lunedì 31 gennaio 2011

Scopriamo Santa Maria Faustina Kowalska - Secondo appuntamento

Torniamo ad approfondire la figura di Santa Faustina Kowalska, nota come l'Apostola della Divina Misericordia. Cominciamo ad addentrarci nel mistero del suo diario, uno scritto che rappresenta un vero e proprio testamento spirituale di cui tutti noi se siamo beneficiari. Oggi vediamone l'introduzione di Santa Faustina, la quale si rivolge direttamente a Gesù Cristo:
 

Diario di Santa Sr. Faustina Kowalska

I° QUADERNO

O Amore Eterno, ordini di dipingere la Tua santa immagine E ci sveli la fonte inconcepibile della Misericordia. Tu benedici chi si avvicina ai Tuoi raggi, Ed all'anima nera dai il candore della neve. O Gesù dolce, hai eretto qui il trono della Tua Misericordia, Per aiutare i peccatori e ridar loro la gioia. Dal Tuo Cuore squarciato, come da limpida fonte, Sgorga il conforto per le anime ed i cuori contriti. Erompe senza posa dal cuore degli uomini L'onore e la gloria per questa Immagine. Ogni cuore inneggi alla Divina Misericordia In ogni momento e nei secoli dei secoli. Dio Mio Se guardo verso il futuro, m'investe la paura, Ma perché inoltrarsi nel futuro? Mi è cara soltanto l'ora presente, Perché il futuro forse non albergherà nella mia anima. Il tempo passato non è in mio potere Per cambiare, correggere od aggiungere qualche cosa. Né i sapienti, né i profeti han potuto far questo. Affidiamo pertanto a Dio ciò che appartiene al passato. O momento presente, tu mi appartieni completamente, Desidero utilizzarti per quanto è in mio potere, E nonostante io sia piccola e debole, Mi dai la grazia della tua onnipotenza. Perciò, confidando nella Tua Misericordia, Avanzo nella vita come un bambino, Ed ogni giorno Ti offro il mio cuore Infiammato d'amore per la Tua maggior gloria.

G.M.G. DIO E ANIME.

O Re di Misericordia, guida la mia anima Suor M. Faustina del SS.mo Sacramento Wilno, 28.VII.1934 O Gesù mio, con fiducia verso di Te Intreccio migliaia di corone e so Che fioriranno tutte, E so che fioriranno tutte, quando le illuminerà il Sole Divino. O grande Divin Sacramento, Che nascondi il mio Dio, O Gesù, resta con me ogni momento, Ed il mio cuore non sarà preso dal timore.

G.M.G. Wilno, 28.VII.1934 Primo fascicolo DIO E LE ANIME

Sii adorata, o Santissima Trinità, ora e in ogni tempo. SIi adorata in tutte le Tue opere e in tutte le Tue creature. Ammirata ed esaltata la grandezza della Tua Misericordia, o Dio. Debbo prender nota 4 degli incontri della mia anima con Te, o Dio, nei momenti particolari delle Tue visite. Debbo scrivere di Te, o Incomprensibile nella Misericordia verso la povera anima mia. La Tua santa volontà è la vita della mia anima. Ho avuto quest'ordine da chi Ti sostituisce per me, o Dio, qui in terra e m'insegna la Tua santa volonta. Vedi, Gesù, com'è difficile per me scrivere e che non so descrivere chiaramente ciò che provo in fondo all'anima. O Dio, può forse la penna descrivere cose per le quali talvolta non esistono nemmeno le parole? Ma, o Dio, mi ordini di scrivere; questo mi basta.

domenica 30 gennaio 2011

Scoprire la Sacra Liturgia - Mediator Dei - Undicesima parte

Continuiamo ad indagare la bellezza della Sacra Liturgia, nel giorno in cui Cristo ha vinto la morte, attraverso le parole dell'Enciclica Mediator Dei di Papa Pio XII: oggi entriamo nella seconda parte dell'Enciclica, dedicata al momento principale della Liturgia e cioè il Culto Eucaristico, quando si forma il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo nostro Signore:

Parte II.

Il Culto Eucaristico
 
Il mistero della Santissima Eucaristia, istituita dal Sommo Sacerdote Gesù Cristo e rinnovata in perpetuo per sua volontà dai suoi ministri, è come la somma e il centro della religione cristiana. Trattandosi del culmine della sacra Liturgia, riteniamo opportuno, Venerabili Fratelli, indugiare alquanto e richiamare la vostra attenzione su questo gravissimo argomento.

Il Sacrifizio Eucaristico

Cristo Signore, «sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedec» che, «avendo amato i suoi che erano nel mondo», «nell'ultima cena, nella notte in cui veniva tradito, per lasciare alla Chiesa sua sposa diletta un sacrificio visibile - come lo esige la natura degli uomini - che rappresentasse il sacrificio cruento, che una volta tanto doveva compiersi sulla Croce, e perché il suo ricordo restasse fino alla fine dei secoli, e ne venisse applicata la salutare virtù in remissione dei nostri quotidiani peccati, . . . offrì a Dio Padre il suo Corpo e il suo Sangue sotto le specie del pane e del vino e ne diede agli Apostoli allora costituiti sacerdoti del Nuovo Testamento, perché sotto le stesse specie lo ricevessero, mentre ordinò ad essi e ai loro successori nel sacerdozio, di offrirlo».

L'augusto Sacrificio dell'altare non è, dunque, una pura e semplice commemorazione della passione e morte di Gesù Cristo, ma è un vero e proprio sacrificio, nel quale, immolandosi incruentamente, il Sommo Sacerdote fa ciò che fece una volta sulla Croce offrendo al Padre tutto se stesso, vittima graditissima. «Una . . . e identica è la vittima; egli medesimo, che adesso offre per ministero dei sacerdoti, si offrì allora sulla Croce; è diverso soltanto il modo di fare l'offerta».

Identico, quindi, è il sacerdote, Gesù Cristo, la cui sacra persona è rappresentata dal suo ministro. Questi, per la consacrazione sacerdotale ricevuta, assomiglia al Sommo Sacerdote, ed ha il potere di agire in virtù e nella persona di Cristo stesso; perciò, con la sua azione sacerdotale, in certo modo «presta a Cristo la sua lingua, gli offre la sua mano».

Parimenti identica è la vittima, cioè il Divin Redentore, secondo la sua umana natura e nella realtà del suo Corpo e del suo Sangue. Differente, però, è il modo col quale Cristo è offerto. Sulla Croce, difatti, Egli offrì a Dio tutto se stesso e le sue sofferenze, e l'immolazione della vittima fu compiuta per mezzo di una morte cruenta liberamente subita; sull'altare, invece, a causa dello stato glorioso della sua umana natura, «la morte non ha più dominio su di Lui» e quindi non è possibile l'effusione del sangue; ma la divina sapienza ha trovato il modo mirabile di rendere manifesto il sacrificio del nostro Redentore con segni esteriori che sono simboli di morte. Giacché, per mezzo della transustanziazione del pane in corpo e del vino in sangue di Cristo, come si ha realmente presente il suo corpo, così si ha il suo sangue; le specie eucaristiche poi, sotto le quali è presente, simboleggiano la cruenta separazione del corpo e del sangue. Così il memoriale della sua morte reale sul Calvario si ripete in ogni sacrificio dell'altare, perché per mezzo di simboli distinti si significa e dimostra che Gesù Cristo è in stato di vittima.

Identici, finalmente, sono i fini, di cui il primo è la glorificazione di Dio. Dalla nascita alla morte, Gesù Cristo fu divorato dallo zelo della gloria divina, e, dalla Croce, l'offerta del sangue arrivò al cielo in odore di soavità. E perché questo inno non abbia mai a cessare, nel Sacrificio Eucaristico le membra si uniscono al loro Capo divino e con Lui, con gli Angeli e gli Arcangeli, cantano a Dio lodi perenni, dando al Padre onnipotente ogni onore e gloria.

Il secondo fine è il ringraziamento a Dio. Il Divino Redentore soltanto, come Figlio di predilezione dell'Eterno Padre di cui conosceva l'immenso amore, poté innalzarGli un degno inno di ringraziamento. A questo mirò e questo volle «rendendo grazie», nell'ultima cena, e non cessò di farlo sulla Croce, non cessa di farlo nell'augusto Sacrificio dell'altare, il cui significato è appunto l'azione di grazie o eucaristica, e ciò perché è «cosa veramente degna e giusta, equa e salutare».

Il terzo fine è l'espiazione e la propiziazione. Certamente nessuno al di fuori di Cristo poteva dare a Dio Onnipotente adeguata soddisfazione per le colpe del genere umano; Egli, quindi, volle immolarsi in Croce «propiziazione per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo». Sugli altari si offre egualmente ogni giorno per la nostra redenzione, affinché, liberati dalla eterna dannazione, siamo accolti nel gregge degli eletti. E questo non soltanto per noi che siamo in questa vita mortale, ma anche «per tutti coloro che riposano in Cristo, che ci hanno preceduto col segno della fede e dormono il sonno della pace»; poiché sia che viviamo, sia che moriamo, «non ci separiamo dall'unico Cristo».

Il quarto fine è l'impetrazione. Figlio prodigo, l'uomo ha male speso e dissipato tutti i beni ricevuti dal Padre celeste, perciò è ridotto in somma miseria e squallore; dalla Croce, però, Cristo «avendo a gran voce e con lacrime offerto preghiere e suppliche . . . è stato esaudito per la sua pietà», e sui sacri altari esercita la stessa efficace mediazione affinché siamo colmati d'ogni benedizione e grazia. Si comprende pertanto facilmente perché il sacrosanto Concilio di Trento affermi che col Sacrificio Eucaristico ci viene applicata la salutare virtù della Croce per la remissione dei nostri quotidiani peccati.

L'Apostolo delle genti, poi, proclamando la sovrabbondante pienezza e perfezione del Sacrificio della Croce, ha dichiarato che Cristo con una sola oblazione rese perfetti in perpetuo i santificati. I meriti di questo Sacrificio, difatti, infiniti ed immensi, non hanno confini: si estendono alla universalità degli uomini di ogni luogo e di ogni tempo, perché, in esso, sacerdote e vittima è il Dio Uomo; perché la sua immolazione come la sua obbedienza alla volontà dell'Eterno Padre fu perfettissima, e perché Egli ha voluto morire come Capo del genere umano: «Considera come fu trattato il nostro riscatto: Cristo pende dal legno: vedi a qual prezzo comprò . . .; versò il suo sangue, comprò col suo sangue, col sangue dell'Agnello immacolato, col sangue dell'unico Figlio di Dio . . . Chi compra è Cristo, il prezzo è il sangue, il possesso è tutto il mondo».


