite di indulgenze, con le quali i sacri ministri si possono convenientemente preparare prima di celebrare e di comunicarsi, e, compiuta la santa Messa, manifestare a Dio il loro ringraziamento? La sacra Liturgia, lungi dal soffocare gli intimi sentimenti dei singoli cristiani, li agevola e li stimola, perché essi siano assimilati a Gesù Cristo e per mezzo di lui indirizzati al Padre; quindi essa stessa esige che chi si è accostato alla mensa Eucaristica ringrazi debitamente Dio. Al Divin Redentore piace ascoltare le nostre preghiere, parlare a cuore aperto con noi, e offrirci rifugio nel suo Cuore fiammeggiante.

Anzi, questi atti, propri dei singoli, sono assolutamente necessari per godere più abbondantemente di tutti i soprannaturali tesori di cui è ricca la Eucaristia e per trasmetterli agli altri secondo le nostre possibilità affinché Cristo Signore consegua in tutte le anime la pienezza della sua virtù.

Perché, dunque, Venerabili Fratelli, non loderemmo coloro i quali, ricevuto il cibo Eucaristico, anche dopo che è stata sciolta ufficialmente l'assemblea cristiana, si indugiano in intima familiarità col Divin Redentore, non solo per trattenersi dolcemente con Lui, ma anche per ringraziarlo e lodarlo, e specialmente per domandargli aiuto, affinché tolgano dalla loro anima tutto ciò che può diminuire l'efficacia del Sacramento, e facciano da parte loro tutto ciò che può favorire la presentissima azione di Gesù? Li esortiamo, anzi, a farlo in modo particolare, sia traducendo in pratica i propositi concepiti ed esercitando le cristiane virtù, sia adattando ai propri bisogni quanto hanno ricevuto con regale liberalità. Veramente parlava secondo precetti e lo spirito della Liturgia l'autore dell'aureo libretto della Imitazione di Cristo, quando consigliava a chi si era comunicato: «Raccogliti in segreto e goditi il tuo Dio, perché possiedi colui che il mondo intero non potrà toglierti».

Noi tutti, dunque, così intimamente stretti a Cristo, cerchiamo quasi di immergerci nella sua santissima anima, e ci uniamo con Lui per partecipare agli atti di adorazione con i quali Egli offre alla Trinità Augusta l'omaggio più grato ed accetto; agli atti di lode e di ringraziamento che Egli offre all'Eterno Padre, e a cui fa eco concorde il cantico del cielo e della terra, come è detto: «Benedite il Signore, tutte le opere sue»: agli atti, infine, partecipando ai quali imploriamo l'aiuto celeste nel momento più opportuno per chiedere ed ottenere soccorso in nome di Cristo: ma soprattutto ci offriamo e immoliamo vittime, con le parole: «Fa che noi ti siamo eterna offerta».

Il Divin Redentore ripete incessantemente il suo premuroso invito: «Restate in me». Per mezzo del Sacramento della Eucaristia, Cristo dimora in noie noi dimoriamo in Cristo; e come Cristo, rimanendo in noi, vive ed opera, così è necessario che noi, rimanendo in Cristo, per Lui viviamo e operiamo.