Meditando il Vangelo - Il segreto della felicità: le beatitudini

Torna l'appuntamento, della Domenica mattina, di meditazione del Vangelo. Il Vangelo di oggi ci mostra le beatitudini pronunciate da Gesù Cristo. Meditiamole attraverso il commento di mons. Antonio Riboldi (per chi volesse approfondire, può leggere il commento di Sant'Agostino qui):

Ci sono parole di Gesù, che sono rimaste e rimangono nella mente di tutti, a partire da chi ha fede, come 'una traccia di Dio e del Suo pensierò, che va oltre le idee o i disegni degli uomini, che normalmente sono di breve durata e non possono essere la nostra vera storia...
Quelle di Gesù sono le risposte che l'uomo, nel profondo del suo essere, cerca, quando si fa condurre per mano dalla sete di verità e di felicità.
Sono parole, quelle del Maestro, simili ad un eterno arcobaleno, che non sai se parta dalla terra o dal cielo, ma sai che li unisce, infondendo serenità. Ben diverso dai 'fuochi d'artificiò che bucano per un istante il cielo con una luce abbagliante, per poi lasciarti subito e nuovamente nel buio delle illusioni.
Si è scritto tanto sulle Beatitudini, che Gesù lasciò come 'codice' infallibile della felicità e santità, e come 'sentierò dei passi di vita di chi crede e anche,.... se ha buona volontà, di chi dice di non credere!
L'uomo è plasmato da Chi, per sua natura, è Beato: Dio. Lui è tutto e lo è sommamente: la più grande ed inimmaginabile ricchezza di cuore che si possa immaginare; l'Amore più grande che si possa ricevere; la Dolcezza e la Pace e la Misericordia, che tutti vorremmo avvolgesse i passi della nostra vita. Non può quindi l'uomo non sentire come 'suo', il desiderio infinito di beatitudine.
Ecco perché il profeta Sofonìa dice:
"Cercate il Signore voi tutti poveri della terra, che seguite i Suoi ordini; cercate la giustizia, cercate l'umiltà, per trovarvi al riparo nel giorno dell'ira del Signore". (Sof. 2,3)
Difficile commentare o esprimere tutta la bellezza delle Beatitudini, che sono il segreto della gioia, qui, ora. Per questo lascio la parola a Paolo VI, vero maestro di santità:
"Giorno benedetto è quello in cui la Chiesa fa riecheggiare ai nostri animi la sequenza squillante delle beatitudini evangeliche. Ancora prima di considerarne il senso, la voce che le ha proclamate ci sorprende, piena di forza e di poesia: è la voce del Maestro, che per noi le ha formulate e che ci appare nella sicurezza e nella maestà, semplice e sovrana, di chi sa parlare al mondo e guidare i destini dell'umanità. Gesù tiene cattedra sulla montagna: lo circondano i discepoli, futuri apostoli e docenti della terra; poi a circoli sempre più larghi nello spazio e nel tempo, uditori o no, gli uomini tutti: ultimi, oggi, noi stessi. É Cristo che annuncia il suo programma e condensa in sentenze limpide e scultoree tutto il Vangelo.
Il Regno della terra e il Regno del cielo, hanno nelle beatitudini il loro codice iniziale e finale. Ascoltiamo la fine e austera sequenza:
'Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati gli afflitti, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli". (Mt. 5, 1-12)
"Chi non ha ascoltato le beatitudini - continua Paolo VI - non conosce il Vangelo. Chi non le ha meditate non conosce Cristo.
In altre parole, Cristo ha esaltato nelle beatitudini non tanto delle misere condizioni umane, quasi queste fossero fine a se stesse, ma piuttosto ha predicato delle virtù magnifiche, che dalle misere condizioni umane prendono il nome e che mediante quelle possono fare buono e grande e pio l'uomo pellegrino.
E perciò ha fatto scaturire dal suolo arido e sterile delle nostre deficienze e delle nostre sofferenze, stupende energie morali e spirituali; ha portato a termine la scoperta che i più alti spiriti umani avevano intuito, quella del distacco liberatore dai beni della terra, quella della nobiltà sacra e misteriosa del dolore, quella della inestimabile grandezza dei poveri e dei perseguitati, quella dell'eroismo di chi dà la vita per la giustizia e la verità, quella dell'affermazione trionfante che esistono valori, quelli del Regno di Dio, per cui la vita può essere spesa senza timore.
Chi ha compreso questa difficile lezione e l'ha applicata alla propria vita è santo: è il beato, il perfetto. Resta che la lezione è difficile. La perfezione del Vangelo ha queste due facce, una di rinuncia e di penitenza, qui, e una di pienezza e di gioia, là. La parola di Gesù è una spada a due tagli: ferisce e guarisce, esige e regala, addolora e consola.... Purtroppo il mondo che ci circonda e che pare stia voltando le spalle a Cristo, la dimentica, la deride, facendo della felicità presente (ma possiamo chiamare 'felicità' quella momentanea soddisfazione che a volte cerchiamo tanto?) lo scopo prevalente di ogni umana fatica, mentre gli stessi credenti, partiti per portare un ordine cristiano alla nostra società, talora, sembra che non abbiano altre promesse da fare che quelle di un benessere materiale, legittimo sì, e doveroso, ma insufficiente a fare buona e felice l'umanità, e non sanno offrire agli uomini del nostro tempo, le più alte e più vere promesse, quelle dei beni morali, dei beni spirituali, dei beni religiosi.
E allora ricordare e meditare le beatitudini, per capire che qui è l'umanesimo vero, qui il cristianesimo autentico, qui la beatitudine vera."
Che importavano a S.Francesco d'Assisi le ricchezze del mondo, una volta che si era fatto possedere interamente dall'amore di Dio? In lui la povertà diventò totale libertà e piena accoglienza della gioia che solo Cristo sa donare. E fa esplodere la sua irrefrenabile gioia nel cantico delle creature, che sembra davvero un'aggiunta alle beatitudini di Gesù.
E grazie a Dio, ancora oggi, ci sono cristiani che le beatitudini le vivono pienamente, da quella della povertà in spirito per farsi dono a chi davvero e povero. Quanti meravigliosi esempi quotidiani e testimonianze delle beatitudini. Quella cara e semplice donna, che venne una sera a donarmi tutto quello che aveva, perché affermava che 'possedere senza essere aperti alla carità è brutto egoismo'.
E nel privarsi di tutto si sentiva davvero beata.
Ma come dimenticare che la povertà di un tempo, spesso anche oggi non lontana da noi, si viveva e vive in tante famiglie: una povertà dignitosa che quasi automaticamente attirava e può attirare a sé tutte le altre beatitudini.
E come non rimanere stupiti dei sacrifici dei martiri - di ieri e di oggi, in tante parti del mondo - che a volte cantavano mentre erano torturati:? O del coraggio degli operatori di pace che hanno dato e danno la vita per portare dignità uguale per tutti?
Forse fa impressione l'arroganza di chi mostra il culto del benessere, senza che nemmeno lo sfiori il dubbio che tante volte il suo 'star bené è un furto che crea poveri, non di spirito, ma di pane e di vita.... Sono comunque 'i poveri', tutti i poveri, gli umili, coloro nei quali Cristo si è identificato... Se vogliamo conoscere la sospirata felicità, che davanti a Dio diventa santità, occorre almeno 'sfiorarle', le beatitudini, per capire che sono la sola via alla vera nostra realizzazione e cosi sapremo voltare le spalle alle 'beatitudini bugiarde del nostro tempo'.
Ne avremo la forza, con l'aiuto di Dio. Ne vale la pena per non diventare schiavi del mondo e delle sue mode.
Scriveva don Tonino Bello:
"Noi viviamo in un mondo che purtroppo attira con i suoi fascini, inganna con le sue lusinghe. Secondo gli ideali del mondo, ogni attività dovrebbe essere in funzione dei divertimenti, della fortuna, nella ricerca e nel conseguimento del successo in tutte le varie attribuzioni della esistenza terrena. Intenti solo a questa caduca finalità, non si fa' che tenere gli occhi fissi sulla terra e non si pensa a guardare il cielo. Allorché invece, si vive secondo la fede, quando al mattino al primo suono della campana dell'Angelus, si innalza il pensiero a Dio, e si invoca il patrocinio della Madre Sua, poi in tutte le altre evenienze della giornata, si è animati da quella ispirazione, allora veramente si può dire che la vita è conosciuta nella sua 'beatitudiné."

sabato 29 gennaio 2011

La storia di San Francesco di Assisi - Decima parte

Continuiamo a scoprire la storia di San Francesco di Assisi: oggi iniziamo a vedere l'opera di evangelizzazione portata avanti da san Francesco e da coloro che cominciano a seguirlo in questo cammino verso il Signore. San Francesco, prima di inviare i frati esattamente come Gesù inviò i suoi discepoli (ammirabile l'intima imitazione della vita di San Francesco con la vita terrena di Gesù), spiegò loro alcune cose fondamentali concernenti il Regno di Dio, il disprezzo del mondo, il rinnegamento della propria volontà, il dominio che si deve esercitare sul proprio corpo. Queste sono ritenute da san Francesco aspetti fondamentali che devono forgiare l'animo di colui che decide di servire il Signore. Ma sono delle precise indicazioni anche per tutti noi che ci ritroviamo in questo pellegrinaggio terreno verso il Regno dei Cieli. Se noi ambiamo alla meta preziosa, allora dobbiamo tener presente queste considerazioni: cominciamo dal disprezzo del mondo. Esso significa non seguire la mondanità, non lasciarsi coinvolgere dai pensieri che il mondo diffonde e restare saldi nella fede. Rinnegamento della propria volontà significa solamente dar significato a quanto diciamo recitando il Padre Nostro: "sia fatta la Tua Volontà". Se noi recitiamo il Padre nostro senza ipocrisia, allora dobbiamo implicitamente ammettere che la Volontà di Dio prevale sulla volontà nostra! E questa prevalenza avviene spesso perchè la nostra volontà è influenzata dall'egoismo e dal mondo che ci circonda e quindi difficilmente riesce a coincidere con quella del Signore. Infine, c'è un ultima considerazione che riguarda il dominio del proprio corpo. Se noi vogliamo esser liberi e soprattutto degni di Cristo, dobbiamo imparare a dominare le pulsioni e le passioni come ci insegna il Siracide e la Bibbia in generale. Parliamo non solo di passioni sessuali (sicuramente le più ostiche da reprimere perchè il maligno fa leva su questa debolezza per annientare la volontà dell'uomo), ma di ogni tipo di impulsi atti a incidere sulla nostra libertà d'azione. 
Fatte queste considerazioni, guardiamo da vicino questo nuovo atto della vita di san Francesco: 


CAPIOLO DODICESIMO

FRANCESCO MANDA I FRATI A DUE A DUE NEL MONDO; POCO TEMPO DOPO SI RITROVANO INSIEME

29. Nello stesso tempo entrò nell'Ordine una nuova e ottima recluta, così il loro numero fu portato a otto. Allora il beato Francesco li radunò tutti insieme, e dopo aver parlato loro a lungo del Regno di Dio, del disprezzo del mondo, del rinnegamento della propria volontà, del dominio che si deve esercitare sul proprio corpo, li divise in quattro gruppi, di due ciascuno e disse loro: «Andate, carissimi, a due a due per le varie parti del mondo e annunciate agli uomini la pace e la penitenza in remissione dei peccati; e siate pazienti nelle persecuzioni, sicuri che il Signore adempirà il suo disegno e manterrà le sue promesse. Rispondete con umiltà a chi vi interroga, benedite chi vi perseguita, ringraziate chi vi ingiuria e vi calunnia perché in cambio ci viene preparato il regno eterno».

Ed essi, ricevendo con gaudio e letizia grande il precetto della santa obbedienza, si prostravano davanti al beato padre, che abbracciandoli con tenerezza e devozione, diceva ad ognuno: «Riponi la tua fiducia nel Signore ed Egli avrà cura di te». Era la frase che ripeteva ogni volta che mandava qualche frate ad eseguire l'obbedienza.

30. Allora frate Bernardo con frate Egidio, partì per Compostella, al santuario di San Giacomo, in Galizia; san Francesco con un altro compagno si scelse la valle di Rieti; gli altri quattro, a due a due, si incamminarono verso le altre due direzioni. Ma passato breve tempo, san Francesco, desiderando di rivederli tutti, pregò il Signore, il quale raccoglie i figli dispersi d'Israele, che si degnasse nella sua misericordia di riunirli presto. E tosto, secondo il suo desiderio e senza che alcuno li chiamasse, si ritrovarono insieme e resero grazie a Dio. Prendendo il cibo insieme manifestano calorosamente la loro gioia nel rivedere il pio pastore e la loro meraviglia per aver avuto il medesimo pensiero. Si raccontano poi i benefici ricevuti dal misericordioso Signore e chiedono e ottengono umilmente la correzione e la penitenza dal beato padre per le eventuali colpe di negligenza o di ingratitudine.

E così solevano fare sempre quando si recavano da lui; non gli nascondevano neppure il minimo pensiero e i moti involontari dell'anima, e dopo aver compiuto tutto ciò che era stato loro comandato, si ritenevano ancora servi inutili. E veramente la «purezza di cuore» riempiva a tal punto quel primo gruppo di discepoli del beato Francesco, che, pur sapendo operare cose utili, sante e rette, si mostrava del tutto incapace di trarne vana compiacenza. Allora il beato Francesco, stringendo a sé i figli con grande amore, comincio a manifestare a loro i suoi propositi e ciò che il Signore gli aveva rivelato.

31. Durante questo tempo si aggregarono a loro e si fecero discepoli di Francesco altri quattro uomini degni e virtuosi. Perciò l'interesse per il movimento e la fama dell'uomo di Dio cresceva sempre più tra il popolo. E veramente in quel tempo Francesco e i suoi compagni provavano una immensa allegrezza e una gioia inesplicabile quando qualcuno dei fedeli, chiunque e di qualunque condizione fosse, ricco, povero, nobile, popolano, spregevole, onorato, prudente, semplice, chierico, indotto, laico, guidato dallo spirito di Dio veniva a prender l'abito della loro santa religione. Riscuotevano tutti la sincera ammirazione degli uomini del mondo, e l'esempio della loro umiltà era per essi una provocazione a vivere meglio e far penitenza dei propri peccati.

Né l'umiltà della condizione, né la povertà che il mondo ritiene una infermità, potevano impedire che fossero incorporati nella costruzione di Dio quelli che egli voleva inserirvi, poiché Dio trova la sua compiacenza nello stare con i semplici e con quelli che il mondo disprezza.

venerdì 28 gennaio 2011

Imparando con le Lettere Apostoliche - Ventottesimo appuntamento

Torna l'appuntamento settimanale con "Imparando con le Lettere Apostoliche". Il cammino di oggi giunge al celebre inno alla carità:

Tredicesima parte della Prima Lettera ai Corinzi 

1Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
2E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.
3E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.
4La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, 5non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, 6non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. 7Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. 8La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. 9La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. 10Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. 11Quand'ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l'ho abbandonato. 12Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto.
13Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!

COMMENTO 

Carissimi, eccoci giunti al punto principale della Lettera di San Paolo ai Corinzi, forse il punto più importante di tutte le Lettere di San Paolo: l'inno alla carità. San Paolo ci mostra tre cose importantissime per raggiungere la perfezione spirituale: la fede, la speranza e la carità. Ma dice di più: egli dice che più grande di tutte è la carità! Con questa semplice espressione semantica, San Paolo mostra la gerarchia delel virtù e mette al primo posto assoluto la carità. E non a torto. La carità è l'elemento che contraddistingue il cristiano e il figlio di Dio sin dagli albori del mondo. Difatti, la carità ha attraversato tutti gli uomini giusti che hanno camminato sulla terra: ed in Gesù Cristo, essa ha raggiunto una dimensione ancora più piena, maggiormente pregnante. Lo stesso atto di Gesù rappresenta espressione di carità, tutta la Sua vita è espressione di carità. E dopo di Lui, gli apostoli i quali la prima cosa che fecero fu quella di istituire una cassa comune per aiutare i deboli della comunità. Le prime comunità apostoliche sono state impregnate di carità e così lo sono stati tutti i Santi che Dio ha chiamato nei due millenni successivi alla Venuta del Messia. Questo ci dice molto sul valore della carità e ci fa capire in maniera netta, quest'inno paolino che inneggia alla carità, esaltandola in tutte le sue componenti. Sant'Ambrogio tradusse in concretezza questo pensiero: Tutti i discorsi sulla carità non mi insegneranno di più del gesto di mia madre che fa posto in casa per un vagabondo affamato, e non trovo gesto migliore per dire la fierezza di essere uomo di quando mio padre si fece avanti a prendere le difese di un uomo ingiustamente accusato.
Anche Madre Teresa diede una dimensione concreta alla carità, con queste parole: La Carità comincia oggi. Qualcuno sta soffrendo oggi, è per strada oggi, ha fame oggi. Il nostro lavoro è per oggi...una donna venne da me con suo figlio e disse:'Madre, sono andata in due o tre posti ad elemosinare un pò di cibo perché non mangiamo da tre giorni...', andai a prendere qualcosa da mangiare e quando tornai il bambino che aveva in braccio era morto di fame. Non saranno con noi domani se non li sfamiamo oggi. Perciò preoccupatevi di ciò che potete fare oggi. 

E' dunque una grande virtù la carità: ma non una virtù astratta, bensì una virtù che necessita concretezza. Siamo tutti bravi a parlare del Buon Samaritano, ma dobbiamo pensare a cosa avessimo fatto noi al posto di quel Samaritano sceso da Gerico. Dobbiamo cominciare a tradurre il pensiero in concretezza: in sostanza dobbiamo sempre interrogarci su cosa noi possiamo fare per il prossimo in difficoltà: non aprendo il portafoglio, almeno non solo, ma aprendo il proprio cuore dinanzi alla difficoltà altrui. Non a caso Gesù, nel delineare il Giudizio universale disse questo:

 31 Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. 32 E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, 33 e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. 34 Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. 35 Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, 36 nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. 37 Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? 38 Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? 39 E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? 40 Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. 41 Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. 42 Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; 43 ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. 44 Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? 45 Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. 46 E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».

Scriviamo dunque nel cuore quest'inno di carità per comprendere che noi saremo misurati, in larga parte, proprio dalla carità che avremo mostrato. Vi saluto ora con le parole di Papa Benedetto XVI il quale si è soffermato su quest'inno, durante l'Angelus dello scorso 31 Gennaio 2010:

Nella sua Prima Lettera ai Corinzi, dopo aver spiegato, con l'immagine del corpo, che i diversi doni dello Spirito Santo concorrono al bene dell'unica Chiesa, Paolo mostra la “via” della perfezione. Questa - dice - non consiste nel possedere qualità eccezionali: parlare lingue nuove, conoscere tutti i misteri, avere una fede prodigiosa o compiere gesti eroici. Consiste invece nella carità - agape - cioè nell'amore autentico, quello che Dio ci ha rivelato in Gesù Cristo. La carità è il dono “più grande”, che dà valore a tutti gli altri, eppure “non si vanta, non si gonfia d'orgoglio”, anzi, “si rallegra della verità” e del bene altrui. Chi ama veramente “non cerca il proprio interesse”, “non tiene conto del male ricevuto”, “tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (cfr 1 Cor 13,4-7). Alla fine, quando ci incontreremo faccia a faccia con Dio, tutti gli altri doni verranno meno; l'unico che rimarrà in eterno sarà la carità, perché Dio è amore e noi saremo simili a Lui, in comunione perfetta con Lui.

Per ora, mentre siamo in questo mondo, la carità è il distintivo del cristiano. E' la sintesi di tutta la sua vita: di ciò che crede e di ciò che fa. Per questo, all'inizio del mio pontificato, ho voluto dedicare la mia prima Enciclica proprio al tema dell'amore: Deus caritas est. Come ricorderete, questa Enciclica si compone di due parti, che corrispondono ai due aspetti della carità: il suo significato, e quindi la sua attuazione pratica. L'amore è l'essenza di Dio stesso, è il senso della creazione e della storia, è la luce che dà bontà e bellezza all'esistenza di ogni uomo. Al tempo stesso, l'amore è, per così dire, lo “stile” di Dio e dell'uomo credente, è il comportamento di chi, rispondendo all'amore di Dio, imposta la propria vita come dono di sé a Dio e al prossimo. In Gesù Cristo questi due aspetti formano una perfetta unità: Egli è l'Amore incarnato. Questo Amore ci è rivelato pienamente nel Cristo crocifisso. Fissando lo sguardo su di Lui, possiamo confessare con l'apostolo Giovanni: “Noi abbiamo riconosciuto l'amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto” (cfr 1 Gv 4,16; Enc. Deus caritas est, 1).

Cari amici, se pensiamo ai Santi, riconosciamo la varietà dei loro doni spirituali, e anche dei loro caratteri umani. Ma la vita di ognuno di essi è un inno alla carità, un cantico vivente all'amore di Dio!


mercoledì 26 gennaio 2011

Voglia di Paradiso - I appuntamento

Voglia di Paradiso. San Filippo Neri rese celebre il motivetto con la quale conquistò prima i ragazzi disagiati che vivevano per strada e poi il Papa stesso durante una prova dalla quale sarebbe dipesa il futuro del suo oratorio. Quel motivetto ripete sempre una frase: "Preferisco il Paradiso". E' un motivetto semplice, ma incredibilmente potente perchè ogni volta che si canta, d° una sensazione di gioia che tende verso l'eterno. Ho sperimentato su di me gli effetti di questo breve motivetto e mi hanno colmato il cuore di gioia ogni volta che lo cantavo dentro di me: questo perchè era come se ripetessi dentro di me che io preferivo il Paradiso che ci aveva offerto Gesù piuttosto che cedere agli impulsi del peccato oggi. E questo ha dimostrato quanto tutti noi abbiamo bisogno di rapportarci con l'eternità, con il Regno dei Cieli così tanto presentato nel Vangelo da Gesù. Ogni essere umano ha la chiave per entrare in Paradiso: solo che a volte si dimentica di avercela e quindi finisce per dimenticarsi anche la porta d'entrata del Paradiso. 
Tutte queste considerazioni preliminari servono ad introdurre un nuovo cammino che percorreremo insieme, a partire da oggi: si tratta dell'approfondimento di un opera di Mons. Novello Pederzini, tra l'altro uno dei conduttori più apprezzati e seguiti di Radio Maria. Tale opera chiamata "Voglia di Paradiso" mostra la sua voglia di Paradiso e i segreti per raggiungerlo ed è quindi un'opera molto importante perchè ci fa riallacciare un rapporto con ciò a cui tutti noi dovremmo ambire e cioè il Paradiso. Oggigiorno il Paradiso ha perso il suo reale significato a causa dell'abuso di questo termine da parte dell'uomo: ma è tempo di ricordare che tutti noi siamo qui sulla Terra, proprio per compiere un pellegrinaggio verso il Regno dei Cieli. Ma leggiamo di cosa tratta quest'opera bellissima, attraverso la riflessione iniziale di Padre Vincenzo Benetollo,  Direttore delle Edizioni Studio Domenicano. Cominceremo ad addentrarci nei misteri del Paradiso a partire da mercoledì prossimo.

VOGLIA DI PARADISO

Don Novello Pederzini © Edizioni Studio Domenicano

Riflessioni e proposte per la scelta di una felicità sulla terra e nel cielo

Presentazione
 
La VOGLIA di Paradiso è l'intenso desiderio di felicità che è comune a ogni uomo.
Tutti la cercano e lottano per conquistarla: l'importante è imboccare la strada giusta.
Don Novello, con questo nuovo libro, vuole additarci questa strada. Ma non ci conduce per i percorsi impervi della Filosofia o della Teologia, bensì per i sentieri della semplicità che si adatta a tutte le persone di buona volontà.
Egli si comporta come il bravo medico che non ci insegna la sua scienza - pur vasta e profonda - ma ce la consegna in ricette accessibili e semplificate.
Il libro ha tutte le caratteristiche dei libri precedenti, già molto diffusi e anche tradotti in altre lingue.
Il Cardinale Giacomo Biffi, Arcivescovo di Bologna, ha scritto che «Don Novello ha il dono di un'evangelizzazione autentica, limpida e sostanziale; presentata con stile agile e moderno, e quindi accessibile e gradito».
E il suo autorevole giudizio si aggiunge a quello di molti studiosi e di impegnati operatori pastorali.
Basta sfogliare queste pagine per avere l'immediata impressione di trovarsi su una comoda autostrada che porta speditamente alla meta.
Per arrivare a questo risultato, Don Novello ha percorso un lungo cammino di ricerca personale e di impegno pastorale per diffondere le grandi verità della fede e della vita.
Ha incominciato col fondamentale tema dell'atto di fede, dedicandovi la tesi di laurea per il dottorato in Teologia, e lo ha continuato approfondendo e divulgando gli importanti temi del dolore, dell'amore, della gratitudine, dell'ordine personale, e dei vari Sacramenti della Chiesa.
I libri di Don Novello, pubblicati in un formato elegante e tascabile, si leggono d'un fiato, per quell'inconfondibile stile che sa rendere comprensibili gli ar­gomenti di non facile penetrazione.
Questo libro ha il sapore di un punto di arrivo e di una visione conclusiva di un percorso spirituale e pastorale, perché la VOGLIA di Paradiso è il normale traguardo di un cammino sorretto dalla fede, e, soprattutto, dall'amore per la Verità, la Bellezza e la Bontà. È una VOGLIA che non si improvvisa, ma che si matura col tempo, attraverso i normali canali dell'impegno, dello studio, della preghiera e del contatto vivo con le realtà di ogni giorno.
Don Novello ha camminato per questa via insegnando la Verità e la Bellezza, e quando è riuscito a comprenderle e a viverle con intensità, non ha potuto più resistere alla VOGLIA di comunicarcele, tanto è grande il suo desiderio di partecipare anche a noi il bene che ha nel cuore.

Grazie, Don Novello, per averci insegnato questo cammino di autorealizzazione, di letizia e di eternità.

P. VINCENZO BENETOLLO O. P. Direttore delle Edizioni Studio Domenicano 

martedì 25 gennaio 2011

Familiaris Consortio - La famiglia cristiana - XI

Continuiamo il percorso familiare e reimmergiamoci nelle parole della Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II. Oggi è il principio dell'indissolubilità del matrimonio che viene richiamato dal Venerabile Wojtyla. Proprio oggi, in una trasmissione della rete ammiraglia, c'è stato un acceso confronto sulla durata dell'unione coniugale e l'ammissibilità del divorzio. E' stata un accerchiamento nei confronti del povero sacerdote presente il quale da solo difendeva il carattere indissolubile della comunione coniugale. E' aberrante quanto sta accadendo nella società odierna e Giovanni Paolo II aveva già colto ai suoi tempi quest'aspetto che oggi va diffondendosi sempre di più. Manca la convinzione che un matrimonio possa durare eternamente: il matrimoni, se non schivato del tutto, è visto come un contratto giuridico, un qualcosa che lega solo giuridicamente, non più spiritualmente e materialmente (unione della carne per divenire una cosa sola). Ecco perchè quest'esortazione apostolica assume un significato ancor più pregnante di guida per i novelli sposi e per i fidanzati di oggi: dobbiamo diffondere nuovamente il pensiero cristiano avulso dalle componenti civilistiche e personali di chi ha inteso l'unione matrimoniale come una semplice formalità pratico-giuridica. Bisogna risvegliare i valori del matrimonio e richiamare tutti all'impegno che esso comporta, nel superare insieme le difficoltà che inevitabilmente si pongono sul cammino della vita. Non si può pensare al divorzio ogni volta che si è in difficoltà perchè questo sarebbe un acconsentire alle pressioni del nemico che spinge alla divisione. Prendiamo esempio dalle famiglie cristiane autentiche e dalle persone sante che hanno saputo vivere il matrimonio pur se in costante difficoltà come Santa Monica. E' tempo di pensare secondo Dio e non secondo il nostro piacere momentaneo e questo dovrebbe esser scritto nei nostri cuori in ogni cosa che facciamo. Leggiamo ora il pensiero della Familiaris Consortio sul tema in questione:

PARTE TERZA
I COMPITI DELLA FAMIGLIA CRISTIANA

I. La formazione di una comunità di persone 

Una comunione indissolubile

20. La comunione coniugale si caratterizza non solo per la sua unità, ma anche per la sua indissolubilità: «Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità» («Gaudium et Spes», 48).

E' dovere fondamentale della Chiesa riaffermare con forza - come hanno fatto i Padri del Sinodo - la dottrina dell'indissolubilità del matrimonio: a quanti, ai nostri giorni, ritengono difficile o addirittura impossibile legarsi ad una persona per tutta la vita e a quanti sono travolti da una cultura che rifiuta l'indissolubilità matrimoniale e che deride apertamente l'impegno degli sposi alla fedeltà, è necessario ribadire il lieto annuncio della definitività di quell'amore coniugale, che ha in Gesù Cristo il suo fondamento e la sua forza (cfr. Ef 5,25).

Radicata nella personale e totale donazione dei coniugi e richiesta dal bene dei figli, l'indissolubilità del matrimonio trova la sua verità ultima nel disegno che Dio ha manifestato nella sua Rivelazione. Egli vuole e dona l'indissolubilità matrimoniale come frutto, segno ed esigenza dell'amore assolutamente fedele che Dio ha per l'uomo e che il Signore Gesù vive verso la sua Chiesa.

Cristo rinnova il primitivo disegno che il Creatore ha iscritto nel cuore dell'uomo e della donna, e nella celebrazione del sacramento del matrimonio offre un «cuore nuovo»: così i coniugi non solo possono superare la «durezza del cuore» (Mt 19,8), ma anche e soprattutto possono condividere l'amore pieno e definitivo di Cristo, nuova ed eterna Alleanza fatta carne. Come il Signore Gesù è il «testimone fedele» (Ap 3,14), è il «sì» delle promesse di Dio (cfr. 2Cor 1,20) e quindi la realizzazione suprema dell'incondizionata fedeltà con cui Dio ama il suo popolo, così i coniugi cristiani sono chiamati a partecipare realmente all'indissolubilità irrevocabile, che lega Cristo alla Chiesa sua sposa, da Lui amata sino alla fine (cfr. Gc 13,1).

Il dono del sacramento è nello stesso tempo vocazione e comandamento per gli sposi cristiani, perché rimangano tra loro fedeli per sempre, al di là di ogni prova e difficoltà, in generosa obbedienza alla santa volontà del Signore: «Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi» (Mt 19,6).

Testimoniare l'inestimabile valore dell'indissolubilità e della fedeltà matrimoniale è uno dei doveri più preziosi e più urgenti delle coppie cristiane del nostro tempo. Per questo, insieme con tutti i confratelli che hanno preso parte al Sinodo dei Vescovi, lodo e incoraggio tutte quelle numerose coppie che, pur incontrando non lievi difficoltà, conservano e sviluppano il bene dell'indissolubilità: assolvono così, in modo umile e coraggioso, il compito loro affidato di essere nel mondo un «segno» - un piccolo e prezioso segno, talvolta sottoposto anche a tentazione, ma sempre rinnovato - dell'instancabile fedeltà con cui Dio e Gesù Cristo amano tutti gli uomini ed ogni uomo. Ma è doveroso anche riconoscere il valore della testimonianza di quei coniugi che, pur essendo stati abbandonati dal partner, con la forza della fede e della speranza cristiana non sono passati ad una nuova unione: anche questi coniugi danno un'autentica testimonianza di fedeltà, di cui il mondo oggi ha grande bisogno. Per tale motivo devono essere incoraggiati e aiutati dai pastori e dai fedeli della Chiesa.

lunedì 24 gennaio 2011

Scopriamo Santa Maria Faustina Kowalska - Primo appuntamento

Dopo aver terminato la conoscenza di Madre Eugenia Elisabetta Ravasio, cominciamo un nuovo appuntamento volto alla conoscenza di Santa Faustina Kowalska e della Divina Misericordia di cui ella è stata apostola scelta da Gesù. Oggi cominciamo a vedere la storia in breve di questa suora che è stata davvero un'apostola del Signore, capace di sopportare le pene e di tramandarci un Diario ricco di consigli spirituali per tutti noi poiché sono frutto dell'esperienza. Tal Diario sarà al centro del nostro appuntamento a partire dalla settimana prossima: in esso vi è un immenso tesoro spirituale che servirà a tutti noi per crescere nel nostro cammino di fede. Inoltre esso ci farà scoprire ancora più profondamente, i tratti di Suor Faustina di cui oggi vediamo una generale rappresentazione storica:

Santa Faustina Kowalska , l'apostola della Divina Misericordia, appartiene oggi al gruppo dei santi della Chiesa più conosciuti. Attraverso lei il Signore manda al mondo il grande messaggio della misericordia Divina e mostra un esempio di perfezione cristiana basata sulla fiducia in Dio e sull'atteggiamento misericordioso verso il prossimo.
Santa Faustina nacque il 25 agosto 1905, terza di dieci figli, da Marianna e Stanislao Kowalski, contadini del villaggio di Glogowiec (attualmente diocesi di Wloclawek). Al battesimo nella chiesa parrocchiale di lwinice Warckie le fu dato il nome di Elena. Fin dall'infanzia si distinse per l'amore, per la preghiera, per la laboriosità, per l'obbedienza e per una grande sensibilità verso la povertà umana. All'età di nove anni ricevette la Prima Comunione; fu per lei un'esperienza profonda perché‚ ebbe subito la consapevolezza della presenza dell'Ospite Divino nella sua anima. Frequentò la scuola per appena tre anni scarsi. Ancora adolescente abbandonò la casa dei genitori e andò a servizio presso alcune famiglie benestanti di Aleksandrow, lodl e Ostrowek, per mantenersi e per aiutare i genitori.
Fin dal settimo anno di vita avvertì nella sua anima la vocazione religiosa, ma non avendo il consenso dei genitori per entrare nel convento, cercava di sopprimerla. Sollecitata poi da una visione di Cristo sofferente, partì per Varsavia dove il 10 agosto del 1925 entrò nel convento delle Suore della Beata Vergine Maria della Misericordia. Col nome di Suor Maria Faustina trascorse in convento tredici anni in diverse case della Congregazione, soprattutto a Cracovia, Vilnius e Plock, lavorando come cuoca, giardiniera e portinaia.
All'esterno nessun segno faceva sospettare la sua vita mistica straordinariamente ricca. Svolgeva con diligenza tutti i lavori, osservava fedelmente le regole religiose, era riservata, silenziosa e nello stesso tempo piena di amore benevolo e disinteressato. La sua vita apparentemente ordinaria, monotona e grigia nascondeva in sè una profonda e straordinaria unione con Dio.
Alla base della sua spiritualità si trova il mistero della misericordia Divina che essa meditava nella parola di Dio e contemplava nella quotidianità della sua vita. La conoscenza e la contemplazione del mistero della misericordia di Dio sviluppavano in lei un atteggiamento di fiducia filiale in Dio e di misericordia verso il prossimo. Scriveva:
O mio Gesù, ognuno dei Tuoi santi rispecchia in s‚ una delle Tue virtu; io desidero rispecchiare il Tuo Cuore compassionevole e pieno di misericordia, voglio glorificarlo. La Tua misericordia, o Gesù, sia impressa sul mio cuore e sulla mia anima come un sigillo e ciò sara il mio segno distintivo in questa e nell'altra vita (Diario, p. 418).
Suor Faustina fu una figlia fedele della Chiesa, che essa amava come Madre e come Corpo Mistico di Gesù Cristo. Consapevole del suo ruolo nella Chiesa, collaborava con la misericordia Divina nell'opera della salvezza delle anime smarrite. Rispondendo al desiderio e all'esempio di Gesù offrì la sua vita in sacrificio. La sua vita spirituale si caratterizzava inoltre nell'amore per l'Eucarestia e nella profonda devozione alla Madre di Dio della Misericordia.
Gli anni della sua vita religiosa abbondarono di grazie straordinarie: le rivelazioni, le visioni, le stigmate nascoste, la partecipazione alla passione del Signore, il dono dell'ubiquità, il dono di leggere nelle anime, il dono della profezia e il raro dono del fidanzamento e dello sposalizio mistico. Il contatto vivo con Dio, con la Madonna, con gli angeli, con i santi, con le anime del purgatorio, con tutto il mondo soprannaturale fu per lei non meno reale e concreto di quello che sperimentava con i sensi. Malgrado il dono di tante grazie straordinarie era consapevole che non sono esse a costituire l'essenza della santità. Scriveva nel "Diario":
Né le grazie, né le rivelazioni, né le estasi, né alcun altro dono ad essa elargito la rendono perfetta, ma l'unione intima della mia anima con Dio. I doni sono soltanto un ornamento dell'anima, ma non ne costituiscono la sostanza né la perfezione. La mia santità e perfezione consiste in una stretta unione della mia volontà con la volontà di Dio (Diario p. 380).
Il Signore aveva scelto Suor Faustina come segretaria e apostola della Sua misericordia per trasmettere, mediante lei, un grande messaggio al mondo.
Nell'Antico Testamento mandai al Mio popolo i profeti con i fulmini. Oggi mando te a tutta l'umanità con la Mia misericordia. Non voglio punire l'umanità sofferente, ma desidero guarirla e stringerla al Mio Cuore misericordioso (D., p. 522).
La missione di Suor Faustina consiste in tre compiti:
- Avvicinare e proclamare al mondo la verità rivelata nella Sacra Scrittura sull'amore misericordioso di Dio per ogni uomo.
- Implorare la misericordia Divina per tutto il mondo, soprattutto per i peccatori, tra l'altro attraverso la prassi delle nuove forme di culto della Divina Misericordia indicate da Gesù: l'immagine di Cristo con la scritta: Gesù confido in Te, la festa della Divina Misericordia nella prima domenica dopo Pasqua, la coroncina alla Divina Misericordia e la preghiera nell'ora della Misericordia (ore 15). A queste forme del culto e anche alla diffusione della devozione alla Divina Misericordia il Signore allegava grandi promesse a condizione dell'affidamento a Dio e dell'amore attivo per il prossimo.
- Ispirare un movimento apostolico della Divina Misericordia con il compito di proclamare e implorare la misericordia Divina per il mondo e di aspirare alla perfezione cristiana sulla via indicata da Suor Faustina. Si tratta della via che prescrive un atteggiamento di fiducia filiale in Dio, che si esprime nell'adempimento della Sua volontà e nell'atteggiamento misericordioso verso il prossimo.
Oggi questo movimento riunisce nella Chiesa milioni di persone di tutto il mondo: congregazioni religiose, istituti secolari, sacerdoti, confraternite, associazioni, diverse comunità degli apostoli della Divina Misericordia e persone singole che intraprendono i compiti che il Signore ha trasmesso a Suor Faustina.
La missione di Suor Faustina è stata descritta nel "Diario" che essa redigeva seguendo il desiderio di Gesù e i suggerimenti dei padri confessori, annotando fedelmente tutte le parole di Gesù e rivelando il contatto della sua anima con Lui. Il Signore diceva a Faustina:
Segretaria del Mio mistero più profondo, ...il tuo compito più profondo è di scrivere tutto ciò che ti faccio conoscere sulla Mia misericordia, per il bene delle anime che leggendo questi scritti proveranno un conforto interiore e saranno incoraggiate ad avvicinarsi a Me (D., p. 557).
Quest'opera infatti avvicina in modo straordinario il mistero della misericordia Divina. Il "Diario" affascina non soltanto la gente comune ma anche i ricercatori che vi scoprono una fonte supplementare per le loro ricerche teologiche. Il "Diario" è stato tradotto in varie lingue, tra cui inglese, francese, italiano, tedesco, spagnolo, portoghese, russo, ceco, slovacco e arabo.
Suor Faustina, distrutta dalla malattia e da varie sofferenze che sopportava volentieri come sacrificio per i peccatori, nella pienezza della maturità spirituale e misticamente unita a Dio, morì a Cracovia il 5 ottobre 1938 all'età di appena 33 anni. La fama della santità della sua vita crebbe insieme alla diffusione del culto della Divina Misericordia e secondo le grazie ottenute tramite la sua intercessione. Negli anni 1965-67 si svolse a Cracovia il processo informativo relativo alla sua vita e alle sue virtù e nel 1968 iniziò a Roma il processo di beatificazione che si concluse nel dicembre del 1992. Il 18 aprile del 1993, sulla piazza di San Pietro a Roma, il Santo Padre Giovanni Paolo II l'ha beatificata e il 30 aprile 2000, Anno del Gande Giubileo del 2000, l'ha canonizzata.
Le reliquie di Suor Faustina attualmente sono sparse nel mondo in varie chiese. La tomba con i pochi resti corporali sono conservati nella cappella della casa a Cracovia dove si recava a pregare. Le reliquie sono anche esposte nel Santuario della Divina Misericordia, Chiesa Santo Spirito in Sassia. FONTE

domenica 23 gennaio 2011

Scoprire la Sacra Liturgia - Mediator Dei - Decima parte

Continuiamo ad indagare la bellezza della Sacra Liturgia, nel giorno in cui Cristo ha vinto la morte, attraverso le parole dell'Enciclica Mediator Dei di Papa Pio XII: oggi vediamo come vi è sempre il pericolo di innovazioni che contrastano con lo Spirito della Chiesa e che sono frutto di iniziative singole:

Innovazioni temerarie

Certo, la Chiesa è un organismo vivente, e perciò, anche per quel che riguarda la sacra Liturgia, ferma restando l'integrità del suo insegnamento, cresce e si sviluppa, adattandosi e conformandosi alle circostanze ed alle esigenze che si verificano nel corso del tempo; tuttavia è severamente da riprovarsi il temerario ardimento di coloro che di proposito introducono nuove consuetudini liturgiche o fanno rivivere riti già caduti in disuso e che non concordano con le leggi e le rubriche vigenti. Così, non senza grande dolore, sappiamo che accade non soltanto in cose di poca, ma anche di gravissima importanza; non manca,difatti, chi usa la lingua volgare nella celebrazione del Sacrificio Eucaristico, chi trasferisce ad altri tempi feste fissate già per ponderate ragioni; chi esclude dai legittimi libri della preghiera pubblica gli scritti del Vecchio Testamento, reputandoli poco adatti ed opportuni per i nostri tempi.

L'uso della lingua latina come vige nella gran parte della Chiesa, è un chiaro e nobile segno di unità e un efficace antidoto ad ogni corruttela della pura dottrina. In molti riti, peraltro, l'uso della lingua volgare può essere assai utile per il popolo, ma soltanto la Sede Apostolica ha il potere di concederlo, e perciò in questo campo nulla è lecito fare senza il suo giudizio e la sua approvazione, perché, come abbiamo detto, l'ordinamento della sacra Liturgia è di sua esclusiva competenza.

Allo stesso modo si devono giudicare gli sforzi di alcuni per ripristinare certi antichi riti e Cerimonie. La Liturgia dell'epoca antica è senza dubbio degna di venerazione, ma un antico uso non è, a motivo soltanto della sua antichità, il migliore sia in se stesso sia in relazione ai tempi posteriori ed alle nuove condizioni verificatesi. Anche i riti liturgici più recenti sono rispettabili, poiché sono sorti per influsso dello Spirito Santo che è con la Chiesa fino alla consumazione dei secoli, e sono mezzi dei quali l'inclita Sposa di Gesù Cristo si serve per stimolare e procurare la santità degli uomini.

È certamente cosa saggia e lodevolissima risalire con la mente e con l'anima alle fonti della sacra Liturgia, perché il suo studio, riportandosi alle origini, aiuta non poco a comprendere il significato delle feste e a indagare con maggiore profondità e accuratezza il senso delle cerimonie; ma non è certamente cosa altrettanto saggia e lodevole ridurre tutto e in ogni modo all'antico. Così, per fare un esempio, è fuori strada chi vuole restituire all'altare l'antica forma di mensa; chi vuole eliminare dai paramenti liturgici il colore nero; chi vuole escludere dai templi le immagini e le statue sacre; chi vuole cancellare nella raffigurazione del Redentore crocifisso i dolori acerrimi da Lui sofferti; chi ripudia e riprova il canto polifonico anche quando è conforme alle norme emanate dalla Santa Sede.

Come, difatti, nessun cattolico di senso può rifiutare le formulazioni della dottrina cristiana composte e decretate con grande vantaggio in epoca più recente dalla Chiesa, ispirata e retta dallo Spirito Santo, per ritornare alle antiche formule dei primi Concili, o può ripudiare le leggi vigenti per ritornare alle prescrizioni delle antiche fonti del Diritto Canonico, così, quando si tratta della sacra Liturgia, non sarebbe animato da zelo retto e intelligente colui il quale volesse tornare agli antichi riti ed usi ripudiando le nuove norme introdotte per disposizione della Divina Provvidenza e per le mutate circostanze. Questo modo di pensare e di agire, difatti, fa rivivere l'eccessivo ed insano archeologismo suscitato dall’illegittimo concilio di Pistoia, e si sforza di ripristinare i molteplici errori che furono le premesse di quel conciliabolo e ne seguirono con grande danno delle anime, e che la Chiesa, vigilante custode del «deposito della fede» affidatole dal suo Divino Fondatore, a buon diritto condannò. Siffatti deplorevoli propositi ed iniziative tendono a paralizzare l'azione santificatrice con la quale la sacra Liturgia indirizza salutarmente al Padre celeste i figli di adozione.

Tutto, dunque, sia fatto nella necessaria unione con la Gerarchia ecclesiastica. Nessuno si arroghi il diritto di essere legge a se stesso e di imporla agli altri di sua volontà. Soltanto il Sommo Pontefice, in qualità di successore di Pietro al quale il Divin Redentore affidò il gregge universale, ed insieme i Vescovi che, sotto la dipendenza della Sede Apostolica, «lo Spirito Santo pose . . . a reggere la Chiesa di Dio», hanno il diritto e il dovere di governare il popolo cristiano. Perciò, Venerabili Fratelli, ogni qual volta voi tutelate la vostra autorità all'occorrenza anche con severità salutare, non soltanto adempite il vostro dovere, ma difendete la volontà stessa del Fondatore della Chiesa.

Meditando il Vangelo: Convertitevi: il regno dei cieli è vicino

Carissimi, la Domenica è un giorno speciale: è il giorno in cui il Cristo ha vinto la morte e ci ha resi partecipi della vita immortale! Per questo abbiamo cominciato a parlare della Sacra Liturgia proprio in questo giorno. Ma in questo giorno, c'è bisogno anche di meditare nel proprio cuore il Vangelo. Per questo motivo, a partire da questa Domenica, inauguro un nuovo appuntamento domenicale che si affianca all'appuntamento pomeridiano con la scoperta della Sacra Liturgia: si tratta di un appuntamento di commento al Vangelo. 
Il Vangelo odierno è molto bello perchè presenta alcuni fatti importanti nella storia di Gesù: in primo luogo il nuovo soggiorno di Gesù nella terra di Cafarnao, in modo che si adempissero le Scritture e in secondo luogo, la costituzione dei discepoli. La novità consiste nel fatto che non sono più i discepoli a scegliere il Maestro, ma il Maestro a scegliere i discepoli! In terzo luogo, vediamo Gesù cominciare il Suo ministero attraverso la predicazione del messaggio di conversione:
Inauguriamo oggi quest'appuntamento di meditazione con l'omelia di Monsignor Gianfranco Poma: 

Convertitevi: il regno dei cieli è vicino

Con la terza domenica del tempo ordinario riprendiamo la lettura continua del Vangelo secondo Matteo. Matt. 4,12-23 è l'inizio del ministero di Gesù ma ne è, al tempo stesso, una mirabile sintesi perché ne comprende tutti gli elementi essenziali.
Matteo comincia col darci le indicazioni storiche e geografiche in cui si colloca il ministero di Gesù ma ci dice pure che nella concretezza degli eventi che accadono nel tempo e nello spazio, si "compie" il progetto di Dio. Così ci rivela la prospettiva nella quale egli interpreta l'evento di Gesù: è il "compimento" che avviene in modo inatteso della fede e della speranza di Israele. E' il "compimento" della rivelazione di Dio, il "Dio con noi": Gesù è il "Dio con noi" perché condivide l'umanità in tutto, sino alla morte. Proprio perché "compimento" ha la dimensione universale per la quale Israele è stato scelto: per essere "luce delle genti". Ma perché il modo è "inatteso", chiede di essere accolto spogliandosi di tutte le precomprensioni con cui l'uomo attende l'intervento di Dio. Gesù è il "compimento" perché è la rivelazione di un Dio che per amare si abbassa sino ad annientarsi.
Ed è questo il motivo per il quale, "quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò in Galilea, lasciò Nazaret e andò ad abitare a Cafarnao": non è per paura che Gesù inverte il suo cammino verso Gerusalemme, ma perché la città, i capi religiosi e i capi del popolo, chiusi nelle loro sicurezze, non accolgono e non testimoniano la luce, ma strumentalizzano la Legge per farne strumento di potere. Gesù non si lascia rinchiudere dai centri del potere, ma comincia il suo cammino di "annientamento" e di amore: "si ritira" in Galilea, "lascia anche Nazaret e si stabilisce a Cafarnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zabulon e di Neftali". Matteo non dice il motivo per il quale Gesù lascia Nazaret, il suo paese: più tardi (Matt.13) ci parlerà dell'incredulità trovata nella sua patria e nella sua casa. Ma in tutto ciò che accade, Matteo vede "il compimento di ciò che era stato detto per mezzo del profeta": le regioni che erano state umiliate dal re dell'Assiria e che continuano a non godere di buona fama, diventano il luogo dell'esperienza della salvezza, coloro che erano considerati non-popolo, accolgono la presenza di Gesù che "si ritrae" per poter stare con loro, perché coloro che lo cercano lo possano trovare, non dentro gli spazi chiusi del sacro o del potere, ma nella Galilea, dove gli uomini vivono la loro vita quotidiana.
"Da quel momento", dalla Galilea, da una regione che Gerusalemme giudicava terra di tenebra, dalla riva del mare, perché possa varcare ogni limite, comincia a risplendere la luce: "Gesù cominciò ad annunciare": è l'annuncio che da quel momento iniziale continua a risuonare nel mondo, è l'annuncio che oggi è affidato a noi perché lo gridiamo al mondo. "Convertitevi, è vicino infatti il regno dei cieli". E' singolare il fatto che l'annuncio di Gesù è identico a quello del Battista: eppure sulle labbra di Gesù ha un senso radicalmente nuovo. Se per il Battista la conversione ha un senso morale, e la vicinanza del regno è l'annuncio dell'ormai prossimo intervento di Dio giudice per porre fine alla infedeltà del suo popolo, per Gesù la conversione è l'invito ad un radicale cambiamento nel modo di vedere Dio, che non guarda più all'uomo per condannarlo, ma che si abbassa per amarlo. Convertirsi, per Gesù, significa incontrare ed entrare in relazione personale con lui, lasciarsi amare da lui, sperimentando con lui che lo rivela, l'amore di Dio. Convertirsi significa quindi lasciarsi amare da Dio; significa, con Gesù, liberati dalla paura, entrare nella relazione filiale con Dio e fraterna con gli altri uomini e di conseguenza cominciare a vivere una vita nuova. Tutto il Vangelo descriverà "il regno dei cieli" che con Gesù si è fatto vicino perché ogni uomo possa farne l'esperienza.
Adesso Matteo continua a mostrarci che cosa significhi l'invito di Gesù alla conversione, che oggi è rivolto a noi perché comprendiamo che la vita cristiana, nella sua essenza, è tutta un cammino di conversione, un percorso quotidiano di sequela, e lo fa presentandoci la chiamata dei primi quattro discepoli, quattro pescatori del lago di Tiberiade: Simone (Pietro) e suo fratello Andrea, Giacomo e suo fratello Giovanni. Il testo si presenta come un dittico quasi perfetto, formato di tre elementi: l'incontro di due fratelli pescatori; la chiamata; il cammino delle persone chiamate. E' Gesù il soggetto che dà inizio all'incontro: è lui che passando, vede due persone precise (con il loro nome); le vede nella concretezza della loro quotidianità, con la loro vita impostata, con il lavoro che risolve il loro problema; le chiama: "Venite dietro a me: vi farò pescatori di uomini". Gesù parla, entra in relazione con loro e propone loro di entrare in relazione con lui: l'essenziale della proposta di Gesù consiste precisamente in questa relazione personale. Anche per questo, il Vangelo mostrerà tutta la preoccupazione di Gesù di far capire, educare i suoi discepoli ad entrare, approfondire, rimanere in relazione con lui. Qui Gesù dice che andare dietro lui significa spostare l'asse portante dell'esistenza dalle preoccupazioni immediate per la propria vita, alla passione per tutti gli uomini, per tutto ciò che è umano. E Matteo ci descrive la risposta dei primi chiamati: "Ed essi, subito, lasciarono le reti (la barca e il loro padre) e lo seguirono". La loro vita è completamente ristrutturata: non più attorno alle loro cose (l'avere) e ai loro affetti (l'essere), ma con lui, nella libertà da tutto ciò che li tratteneva, per essere con una persona che li proietta in un orizzonte nuovo e sconfinato. L'incontro con Gesù avviene "mentre camminava lungo il mare di Galilea": ritorna in Matteo il simbolismo del mare. Tutto parte da Cafarnao: sulla riva del mare, la via del mare, e Gesù cammina sulla riva del mare. Matteo ormai vede l'esperienza affascinante della libertà che Gesù propone, diffondersi sulle acque e oltre le acque del mare: il mare è il simbolo dello spazio e degli ostacoli che i discepoli dovranno affrontare per portare il messaggio a tutte le nazioni. Conosceranno le tempeste e la barca dei discepoli troverà pericoli mortali ma i pescatori di Galilea "seguono Gesù" il pescatore per eccellenza: è lui che vuole raccogliere gli uomini, essi agiscono perché sono e rimangono con lui.
Gli ultimi versetti descrivono Gesù che cammina, annuncia il vangelo, opera nella Galilea: i tempi dei verbi usati da Matteo, all'imperfetto, ci invitano a vedere, in trasparenza, in Gesù che cammina nella Galilea, la Chiesa che cammina nel mondo oggi, "insegnando e annunciando il vangelo del regno", mostrando che oggi, nella nostra storia complessa Dio è vicino, con il suo amore, leggendo i segni della sua presenza; "guarendo ogni sorta di malattia e infermità nel popolo" rendendo visibile il volto di un Dio non che condanna, che impone dei pesi, ma che com-patisce, infonde serenità, nuova speranza e gioia.

sabato 22 gennaio 2011

La storia di San Francesco di Assisi - Nona parte

Continuiamo a scoprire la storia di San Francesco di Assisi: oggi contempliamo lo spirito profetico di un uomo chiaramente toccato da Dio e ricolmato di Spirito Santo. Francesco si è rivolto a Dio esattamente come fece Davide, così come abbiamo visto oggi nell'Angolo di Sapienza. Davide confessò i suoi peccati, riconoscendosi degno della punizione e allo stesso modo fece Francesco. E Dio, per questo, ricolmò entrambi di grandi benedizioni. Francesco fu così reso il primo di una moltitudine che ancora oggi accorre per seguire la sua regola nell'ordine. Ecco, a Francesco fu rivelato tutto questo, ma fu rivelato anche che vi sarebbero stati frutti marci poiché il male è ovunque. Molti oggi si sdegnano per i casi di pedofilia in Chiesa e per questo accusano l'intera istituzione: ma in realtà, non è la Chiesa colpevole, ma lo sono coloro che si sono lasciati corrompere dal male e cioè coloro che rappresentano il frutto marcio. Leggiamo appresso la rivelazione profetica:

CAPITOLO UNDICESIMO

SPIRITO DI PROFEZIA E PREDIZIONI DI SAN FRANCESCO
 
26. Il beato padre Francesco, ricolmo ogni giorno più della grazia dello Spirito Santo, si adoperava a formare con grande diligenza e amore i suoi nuovi figli, insegnando loro, con principi nuovi, a camminare rettamente e con passo fermo sulla via della santa povertà e della beata semplicità.
Un giorno, pieno di ammirazione per la misericordia del Signore in tutti i benefici a lui elargiti, desiderava conoscere dal Signore che cosa sarebbe stato della sua vita e di quella dei suoi frati. A questo scopo si ritirò, come spesso faceva, in un luogo adatto per la preghiera. Vi rimase a lungo invocando con timore e tremore il Dominatore di tutta la terra, ripensando con amarezza agli anni passati malamente e ripetendo: «O Dio, sii propizio a me peccatore!». A poco a poco si sentì inondare nell'intimo del cuore di ineffabile letizia e immensa dolcezza. Cominciò come a uscire da sé: l'angoscia e le tenebre, che gli si erano addensate nell'animo per timore del peccato, scomparvero, ed ebbe la certezza di essere perdonato di tutte le sue colpe e di vivere nello stato di grazia. Poi, come rapito fuori di sé e trasportato in una grande luce, che dilatava lo spazio della sua mente, poté contemplare liberamente il futuro. Quando quella luce e quella dolcezza dileguarono, egli aveva come uno spirito nuovo e pareva un altro.
27. Allora fece ritorno ai suoi frati e disse loro pieno di gioia: «Carissimi, confortatevi e rallegratevi nel Signore; non vi rattristi il fatto di essere pochi; non vi spaventi la mia e vostra semplicità, perché, come mi ha rivelato il Signore, Egli ci renderà una innumerevole moltitudine e ci propagherà fitio ai confini del mondo. Sono costretto a raccontarvi a vostro vantaggio quanto ho veduto; sarebbe più opportuno conservare il segreto, se la carità non mi costringesse a parlarne. Ho visto una gran quantità di uomini venire a noi, desiderosi di vivere con l'abito della santa Religione e secondo la Regola del nostro beato Ordine. Risuona ancora nelle mie orecchie il rumore del loro andare e venire conforme al comando della santa obbedienza! Ho visto le strade affollate da loro, provenienti da quasi tutte le nazioni: accorrono francesi, spagnoli, tedeschi, inglesi; sopraggiunge la folla di altre varie lingue». Ascoltando queste parole, una santa gioia si impadronì dei frati, per la grazia che Iddio concedeva al suo Santo, perché assetati come erano del bene del prossimo, desideravano che ogni giorno venissero nuove anime ad accrescere il loro numero per trovarvi insieme salvezza.
28. E Francesco riprese il suo discorso: «Per ringraziare con fedeltà e devozione il Signore Dio nostro per tutti i suoi doni, o fratelli, e perché conosciate come dobbiamo vivere ora e nel futuro, ascoltate la verità sugli avvenimenti futuri. All'inizio della vita del nostro Ordine troveremo frutti dolci e deliziosi; poi ne avremo altri meno gustosi; infine ne raccoglieremo di quelli tanto amari da non poterli mangiare, perché a motivo della loro asprezza saranno immangiabili per tutti, quantunque siano estremamente belli e profumati. Ef­fettivamente come vi dissi, il Signore ci farà crescere fino a diventare un popolo assai numeroso; poi avverrà come di un pescatore che, gettando le reti nel mare o in qualche lago, prende grande quantità di pesci, ma dopo averli messi tutti nella sua navicella, essendo troppi, sceglie i migliori e i più grossi da riporre nei vasi e portar via, e abbandona gli altri».
Di quanta verità e chiarezza rifulgano queste predizioni del Santo è manifesto a chiunque le consideri con spirito obiettivo e sincero. Ecco come lo spirito di profezia riposava su San Francesco!

venerdì 21 gennaio 2011

Imparando con le Lettere Apostoliche - Ventisettesimo appuntamento

Torna l'appuntamento settimanale con "Imparando con le Lettere Apostoliche". Il cammino di oggi ci porta a riflettere sui carismi:

Dodicesima parte della Prima Lettera ai Corinzi  

1Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio che restiate nell'ignoranza. 2Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare verso gli idoli muti secondo l'impulso del momento. 3Ebbene, io vi dichiaro: come nessuno che parli sotto l'azione dello Spirito di Dio può dire "Gesù è anàtema", così nessuno può dire "Gesù è Signore" se non sotto l'azione dello Spirito Santo.
4Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; 5vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; 6vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. 7E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: 8a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; 9a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito; 10a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue. 11Ma tutte queste cose è l'unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole.
12Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. 13E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. 14Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. 15Se il piede dicesse: "Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo", non per questo non farebbe più parte del corpo. 16E se l'orecchio dicesse: "Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo", non per questo non farebbe più parte del corpo. 17Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l'udito? Se fosse tutto udito, dove l'odorato? 18Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. 19Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? 20Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. 21Non può l'occhio dire alla mano: "Non ho bisogno di te"; né la testa ai piedi: "Non ho bisogno di voi". 22Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; 23e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, 24mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, 25perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. 26Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. 27Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte. 
28Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono i miracoli, poi i doni di far guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue. 29Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti operatori di miracoli? 30Tutti possiedono doni di far guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?
31Aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte.

COMMENTO

Carissimi, oggi il tema affrontato da San Paolo è quello dei carismi, doni dello Spirito Santo. Considerando la bellezza e l'importanza di questo tema, sembra giusto far riferimento all'Udienza Generale del Venerabile Giovanni Paolo II, del 9 Marzo 1994. In questa Udienza viene esplicato in maniera egregia il significato dei carismi, partendo dal presupposto delle parole di San Paolo:

Lo Spirito Santo, datore di ogni dono e principio primo della vitalità della Chiesa, non vi opera soltanto per mezzo dei sacramenti. Egli che, secondo san Paolo, distribuisce a ciascuno i propri doni come vuole (cf. 1Cor 12,11), effonde nel popolo di Dio una grande ricchezza di grazie sia per l'orazione e la contemplazione, sia per l'azione. Sono i carismi: anche i laici ne sono beneficiari, specialmente in ordine alla loro missione ecclesiale e sociale. Lo ha affermato il Concilio Vaticano II, ricollegandosi a san Paolo: lo Spirito Santo - esso scrive - «dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie opere ed uffici, utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa, secondo quelle parole (di san Paolo): "A ciascuno la manifestazione dello Spirito data in vista dell'unità " (1Cor 12,7)» (LG 12).
2. San Paolo aveva rilevato la molteplicità e varietà dei carismi nella Chiesa primitiva: alcuni straordinari, come il dono di far guarigioni, il dono della profezia o il dono delle lingue; altri più¹ semplici, concessi per l'ordinario adempimento dei compiti assegnati nella comunità (cf. 1Cor 12,7-10).
A seguito del testo di Paolo, i carismi sono stati spesso ritenuti come doni straordinari, soprattutto caratteristici dell'inizio della vita della Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha inteso mettere in luce i carismi nella loro qualità di doni che appartengono alla vita ordinaria della Chiesa e che non hanno necessariamente un carattere straordinario o meraviglioso. Anche l'esortazione apostolica «Christifideles laicià» parla dei carismi come di doni che possono essere «straordinari o semplici e umili» (CL 24). Inoltre bisogna tener presente che molti carismi non hanno come finalità primaria o principale la santificazione personale di colui che li riceve, ma il servizio degli altri e il bene della Chiesa. Non c'è¨ dubbio che essi tendono e servono anche allo sviluppo della santità personale, ma in una prospettiva essenzialmente altruistica e comunitaria, che nella Chiesa s'iscrive in una dimensione organica, nel senso che riguarda la crescita del corpo mistico di Cristo.
3. Come ci ha detto san Paolo e ripetuto il Concilio, tali carismi sono frutto della libera scelta e donazione dello Spirito Santo, del quale partecipano la proprietà di Dono primo e sostanziale nell'ambito della vita trinitaria. Dio Uno e Trino manifesta in modo speciale nei doni la sua sovrana potestà , non sottomessa a una qualche regola antecedente, ad una disciplina particolare, ad uno schema di interventi stabilito una volta per sempre: secondo san Paolo, egli distribuisce a ciascuno i suoi doni «come vuole» (1 Cor 12,11). E' un'eterna volontà d'amore, la cui libertà e gratuità si manifesta nell'azione svolta dallo Spirito Santo-Dono nell'economia della salvezza. Per questa sovrana libertà e gratuita, i carismi sono concessi anche ai laici, come prova la storia della Chiesa (cf. CL 24).
Non possiamo non ammirare la grande ricchezza di doni concessi dallo Spirito Santo ai laici come membri della Chiesa, anche nei nostri tempi. Ciascuno di loro ha la capacità necessaria per assumere le funzioni a cui ਠchiamato per il bene del popolo cristiano e la salvezza del mondo, se ਠaperto, docile e fedele all'azione dello Spirito Santo. 
4. Ma occorre prestare attenzione anche a un altro punto della dottrina di san Paolo e della Chiesa, che vale sia per ogni specie di ministero sia per i carismi: la loro diversità e varietà non può² essere lesiva dell'unità . «vi sono diversità di carismi, ma uno solo ਠlo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo ¨ il Signore » (1Cor 12,4-5). Paolo chiedeva il rispetto di quelle diversità , perchè non tutti possono pretendere di svolgere la stessa funzione, contro il disegno di Dio e il dono dello Spirito, ed anche contro le più¹ elementari leggi di ogni struttura sociale. Ma l'Apostolo sottolineava ugualmente la necessità dell'unità , che rispondeva anch'essa a una esigenza di ordine sociologico, ma ancor più¹ doveva essere, nella comunità cristiana, un riflesso dell'unità divina. Un solo Spirito, un solo Signore. E, quindi, una sola Chiesa!
5. Agli inizi dell'era cristiana, vennero compiute cose straordinarie sotto l'influsso dei carismi, sia di quelli straordinari, sia di quelli che si potrebbero chiamare i piccoli, umili carismi di ogni giorno. Cosà è¨ stato sempre nella Chiesa, e lo è ¨ anche nella nostra epoca, generalmente in modo nascosto, ma a volte, quando Dio lo vuole per il bene della sua Chiesa, anche in modo appariscente. E come nel passato, cosଠanche ai giorni nostri ci sono stati numerosi laici che hanno molto contribuito allo sviluppo spirituale e pastorale della Chiesa. Possiamo dire che anche oggi abbondano i laici che, grazie ai carismi, operano da buoni e veraci testimoni della fede e della carità .
E' da auspicare che tutti si rendano conto di questo trascendente valore di vita eterna già incluso nel loro lavoro, se è¨ svolto nella fedeltà alla loro vocazione con docilità allo Spirito Santo che vive e agisce nei loro cuori. Questo pensiero non può² non servire di stimolo, sostegno, conforto specialmente a coloro che, per fedeltà a una vocazione santa, si impegnano nel servizio al bene comune, per lo stabilimento della giustizia, il miglioramento delle condizioni di vita dei poveri e degli indigenti, la cura degli handicappati, l'accoglienza dei profughi, la realizzazione della pace nel mondo intero.
6. Nella vita comunitaria e nella pratica pastorale della Chiesa si impone il riconoscimento dei carismi, ma anche il loro discernimento, come hanno ricordato i Padri nel Sinodo del 1987 (cf. CL 24). Certamente lo Spirito Santo «soffia dove vuole» (Gv 3,8), e non si potrà mai pretendere di imporgli regolamenti e condizionamenti. Ma la comunità cristiana ha diritto di essere avvertita dai Pastori sulla autenticità dei carismi e sulla affidabilità di coloro che si presentano come loro portatori. Il Concilio ha ricordato la necessità della prudenza in questo campo, specialmente quando si tratti di carismi straordinari (cf. LG 12).
L'esortazione apostolica «Christifideles laici» ha pure sottolineato che «nessun carisma dispensa dal riferimento e dalla sottomissione ai Pastori della Chiesa» (CL 24). Sono norme di prudenza facilmente comprensibili, e valgono per tutti, sia chierici che laici.
7. Detto ciò², ci piace ripetere, col Concilio e con l'esortazione citata, che «i carismi vanno accolti con gratitudine, da parte di chi li riceve, ma anche da parte di tutti nella Chiesa» (CL 24). Da tali carismi sorge «il diritto e il dovere di esercitarli per il bene degli uomini e ad edificazione della Chiesa» (AA 3). E' un diritto che si fonda sulla donazione dello Spirito e sulla convalida della Chiesa. E' un dovere motivato dal fatto stesso del dono ricevuto, che crea una responsabilità ed esige un impegno.
La storia della Chiesa attesta che, quando i carismi sono reali, prima o poi vengono riconosciuti e possono esercitare la loro funzione costruttiva e unitiva. Funzione, ricordiamolo ancora una volta, che la maggior parte dei membri della Chiesa, Chierici e laici, in virt๠di carismi silenziosi, svolge efficacemente ogni giorno per il bene di noi tutti. 

giovedì 20 gennaio 2011

Testimonianza di guarigione

 Carissimi, oggi vi rendo partecipi di una testimonianza che mi ha fatto pervenire Enza. Si tratta di una bellissima testimonianza proveniente da Medugorje; anche se la Vigna ha deciso la sospensione temporanea dei messaggi, per ragioni congrue e giuste, legate a doppio filo con l'interpretazione cattolica,  ritengo che sarebbe ingiusto non diffondere le belle testimonianze che stanno partendo da lì. Sia lodato Gesù Cristo per le meraviglie che ancora oggi compie per tutti noi che lo invochiamo:  

Testimonianza di Christiane Claessens, accompagnatrice di pellegrinaggi di Lausanna, Svizzera


data: 13.01.2011

Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno (Gv 20,29)

Christiane Claessens, la prima testimone della guarigione della svizzera Joëlle Beuret-Devanthéry a Medjugorje nell'Ottobre 2010, descrive il pellegrinaggio e gli eventi.

Sabato 16 Ottobre 2010, quarantasei persone, per la maggior parte della Parrocchia di San Francesco di Sales e di Santa Teresa, si sono recate a Medjugorje in pellegrinaggio privato. Era il nostro ventesimo pellegrinaggio privato, che si è svolto nel periodo in cui ricordavamo il ventesimo anniversario di fondazione del gruppo di preghiera della Regina della Pace. Per il nostro gruppo quella è stata una meravigliosa occasione di ringraziare il Signore, perché Maria ha condotto per mano ciascuno di noi e ci ha sostenuti nonostante le difficoltà che abbiamo incontrato nel corso di questi vent'anni. Veramente satana non sopporta la Vergine Maria e perciò odia anche i gruppi di preghiera che Lei desidera così ardentemente incoraggiare in tutte le parrocchie. Per grazia di Dio, noi siamo rimasti fedeli e ci siamo riuniti ogni lunedì per la preghiera, la meditazione dei misteri della vita di Cristo accompagnata dai messaggi che Maria ha dato al mondo e che da ancora ogni mese a Medjugorje.
Abbiamo trascorso due giorni in autobus pregando e conoscendo gli avvenimenti che si verificano dal 1981 a oggi. Siamo arrivati a Medjugorje la Domenica sera, intorno alle ore 20:00. Lunedì 18 Ottobre, con un tempo piovoso ma con la gioia nel cuore, siamo saliti sulla Collina delle apparizioni per un sentiero scivoloso. Tutti si aiutavano a vicenda. Tra i pellegrini c'erano anche Joëlle, una cinquantenne completamente cieca, la sua figlia dodicenne Vinciane e Claudia, la loro amica sempre modesta e sorridente, che seguiva Joëlle ovunque con amore ed attenzione. Joëlle era felice, sembrava che volasse sul sentiero pietroso. Ha pronunciato una bellissima preghiera davanti alla statua della Madonna, piena di amore e di fiducia nella Madre Celeste. Tutto il gruppo è rimasto venti minuti in silenzio sul monte e poi è sceso insieme per ritrovarsi alle ore 17:00 nella Chiesa di San Giacomo per il programma di preghiera serale. Lì è accaduto qualcosa di insolito a Joëlle: ha sentito come se una mano la soffocasse - aveva appena ricevuto la Santa Comunione - e ha sentito una voce di rimprovero che la criticava dicendo: "Volevi avere un figlio ed hai avuto una figlia, cercavi un lavoro e l'hai ricevuto. Adesso basta, vuoi finalmente tacere? Quando fa freddo hai un alloggio caldo, quando hai fame hai sempre qualcosa nel piatto, quando nevica hai un vestito caldo. Vuoi finalmente tacere, ora basta davvero?!". Joëlle ne è rimasta profondamente inquietata. Quella stessa sera ne ha parlato con Don Fabijan, che le ha detto che nell'Ostia c'è Dio stesso, che Egli ci vuole bene e che quello di sicuro non veniva da Lui. Le ha detto di pregare Dio, di pregarlo per poter fare la sua volontà. Questo l'ha tranquillizzata.

Il giorno seguente, 19 Ottobre, abbiamo deciso di pregare la Via Crucis salendo fino alla grande Croce sul monte Krizevac. Le persone più anziane e Joëlle hanno pregato la Via Crucis nella vallata con Don Olivier, mentre il gruppo, sotto una lieve pioggia e su un terreno ancora più scivoloso e difficile di quello del giorno precedente, saliva sul Krizevac. Davanti ad ogni stazione abbiamo pregato a lungo per tutte le nostre intenzioni. Luc ci ha proposto di unirci in preghiera con il piccolo gruppo che non aveva potuto venire sul monte con noi e di offrire la Via Crucis particolarmente per Joëlle, di chiedere per lei grazie speciali - perché non anche la guarigione - poiché a Dio nulla è impossibile. Quella è stata una Via Crucis molto intensa , è stata una preghiera profonda in cui abbiamo meditato tutte le sofferenze che Cristo ha offerto per i nostri peccati. E' durata dalle 9:00 alle 15:00. Alle ore 17:00 ci siamo tutti nuovamente ritrovati nella Chiesa parrocchiale di Medjugorje per il programma serale.

Lì è avvenuto un grande miracolo. Nel momento in cui Joëlle ha ricevuto la Santa Eucaristia, ha visto il sacerdote e la sua alba bianca. Tutta sorpresa, ha guardato verso l'alto ed ha notato le lampade, l'alto soffitto della Chiesa e le vetrate. Come se fosse stata espulsa del suo involucro nero, si è sentita male. Ha detto a Claudia, che era accanto a lei: "Ti prego, portami fuori di qui, non mi sento bene". Quando sono uscite, Joëlle ha detto a Claudia: "Vedo la luce!". Sono andate verso la sacrestia, da dove stava proprio uscendo Don. Olivier. Egli ha domandato loro: "Cosa fate voi qui?". Joëlle ha risposto: "Io ci vedo!". Profondamente commosso, Don Olivier ha proposto loro di tornare in Chiesa, dove era appena finito il terzo Rosario. Le persone stavano uscendo dalla Chiesa e noi abbiamo circondato Joëlle. Il sacerdote, come un vero pastore, le ha proposto di ringraziare il Signore e sono andati insieme verso i gradini dell'altare principale, si sono inginocchiati ed hanno ringraziato Dio per il grande dono che Egli aveva appena elargito a lei. Quel gesto ci ha ricordato il brano del Vangelo in cui Gesù ha guarito i dieci lebbrosi, solo uno dei quali era tornato a ringraziarlo. In seguito siamo andati verso la statua della Madonna per ringraziare anche Lei della sua intercessione. Poi siamo tornati in pensione. Alcune donne italiane ed alcuni pellegrini di Plymouth ci hanno raccontato che si trovavano dietro Joëlle mentre riceveva la Comunione e che da lei emanava un forte profumo di rosa. In seguito Joëlle ha riconosciuto che quel profumo di rosa l'ha accompagnata per giorni e dura ancora. Nel frattempo Vincianne, che era stata a Messa, era già tornata in pensione e non sapeva quale grazia aveva ricevuto sua madre. Bisogna sottolineare che Joëlle non aveva mai visto sua figlia coi suoi occhi, essendo cieca già da 42 anni.
Don Olivier, felicissimo, è corso in pensione ed ha invitato tutte le persone a scendere nell'atrio perché desiderava comunicare loro una buona notizia. Quando è arrivata Joëlle, tutti i pellegrini erano già riuniti. Joëlle è entrata, ha guardato sua figlia e le ha detto: "Hai lavato i capelli?". Vinciane, non notando nulla, ha risposto: "Ma sì!" ed ha chiesto: "Perché abbiamo tutti dovuto scendere qui?". Joëlle ha risposto: "Non vedi alcun cambiamento in me?". Vinciane ha guardato ed ha detto: "No". "Guarda meglio!", le ha detto sua madre e Vinciane ha esclamato: "Tu vedi!". Quale commozione! Si sono abbracciate l'un l'altra dalla gioia e sono rimaste così per circa cinque minuti. In seguito Vinciane ha riconosciuto: "Non avevo mai smesso di pregare perché a mia madre tornasse la vista ed avevo detto a Maria che non me ne sarei andata da Medjugorje finché lei non avesse acquistato la vista".
Che fede meravigliosa! Maria ascolta le grida dei suoi figli. Tutto il gruppo era felicissimo ed ha ringraziato il Signore e Sua Madre Maria con la preghiera. Anche se erano già le dieci di sera, con Joëlle in testa siamo andati alla Croce blu, nel luogo in cui la Madonna appare regolarmente a Mirjana ed a Ivan.

Non posso nascondere la profonda gioia che proviamo, la gioia per aver ricevuto questo prezioso segno che Maria ci ha dato per il ventesimo anniversario del nostro gruppo di preghiera. Questo è davvero un segno che ci ha dato Maria, nostra Madre, un segno che ci aiuta a perseverare.Maria ci guida, ci rafforza, ci tiene per mano, ci ama e desidera che attraverso i gruppi di preghiera si diffondano e si vivano i messaggi che ci da già da quasi trent'anni. Quando andiamo in pellegrinaggio a Medjugorje, cominciamo a frequentare la scuola di Maria, attraverso la quale Lei ci guida a suo Figlio Gesù.
"Impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile!" (Mt 19,26).

Christiane Claessens

La scuola di Maria: fare tutto col cuore
1. Preghiera quotidiana del Rosario; 2. Lettura della Bibbia per almeno 5 minuti al giorno; 3. Confessione una volta al mese; 4. Santa Messa ogni Domenica e, se è possibile, durante la settimana; 5. Digiuno a pane ed acqua due volte alla settimana, preferibilmente il Mercoledì e il Venerdì.
Questa scuola di Maria è il cammino di santità. Questo è il filo dorato di tutti i gruppi di preghiera di Maria - Regina della Pace.

Dalle tenebre alla luce

Lettera di Joëlle guarita agli amici

Cari amici,
desidero condividere con voi ciò che è avvenuto dopo la guarigione del 19 Ottobre 2010 a Medjugorje. Quando quella prima sera sono uscita dalla Chiesa di Medjugorje, distinguevo la luce e i volti delle persone, vedevo che i loro occhi e le loro labbra si muovevano. Col passare dei giorni, la vista è pian piano e gradualmente migliorata. Oggi ringrazio il Signore per non avermi guarito tutto di un colpo; non avrei potuto sopportarlo. Durante il ritorno in Svizzera, dall'autobus notavo alcuni "alberi spettinati". La mia amica Claudia mi ha detto di dirle quando avessi visto di nuovo qualcosa di quel genere. Sono passati alcuni minuti, l'autobus procedeva e finalmente ho rivisto un albero spettinato. "E' una palma", mi ha detto Claudia. Immaginate come sarebbe per voi se vi risvegliaste dopo 42 anni. Niente è più lo stesso. Gli amici del gruppo di preghiera sono meravigliosi nei miei confronti. Mi danno forza per questo risveglio, per guardare la Luce.
Quando sono tornata in Svizzera, ho fatto nuovamente conoscenza coi miei due fratelli, mia sorella ed i miei genitori. Quando scende la notte, per me è un riposo. La vita sembra come quella di prima. Non smetto di pregare Gesù e Maria. I miei genitori hanno svegliato in me l'amore verso di loro ed ho trasmesso questa fiaccola a mia figlia Vinciane, che è stata con me a Medjugorje.
I primi giorni, quando vedevo delle case grandi, degli edifici di circa dieci piani a Lausanna, mi faceva male lo stomaco, sudavo e mi veniva da vomitare. Non volevo uscire per paura di guardare quei grandi edifici. . Era lo stesso con le persone: ogni incontro svegliava in me paura ed imbarazzo. In ogni caso non perdo la fiducia perché, se Gesù attraverso Maria mi ha ridato la vista, sono convinta che mi darà anche la grazia di sopportare le difficoltà che accompagnano la mia guarigione.
La fede, la pazienza, il coraggio e la fiducia sono le pietre miliari a cui mi attengo nel mio cammino di vita. Sono sicura che Gesù completa sempre la sua opera, Lui che sempre si rivela discretamente e nella mitezza.
Oggi riconosco i colori. Vedo gli oggetti grandi, come le case, gli alberi, le superfici verdi, le automobili, il nostro gatto, le scale, il sole, le persone. Sono tornata al lavoro e faccio i lavori di casa con maggiore facilità. Vinciane si rallegra della trasformazione che sta avvenendo con sua madre e dice che da noi regna la pace di Dio! Rimango con voi in preghiera.

Joëlle Beuret-Devanthéry
Lausanne, 19 Novembre 2010.

P.S. Qualcosa che vi aiuterà a capire ciò che vivo:
Le persone mi dicevano sempre che ero fortunata perché non vedevo questo mondo brutto e grigio. Mi dicevano che le persone sono scontente. Pensavo che la terra fosse grigia, che le persone fossero come dei bastoni grigi, che il sole splendesse attraverso una nebbia fitta, che anche l'acqua che bevevo fosse grigia e torbida.
Come sono rimasta sorpresa quando ho scoperto la meravigliosa natura variopinta, le persone sorridenti, il sole meraviglioso nel cielo azzurro, tutto pieno di dolcezza ed armonia! O Dio, gloria a Te!
Pensavo che alle fermate le persone fossero strette come le sardine in scatola e ciò mi esauriva.
Oggi risparmio regolarmente quindici minuti perché trovo un passaggio tra le persone ed arrivo alla metro più velocemente. Maria mi guida e mi tiene per mano, mi mostra la via. Grazie, Maria!
Gli increduli Tommaso della mia cerchia mi dicevano che questo non era possibile. Alcuni giorni dopo, mi hanno chiamato e mi hanno detto che hanno riflettuto bene e che in questo miracolo riconoscono la mano di Dio.
Potrei raccontarvi ancora molte cose, ma sarebbe troppo lungo.
Sono già state effettuate alcune piccole ricerche. Con l'occhio sinistro vedo la luce, col destro ancora meglio. A Dicembre - l'8. 12. 2010 - ho appuntamento presso un professore di oftalmologia di Bazel. Vi scriverò di nuovo. Rimaniamo uniti in preghiera, ringraziamo Maria, la nostra Regina della Pace, e suo Figlio Gesù che dice: "Se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei Cieli". Questa guarigione mi ha dato l'anima di un bambino, lo sguardo di un bambino che è passato dalla notte alla Luce!
Signore, tutto viene da te, tutto è per la nostra felicità e tutto torna a Te.

(Traduzione: Lidija Paris)